lunedì 14 dicembre 2015

Missione infinita

MISSIONE INFINITA
15 giorni per una missione era da tanto, tantissimo tempo, che non li facevo. E questa volta con anche Anna ad attendermi a casa, confesso che è stato più difficile, anche se le nuove tecnologie, dopo Cuba, mi sono venute in soccorso: skype, foto, video che mi mandava Silvia, hanno alleviato un po’ la saudade. E ora, finalmente, sono sulla strada del ritorno. Stanco, stanchissimo, senza più un filo di voce, ma devo dire soddisfatto del lavoro fatto, sia nell’isola caraibica, che in Brasile. C’è sempre da crescere, da migliorare, si può sempre far meglio, ma ciò che è stato fatto è stato positivo. Anche il gruppo si è mosso bene, mi sono divertito anche fuori dal campo, fatta in parte eccezione per…per una parte di esso, col quale faccio sempre fatica a stare. Ma anche con questa parte le cose vanno migliorando, quindi...bene così, dai: quante volte ho avuto compagni di squadra che mi stavano pesantemente sui maroni, coi quali mi sono picchiato in tutte le partitelle di fine allenamento, coi quali però ho sudato, lottato, giocato per difendere la stessa porta, per vincere le stesse partite, per sconfiggere lo stesso avversario. Va bene così ed è normale che sia così. Posso mica pensare di trovare sempre Silvio, o Gabri al mio fianco, o Lore, o Juri, o Roby; o, o, o... Amici, non solo colleghi. Il prof, poi è speciale, perché con nessun altro posso condividere le fatiche mattutine come con lui (Ciccio no di certo…). Abbiamo fatto una vera e propria preparazione: 14 allenamenti, saltando solo un giorno, quello del trasferimento a Holguin, a causa di un mio polpaccio fastidioso; tanto confronto, condivisone di idee e progetti, che però tali non rimarranno a lungo, visto che a entrambi piace la praticità, piace portare sul campo le idee; tanto campo, perché mai come questa volta abbiamo lavorato in campo e in aula insieme; tanta…amicizia. Si, cacchio: ho viaggiato con un amico. E questa cosa fa la differenza. Anche quando Anna è dall’altra parte del mondo. 

venerdì 11 dicembre 2015

Il diavolo e l'acqua santa

RIO-SAO PAOLO: il diavolo e l’acqua Santa!
I quasi tre giorni a Rio si chiudono velocemente, vivendo le giornate dalle 6 del mattino (se volevamo allenarci, questo era l’orario di sveglia, cazzo!) fino alle 21, quando rientravamo in Hotel, per poi collassare sui tavoli di questo o quel ristorante, citando a ripetizione battute tratte dal film del secolo, girato per alcune scene proprio qui: l’allenatore nel pallone! Camminando sotto gli archi dove corre il trenino di Santa Teresa non puoi non pensare e citare “obrighedo, obrighedo e m’ha fregheto”; oppure camminando lungo copacabana (anche se questa volta non abbiamo nemmeno avuto il tempo di passarci) non puoi non pensare a “la donzelletta vien dalla campagna…e la chiappa si bagna. Passero solitario…’azzo”. Se in più sei col prof, altro culture come me di questo capolavoro, i discorsi difficilmente esulano dai testi profondi del film del secolo (“diciamo che sta girando intorno alla fortuna”). Ma questo era ieri: siamo già a Sao Paolo, dopo un volo brevissimo, eppure in ritardassimo, che ci permette di arrivare a casa di Ciquinho, dove alloggiamo, solo all’1 e trenta di notte, stravolti (a Rio abbiamo fatto l’ultimo allenamento alle 14, per poi docciarci, dopo aver pompato un po’, in una delle palestre della favela ed esserci fiondati in aeroporto) e per nulla pronti per la giornata seguente: ore 8:45 allenamento nella favela jardin do s.Antonio, con 50 bambini e non si sa ancora quanto altro materiale. O almeno, non si sapeva quando ci siamo coricati: il giorno seguente ce ne siamo resi conto, ahimè. Ma il discorso di Rio vale sempre: poco o tanto che sia il materiale, bisogna fare il meglio e proporre le esercitazioni più belle e valide possibili ai bimbi che indossano la nostra maglia. Le scuse non mi piacciono. Fortunatamente i bimbi favelati di Sao Paolo sembrano dei Bocconiani a confronto coi carioca, per cui gli allenamenti risultano più semplici da gestire, per lo meno per quanto riguarda il primo nucleo e quello della parrocchia. Discorso un po’ diverso per la favela Agua vermellha, dove le cose sono più simili a Rio, pur senza armi in circolazione o spaccio alla luce del sole, tant’è che a fine seduta, mentre stavamo parlando con gli allenatori delle proposte di questi giorni, circondati dalla curiosità dei bambini appena allenati, due di loro, di 8 anni, se le sono date come se fossero degli adulti: pugni chiusi in volto e sordi ai richiami dei mister! Chiusura col botto, diciamo, visto che è stato l’ultimo allenamento proposto, in questa infinita missione! Ma Sao Paolo è comunque diversa, molto diversa. Sarà che il partner è una parrocchia e il parroco di questa, don Vincenzo, italiano, leccese, da 35 anni in Brasile, è circondato da gente stupenda, da una comunità attivissima e generosissima, che tutte le volte ci ospita, ci tratta come figli e ci fa sentire come a casa. Il prof ha detto bene oggi: sembra sempre di essere con gli zii, coi nonni, per come si sta bene. E dopo Rio, la favela, i favelati…il diavolo e l’acqua santa, eppure sempre Inter Campus.

giovedì 10 dicembre 2015

In favela a Rio

RIPARTENZA VERSO RIO

Due giorni intensissimi e rieccoci in volo: destinazione Rio! E nella capitale carioca l’intensità aumenta ancora: allenamenti fissati alle 9 del mattina in favela, quindi partenza prestissimo dal nostro hotel, sito in zona Lopa, per arrivare con la metro (circa mezz’ora) in zona complexo da Mare, il complesso di favelas dove lavoriamo, per poi trovarci con Del, Leo e Fabinho ed entrare in questa città nella città, muoverci tra sentinelle armate fino ai denti, spacciatori vari, ma anche tanta…normalità, e arrivare ai nostri campi per fare allenamento. Villa do Joao, Cavalcante, Nova Hollanda, Parc Uniao, questi i nostri campi di questa zona del mondo. E su questi terreni di gioco bambini che definire esuberanti suonerebbe eufemistico: delle vere mine impazzite, senza regole, norme, limiti, figli della strada che ti succhiano le energie nell’ora e mezzo che gli dedichi. Perché mi si chiede? perché fare allenamento in favela è così impegnativo, mi domandano alcuni, ignari di questa realtà. Un allenamento in favela vale tre fuori, su qualsiasi altro campo di inter campus perché per tenere alta la loro attenzione, evitare qualsiasi occasione di distrazione, qualsiasi pretesto per litigare, qualsiasi calo di interesse nei confronti delle nostre proposte (loro sono abituati a giocare, non a pensare come correre, dove correre, come calciare, come ricevere. Loro fanno solo partite, normalmente) devi mantenere altissime le intensità delle esercitazione, controllare tutto, vedere tutto e prevenire, proporre varianti all’esercizio in continuazione, basare tutto sul gioco, la competizione, la sfida e soprattutto partecipare alla seduta, scendere in campo con loro, accompagnarli nella “risoluzione del problema”, sostenerli sorridendo se sbagliano, gratificarli se fanno giusto. E il più delle volte senza materiale, come quando a Villa do Joao ci siamo ritrovati con 62 bambini, 8 palloni, 10 cinesini e una ventina di concetti! Niente casacche, non scherziamo! Siamo mica a Interello! E allora? Come fai? Ti organizzi, ecco come fai. Questi bambini sono Inter Campus, devono partecipare a un allenamento come se fossero a Coverciano, devono divertirsi, imparare e crescere durante la seduta! Devono, non possono. E allora via, 6 cancelli di ingresso, cambi ogni trenta secondi, giochi legati al correre, al saltare, con stimoli visivi, uditivi, richieste cognitive (anche semplici, tanto non sono abituati), per poi arrivare a introdurre la palla e chiedere di condurre liberi, poi vincolarli,, introdurre sempre finte e numeri (siamo in Brasile, ricordatelo sempre! Qui un ovinho, il tunnel, vale un 7 a 1), gare e competizioni…Insomma, un grande impegno, tanto che quando esco e saluto i nani carioca sono sempre esausto. Quando poi gli allenamenti sono più d’uno nel corso della giornata, alla sera barcollo, quasi come quando ho chiuso la mezza di Monza dopo essere stato pesantemente male di stomaco durante la gara! Moribondo. Ma il tempo che passano con noi sul campo è tempo sottratto a tutto quello che succede la fuori: ragazzi che ci osservano oltre la rete, sotto una tettoia, tutti armati chi di fucile, chi di pistola, chi con un cinturone che avevo visto solo indossare da Terminetor prima di oggi; altri che rollano dei cannoni lunghi quanto le mie copa mundial e riempiono il nostro terreno di gioco con l’amarognolo del fumo che si stanno fumando; altri ancora che gironzolano e ci osservano, ci scrutano, armati non solo di armi da fuoco, ma anche della loro radiolina, cui raccontare quello che vedono, che ascoltano (voi non vivete qui, ci dicono prima di un allenamento fermando la macchina di Del, quindi qui non potete stare. La spiegazione di ciò che facciamo e l’averci visto all’opera li convince del fatto che si, li possiamo stare e tornare, però cacchio…avranno avuto 14 anni!); e ancora spaccio, prostituzione, tutto il meglio che la strada possa offrire. E se anche non riusciamo a cambiare il modo di fare allenamento dei nostri allenatori, se anche non organizzano i gruppi come diciamo noi, se anche non riescono a seguire realmente il bambino nella sua crescita, nel suo percorso di sviluppo, attraverso proposte pensate, specifiche, utili, se anche, se anche, se anche…questi bambini sono in campo, vestiti di neroazzurro, tutti i giorni, vanno a scuola, devono andare a scuola, stanno insieme ad altri coetanei e giocano a calcio!!! Va bene così. Per me può andar bene così. E maglie bianco nere o rosso nere nei paraggi non se ne vedono…Grazie Inter, sempre!

mercoledì 9 dicembre 2015

Camocin...

NUCLEO DI CAMOCIN
La sveglia è puntata all’ora cubana, ossia alle 6:50, perché alle 9 inizieremo i vari incontri e soprattutto perché prima c’è da prendere confidenza con le strade di Camocin con le nostre gambe! Il programma è tosto e non tiene in alcun modo in considerazione le salite della città e soprattutto il vento perenne, costante e maledettamente forte! Siamo in un posto dove per sei mesi l’anno spira un vento potentissimo, che ha reso queste zone paradiso degli sport su tavola con vela (kite e wind surf), ma non abbiamo, o meglio il prof, quel sadico, non ha preso in alcuna considerazione la cosa. E allora via, come se nulla fosse: 1000+tabata+1000+tabata+1000! Tutti sotto i 3.45 i 1000, tutti sopra i 1000metri i Tabata: Eolo…prrrrrrr!Come sempre, correre per le strade della città è il mezzo migliore per avere una prima infarinatura, una prima idea della realtà dove sono stato catapultato: ora sono in una piccola cittadina di 70000 persone, nemmeno riempirebbero san siro, che vive per lo più di pesca e sta iniziando ad attrezzarsi per il turismo. Ha spiagge lunghe e di sabbia bianchissima, sempre sferzate dal vento e con il mare sempre mosso, per cui se non fai kite o wind surf, dopo aver visitato le spiagge più belle qui, dove però puoi fare il bagno con difficoltà, ti troveresti fuori luogo, eppure…eppure c’è qui forte una piccola comunità di italiani, di ragazzi, ma anche ormai non più tali, che per un motivo o per l’altro hanno abbandonato lo stivale per ricostruirsi una vita da queste parti, e non tutti attirati qui dalla potenza di Eolo. Be’, in fin dei conti gli italiani sono veramente ovunque! E non potevano certo mancare a Camocin. 


Chiuso l’allenamento, doccia, colazione e…skype! Dopo sette giorni senza internet, riesco a vedere Anna, attraverso le foto che mi ha mandato Silvia in questi giorni, ma soprattutto per mezzo della video chiamata, ed è bellissimo! W la tecnologia! Bello, bellissimo staccarsi dal mondo, isolarsi e riconnettersi ad esso solo attraverso la telefonata serale a Silvia, però ora sentivo proprio il bisogno di lanciare una cima che mi riavvicinasse a casa! Contento e soddisfatto, eccomi pronto quindi per i vari incontri: prefetto, delegato dello sport, delegato dell’istruttore, presidi delle due scuole contattate per “fornirci” i bambini, tutti riuniti per capire cosa vogliamo da loro e per farci capire se da queste parti serviamo a qualcosa o meno. Parliamo noi, parlano loro, interviene il responsabile dello sport locale e man mano che ci diamo vicendevolmente spiegazioni, man mano che ci conosciamo, capiamo entrambi di avere l’uno bisogno dell’altro. La realtà è…Inter Campus, i bambini vengono da scuole che coinvolgono bambini in gravi condizioni di difficoltà sociale ed economica, chi ha genitori in carcere, chi ne ha uno solo, chi mangia una volta al giorno, chi deve rimanere a scuola dalle 7 del mattino alle 7 di sera, perchè la mamma e il papà lavorano tutto il giorno. E tutti che vivono in favela. Insomma, inter campus. 

lunedì 7 dicembre 2015

Cuba-Colmbia-Brasile

VIAGGIO INFINITO

Lasciamo l’isola caraibica, ormai ex simbolo del socialismo, che sono le 16, per metter piede sul suolo brasiliano alle 6:50 del mattino seguente…in mezzo uno scalo confusissimo a Bogota (tabellone che segnala un’ora di ritardo del nostro volo, salvo poi essere corretto all’ultimo, iniziando l’imbarco senza che nessun passeggero fosse stato avvertito della correzione…insomma un casino) e soprattutto ore e ore di aereo. Fortunatamente il volo che ci porta a Fortaleza è mezzo vuoto e all’annuncio della hostess “imbarco completato” scatto tipo Bolt nella fila a fianco della mia, completamente libera, e mi sdraio orizzontale! Nemmeno il tempo di decollare e sto dormendo profondamente, condizione che mantengo inalterata fino a un’ora prima dell’atterraggio, quando il carrellino della colazione mi sveglia. Così, confesso, è tutto un altro viaggiare. Arrivati in Brasile ci vengono a prendere con una macchina per portarci a Camocin, luogo dove ci hanno invitato per provare ad aprire un nuovo nucleo inter campus: li dovremo vedere i luoghi, conoscere le condizioni da cui provengono i “nostri” bambini, entrare i contatto con gli eventuali allenatori…insomma, li dovremo vedere se il terreno è fertile per noi. Ma questo domani: ora che arriviamo nella cittadina vicino a Jericoacoara passano altre 4, interminabili, estenuanti ore! Il panorama fuori dal finestrino è sempre, monotonamente, lo stesso: sabbia bianca a bordo strada, arbusti selvaggiamente disposti poco oltre e infinite, immense, coltivazioni di palma da olio, quel maledetto olio di palma che “infesta” le nostre tavole e che tanto fa parlare di se ultimamente. Che palle! Già ne ho pieni i maroni di stare seduto, se poi fuori non c’è nulla di interessante da scoprire, altro non si può fare che dormire. E allora sotto, Morfeo, riprendimi con te: abbiamo altro tempo da passare insieme oggi. Arriviamo a Camocin intorno alle 11, anchilosati, con i flessori cortissimi e con la schiena a pezzi: quel che ci vorrebbe è una corsa, ma i nostri ospiti non sono dello stesso avviso; dobbiamo muoverci, iniziare a conoscere le persone che ci propongono il progetto, ma soprattutto dobbiamo riposarci un po’ in vista di domani…in spiaggia! Be’, dai, non male l’idea. Andiamo allora, insieme a Omar, un ragazzo italiano trasferitosi qui 8 anni fa e impegnato in diverse attività, Luciano, l’avvocato che vorrebbe finanziare l’eventuale apertura del nucleo, verso questa spiaggia, barra do Maiaco: bellissima, bianchissima e immensa! Pranziamo in riva al mare con tre super pesci (pareva pargo, ma non ne ho certezza), riso e fagioli, camminiamo discutendo di come poter impostare le cose con i piedi a mollo e spinti, all’andata, da un vento fortissimo (cazzarola se si è fatto sentire al ritorno) e rientriamo a “casa” con uno splendido tramonto sull’oceano: lavorare così non è affatto male! Ora elastico e siamo pronti per collassare! Mancano solo Anna con Si.

sabato 5 dicembre 2015

Di corsa a L'Havana

DI CORSA COL PROF"La prima settimana di preparazione può dirsi conclusa”, mi dice il prof rientrando in hotel a Holguin dopo l’ultima corsa prima del nostro ritorno a l’havana, per poi muoverci verso il Brasile. Una settimana di grandi corse e splendidi, stancanti, allenamenti: ogni mattina alle 7 si usciva di casa e si “tritavano” le strade intorno a noi, tra carretti trainati da cavalli che portavano giovani studenti e studentesse a lezione (a poche centinaia di metri da noi si trovava l’università), macchine degli anni ’50 puzzolenti, camion euro 0 (una sgasata di uno di questi residui della rivoluzione durante un mille mi ha tolto tre anni di vita), biciclette e gli immancabili sguardi incuriositi dei locali, intenti a capire che cacchio facessero questi due gringos tutte le mattine, correndo, saltando e guardando continuamente quel loro strano e identico orologio.Ripetute sui mille, balzi con uscite sui 400, forza veloce con uscite dai 400 ai 100, ripetute in navetta, ecco cosa cacchio abbiamo fatto. E forza con l’elastico con ripetute per addominali ogni giorno. Che altro non è che ciò che facciamo normalmente a casa, ma quando siamo insieme andiamo di più, rendiamo di più. O almeno, io rendo di più. Mi sento meglio, le gambe girano sempre. Certo, uscire di casa alle 7 con 24, 26 gradi aiuta sicuramente, però il compartire la fatica svolge un ruolo fondamentale durante i nostri viaggi. E oggi, a l’Havana (ora sono in volo verso Bogota, da dove poco dopo riaprirò con destino Fortaleza), sotto la pioggia, il vento, credo sia stata una delle corse più belle della nostra storia: sveglia alle 9, dopo aver raggiunto la nostra casa particular in calle industria intorno all’1, di rientro dall’aeroporto e dal volo da Holguin, un sorso d’acqua e via, verso il Malecon. Il cielo non è pulitissimo, ma non passa nella testa di nessuno dei due il pensiero che prende in considerazione l’ipotesi pioggia e appena scesi in strada si schiaccia il pulsante del Garmin e si da inizio alle danze. In breve arriviamo sul famoso lungomare della capitale e da li, come sempre, ci dirigiamo verso nord, dando le spalle al castello e alla città vecchia; i dieci minuti di riscaldamento ci portano quasi all’altezza del Cohiba, da dove iniziamo a rientrare per dar forma al nostro programma: ripetute sui 100 in navette dai 50 ai 25 metri. Tutto bene la prima serie, ma poi si scatena il maltempo: pioggia e vento ci inzuppano completamente, ma…ormai siamo qui. E allora via, una dopo l’altra le 4 serie da 5 ripetute, sempre con forza prima, ma soprattutto via al mille finale,tra pozze, in mezzo alla strada per l’acqua che inonda tutto,tra macchine che si muovono lentamente, tra la gente riparata sotto i terrazzi delle case decadenti della città o nascosta dentro gli edifici di epoca spagnola ormai quasi completamente mangiati dagli anni, dallo scorrere del tempo. Via, verso calle industria, di corsa, come piace a noi, pronti per ripartire per un’altra missione, questa volta verde-oro. 

venerdì 4 dicembre 2015

Dalla teoria alla pratica...

IN CAMPOCome sempre da queste parti, il passaggio da teoria a pratica è a dir poco abissale: dopo due giorni in cui abbiamo fatto noi allenamento con i bambini, oggi, ultimo giorno, abbiamo chiesto ai due mister di Holguin, Julio e Jarisbel, di prender loro in carico un gruppo, prima della nostra seduta. L’obiettivo nostro era quello di osservarli all’opera, vederli in campo alle prese con esercitazioni, con errori da parte dei giocatori, con le correzioni e la gestione della seduta e…che delusione! Eppure quando al termine della lezione mattutina abbiamo costruito con loro delle esercitazioni per diversi obiettivi tecnici e dedicate a diverse fasi dell’allenamento le loro idee erano valide, le loro proposte si erano dimostrate pertinenti, originali e sensate, utili per migliorare questa o quella specifica abilità tecnica (calciare e condurre), ma quando la teoria ha dovuto lasciare il posto alla pratica le loro conoscenze, le loro parole, i loro contenuti tecnici si sono drammaticamente volatilizzati e l’ora e mezzo di “allenamento” ha avuto per la crescita e il miglioramento del bambino lo stesso valore di un pomeriggio con gli amici al parco. Una serie di esercitazioni slegate tra loro, senza alcuna logica, senza spazi definiti, regole, varianti, intensità, senza nessuna correzione, attenzione e intervento, senza alcun legame con quello che ci avevano detto essere il loro modo di allenare. Una enorme delusione, alimentata anche da fatto che i due giovani mister sono due brave persone, sportive, appassionate e con buone, apparenti, conoscenze calcistiche. Contrariati per ciò a cui siamo stati costretti  assistere, al termine del loro scempio e prima del nostro allenamento abbiamo preso da parte Castro e Michelangel, responsabile tecnico della federazione per la provincia di Holguin e allenatore della nazionale sub20 del paese, nostri referenti locali, per esporre le nostre perplessità e trovare una strada da battere insieme per il futuro per migliorare le cose, perché se dopo tre giorni di corso e di allenamenti, ciò che è rimasto a loro di nostro è limitato alla teoria, qualcosa dobbiamo fare. Da buoni “statali”, uomini del potere centrale, ci intortano con parole, discorsi, mettono in piedi una sorta di monologo, in cui si discostano dai due allenatori, addossano a loro ogni colpa e responsabilità e ci garantiscono che il cambiamento è in atto. A parole. Vero è che qui le menti sono piuttosto rigide, abituate, o costrette, a pensare tutte allo stesso modo, non hanno quasi mai potuto aprirsi al “diverso”, conoscere e provare a far proprio qualcosa che non fosse “cubano”, quindi la nostra “rivoluzione” avrà bisogno di tempo per prender forma, però, cacchio, si parla di calcio, non certo di sistema economico! Lasciamo il campo con la promessa di Castro di controllare e intervenire per promuovere il cambiamento e con le rassicurazioni degli allenatori sulla efficacia del nostro corso e sulla “illuminazione” in corso. Vedremo, amici cubani: a maggio saremo ancora qui!

giovedì 3 dicembre 2015

In aula a Holguin

IN AULA
Come sempre durante le missioni su quest’isola, quando siamo in aula ci rendiamo conto che i cubani hanno una grandissima preparazione teorica per quanto riguarda le metodologie di allenamento, soprattutto per tutto ciò che concerne la preparazione atletica, ma quando vuoi passare alla pratica, quando poi li porti “sul campo” le loro conoscenze, le loro teorie iniziano a vacillare. Da quando vengo a Cuba, ormai cinque quattro anni, per questo motivo, cerco di proporre corsi molto pratici, che portino gli allenatori nella cancha, legando tutti i concetti che esponiamo a situazioni pratiche, reali, dell’allenamento e cercare così di alzare il livello dei nostri mister, di differirli da tutti gli altri che in numero sempre crescente si occupano di crescere giovani calciatori. Ma è dura. È dura, perché la teoria ce l’hanno proprio dentro: sono dei grandi “sofisti”, teorici dell’allenamento; vivono il gioco come una scienza esatta, da studiare sui libri, da analizzare alla lavagna e non come un gioco da vivere sul campo, da conoscere, sviluppare e migliorare in un prato verde, con esercitazioni e giochi divertenti, dedicati ai bambini. Ma hanno fame. Fame di conoscenza, di apprendimento. Oggi più che mai. Hanno famissima. La situazione politica attuale, con i suoi epocali cambiamenti, si vede, si tocca, anche nel nostro piccolo: sono aperti all’esterno, ansiosi di conoscere, di toccare, di venire in contatto con il cambiamento e magari essi stessi generarlo. La programmazione tecnica che il ministero dello sport diffonde annualmente alle province e quindi a tutti gli allenatori cubani impegnati sui campi dell’isola è superata, vogliono andare oltre, vogliono integrarla, ampliarla, migliorarla. E ce lo chiedono. Ce la mostrano e vogliono andare oltre, insieme a noi o a chiunque altro possa trasmetter loro nuove competenze. Volendo, potendo, fermarsi qui per un periodo piuttosto lungo, tre/sei mesi, si potrebbero porre delle basi importanti per il movimento calcistico in grande sviluppo, fioritura, da queste parti del mondo: si avrebbe a disposizione una buona organizzazione, ramificata e in grado di arrivare in tutte le dodici province, buon “materiale umano” (fisicamente sono delle bestie, anche se ultimamente vanno perdendo di vigore; a causa della crisi economica, infatti, i bambini crescono sempre più denutriti, con qualche deficit; mi raccontava il delegato provinciale dello sport che lentamente dal 1990, quando ci fu il crollo del blocco sovietico e Cuba iniziò a perdere i generosi contributi russi, le risorse economiche, già limitate a causa dell’embargo statunitense, si ridussero sempre più, e l’accesso anche solo ad una sana e corretta alimentazione da parte del popolo divenne sempre più complicato e limitato, con ripercussioni sui “fisici” degli sportivi, pur rimanendo lo sport un tratto distintivo del cubano) da trattare e formare e tanti “professori” con grande preparazione teorica da rendere allenatori, uomini di campo affamati e innamorati del calcio. Insomma, fermandosi più a lungo si potrebbe fare un gran lavoro, ma cercheremo di fare altrettanto pur solo in una settimana.

mercoledì 2 dicembre 2015

Risvegli strani

HOLGUIN
“aaaaaa”…”mmmm”…sono i lamentini di Anna questi; avrà fame, penso, chissà che ore sono. Apro gli occhi, ma…cazzo, questa non è casa mia! Non sono nel mio letto, di fianco non c’è Silvia e tanto meno la culla di Anna! Quindi? Ci metto un po’ a connettere, poi capisco: mi sono sognato tutto. Sono le 3:04 del mattino, altro che Anna! Che svarione. Scrivo allora a Silvia per raccontarle l’accaduto, ma lei mi precede e poco prima che le invii il mio mi arriva un suo sms “sveglie ora. Anna si lamenta. È ora della poppata”. Non ci credo! ho sentito i lamenti a migliaia di km di distanza? Chiedo immediatamente conferma del messaggio e soprattutto dell’orario di invio. Si, conferma mia moglie dall’altra parte dell’Oceano: mi sono svegliato con loro. Ah, ah, che follia! Come sono conciato dopo poco più di un mese dal suo arrivo, madonnina!Col sorriso ebete stampato in fronte impiego dai sette ai dieci secondi per tornare a dormire (confesso che sto dormendo come non mi succedeva da tempo! Silvia, non odiarmi) e risvegliarmi quindi definitivamente dopo quasi quattro ore: 6:35 in piedi, circuito di forza con il prof e si parte, si torna all’aeroporto nazionale della città per prendere l’aereo per Holguin, lo stesso aereo che 5 mesi fa non arrivò mai e ci obbligò a rientrare in Italia dopo una notte insonne e il fallimento della missione. Non nascondo il timore entrando nel salone dei check in, rivedendo quel posto maledetto che ci ha “rapiti” per una notte intera, ma ben presto mi rilasso: l’aereo c’è, questa volta si parte e dopo poco più di un’ora si arriva anche. Perfetto. Oggi in programma abbiamo già un allenamento. Piove, però, e anche tanto e la cadillac scassata che ci porta all’hotel fatica non poco a muoversi tra le pozze oceaniche della strada, facendoci capire che forse il campo sarà allagato e l’allenamento dovrà essere sospeso. E infatti così è: Castro e Miguel vengono in Hotel ad avvertirci della sospensione delle attività sul campo. Poco male, andiamo subito in aula e iniziamo il corso: abbiamo tanta carne al fuoco per questi quattro giorni e guadagnarne uno può farci sicuramente bene. Via, allora, di corsa allo stadio, per iniziare i lavori. Qui ritroviamo i nostri allenatori storici, Julio, Jarisbel, Alfonso, Salvator e nuovi mister da formare e da cui ricevere informazioni sui loro nuclei, sulle loro “squadre”, sulle loro difficoltà e sulla loro organizzazione dei lavori.Quest’anno, finalmente, abbiamo deciso di far un po’ d’ordine nel progetto cubano, contare i bambini “reali” del progetto e toccare con mano la loro realtà, senza affidarci più alle loro parole, troppo spesso vaghe e poco veritiere. Via allora, iniziamo ad accendere il fuoco per iniziare la cottura della carne che abbiamo con noi.

lunedì 30 novembre 2015

Arrivo a L'Habana

HAVANA!


Atterriamo nella CAPITAL addirittura con mezz’ora di anticipo, alle 15, e già scalpitiamo in vista della corsa che abbiamo deciso di fare appena arriveremo a casa, in calle industria. Anche il controllo passaporti scivola via piuttosto rapido, rispetto agli standard locali, e se non fosse stato per la lentissima riconsegna della valigia del prof, avremmo battuto ogni record di “velocità” in uscita dall’aeroporto. In ogni caso 1 ora rimane comunque un gran tempo! Appena fuori troviamo subito il mitico Roberto, che a bordo del suo taxi, ogni volta diverso da quello della volta precedente, tra chiacchiere sul suo stato di salute, un passaggio a casa sua e discussioni sulla situazione attuale dell’isola, ci porta al nostro solito condominio, dove alloggiamo ormai da sei anni, sempre in una casa particuar differente, sempre ospiti di famiglie diverse. Qui, giusto il tempo di conoscere Maria Lidia, ci cambiamo e…via, verso il Malecon per la sgambata rigenerante! Necessaria, dopo 11 ore in aereo! 7 km sul lato interno del lungomare, perché le onde altissime e violente invadono il marciapiede sull’altro lato della strada, a ritmo basso (4:25), utile per muovere le gambe e buttar via un po’ di tossine. Perfetto. Stiamo bene, si corre bene, le sensazioni sono positive,  siamo tornati nella nostra ennesima casa (come lo è Yaounde, o Kinshasa, o città del Messico…) e siamo pronti, prontissimi per la settimana di lavoro. Ora non ci resta altro da fare che una cenetta veloce insieme ai nostri due compagni di viaggio, Christian ed Eligio, e poi…letto!!! Domani altra sveglia presto per tornare in aeroporto e partire alla volta di Hogluin. Sperando che questa volta ci sia l’aereo e non siamo costretti, come a Maggio, a passare la notte in aeroporto, per poi rientrare con le pive nel sacco. Ora però buona notte.

domenica 29 novembre 2015

Partenza per Cuba!

CUBA
La sveglia è puntata presto, prestissimo questa volta, ma oggi non serve: ci pensa Lei a svegliarmi, iniziando a “miagolare” nella sua culla mezz’ora prima della fatidica ora, lamentandosi e dimenandosi sotto le sue copertine; mi alzo, dunque, per salutarla per bene, cercare di calmarla e rimetterla a dormire, sperando così di lasciare tranquilla ancora per un paio d’ore Silvia, ma ogni volta che mi stacco dalla culla Anna riprende il suo concertino lamentoso, fino a scoppiare in un vero e proprio pianto quando la lascio sola per un po’, dovendo lavarmi e vestirmi, costringendo la mamma ad alzarsi. Sicuramente è una invenzione del mio cervello deviato di papà indispensabile, ma è sembrato quasi avesse capito che stessi per andarmene, che stessi per lasciarla per 15 giorni, destino Cuba e Brasile, e quindi, a modo suo, non stava facendo altro che segnalarmi il suo disappunto, la sua contrarietà alla mia partenza. Quando poi stavo per uscire e lei, attaccata al seno di Silvia per l’ultima poppata della notte, continuava a cercarmi, muovendo la testa da una parte all’altra, staccandosi dal seno, cosa impensabile per lo squaletto di casa, mi sono autoconvinto della cosa: scusa Anna, devo andare. Inter Campus chiama e per un po’ non ci vedremo. Ma torno. Cacchio se torno. Giusto il tempo di un viaggio a l’Havana, per andare poi ad Holguin a proporre un corso ai nostri allenatori, spostarmi vicino a Fortaleza, in Brasile, prendere contatto con una nuova possibile cellula verde-oro, scendere a Rio e dedicare due giorni ai bambini delle nostre comunità e chiudere la missione a San Paolo, poi torno. Sono 13 notti, poi mi fermo di nuovo per un po’. Dai. In fin dei conti dovrai abituarti, mia nana: questo è ciò che faccio, questo è ciò che so fare, questo è ciò che mi piace. Non far impazzire Silvia e vedrai che prima che tu te ne accorga sarò già a casa! Ho pensato più volte al distacco, alla mia prima partenza dopo la lunga sosta forzata prima del suo arrivo, ma non avevo mai preso in considerazione tutti questi stati d’animo, tutte queste emozioni che sto vivendo; non pensavo, non credevo, non consideravo minimamente di poter essere così “stregato” da un simile nano, di poter mettere in dubbio le mie partenze, i miei viaggi, i miei campi del mondo. Certo, anche quando era solo Silvia la donna di famiglia era complicato andarsene, ma la certezza del ritorno, la bellezza del sapere che una volta a casa saremmo e saremo di nuovo noi, mi ha sempre lasciato tranquillamente vivere le emozioni del viaggio, dei corsi, degli allenamenti, invece ora…cacchio, vorrei non perdermi un minuto della sua vita (e già durante il giorno normale sono con lei pochissimo, tra ufficio e campo), un attimo del suo percorso di scoperta, di esplorazione di se stessa e del mondo esterno, di conoscenza delle cose. Ma ok, va bene così: rientriamo nei ranghi e pensiamo al lavoro adesso: ci sono allenatori da formare e bambini da crescere in giro per il mondo Inter Campus. Vamos!

martedì 17 novembre 2015

Giocare aiuta a guarire

È da tanto che manco da queste pagine ed è da tantissimo che non viaggio, ma una bimba ha fermato il mio incessante pellegrinaggio per il mondo e mi ha volentieri "costretto" a casa, per accudirla, per vederla, per conoscerla, insieme a Silvia. Erano 11 anni che non rimanevo in Italia per così tanto tempo, ma ora si riparte, si torna a raccontare i campi del mondo.
Ma questa volta niente aereo, niente trasferta intercontinentale, niente massacrante, forzata seduta negli scomodissimi seggiolini di una qualsiasi compagnia aerea; questa volta il campo che mi accoglie è quello di casa, Interello, dove per la seconda volta questa stagione diamo vita a un allenamento con bambini in post therapy dell'ospedale San Gerardo di Monza. Post therapy??? Cioè? "Parla come mangi", sento già riecheggiare nelle orecchie questa frase. Post therapy: dopo la terapia. Bambini che sono stati malati di leucemia e che stanno uscendo dalla malattia e per questo hanno bisogno di un pallone da inseguire per trovare più velocemente la strada che porta fuori. Bambini dai 5 anni ai 14 che hanno trascorso gran parte delle loro giornate costretti a letto, il più delle volte nemmeno il loro letto, ma quello freddo, "puzzolente" (l'ospedale puzza, non si può negare: di disinfettante, di odori finti, artificiali...puzza) dell'ospedale, bambini che quindi hanno poca, se non nessuna, dimestichezza col movimento, col proprio corpo...con il gioco. Eppure bambini bellissimi, sorridenti, positivissimi, determinati, decisi ad imparare, ad apprendere il più possibile in quell'ora e mezza che possiamo dedicargli; bambini che corrono allo stremo delle forze "dentro" le nostre esercitazioni, correggendo il loro movimento ad ogni nostro consiglio e migliorando minuto dopo minuto; bambini che hanno tanto da insegnare ai miei della Calva, sani, forti, robusti, inconsapevoli della fortuna che hanno, del grande dono che hanno ricevuto: la salute.
Ok, ok, spostatevi davanti...lasciate far manovra...lasciate ora uscire il gran camion di retorica che ha scaricato il suo contenuto su questa pagina...No, mi spiace, questa volta no. Non sono il tipo da lanciarsi in racconti in pieno stile De Amicis, in storie prese da studio aperto. No, no, quale retorica? Tutto vero, tutto parte di ciò che sento, che provo, ogni volta che sono sul campo con questi bambini e bambine; quando sono sul campo con Teresa, ad esempio: un fascio di nervi con due mega occhi azzurri che ti fissano attenti quando spieghi e una "grinta" che la porta a duecento all'ora a provare, a mettere in pratica ogni tua richiesta, ascoltando i tuoi consigli e migliorandosi minuto, dopo minuto; oppure quando gioco con Vittorio, un nano di 5 anni simpaticissimo, in possesso di una proprietà di linguaggio che tanti adulti mai potranno nemmeno immaginarsi, con grossi, evidenti limiti già negli schemi motori di base quali il correre e il saltare, eppure sempre...sul pezzo, con la sua corsa ultra tallonata e la sua inimitabile conduzione di punta, che allenamento dopo allenamento sta quasi diventando di esterno piede. Grandissimo.
O ancora Marco, o Jacopo, o Oscar (6 anni e già un trapianto di midollo alle spalle), o, o, o...Mi diverto sempre un sacco in campo con loro e mi piacerebbe portarli in campo una volta coi miei bambini, farmi raccontare la loro storia ed essere io ad ascoltar loro per imparare, apprendere qualcosa in più.

martedì 28 luglio 2015

In campo...ma non io.

PREMIER JOUR


Si comincia subito a spron battuto: giusto il tempo di arrivare a Mbalmayo dall’aeroporto Nsimalen di Yaounde (circa un’ora), buttarmi nel letto dopo essere stato accolto in camera da una blatta di 50 kg (doveva essere il padrone di casa…) ed eccomi pronto, elastico in mano, per il mio risveglio mattutino in vista dell’intensa giornata. 54 allenatori mi aspettano nell’aula del COE, penna in mano e taccuino degli appunti aperto sulle gambe, motivatissimi ad apprendere come strutturare un allenamento e determinati a capire cosa significa intervenire sullo sviluppo della personalità dell’individuo attraverso...il calcio. 

Sperimento un giochino per rompere il ghiaccio, per iniziare a conoscere i “miei” alunni e introdurre l’argomento e le cose si mettono subito al meglio, tanto che tre ore filate scivolano via senza grossi ostacoli, volando tra domande, coinvolgimenti da parte mia e approfondimenti di vario genere sugli argomenti da trattare. In tanti anni di Camerun (che frase da vecchio!!!), questa è probabilmente una delle migliori lezioni che sono riuscito a proporre: son proprio contento. 

Anche i due pischellini sono coinvolti, soddisfatti della lezione, nonostante siano costretti unicamente ad ascoltare, a fare solo da auditori, e con Max l’intesa in aula ormai è talmente navigata che quasi non occorre più parlarsi, spiegarsi le cose: tutto va alla grande. Insomma, siamo proprio un bel team e la mattinata porta grandi frutti con se. A pranzo, che facciamo al CAS, insieme ai ragazzi e dove plantain (madonnina come vado matto per questo piatto!!! Per nulla salutare, ma…debolezza, confesso) e il classico misto di verdure locali farcito da un piment strasaporito e forte, la fanno da padrone, l’argomento principe è la seduta pomeridiana: mi sono detto più volte prima del viaggio che dovrò lasciare il campo ai ragazzi, per starne fuori, essere da supporto per loro e da “cicerone” per gli allenatori locali in formazione, per cui preparo con loro la seduta, cercando di essere il più chiaro possibile su ciò che vorrei vedere, ma poi…l’emozione e sicuramente il peso  dei miei occhi e quello degli occhi dei 54 allenatori, pronti a scrutare ogni situazione sul campo, fissi su loro, un po’ limitano la loro prestazione, un po’ “legano” i loro movimenti, rendendo meno efficaci del previsto le loro proposte. Per carità, allenamenti comunque validi, efficaci, divertenti e coinvolgenti per i bambini, ma so che possono e sanno fare meglio, sia Robi (che comunque non mi è dispiaciuto oggi) che soprattutto Dave (troppo confusionario oggi). 

In queste occasioni riconosco di essere un vero spacca maroni: pretendo tanto, troppo, dai “miei” allenatori e non sono mai completamente soddisfatto, completamente contento; lo so, me ne rendo conto e le stesse richieste le faccio anche a me stesso, sono super esigente, ma credo sia giusto così. Se posso dare mille ai miei bambini, perché non provare a dar loro mille e due? Non mi accontento di un buon allenamento, voglio il miglior allenamento, anche se il migliore sarà sempre il prossimo, quindi...eternamente insoddisfatto.
Terminata la seduta i ragazzi sanno cosa penso e mi chiedono consigli e suggerimenti, ma…non è il momento. Ora andiamo a fare una bella corsa, diamo fondo a tutte le nostre energie e questa sera, davanti ad una fresca Castel, affronteremo l’argomento. Ogni cosa a suo tempo.

domenica 26 luglio 2015

Ultima tappa della stagione: Camerun!

Camerun: Mbalmayo 2015.


Nemmeno il tempo di disfare le valige che sono nuovamente impegnato a rifarle, questa volta destinazione Camerun. Ultima missione della stagione, anche quest’anno ricca, ricchissima, di viaggi, esperienze, allenamenti e corsi e anche quest’anno chiusa nella “mia” petite afrique, dal grande Francis. Come sempre quando arrivo al termine dell’anno sono un po’ stanco, mi sento un po’ in “low battery”, ma…ok. Siamo alla fine. Stringiamo i denti, pensando che la vera fatica, il vero sfinimento è altro. Io, una volta rientrato dal Camerun, me ne andrò in ferie, le ultime…in due. E li avrò tutto il tempo di dedicarmi alle mie corse, ai miei allenamenti liberamente, senza pressioni, senza lo stress del tempo che avanza e incombe, avrò il tempo di dedicarmi a Si e alla sua panza, insomma, avrò il tempo di riposarmi e ricaricarmi in vista della mia undicesima stagione con la maglia nerazzurra indosso! Quindi…via, carichiamo le batterie e ripartiamo!!! Ad aiutarmi in questa ricerca delle energie, a darmi una ulteriore “ricarica” in questa occasione c’è la novità assoluta: in Camerun con me ci saranno due nuovi allenatori da testare, da provare sul campo, in vista di un loro futuro, possibile, inserimento nello staff. Ho bisogno come il pane di allenatori, ma essere intercampista non è roba da tutti, per cui le selezioni devono essere accurate, attente e minuziosamente pensate, in modo da poter quasi subito iniziare a far trottare i mister scelti in giro per il mondo, pronti, ma soprattutto predisposti, a vivere le esperienze che solo questo mestiere sa donarti, senza perder tempo e senza dover star loro dietro passo per passo.I due pischellini coinvolti, Dave e Robi, frutto della “cantera dei mister”, si sono dimostrati capaci e meritevoli in Calva, con i loro gruppi, ma lavorare a casa è una cosa ed è completamente diverso dal farlo in queste realtà, su questi campi del mondo. Ricercare alte intensità, essere da esempio per i mister in formazione, correggere gli errori con l’ostacolo della lingua, saper scegliere le esercitazioni adatte, utili, pur con poco materiale a disposizione e con numeri di bambini imprecisati fino all’ultimo secondo prima dell’inizio della seduta...Vedremo. Da domani mattina sarà il campo a parlare.

sabato 25 luglio 2015

Max l'esorcista

MAX L’ESORCISTA


Quando Gabriele ci ha detto che dopo allenamento ci saremmo dovuti fermare a casa di Augustine, il padre di Auguy di cui poi parlerò, per fare un esorcismo e scacciare gli spiriti maligni, pensavo scherzasse, tant’è che ho retto il gioco con noncuranza, caricando anzi la posta di fronte allo spaventato uomo congolese dicendo che Max è il migliore in Italia a parlare con gli spiriti, invece…invece al termine della seduta papà Augustine ci ha portati davvero nella sua casa infestata e, visibilmente spaventato, ci ha invitati a fare qualcosa per allontanare le presenze maligne dalle sue stanze, che da giorni gli impedivano di dormire.
Max allora, preso, presissimo, nella parte di stregone, ci ha chiesto di fare da chierichetti, di aiutarlo nel rituale: aperte le porte, quella di ingresso e quella di uscita (per far uscire gli spiriti), ha iniziato a citare diversi episodi biblici e vangelici in cui i demoni sono stati sconfitti, senza esitazioni, con estrema convinzione e sicurezza, presentando il tutto come parte di un vero e proprio rito, ispirato chissà da chi! A quel punto ho iniziato quasi a preoccuparmi: o mamma, è andato del tutto! I maiali che si buttano nel fiume, la donna con le emorragie, la Madonna che sconfigge il drago: un’escalation mistica, che lo stregone bianco chiude con una preghiera e la benedizione (si, si, benedizione! Indice e medio uniti e sollevati, andava in giro per la casa, facendo il segno della croce! Posseduto, letteralmente posseduto) delle stanze, con anche l’incisione del nome della madonna sui due ingressi!!! Terminata l’insolita funzione usciamo dalla casa con Max apparentemente provato, stanco, come se…cazzo, come se davvero avesse fatto un esorcismo!!! Non riesco a nascondere il mio stupore e chiedo con insistenza al mio compagno di viaggio se quelle recitate erano formule che aveva sentito, che conosceva, o se era solo farina del suo sacco, ma lui…niente, ormai è uno stregone! Non mi risponde con chiarezza, rimane vago e continua a citare episodi biblici relativi alla lotta tra il bene e il male. Posseduto anche lui! Questa ci mancava…ora son curioso di capire, di sapere, se davvero la casa tornerà vivibile, accessibile, libera dai demoni, dagli spiriti maligni. Se davvero così fosse, Max, hai trovato una nuova occupazione!

domenica 19 luglio 2015


Due mosche bianche...


Aspettando di giocare!


Dario al lavoro, io osservo, in buona compagnia.


Che campi in questa parte di mondo!


Diamo intensità, anche sulla sabbia!!!


Poche parole, poi in campo!

sabato 18 luglio 2015

Lubumbashi

SPORT A LUBUMBASHI


…e invece no, niente calcio: la giornata si è dilungata, prima sul campo di Djamaetu, poi su quello di Bakanja Centre e quando rientriamo non abbiamo il tempo per organizzarci e andare a sfidare nel nostro sport i ragazzi grechi. Meglio per loro, ma peggio per noi: dopo i due allenamenti di oggi e la formazione agli allenatori, avevo proprio voglia di calciare una palla. Amen, mi sfogherò con una bella corsa vicino alla Place Forrest: li, in mezzo a due grandi vialoni, prende forma un piccolo spazio verde, il cui perimetro è disegnato da una sorta di corsia in terra battuta, della lunghezza di 1500mt, uno spazio sufficiente per dar fondo alle mie riserve energetiche. Il tempo di rientrare, quindi, ed eccomi, Garmin al polso(prima che il bastardo decida di impallarsi!!!) pronto per seguire il mio programma di allenamento: riscaldamento, 1500, tabata e hiit finale da 8’. Le gambe girano più del previsto e nonostante la polvere e il casino attorno, dovuto alle mille macchine che sfrecciano lungo il viale, porto a termine la seduta con soddisfazione. Son contento di aver trovato anche qui uno spazio, seppur proprio ritagliato, ove correre; quando dormivamo nella missione di Padre Angelo avevo il campo della casa degli italiani vicino, intorno al quale riuscivo ad allenarmi quotidianamente, ma da quando ci siamo trasferiti qui, dai salesiani, l’unica soluzione che avevo era la palestra del Mazembe dove andavo con Gabriele a “bruciare” il tapis roulant, ma…che palle correre su quel coso! Sembra di essere un criceto sulla ruota! Manca solo la vaschetta con le bucce di mela! Molto meglio questa soluzione. 

D’altra parte la città è in continua espansione, è in continuo cambiamento, pur senza i frenetici ritmi di Kinshasa, e il traffico, le strade, le nuove costruzioni stanno limitando ogni giorno di più gli spazi verdi…assurdo scrivere una cosa del genere da queste parti del mondo: quando uno dice Africa nella mente dell’interlocutore si palesano leoni, giraffe, savana o giungla selvaggia, ma la realtà è ben diversa. Seppur a Lubumbashi la brusse circondi la città e bastino dieci minuti di macchina per ritrovarsi nella savana, in mezzo a terra rossa, alberi di ogni tinta, forma e dimensione, con case di terra cotta ai margini della pista certo non asfaltata, restando “in centro” si fa fatica a trovare anche solo un giardino pubblico e l’inquinamento, la polvere e la sporcizia la fanno da padroni. E così, bisogna sapersi accontentare e ingegnarsi per poter buttar giù qualche migliaio di metri e alzare un po’ il proprio battito cardiaco, esattamente come siamo costretti fare a Milano. È il progresso, no? Non si chiama così? Quello che abbiamo fatto noi mzungo anni fa, ora è qui che prende forma, a discapito, ancora una volta, di nostra madre terra. E perché dovremmo impedir loro di fare ciò che abbiamo noi, e stiamo ancora, perpetrato?


mercoledì 15 luglio 2015

Come John Stokton...o quasi.

BUTTIAMOCI NEL BASKET!

Arriviamo a Lubumbashi che è già buio, un po’ perché il Congo è immenso (grande come l’Europa, dal Portogallo alla Russia!!!) e un po’ perché il volo della Corongo airline, la compagnia congolese, non è un diretto, ma fa anche sosta nel mezzo del nulla, in una “cittadina” di cui non ricordo il nome. Dall’alto non si vedeva nulla, solo foresta e qualche falò sparso qui e là: siamo nella stagione secca e devono preparare i terreni da coltivare e l’uso diffuso è quello che riporta all’uso del fuoco; addirittura quando atterriamo e arriviamo quasi in fondo alla pista, appena oltre la lingua di asfalto due bambini osservavano questo rumoroso uccello di metallo incuriositi e divertiti, prima di correre verso la loro capanna, costruita poco distante. Difficile crederlo, pensando ai nostri aeroporti, anche i più piccoli, con tutte le norme di sicurezza e le reti che li cingono, eppure…
La sosta è piuttosto rapida e anche l’arrivo nella capitale della regione del Katanga avviene in breve tempo, giusto quello che mi permette di finire anche il nuovo calcio di questo mese, ma comunque fuori è già buio e…cazzarola, non posso allenarmi. Che palle. Quando sono in viaggio una cosa che VOGLIO fare quotidianamente è proprio allenarmi, ma oggi è mancato proprio sia il tempo che…la luce, per cui devo ripiegare sull’elastico per scaricarmi un po’. Per fortuna la sveglia anticipata e la giornata piuttosto intensa mi hanno sufficientemente stancato, per cui la sera ci metto pochissimo a cadere nel sonno profondo (anche se “sleep better” continua a dire che non ho praticamente sonno profondo), pronto alle prime luci dell’alba per ripartire: obiettivo GoCongo, una delle cellule del progetto, una scuola poco fuori la città, costruita dentro una mega fattoria gestita da un ragazzo iraniano e sua moglie, due giovani Baham simpatici e molto in gamba. Parlando con lui a fine allenamento e dopo le due ore di aula con gli allenatori (figata che tutti gli allenatori del progetto siano sempre con noi! In questo modo aula e campo cambiano tutti i giorni, permettendoci così di unire concretamente le due parti e i mister), salta fuori che alla sera avrebbe fatto una partita di basket con gli amici e ci invita; basket…non è che sia proprio il mio sport, però si può sempre provare. La mia statura limiterà sicuramente la mia performance, ma così riesco a muovermi e a unire aerobico e forza.
Salutato Aziz e dopo la sosta alla fattoria del governatore del Katanga, dove ci fermiamo per vedere il centro di formazione calcistica in costruzione proprio all’interno della sua “umile” dimora (con un parco di soli 1000 ettari…) destinato a giovani ragazzi congolesi selezionati, mi rituffo sull’elastico per allenarmi, prima del mio debutto sul parquet…parquet…è asfalto e i canestri sono sicuramente più bassi di quanto non consenta il regolamento, visto che riesco ad arrivare quasi a schiacciare, ma il piccolo centro sportivo del club ellenico (la “casa” della comunità greca della città) è proprio bello, con il suo campo da basket, il suo campo a 11, i due a 5 e l’ampio ristorante. Giochiamo con dei ragazzi grechi, amici di Aziz, e suo fratello, tutti appassionati e capaci di giocare, ma nonostante la mia poca dimestichezza con la palla a spicchi mi diverto a correre, saltare continuamente per ogni cosa, anche inutilmente, e alla fine credo anche senza sfigurare di fronte a gente per lo meno più abituata a trattare una palla pesante con le mani. Dopo aver giocato in Chiapas, rieccomi tradire il calcio anche nella “mia” Africa. Ma domani si gioca a calcio, glielo ho detto subito, finita la partita: domani torniamo e ci spariamo una partitella 4<4 senza fine! 

martedì 14 luglio 2015

Incidente a Lubumbashi

GIORNATA INFINITA
Quando la sveglia inizia a suonare non so se crederci e svegliarmi, o far finta che sia un sogno e rimettermi a dormire. Ma lei insiste, col suo suono fastidioso e crescente: "ti diiii—ti diiiii—ti diiiiii”. Ok, cedo, hai vinto tu. Apro gli occhi e in non so quale attimo di insperata e impensabile lucidità decido di aprire le tende e dare un’occhiata fuori: buio pesto! Cazzarola, ho sbagliato a puntare la sveglia, penso, e mi rituffo nel letto col telefono in mano per controllare, ma mi accorgo di non aver sbagliato: sono le 5:40, ma il mondo la fuori sembra non saperlo ed è convinto siano le due di notte. Ancora indeciso se andare a correre o meno, apro la porta ed esco, ma l’oscurità è troppa e i rischi ad essa connessi sono esagerati: le strade della città non sono bellissime, quindi ad ogni passo rischierei l’infortunio, e anche il lungo Congo è pieno di buche, radici e sconnessioni. Niente, meglio lasciar perdere. Rimettiamoci a dormire. Almeno per un altra ora, visto che alle 7 dobbiamo essere a far colazione, per poi essere in campo alle 8. E al campo ci arrivo bello riposato e sereno, nonostante la fallita missione corsa: 50 bambini ci aspettano e l’allenamento corre via veloce coinvolgendomi e divertendomi molto, anche perché il livello dei bambini da queste parti è veramente alto, quindi posso osare qualcosa in più, posso spingere sull’acceleratore quanto voglio, perché loro rispondono. Via allora, con una serie di esercitazioni sullo smarcamento, una delle quali inventata, anche se nel calcio non si inventa nulla, di sana pianta proprio oggi, dopo colazione. Bello, sono contento, le cose qui, sul campo, vanno alla grande e non si può che crescere, che migliorare su questo campo del mondo. Ma anche fuori dal campo le cose vanno bene: gli allenatori stanno crescendo e anche la parte teorica, che abbiamo sviluppato al termine della seduta, offre grandi motivi di soddisfazione. Le domande, l’attenzione, lo scambio continuo di idee, punti di vista, opinioni sull’argomento trattato (il passaggio dall’insegnamento del semplice gesto, alla cura dei principi di tattica individuale in fase di possesso) mi fanno capire, o forse solo credere, di essere sulla giusta strada, di star facendo un buon lavoro. E si potrebbe fare ancora meglio se solo Inter Campus decidesse di crescere…si vedrà. Il tempo finisce con troppa velocità e, avendo l’aereo alle 14, dobbiamo lasciare in fretta i nostri allenatori con le loro solite mille richieste per le foto. No, mi spiace, non abbiamo tempo, dobbiamo andare. Via, saliamo in macchina con Pablo, il nostro autista, e ci dirigiamo verso casa, ma…ma l’inferno cittadino di Kinshasa ha in serbo per noi un bel diversivo: messo il naso fuori dallo stadio, il nostro “pilota” congolese non vede una macchina che sta sopraggiungendo velocemente da sinistra, proprio mentre noi stiamo imboccando l’incrocio e…sbaaaaam! Che botto. La macchina, un mega nissan imparentato con un transatlantico, oscilla per il colpo preso, mentre allo speronatore praticamente esplode il muso e salta per aria il radiatore. Che botto. Per fortuna stiamo tutti bene, ma nel giro di meno di dieci secondo la macchina è già circondata di gente: centinaia, non sto scherzando, di persone iniziano a girare intorno alle due macchine coinvolte, ci guardano, ci scrutano e parlano, discutono, alcuni si arrabbiano fra loro. Ma che cacchio, non avete altro da fare? Be’, che sciocco, no: questo incidente li occuperà almeno fino a sera e grazie a noi potranno parlare, litigare, discutere chissà ancora per quanto. Il problema è che in Africa, quando ci sono incidenti e sono coinvolti dei bianchi, spesso le cose degenerano, per cui nella macchina serpeggia un po’ di tensione. “Non scendete e cerchiamo di andarcene in fretta”, ci dice Gabriele, che vivendo qui sa bene come funzionano certe cose. Cazzo, cazzo, cazzo!!! Ci mancava questa. Rimaniamo bloccati li per dieci minuti, con la folla intorno che continua a crescere e i nostri timori con essa, fin quando la polizia non fa salire un poliziotto armato, e io ho il terrore delle armi, con noi e ci scorta alla “centrale” più vicina (centrale: una baracca pericolante, sporca e buia. Centrale…), dove però rimaniamo pochissimo: Mario si precipita a prenderci, ci fa salire su un’altra sua macchina, e ci spedisce in aeroporto. Li ci pensa lui. Noi possiamo chiudere la missione Kinshasa e prepararci al volo che ci porterà a Lubumbashi. Via allora, si riparte.


lunedì 13 luglio 2015

A pranzo con Balabam

A PRANZO COL SUPER MEGA DIRETTORE GALATTICO.

La mattina si può fare poco: i bambini sono a scuola e gli allenatori non riescono ad esserci tutti, per cui decidiamo di convocare tutti dalle 14 al campo nuovo, in modo da riuscire a proporre due allenamenti a testa io e Dario e poi fermarci con i mister per portare avanti il nostro cammino nel mondo dell’allenamento.
Mi alzo, quindi, e mi dirigo sul fiume Congo per un bell’allenamento che, nonostante il lungo viaggio del giorno precedente e la levataccia che ho dovuto affrontare, vola via con buone sensazioni: le gambe girano meglio del previsto e anche dal punto di vista aerobico posso ritenermi soddisfatto. Se il buon giorno si vede dal mattino, quindi, oggi si preannuncia una gran giornata, ma…non avevo tenuto conto di Mario e dei suoi alti, altissimi contatti, che si palesano all’ora di pranzo, quando, seduti ad un ristorante, dopo aver già ordinato, dobbiamo di filata alzarci per cambiare posto e andare in un altro posto, vicino per fortuna, perché “sua eccellenza” ci ha invitati da lui. “Sua eccellenza”? Non ho ancora ben capito chi sia, se devo essere sincero:so per certo che è un autorità congolese, qualcuno di molto vicino al presidente e quindi di immenso potere e smisurata ricchezza, al punto che il ristorante dove ci porta è tutto per lui (ha pagato affinché rimanessimo solo noi dentro!!!), uno di quei personaggi onnipotenti da film, ossequiato da tutti (ci siamo dovuti alzare in piedi quando è entrato nella sala da pranzo! Io che non mi alzavo in piedi per protesta, stupida, quando entrava il preside della scuola in classe…), in grado di decidere della tua sorte in base a simpatia o antipatia. Un conte Balabam, un duca conte Semenzana, un visconte Kobram per intenderci, ma un po’ più scuro di pelle. Nel vederlo e nel parlarci non riuscivo a togliermi dalla testa l’attore che ha impersonato Amin nel film “l’ultimo re di scozia”, con le sue bizzarre abitudini e i suoi vezzi megalomani. E con lui a tavola non potevo certo alzarmi e chiedere di portarmi al campo per svolgere il mio lavoro, per cui chiamiamo Maxennes per comunicargli il ritardo…una, due, tre volte! Eccellenza si diverte con noi, parla, ride e scherza e non sembra intenzionato ad andarsene, mentre i nostri bambini aspettano. “Arrivo, Max, arrivo. Appena mi libero mi fiondo in campo. Aspettami” continuo a ripetermi. Ma nulla cambia. Arrivano le 14, poi le 15, quando finalmente, alle 15:30, decide di andarsene, di salutarci, lasciar riaprire il locale e lasciarmi andare in campo! Via allora, ci cambiamo in macchina e alle 16 sono pronto per far partire l’allenamento: un gruppo da 25 io e uno da 25 Dario, 4 allenatori che seguono me e 3 che seguono l’altro mister. I bambini rispondono alla grande, sono cresciuti, migliorati dall’ultima volta e le esercitazioni scivolano via con grande intensità e altrettanto divertimento, fino a quando non sopraggiunge l’oscurità! Si, cacchio, qui alle 18 fa buio e noi, tra una roba e l’altra, siamo andati un po’ lunghi con le proposte della seduta e siamo ormai a un quarto d’ora dall’oscurità. Cacchio: e gli altri gruppi? “Domani, Maxennes! Ore 8 iniziamo allenamento. Puntuali”. Cazzarola, così non riesco ad allenarmi domani, oppure…vado alle 6 del mattino! Vediamo…

martedì 7 luglio 2015

In viaggio verso Kinshasa

CONGO

Africa nera: rieccoci!!! Rimettersi in viaggio dopo l’amaro in bocca lasciato dall’ultima avventura cubana era un’esigenza più impellente del solito e nonostante le due settimane italiane siano piacevolmente trascorse e volate insieme alla mia splendida panciona, ora son proprio felice di essere di nuovo in volo. E soprattutto di esserlo per muovermi verso il Congo!Iniziava a mancarmi l’Africa, oltre ad iniziare a mancarmi il viaggio. Fino ad oggi, in questi dieci anni di Inter Campus, fermarmi troppo a lungo a casa è sempre stato quasi un problema per me, o per lo meno una limitazione, una forzatura, un limitare il mio lavoro, ma adesso qualcosa potrebbe cambiare in me. Anzi, certamente qualcosa cambierà nella mia vita quando la bimba nascerà: sono curioso di capire come. Cambieranno le mie esigenze? Il mio ipercinestesismo verrà placato? La mia insaziabile voglia di viaggiare, di cambiare campi ove giocare diverrà un assurdo ricordo? Cacchio, una nana a casa e io dall’altra parte del mondo…Si, si, qualcosa cambierà per forza!!! Già ora non tornare a casa per parlare con "un ombelico" mi manca!!! Be’, si vedrà. Saranno due grosse esigenze che dovranno trovare un equilibrio, un accordo, un compromesso (come ho odiato questo sostantivo in “gioventù”), che porteranno una ulteriore evoluzione a questo mio piccolo mondo. Positiva, bien sure. Staremo a vedere.
Per ora, però, tuffiamoci in questa nuova missione: Congo, Kinshasa prima, Lubumbashi subito dopo. Iniziale breve toccata e fuga nella capitale, per poi trasferirci 4 giorni in Katanga, da Gabriele Salmi e dalla “sua” Alba Onlus. I primi giusto per vedere i nostri bambini, fare un allenamento con tutti i gruppi, incontrare gli allenatori e vedere come si può portare avanti, e se si può portare avanti, la nuova ipotesi di progetto dedicato a quei bambini usciti da inter campus, sopra quindi i 14 anni, dotati di talento, che da oggi potrebbero essere inseriti in una vera e propria scuola calcio locale, messa in piedi da italiani, orientati a dar vita ad una società professionista, organizzata secondo i criteri europei, invece di abbandonarli per strada perché per statuto nostro non ci occupiamo più di loro dopo i 14 anni. Potrebbe essere una bella soluzione per loro. Certo, peccato fare “selezione” e tenere legati al campo da calcio solo i più bravi, ma…piutost che nigot, l’è mei piutost, e quindi piuttosto che perderli tutti, tenerne almeno una parte legata allo sport, alla pratica calcistica e, chissà, riuscire a dar loro la possibilità di coltivare, di sfruttare appieno il proprio talento, per fare del pallone la propria vita, potrebbe, ripeto, essere una bella cosa. Non sarebbe sociale anche questo, d’altra parte? In un paese dove non esiste il settore giovanile, dove le squadre professioniste esistono sono “per i grandi”, dove i bambini giocano solo per strada o con noi, se fanno parte del camp kokolo, zona poverissima della città, riuscire a dar forma a squadre giovanili, con allenatori preparati, che proseguirebbero il nostro lavoro educativo, oltreché, ovviamente, tecnico, non potrebbe essere una opportunità incredibile per ragazzini altrimenti destinati quasi certamente ad abbandonare lo sport? Così, sulla carta, la cosa mi piace: vedremo poi sul campo. E allora via, partiamo!

venerdì 19 giugno 2015

Cuba, analisi di un'odissea

Quando il prof è entrato nello stanzino dell'aeroporto nazionale de L'Habana alla ricerca dei bagagli e, invece delle nostre sacche, una volta accesa la luce, si è trovato davanti i due inservienti che stavano trombando, con dietro un terzo collega beatamente addormentato, ho pensato: "ora salta fuori Teo Teocoli e mi dice che sono su scherzi a parte". Giuro, è tutto vero. Nessuna bugia troverete nel racconto, ma solo il cronologico susseguirsi di avvenimenti assurdi, che mi hanno portato a passare due giorni in aereo, due notti in bianco, mezza giornata nella capitale dell'isola caraibica e ora di nuovo in Italia, con le pive nel sacco, senza aver potuto svolgere il mio lavoro. Incredibile.
La cosa fortemente credibile, però, è che tutte le sfighe possibili si sono concentrate in questo viaggio e per i prossimi cento dovrei essere a posto: aerei cancellati, ritardi inspiegabili, valige perse...tutto in una volta sola. Ma andiamo per ordine.
Ore 4:30 am, lunedì
Partenza al solito ad orario impossibile, io e il prof, contenti di tornare a viaggiare insieme dopo Israele e motivatissimi per questa missione, punto di svolta, o almeno così era nei nostri programmi, per l'evoluzione del progetto a Cuba. Holguin è la nostra meta, ma prima di arrivarci dobbiamo affrontare un bel viaggetto, che però, onestamente, scorre via piuttosto liscio: lavoro un po', leggo e soprattutto parlo col mio prof preferito di allenamenti, di atteggiamenti dei ragazzi, degli allenatori, mi confronto su un sacco di cose (ovviamente relative al calcio...) e l'arrivo a L'Havana giunge quasi inaspettato. Anche il controllo passaporti e il recupero dei bagagli si risolve in breve, tant'è che in nemmeno 45 minuti siamo già fuori! Incredibile, visto che di solito in questa parte di mondo bisogna mettere in conto almeno un'ora (almeno) tra file infinite, controlli minuziosi e lentezza cosmica per le valige. Invece...buon segno? Naaaa.
Ore 15:30 locali (-6 rispetto a noi).
Incontriamo Eligio, Christian e Garces e andiamo a casa di Roberto, il nostro solito, mitico, uomo tuttofare della capitale, per farci una doccia e mangiarci uno splendido, dolcissimo e arancionissimo mango! Madonnina che buono. Ecco, qui Mango e Papaia sono stratosferici. Se l'ananas più buono lo mangio in Camerun, questi due frutti buoni come qui non li ho ancora trovati. Si parla, si ride e si scherza con il buon Roberto, ormai guarito dalla difficile operazione che ha dovuto affrontare per asportare un tumore allo stomaco, e sua moglie Julia. È sempre bello arrivare in un paese straniero e "ritrovarsi" a casa, sentirsi tra amici.
Ore 17:30 locali.
Ci muoviamo per l'aeroporto nazionale, pronti per il volo di un paio d'ore verso l'oriente dell'isola...pronti noi, ma non la compagnia aerea cubana: poco dopo il nostro arrivo, infatti, ci comunicano che il nostro aereo non andrà più a Holguin, ma a Santiago e da li ci dovremo muovere in bus. Dopo il viaggio infinito, in piedi da quasi 24 ore, inizio a sbarellare e a chiedere spiegazioni su questo arbitrario cambio programma, ma non ricevo alcuna risposta. Non si sa nulla. Si fa così e basta! Do' fuori di matto. "No, ragazzi, io non mi imbarco: non sappiamo se c'è l'aereo, non sappiamo se ci sarà il bus, perché non lo organizza la compagnia, ma dobbiamo trovarcelo noi! Se han fatto così all'andata potrebbero farlo anche al ritorno. Non scherziamo!!!". I miei compagni di avventura, però, saggiamente, decidono di rimanere in fila e provare, quindi, seppur incazzato nero, mi infilo la musica nelle orecchie e rimango in fila. Maledetta democrazia.
Ore 19:30
L'ora dell'imbarco è arrivata, ma...non si muove una foglia. Ci spostano nella sala del pre-imbarco, strapiena di gente che è li dalle 15 in attesa di partire e iniziamo l'attesa. Distrutto mi stravacco per terra e mi addormento in meno di tre secondi. Quando riapro gli occhi a causa dei dolori diffusi sul fondo schiena (duretto il pavimento) la situazione è immutata: il prof in coma su un seggiolino (con la maschera per gli occhi mi fa troppo sorridere!), Eligio che dorme su di un altro e Christian che mangia frutta in giro per lo stanzone. L'aereo non parte. Il motivo non si sa. Si sa solo che è "atrasado". Torniamo a dormire, in flames nelle orecchie e via.
Ore 00:00 am 26 ore di veglia.
Questa volta a svegliarmi è il mio vivosmart al polso, che mi avverte vibrando che non ho raggiunto l'obiettivo dei 12000 passi: vorrei vedere te, stando tutto il giorno in aereo!!! L'unica cosa cambiata rispetto a prima, però, è la musica nelle mie orecchie: ora tocca al nuovo album dei faith no more accompagnarmi nel mio sonno. Mi alzo. Devo cambiare posizione. Tutto è immutato intorno a me.
Ore 1:00 am, 27 ore di veglia.
L'aereo viene ritardato ancora e lo sbarellamento si diffonde anche tra i miei compagni di viaggio. Il prof sbotta "basta, non ce la faccio più, andiamocene". Usciamo dalla sala di imbarco e...entriamo all'inferno. Eligio chiama la casa particular dove andiamo di solito e prenota due stanze, sperando di risolvere in breve tempo la riconsegna dei bagagli, ma non sapeva a cosa stavamo andando incontro. Dopo aver dato i talloncini dei nostri bagagli ad un inserviente...torniamo in attesa.
Ore 2:00 am, 28 ore di veglia
Il pandemonio! Il prof si incazza. Si alza di scatto dalla sedia e urlando inizia a dire "basta, non si possono trattare così le persone! Siete qui per lavorare, non per oziare. Adesso li cerco io i bagagli" e inizia ad aprire tutte le stanzine che capitavano sotto il suo tiro. Una, due...tre. Accende la luce e trova il nostro inserviente in inequivocabile atteggiamento amoroso con una collega, con al loro fianco un terzo presunto lavoratore piacevolmente addormentato. Le urla del prof salgono di livello. Insegue il responsabile dello scalo, che per risposta scappa e si chiude dentro il suo ufficio. Scoppia un casino, perché alle urla di Silvio si agganciano le proteste di altri viaggiatori, incacchiatissimi per la situazione assurda. La gente dell'aeroporto è costretta a lavorare, a cercare le valige e a scaricarle e dopo un'altra oretta di caos diffuso, riprendiamo possesso delle nostre borse.
Ore 3:30 am 29 ore di veglia
Crollo, morto, sul letto! Non so dove sono, non so cosa mi è successo: sono distrutto e voglio solo dormire! Domani metterò insieme i pezzi e proverò a capire qualcosa. Ora dormo!!! La penna mi cade...


martedì 2 giugno 2015

In Favela a San Paolo

FAVELA AQUA VERMELHA
Campo rosso, rossissimo, quasi africano, 60 bambini dai 6 ai 17 anni, 8 palloni, una ventina di coni piccoli e una decina di quelli grandi. Questi gli ingredienti a nostra disposizione, per dar forma alla seduta di oggi. Ah, dimenticavo: due ore a disposizione e un’entusiasmo diffuso difficile da contenere, da controllare, da incanalare.L’organizzazione lascia un po’ a desiderare, ma qui, come nell’altra favela paulista, non siamo mai stati, non abbiamo mai fatto allenamento: abbiamo aperto la scorsa volta, ma ancora non abbiamo dato “direttive”, suggerimenti, quindi…rimbocchiamoci le maniche, Juri, e vediamo di far vedere qualcosa di buono. Decidiamo di dividere il gruppo in quattro, in funzione delle età, e di mostrare ai nostri due mister due esercitazioni di introduzione, per cercare di far vedere e capire che non è necessario far correre come dei muli i bambini intorno al campo per “scaldarli”, e due esercitazioni situazionali, per mostrare come per lavorare sul gesto tecnico non sia indispensabile frantumare i maroni ai giocatori, con esercitazioni noiosissime, a bassa intensità, e senza alcuno stimolo cognitivo o emotivo. I gruppi ci seguono, si divertono, si impegnano e imparano a pensare per agire e non solo ad eseguire meccanicamente i movimenti; il clima è positivo, tutto fila via alla grande, c’è “una bella musica in campo”, come ci ha detto più tardi Franco, e noi stiamo dirigendola alla grande. Bello, anche oggi bello. Ma anche oggi…distrutto! La seduta mi ha risucchiato tutte le energie e quando finiamo e torniamo in oratorio devo sdraiarmi dieci minuti per riprendermi: low battery! Controllare tutto, sfruttare l’energia, l’esuberanza dei bambini per i miei obiettivi, evitando che sia invece fonte di disordine e distrazione, mostrare gli esercizi, correggere, tenere alte le intensità…quando esco dal campo sono sempre stanco (oggi abbiamo scoperto che durante l’allenamento ci muoviamo per circa 10km, o meglio Juri, ma io non credo di muovermi meno, anzi) morto e quando poi gli allenamenti sono due di fila, se non tre, sono esausto. Seppur contento. Dovrei ascoltare ciò che mi dice il prof da tempo e staccarmi un po’ dal campo per assumere più il mio ruolo di responsabile tecnico e meno quello di allenatore, ma…non ce la faccio! Le due cose per me sono inscindibili: come faccio ad essere responsabile tecnico del progetto, se non vado in campo, se non mi metto alla prova quotidianamente, se non cresco esercitazione dopo esercitazione? Non è solo perché mi piace troppo e perché credo fermamente che senza campo i miei viaggi perderebbero di significato, oltre che di interesse. O almeno credo...Vero, dovrei lasciare più spazio ai “miei” mister, dovrei dedicarmi più a loro e alla loro crescita da fuori, ma sono fermamente convinto che l’esempio sia la forma migliore per insegnare, per fornire un modello, quindi se “uscissi” dal campo perderei di credibilità, perderei il mio ruolo. Per me contano più i fatti delle parole e a me quelli che parlano troppo non sono mai piaciuti, quindi preferisco fare, fare anche per due, piuttosto che limitarmi ad osservare per poi parlare e pontificare o peggio ancora lasciare un mister in difficoltà, come magari mi son trovato io in passato, nei miei viaggi africani in solitaria. Quindi…continuerò ad uscire distrutto dal campo, per lo meno fin quando rimarrò intercampista, da tutti i campi del mondo!

domenica 31 maggio 2015

Favelas a Sao Paolo

IN CAMPO A SAN PAOLO
Sveglia, allenamento e pronti per la favela, per il campo Jardim do San Antonio, dove arriviamo in breve e riusciamo anche a vedere la fine della seduta guidata dal professor Celso, prima di prendere possesso del terreno di gioco. I bambini sono 21, molti sono a scuola (oggi non è giornata di allenamento normale), e sono tutti ben attenti, affamati, desiderosi di giocare, divertirsi, ma anche capire, apprendere, migliorare sotto la guida dei due gringos.
Usciamo dal campo contenti per la seduta svolta: intensa, con degli adattamenti in corso d’opera non previsti, perché sottovalutavamo le capacità di risposta dei bambini, con degli obiettivi raggiunti anche importanti (io nel finale mi sono buttatonella sperimentazione di un funino! Ed è anche venuto bene! Nonostante qui il calcio sia individuale, giocano solo con la palla tra i piedi, si muovono solo per fare il numero, nonostante non emerga alcun concetto di collaborazione osservando i loro “allenamenti”; con la mia proposta sono stati indotti questi concetti di collaborazione, questa ricerca del gioco di squadra per il raggiungimento del gol. Certo, in una volta non potevo certo sperare di modificare la loro testolina, però ho avuto belle risposte e abbiamo raggiunto belle intensità di gioco! Pensa inserirlo con continuità…) e un divertimento generale diffuso. Anche nostro. Bello, veramente bello. Nel pomeriggio ci siamo dedicati al primo nucleo inter campus san paolo, che ci ha riportato coi piedi per terra, dopo l’entusiasmo degli scorsi giorni e della mattinata, scatenato dalle risposte dei bambini alle nostre proposte. Un immediato ritorno alla realtà. L' allenamento nella parrocchia, con i bambini dell’oratorio nostra signora di Fatima. Bambini, ci ha riportato in campo con bambini ”normali”, senza particolari carenze, anzi, piuttosto benestanti, quindi…ritardati! Ma nel senso stretto del termine, ossia in ritardo dal punto di vista motorio. O ancora, più politicamente corretto (così non mi censurano): meno affamati, meno brillanti, svegli, attenti, pronti a capire e ad apprendere. Hanno tanto, troppo, a casa, quindi sono abituati a drizzare meno le antenne, ad essere meno pronti a muoversi, ad agire, a capire. Un po' come i nostri...La differenza è stata da subito evidente: i favelati sono un passo avanti. Per carità, l’allenamento, gli allenamenti, visto che anche oggi ci siamo dedicati a tre sedute consecutive, con tre gruppi differenti, sono andati via bene, ma…mancava nei bambini quella scintilla, quella furbizia, quella capacità di apprendimento immediata, riscontrata invece nelle favelas. O nei villaggi africani. O nei bambini che vengono in Calva che provengono da famiglie non propriamente ricche! Insomma, quella “cosa” propria dei bambini che crescono dove manca tutto! O quasi. Più il bambino vive in condizioni difficoltose, più ha fame di conoscere, sapere, apprendere e sperimentare e riesce, nel breve, a realizzare tutto ciò, in particolare...sui campi del mondo. E noi ci divertiamo il doppio!
Al termine della giornata, col buio incombente, rientriamo…nel nostro buco, nella stanzetta a casa di Ciquinho, ripostiglio, magazzino per gli attrezzi, non so bene come definirlo: quel piccolo spazio con due letti, polverosissimi, buttati li. E con un bagno…micro! Seduto sulla tazza puoi farti la doccia poggiando un braccio sul lavandino e la testa contro il muro! Non c’è lo spazio per le gambe, cacchio, quando sei seduto! “Bella vita, la tua”…


sabato 30 maggio 2015

Sao Paolo do Brasil

SAN PAOLO
Chiudiamo la prima parte della missione con gli ultimi allenamenti a Rio (mai fatti così tanti allenamenti nella capitale carioca! Sembrava di essere a Cracovia con Olek e non a Rio con Del! E perché tutto questo? Va be’, lascia stare, va…), dopo delle estenuanti, ma positive ripetute mattutine con il diavolo della tazmania-Juri sul lungo mare di Rio, col sole che iniziava a fare capolino dal mare…spettacolo! E finiti gli allenamenti, prima di imbarcarci, salutiamo le favelas con una fajolada da Betty, una sorta di “tia” della comunità, di mamma dei favelati, la cui casa è punto di ritrovo di un sacco di ragazzi che entrano, escono, salutano, parlano con lei e poi se ne vanno. Un bel personaggio, l’ennesimo bel personaggio incontrato: insomma,adoro il campo, vivo per stare in campo e fare allenamenti, le esperienze su di esso sono sempre magnifiche, ma anche gli incontri che questo lavoro mi permette di fare sono ineguagliabili e fondamentali per la mia crescita.
Va be’, poesia a parte, finita la nostra fajolada ci imbarchiamo sul volo diretto verso la capitale paulista, balliamo un po’ nelle due ore di viaggio, ma in breve arriviamo a destinazione dove ci attende Ciquinho, vecchia conoscenza di Inter Campus, che ci ospiterà nella sua casa, vero porto di mare del quartiere sao miguel paulista. Porto di mare nel vero senso della parola: qui la gente entra, esce, si ferma a pranzo, a cena, i mendicanti passano a prendere il caffè, qualcuno si ferma a dormire…Ciquinho dice che casa sua è un “pronto soccorso”!!! Quando mi trovo in queste situazioni mi chiedo se io sarei in grado di fare lo stesso, di essere così aperto, gentile, disponibile e generoso: lui ci ha aperto casa sua, ci sta trattando come figli, ci consiglia dove andare a correre e come muoverci nei dintorni, ci viene a chiamare per la colazione…non so se sarei capace di essere così…buono. Un grande!
MMMM...Oggi è già la seconda volta che mi produco in descrizioni positive delle persone: sarà la vecchiaia che avanza, che mi rende così gentile? Fermiamoci, va, e riprendiamo domani, dopo un buon sonno e una bella corsa mattutina in questa mega città: San Paolo do Brasil! 

venerdì 29 maggio 2015

Favela

IN FAVELA
Non mi abituerò mai: la macchina rallenta, la musica si spegne, si abbassano i finestrini, Del si toglie la cintura di sicurezza e il cicalino delle frecce inizia a riempire la macchina, si accende la luce interna, in modo da far vedere chi c’è dentro. Eccoci in favela. Una volta dentro è un continuo salutare, per Del ovvio, suonare il clacson alle varie sentinelle, segnalarci dove possiamo e dove non possiamo guardare. Ogni volta è così, ogni volta questo “rito” ci introduce in queste città nelle città, ordinate e governate secondo le loro leggi, secondo i loro codici e se non ti adegui…sono affari tuoi. Nel senso più stretto del termine: lo scorso anno, quando eravamo qui noi, un ragazzo in auto non ha abbassato i finestrini entrando e pochi metri dopo è stato freddato. Non so chi sei, non riesco a riconoscerti, ti faccio fuori: potresti essere un pericolo e non posso correre il rischio. Pauroso!!! Allora si, Del, abbassa tutto!!!
Ultimamente questa tensione è cresciuta, per via del processo di pacificazione delle favelas in atto da prima del mondiale giallo verde dello scorso anno: l’esercito, seguito poi dal BOTE (batalhão de operaçoes policiais especiais), che quando entra fa disastri, dalla polizia e da altre divisioni delle forze di sicurezza, alternandosi, entrano nelle comunità e le liberano dai banditi che le controllano, fermandosi poi per controllare che la pacificazione sia effettivamente avvenuta ed evitare che le gang tornino ad esercitare il loro potere e questa cosa, seppur sulla carta positiva, sta scatenando guerre per il controllo delle restanti favelas e per il dominio nelle varie comunità. Durante gli allenamenti, infatti, sono sempre di più le armi che vediamo intorno a noi: ragazzini che girano in moto, con fucili o pistole armate a tracolla, che ci controllano, guardano cosa stiamo combinando e a volte chiedono informazioni, vogliono sapere perché siamo li. Oggi poi abbiamo raggiunto il clou: nel trasferimento tra un campo e l’altro, tra una comunità e l’altra, siamo passati vicino a un punto nevralgico della favela, una sorta di confine (la striscia di Gaza, mi ha detto Del), dove una ventina di ragazzi poggiavano su dei tavoli “sacchetti bianchi”, in attesa non ho ben capito di chi o cosa; armati stile american sniper, giravano intorno a questi tavoli evidentemente in tensione…a me terrorizzano le pistole ad acqua, figuriamoci quell’armamento, ma per fortuna il campo era distante…nemmeno trenta metri!!! Madonnina! Nulla è successo, Del ha detto che si stavano preparando per una incursione notturna in un’altra favela, quindi ci è andata bene, però che situazione! Noi ci passiamo solo, ma questa gente, questi bambini ci vivono quotidianamente, questa situazione fa parte della loro quotidianità, al punto che adesso le mamme, quando vogliono impedire ai figli di uscire di casa, dicono loro che fuori stanno sparando! Non uscire, fuori stanno sparando…quotidianità

giovedì 28 maggio 2015

E ora...Brasile!!!

BRASIL!!!

Milano-New York, New York-Milano, Milano-Rio, tutto in meno di dieci giorni…mia moglie è una santa!!! Avevo già sospetti sulla sua condizione, ma ora ne ho la certezza. Già, perché non contento nel week-end prima della partenza per la terra Carioca mi ha anche permesso di andare a Riccione per giocare le finali nazionali con la mia Poli, maldestramente chiuse con un rosichevole terzo posto. Mmmm…devo iniziare a sospettare del panettiere? Aver trovato michette dentro la lavatrice, nel forno e in tutti gli armadi di casa, e non mangiando io pane, qualche pensiero fantozziano dovrei iniziare a farlo? Ma va. Solo che sa, capisce, sente, che tutto ciò che sto vivendo a casa, a Milano, mi sta un po’ tirando matto, mi sta consumando, sa che a fine stagione sono sempre un po’ troppo scarico e nervoso e sa, allo stesso tempo, che niente come il calcio mi permette di recuperare energie mentali, serenità e tranquillità, quindi si adegua e mi accontenta. Splendida!
Ora però, dopo questa trasferta, sono io a volermi fermare, sono io a volermi godere le serate con la mano sul pancione, sono io a volermi divertire gli ultimi mesi…solo noi due! Quindi ora sotto con questo Brasile, per poi fare una pausa di quasi venti giorni in Italia, prima di Cuba. Poco, vero, ma…piutost che nigot, l’è mei piutost.
E allora via, si parte! Si parte e non ci si ferma più, perché questa visita lampo è stata pianificata…va be’, è stata decisa... super intensa, tant’è che appena atterrati a Rio, ore 5 del mattino, abbiamo giusto il tempo di un bell’allenamento rigenerante sul lungo mare (e sto maledetto stiramento continua a limitarmi, cazzarola!!!), per poi infilarci in metro e tuffarci nelle nostre solite comunità per tre allenamenti in fila, uno dopo l’altro, in tre diverse favela. Si comincia sul campo di “morro de primavera”, col professor Elvis e i suoi scatenati giocatori: scatenati ad essere diplomatici…un casino assoluto, con 12 cinesini a disposizione e 8 palloni! E allora via, mega introduzione gestita con Juri, che ingloba anche una parte analitica, un bel situazionale, dividendoli in due gruppi, e partita finale. Alte intensità, buon coinvolgimento, buone risposte dei ragazzi, insomma, buona seduta di allenamento. Ci siamo divertiti. Ma non c’è tempo di riprendersi: Campeao, il mitico allenatore quasi ottantenne, da sempre con noi, ex calciatore professionista (leggende favelare lo vogliono copagno di squadra di Pele), e i suoi bambini del nucleo di Turiacu, ci aspettano. Via, allora, ripartiamo. Dieci minuti per uscire da una comunità, entrare in un’altra e rituffarci in campo: stessa struttura di prima, ma qui i nostri “giocatori” sono più disciplinati, educati, più abituati all’allenamento; le cose, quindi, vanno meglio, più facili, e possiamo anche spingere un po’ più sull’acceleratore e osare qualcosina (ricevendo risposte positive dai ragazzi) nel corso della seduta. Grande Campeao! Si vede che lavora, che li segue, che attraverso il campo riesce a educarli, a prepararli non solo per la partita del sabato. Grande! Ma non c’è tempo di fare i complimenti all’anziano professor: il nucleo “vila do Joao” e prof Renè ci aspettano. Via, di nuovo in macchina e di nuovo in campo. Qui sono 46 i bambini, dai 4 ai 14 anni…che casino. E il contesto non ci aiuta: siamo nel cuore della favela, con gente intorno e dentro il campo che guarda, passa, chiede e domanda, con mamme smartphone munite e selfiemaniache, con banditi armati a puntino che osservano e tengono tutto sotto controllo. Ripeto, che casino. Ma nonostante tutto, anche qui va tutto alla grande: Renè, il mitico prof, lavora bene e seppur molto…irrequieti, diciamo così, i bambini hanno voglia, si dedicano a noi completamente, quindi le cose sono semplificate, l’allenamento raggiunge buone intensità e buoni obiettivi. Bene, sono contento. Ma sono anche distrutto. Veramente a pezzi. La penna mi cade…dormo. Domani si riparte e io devo ricaricare le batterie!!!

venerdì 22 maggio 2015

L'angolo dell'allenatore

Tornato coi piedi per terra, più o meno, dopo l'overdose di emozioni in campo con DJ, per meglio smaltire la sbornia emotiva mi catapulto presto la mattina a Central Park per un bell'allenamento (oggi ci sono le ripetute in programma): sono un po' di marmo, ma tutto sommato sto bene e le gambe girano, quindi la seduta, tra un pensiero sull'incontro teorico previsto oggi coi mister e un'idea per migliorare ancora le cose sia qui, che in generale in Inter Campus, scivola via piuttosto facilmente (anche se l'ultimo 1000 è stato un Calvario, devo confessarlo!!!). 

Doccia, colazione a base di frutta e via, pronti per la lezione...nella hall di un hotel, o meglio presso il ristorante dell'hotel Marriot...cazzarola, ma proprio non ce la fate, cari i miei statunitensi. Ma come cacchio si fa a non trovare uno spazio alternativo, a non capire, a non volere, uno spazio idoneo, per disegnare esercitazioni, condividere metodologie, parlare di calcio??? Come cacchio si fa a sottovalutare tutto a questo modo, ad essere così superficiali e fare le cose...così, tanto per dire che sono fatte? E si che ci abbiamo provato, sia pre-viaggio con continue proposte, sia in corso di missione, ma...niente. Muro di gomma. Sembra quasi sia (già, perché su tre allenatori si presenta solo David e Ray, nostro referente tecnico locale, si fa i cazzi suoi con l'Iphone, mentre parlo di correzione del gesto e analisi dello stesso) venuto qui per farci contenti, per tenerci zitti "dai, sono anche venuto ad ascoltarti: cosa vuoi di più?". Assurdo. Ma non mollo. Mi frega assai se sono seduto ad un tavolo con delle forchette e un bicchiere di vetro davanti, più attenti e interessati all'argomento del mio allenatore: io voglio farti capire che non puoi andare in campo e improvvisare la seduta, non partecipare all'allenamento e fare solo da "propositore"! E così è stato: driblando tovaglioli e bicchieri di vetro, io e Andre per due ore abbiamo mostrato esercitazioni a David, spiegandogli fase per fase il nostro metodo, e intervento dopo intervento il nostro modo di toccare le quattro aree della personalità del bambino per, attraverso l'allenamento, non limitarci ad un miglioramento esclusivamente tecnico. Più di così non potevamo: bravo Andre e brava anche Annalisa. Abbiamo fatto veramente il massimo per cercare di portare sulla "retta via" questo progetto...particolare. Ora vediamo se i semi gettati germoglieranno finalmente e nel corso dei prossimi sei mesi che ci separano dalla visita di ottobre (che io, cacchio, non farò per impegni più importanti...) cercherò di "fertilizzarli" quotidianamente, stando addosso al duo Ray-David con esercitazioni e schede allenamento varie, per dare la svolta anche su questi campi del mondo.

giovedì 21 maggio 2015

per capire chi è Youri...

Per chi magari è nato "tardi" e non ha avuto modo di vedere all'opera Youri Djorkaeff, questo articolo può risultare interessante ed esplicativo. Io l'ho visto, andavo allo stadio e indossavo la maglia numero sei, come lui; avevo il suo poster sopra al letto, fianco a fianco con quello di Ronaldo (vorrei sapere quale interista della mia età non aveva in camera il poster di Ronaldo...) e godevo delle sue giocate e dei suoi gol. Purtroppo ho goduto di poche vittorie, ma, si sa, i campi italiani non sono sempre stati luogo di onestà e giustizia e noi interisti abbiamo subito più di altri ruberie e furti vari, soprattutto quando Youri era con noi. Ora siamo con lui, continuiamo a giocare e proviamo a cambiare un po' l'approccio a questo magico sport, l'idea che si ha di quella magica palla, girando i campi del mondo.
p.s. almeno guardati i video...


http://www.ultimouomo.com/youri-djorkaeff-uomo-e-calciatore/http://www.ultimouomo.com/youri-djorkaeff-uomo-e-calciatore/