venerdì 20 dicembre 2019

In campo a Naggalama


UGANDA 2019
E che palle! ‘sto polpaccio non vuole lasciarmi in pace e continua a farmi male, certo non impedendo di allenarmi, ma comunque creandomi fastidio. E che palle. Oggi però abbiamo la partita tra allenatori, quindi fastidio o meno si gioca, perché non c’è momento migliore per entrare veramente in contatto con le persone, per conoscerle e creare legami, come da sempre dico e sostengo. Non per forza in forma positiva, ma in campo si è veri, si è quello che si è, senza maschere o finzioni, si è puri, si è…umani, per riallacciarmi a ciò che si scriveva ieri. Gente che si presenta come santerella fuori dal campo, sorridente e "amante del prossimo", una volta indossati gli scarpini si trasforma e mostra la sua vera indole di origine bestiale, perde facilmente il controllo, si incazza per nulla, entra duro anche senza motivo...insomma, è quello che realmente è. Una bestia. Ed è da quegli attimi condivisi in campo che noi dobbiamo prender spunto per capire con chi ci stiamo rapportando, con chi abbiamo a che fare. A volte, ahimè, anche io che tanto bene predico, razzolo male e mi lascio fregare dal fuori campo, fidandomi, dando credito a qualcuno, per poi ravvedermi solo a posteriori, di fronte a comportamenti della persona non in linea con il personaggio che vuole presentare al mondo quando è senza palla tra i piedi, eppure perfettamente coerente con ciò che è quando si trova in campo. Solo che me ne accorgo dopo. Ma chi se ne frega. Testa alla partita, polpaccio o non polpaccio oggi si gioca! E ci si diverte con i mister. Ovviamente al termine della giornata, dopo la formazione mattutina e la seduta pomeridiana coi bimbi. Formazione su temi nuovi, affrontati qui per la prima volta, che mi sta divertendo e coinvolgendo particolarmente e che, soprattutto, cerco poi di mettere in pratica nel pomeriggio, sperimentando nuove esercitazioni utili per mostrare, spiegare ulteriormente, ciò di cui si parla in aula. Insomma, i corsi in giro per il mondo mi divertono sempre, ma questa volta forse un po' di più, arrivando anche a impegnare la mia mente quando sono in campo. Mentre gioco coi mister, infatti, nella mia testa rimbalzano "life skills e resilienza", tema di questa settimana ugandese, e ogni situazione di gioco la rivedo, la rileggo, attraverso queste "nuove lenti". E mi diverto, ci divertiamo, tanto che quando il mini arbitro (Charles, un bimbo del 2007 con una enorme personalità, capace di fischiare falli e fuorigioco senza farsi condizionare da quelli che normalmente sono i suoi professori o anche solo i suoi mister e che oggi vestono i panni di giocatori da arbitrare) fischia la fine della partita basta uno sguardo tra me e Michael per far proseguire la partita fino al calar del sole. È l'imbrunire a sancire la fine delle "ostilità", a farci rientrare nel personaggio, a farci dismettere i panni del bimbo per farci rimettere le maschere e farci tornare quelli che vogliamo sembrare e non più quelli che siamo. Fino alla prossima partita. Che spero sia il prima possibile.


mercoledì 18 dicembre 2019

Running to Kayunga


UGANDA 2019
Esco di casa che ancora il sole sta lentamente facendo capolino in un cielo azzurro, azzurrissimo e momentaneamente terso, e iniziando la mia corsa mattutina decido di andare verso Nord, di seguire la strada principale, nonché l'unica strada, “verso destra”, direzione Kayunga. Rispetto a quanto normalmente faccio, quindi, direzione opposta, strada conosciuta, ma non a memoria come quell’altra, anche se fin dai primi chilometri capisco che la sostanza rimarrà la stessa: continui saliscendi, a volte dolci, a volte un po’ meno, che mi accompagnano ad attraversare un paio di villaggi intervallati da campi aperti, incontrare un numero infinito di scuole e a incrociare gente. Gente che sbuca da ogni lato, gente che esce da casa per venire incontro a questo strano Mzungo che corre, gente…che mi chiama per nome e mi saluta! “Good morning, Alberto”, sento incredulo mentre annaspo sulle salite. Certo, non è che sono il Papa e la gente esca festante in massa dal proprio “salotto” (che non è proprio come quello che pensiamo noi) per salutarmi, ma sentirsi chiamare per nome da 4, forse 5 persone, nei 12 chilometri percorsi e soprattutto a migliaia di chilometri da casa, è comunque una strana cosa. E piacevole, perché aumenta in me quel “sentirmi a casa” cui facevo cenno ieri, quando ho rimesso piede nella scuola. Rientro quindi contento, seppur con un fastidio al polpaccio; doccia gelida, non per scelta, ma per necessità non essendoci acqua calda, colazione insieme a Max e Lorenzo e via, si riparte con il corso mattutino. Il livello degli allenatori, qui, è mediamente alto, per cui l’introduzione del nuovo tema si rivela meno ostica del previsto e la partecipazione dei coaches, sempre molto alta, attenta, interessata, facilita ulteriormente la condivisione di temi altrimenti non semplici. Tre ore, quindi, volano con semplicità, in un buon clima generale e soprattutto grazie ad un’ottima alchimia, un’ottima relazione tra i Basungo interisti. Normale tra me e Max, col quale ho condiviso almeno cento viaggi (e cento sono sicuramente pochi, se dovessi veramente mettermi a contarli, ma…che cazzo me ne frega di numerare i miei viaggi intercampisti???) e col quale ho un costante e solido feeling, liti o non liti, prese per il culo o meno, missione dopo missione; un po’ meno normale tra me e Lorenzo, visti i tempi che corrono. Invece, anche qui, questo posto magico ci mette lo zampino (almeno così credo io) e con i suoi vividi colori, la sua tranquillità dominante, la sua serenità avvolgente, i suoi ritmi…africani, ci aiuta a ritrovare quella condivisione di intenti, quel positivo spirito di collaborazione, necessaria per vivere al meglio l’esperienza lavorativa e non di questi giorni e per far arrivare ai nostri amici messaggi chiari e soprattutto univoci. Si, ne sono certo: è questo posto a rendere tutto più semplice, più…umano. Non so dire con precisione dove si nasconda questa magia, ma è così. Saranno i colori così accesi, vivi, unici; sarà il clima, sempre mite, piacevole, mai troppo caldo, mai troppo freddo; saranno le persone, mai troppo “a disposizione”, ma sempre comunque gentili, sorridenti e disponibili; sarà il paesaggio, naturale, puro, “africano”, ma mai pericoloso, selvaggio o “civilizzato”, sarà…l’equilibrio, si l’equilibrio unico di questo posto, che non ritrovo in nessun altro Paese che conosco, che visito costantemente, che mi, ci, permette di tornare ad essere umani e a vivere e lavorare come tali. Bisognerebbe avere sempre “un po’ di Naggalama” con noi, a disposizione, penso. Per “restare umani” (cit).


martedì 17 dicembre 2019

UGANDA 2019


UGANDA 2019
Il viaggio per arrivare nella “pearl of Africa” è sempre un massacro indescrivibile, che oltre a farmi rivivere momenti della mia vita ormai dimenticati come quello da poco descritto lascia in me segni importanti di stanchezza fisica, tanto che una volta arrivati al Cuamm a Kampala dopo 17 ore impiego dai 6 ai 7 secondi per crollare nel sonno. E che sonno. Profondo, profondissimo, ma non totalmente ristoratore, forse perché breve, tanto che al mattino, quando il “buon” Tito mi sveglia di soprassalto nell’ormai classico modo (ossia batte alla porta con le sue manone da muratore veneto, al punto da farla apparentemente crollare) mi sembra di essermi addormentato solo poco prima. Forse non è solo un “mi sembra”, però; forse è proprio così e quando ancora con gli occhi mezzi chiusi esco dalla stanza mi sento tutto fuorché sveglio e pronto per la giornata. Ma… anyway, va così e dopo la solita, frugale colazione la cui unica nota lieta è la moka, alle 9 sono di nuovo in viaggio, stanco o non stanco che sia, questa volta insieme a Michael, Opio e l’autista della scuola, direzione Naggalama. Per questo trasferimento normalmente impieghiamo dai 40 ai 50 minuti, ma purtroppo per noi  la stagione delle piogge ha deciso quest' anno di prolungarsi oltre e la continua e abbondante caduta di acqua quotidiana genera, come in tutto il mondo, un traffico inumano, che ci rinchiude in macchina per altre tre maledettissime e infinite ore! Da impazzire! Come in tutto il mondo, certo, ma qui anche la pioggia è “speciale”, per cui le conseguenze della sua abbondante caduta sono uniche, perché va bene il traffico, va bene il casino, ma rimanere fermi, immobili, per cinque minuti, con boda boda che si infilano da tutte le parti, macchine che si avventurano in contromano improbabili o matatu che cercano spazi inesistenti ove infilarsi, non è roba "di tutto il mondo". Solo qui e a Luanda ho visto cose del genere. Quando, dopo un tempo infinito, arriviamo alla nostra casetta vicino all’ospedale e posso finalmente scendere sono intontito, con la testa ovattata e i riflessi rallentati, come il giorno dopo una stupida sbronza, peggio di questa mattina, ma…non c’è tempo per provare a riprendersi. Siamo in spaventoso ritardo e tra meno di mezz’ora dobbiamo iniziare il lavoro, incontrando prima gli allenatori in aula e poi i bambini in campo, per dar forma al primo allenamento della missione. Insomma, chi si ferma e perduto, per cui ingurgitiamo velocemente una specie di pasta appiccicosa preparata dalla nostra house keeper Sandra e via, si vola al campo. Per fortuna a piedi, visto che siamo vicinissimi. Non voglio salire su una macchina per il resto dei miei giorni a Naggalama! Quando due minuti dopo entro dal cancello della scuola, rivedo il campo verde smeraldo con l’enorme mango a fare da sentinella, riabbraccio i “miei” allenatori, rivedo centinaia di maglie neroazzure vestite da centinaia di bimbi e bimbi del villaggio…la stanchezza sparisce, riacquisto vigore e parto, con quella strana sensazione addosso che mi fa credere di essere esattamente dove dovrei essere. Sensazioni uniche che fungono da eccitante, da integratore energetico, tanto che le ore passate sul campo volano via velocemente, senza lasciar traccia, senza ulteriori segni di fatica. Addirittura la sera riesco a vedere senza cedimenti tutta la partita col Barca (maledetto Lukaku e quei due gol sbagliati clamorosamente), che qui è trasmessa alle 23, essendo noi due ore avanti in questo periodo dell’anno. Peccato solo che non si concluda come speravo…Amen. Ora posso crollare e dormire tranquillo, per lo meno per le prossime sei ore. Poi si ripartirà con una bella corsa, prima di tornare al campo. 


domenica 15 dicembre 2019

Ricordi dal campo


UGANDA, Dicembre 2019
È da tanto che non prendo in mano questo computer per buttar giù un po’ di parole, per lasciar defluire i miei pensieri e svuotare il mio cervello, il mio petto, ma forse per il ritmo frenetico di questi mesi nel viaggiare, forse anche per gli accadimenti, non son fin qui mai riuscito, o meglio non ho fin qui mai voluto trovare il tappo da tirare e ho sempre preferito rimandare, accantonare in un angolo le cose e aspettare. Ora però, durante questo infinito viaggio verso Kigali prima e Entebbe dopo, che mi sta tenendo incollato, fermo e annoiato al mio posto già da più di sei ore, ho sentito il bisogno, l’esigenza di vomitare su questa tastiera qualcosa. Non so per quale motivo, non so nemmeno perché ora stia fissando su questo schermo proprio questa cosa, ma poco fa, mentre finiva il film col quale provavo a far passare il tempo, da non so quale remoto angolo della mia memoria è saltato fuori un momento della mia vita che nemmeno ricordavo e che ora mi è apparso in tutto il suo splendido e fortissimo realismo. Saranno stato le note del boss, sarà stata la storia che stavo guardando a condizionarmi, ma all’improvviso l’aereo su cui sono seduto si è trasformato nel vecchio “carrozzone”, la macchina di papà, volvo 740 station wagon, grigio scuro, e io dallo scomodo seggiolino con al mio fianco il signore Rwandese dormiente, mi sono ritrovato seduto al posto del passeggero con papà alla guida, direzione Interello. Era forse il 1993, o il 94, e l’Inter mi aveva chiamato per un provino, così finita la scuola volo sul carrozzone per andare a giocare, ma…la tangenziale ovest è bloccata. Bloccatissima. Non ci si muove e inesorabilmente l’orario della convocazione viene raggiunto e superato, con noi, io e papà, ancora fermi lungo la strada. Piango, cazzo, piango disperato! Una occasione come questa persa per un maledetto incidente e niente che possiamo fare per rimediare. Papà però non si scompone, non è nervoso, mi continua solo a ripetere a mo’ di mantra “prima o poi arriveremo e potrai allenarti”. Lapalissiano, oserei dire. Certo che prima o poi arriveremo, ma cazzo non all’orario della convocazione e chissà quindi se davvero potrò cambiarmi e partecipare alla seduta! Non vedo luce in fondo al tunnel, nonostante i tentativi del mio daddy e quando finalmente arriviamo al centro sportivo mi catapulto fuori con la lettera di convocazione in mano, sperando di poter far qualcosa nonostante il terribile ritardo. Mi accoglie, per modo di dire, Giampiero Marini, che ritira la mia lettera, non dice una sola parola riferita al ritardo clamoroso, mi indica lo spogliatoio e mi dice che avremmo fatto una partita e che avrei giocato terzino sinistro. E che cazzo, ma oggi non me ne va bene una! Sono destro, il mancino so di averlo giusto perché mi accorgo di non camminare zoppo, e ora mi volete far giocare sul piede debole? Ma allora c’è una congiura contro di me, penso terrorizzato e un po’ incazzato. Poi però mi danno la maglia bianca col numero tre, esco a far riscaldamento e qualcosa scatta: chi se ne frega del ruolo! Vediamo di combinare qualcosa. Corro, attacco, difendo e…segno. Di destro, però. E per tutta la partita, almeno questo è ciò che la mia mente mi fa’ rivivere, gioco e mi diverto, senza timori o emozioni negativa. Al triplice fischio ci radunano in mezzo al campo e il mister fa tre nomi, dice a tre di noi di fermarsi. E io sono tra quelli. Ci consegna un pallone a testa mentre i compagni di quel giorno escono dal terreno di gioco e ci chiede di palleggiare, cambiando continuamente la richiesta: piede forte, piede debole, alternato, con le cosce…Quindi ci mette a triangolo e ci fa calciare e ricevere il pallone, chiedendo diverse ricezioni e diversi stili di calcio,  per poi portarci a condurre e calciare in porta, prima di liquidarci con un freddo “ti faremo sapere noi. Contatteremo noi la tua società”. Le emozioni sono tante, tantissime in me, dall’euforia per la buona partita giocata, alla preoccupazione legata al non sapere cosa succederà di me; dall’orgoglio per avere per la prima volta vestito quella Maglia e aver giocato a Interello, al timore di non essere stato all’altezza. Ricordo bene quel campaccio in terra (il sintetico era ancora di la da venire); ricordo che faceva freddo; ricordo che lo spogliatoio era gelato e vecchio, vecchissimo ed era sporco, sporchissimo, pieno di fango lasciato dalle scarpe dei ragazzi che mi avevano preceduto; ricordo di non aver parlato quasi per nulla con papà al ritorno, ma di aver percepito della soddisfazione, della felicità in quelle poche che ci siamo scambiati. Non mi ha gasato, non mi ha riportato drasticamente coi piedi per terra: mi ha lasciato lo spazio e il tempo per godermi quel momento, senza interferire, senza parole inutili, senza dirmi lui cosa avrei dovuto pensare o provare. Ed è questa una cosa che forse al momento non ho compreso, ma che ora apprezzo e dalla quale voglio prendere esempio per il mio ruolo di papà: sostieni, accompagna, stai loro vicino, ma lascia che siano loro a far le cose, a viverle e a sentirle. Non sostituirti a loro, non enfatizzare o drammatizzare le cose, per non rischiare di imporre il tuo sentito, ciò che vuoi tu a ciò che vorrebbero loro. E poi vediamo cosa succede, sempre con me al loro fianco. Come è stato ed è per me. Anche se ora al mio fianco son tornato ad avere il mezzo alcolizzato rwandese…



venerdì 25 ottobre 2019

Foto dai "due mondi"


BUMA, MAN OF PEACE, come si definisce lui


Tutti gli occhi sono per lei, la palla!


In campo a Gerusalemme


Un passo di danza...

martedì 22 ottobre 2019

Tel Aviv

TEL AVIV
Miami! Ogni volta che vengo qui mi sembra di essere sbarcato oltreoceano guardando dall’alto la spiaggia, lo splendido lungomare e godendomi il clima stupendo che mi accoglie puntualmente. Che spettacolo. La corsa mattutina è un piacere triplo da queste parti, sopratutto perché la chiudo sempre con un bel tuffo in mare, per riportare alla sua normale temperatura il mio corpo e per mettere la ciliegina sulla torta e iniziare al meglio le mie giornate. Sette giorni e sette bellissime corse, in compagnia sempre di un sacco di gente, perché qui ad ogni ora del giorno e della notte c’è gente che si allena e tutto ciò fa si che ci si senta quasi obbligati a sudare, a fare fatica, a fare qualcosa per restare in forma e stare meglio. Non fosse una terra così complicata sarebbe davvero un posto dove vivere. Chissà. Finché dura mi godo le mie semestrali visite, belle certamente per quanto fin qui descritto, ma anche per quello che si combina in campo. Anche qui a Tel Aviv il progetto punta all’integrazione, ma le “parti” da avvicinare sono altre: israeliani da una parte e profughi, per lo più somali, eritrei, dall’altra. E questi ultimi sono veramente…scatenati!!! Sono bimbi che vengono da storie di vita terribili, nonostante la giovane, giovanissima età, senza nazionalità, senza una identità e quindi senza alcun diritto, nascosti ai margini della periferia della città, come se non esistessero. Molti di questi bimbi sono sotto farmaco per cercare di “domare” l’iperattività che li contraddistingue e per quanto istintivamente mi sembra sia questa una scelta un po’ azzardata, di comodo, semplicistica, non posso far altro che provare, in campo, a “domare” a mia volta i bimbi, senza l’uso di pilloline, ma con una palla. E la cosa, a mio modo di vedere, ci riesce bene. Certo è che quando sullo stesso campo si trovano un bimbo somalo che non sta fermo un attimo, ipercinetico, violento sia fisicamente che verbalmente e poco abituato ad ascoltare e a rispettare tempi e regole che non siano sue, e un ebreo piccolino, ingenuo, sperduto, come è giusto che sia alla sua età, nei suoi pensieri e nella sua fantasia, il “divertimento” è assicurato. Posso garantirlo. Ma essendo qui il progetto attivo da sei anni ed essendo Yasha, Arturo ed Emanuele, coloro che si occupano del campo, molto bravi, le cose, seppur complesse, si riescono a realizzare e gli allenamenti “misti” hanno avuto sempre un buon esito, sotto tutti gli aspetti. Certo, non son mancati bimbi mandati a sedere, richiamati, risse sedate sul nascere e arrabbiature (ho addirittura visto e sentito per la prima volta Ema arrabbiato, ma veramente arrabbiato, che ha messo a tacere un “ribelle”) da parte dei mister, ma tutto sommato si è riusciti a lavorare bene, proponendo anche l’ultimo giorno un allenamento a stazioni, con anche un funino in mezzo, che ha dato belle indicazioni e ha avuto un buon esito. Insomma, qui le cose stanno avanzando a grandi passi e stanno evolvendosi positivamente, visita dopo visita. Bravi bagai. Avanti così


lunedì 21 ottobre 2019

Torniamo in campo, va


Dopo il trattato filo sociologico e la digressione geopolitica, credo sia meglio tornare nel campo da dove provengo e dove meglio sto, ossia quel rettangolo delimitato da linee dentro il quale si realizza la magia intercampista. E non solo. In particolare oggi torno sul campo di Gerusalemme, a Talpyot, zona di “confine”, zona di convivenza, zona dove da poco più di un mese abbiamo iniziato a organizzare allenamenti con circa 50 bimbi, divisi in due gruppi, per lo più equamente divisi in palestinesi ed ebrei. Il fine è sempre lo stesso, ossia provare col calcio a dare una spinta (o una scintilla?) alla collaborazione, all’unione tra i due mondi, iniziando con i piccoli per poi sperare che quando un giorno saranno grandi si ricorderanno che anche “di la” ci sono persone come loro e non necessariamente terroristi assetati di sangue, o invasori senza scrupoli. Certo, obiettivo un po’ fuori portata, direte voi, visto che le poche ore trascorse sul campo con la stessa divisa indosso non valgono gli anni di odio reciproco maturato dagli uni nei confronti degli altri, ma…ci si prova. Il milione si fa con le mille lire e anche se qui siamo ancora alla raccolta dei centesimi di lira, non si molla e si continua a provare, nonostante i continui e frequenti balzi indietro. L’aria che si respira in campo è positiva, c’è grande voglia di partecipare, di giocare, di divertirsi e sia col gruppo dei piccoli, sia con quello dei grandi, nei due giorni loro dedicati, le sedute si svolgono con grande intensità e scivolano lisce, nonostante un grande, grandissimo ostacolo: la lingua. Cazzarola, una parte della squadra parla arabo, l’altra parte ebraico e io non parlo ne’ l’una ne’ l’altra lingua!!! E quindi? E quindi si sfruttano gli allenatori locali coi quali si parla in inglese per tradurre ai bimbi e soprattutto si usa il corpo, l’esempio, si mostra ciò che si chiede, perché se tutte le volte per spiegare un esercizio si dovesse passare da due lingue, la seduta non decollerebbe mai e ‘sti poveri bimbi si addormenterebbero in fila. Le cose invece sfruttando poche parole e tante dimostrazioni (a volte nemmeno quelle: lascio provare i bimbi e intervengo in caso di errore, per far si che prova dopo prova si arrivi a ciò che ho in testa per loro) vanno alla grande e gli esercizi proposti hanno tutti un buon esito, dandomi buone indicazioni sui bambini e su ciò che i nostri allenatori devono toccare maggiormente durante i loro allenamenti futuri. Mi piace qui, nonostante la confusione tipica di questi campi del mondo e la grande differenza tra i bambini nei gruppi: una parte super…dinamica, fisica, istintiva, chiassosa, furba e in alcuni casi quasi violenta; l’altra più lenta, sotto ritmo, meno fisica e quasi più riflessiva, più attenta e interessata all’apprendimento. Tutti insieme, nello stesso groppone, con la stessa maglia, per lo stesso fine. Loro nemmeno conoscono questo fine, nemmeno lo sanno, nemmeno ne sono coscienti: loro giocano con questo coetaneo chiassoso o con quest’altro con uno strano cappellino in testa e cercano, se in squadra insieme nel gioco o nella partita finale, di vincere per il semplice gusto di primeggiare, ma i genitori fuori osservano attentamente le dinamiche, guardano bene quel che succede in campo, leggono bene le differenze e il tentativo di collaborazione che questi 90 minuti in campo insieme stimola, quindi...chissà. Ad ora son tutti entusiasti, son tutti contenti di ritrovarsi nello stesso campo. Speriamo che duri.


sabato 19 ottobre 2019

Di la del muro

Ogni volta che varco il muro, che vado al di la, mi risuona in mente quella frase che appartiene non so a chi e che più o meno dice così: "non è che il caso ad aver deciso di farti nascere nella parte giusta del mondo". In questo caso nella parte giusta del muro, ma cambia poco, perché chiunque abbia espresso quel concetto aveva assolutamente ragione: in poco, pochissimo spazio, tempo, si passa da un mondo ad un altro, oltrepassando un check point che ad ogni missione vedo spostato sempre più in la, sempre più in territorio palestinese, si supera un varco che sembra catapultarti in una realtà lontana, distante, sembra teletrasportarti dall'agio, dalla ricchezza del "primo" mondo, alla arida, secca povertà e indigenza del terzo mondo. Eppure abbiamo coperto solo 42km, la distanza tra Tel Aviv e il villaggio in West Bank dove giochiamo, ma questa maratona risulta sufficiente per far emergere violentemente tutte le differenze, partendo anche solo, semplicemente dal panorama, dall'ambiente: di qui verde, rigoglioso, pulito e curato, di la secco, arido, polveroso, sporco e poco controllato. Incredibile osservare quanto sia agli antipodi il vivere dall'una o dall'altra parte. Non voglio entrare in questioni politiche, sia chiaro, non mi compete e non ho le conoscenze per poter sostenere una posizione; le mie sono solo semplici osservazioni, descrizioni di ciò che anno dopo anno vedo, constato, tocco con mano, quando vengo a giocare su questi campi del mondo. L'unica cosa che accomuna le due parti è la tensione, l'astio, in alcuni casi l'odio estremo che provano gli uni verso gli altri e le storie terribili di sofferenza e di violenza che vivono, anche se...anche se in maniera un po' squilibrata Qui però mi devo un po' esporre, perché "di la" le sofferenze e le ingiustizie subite, i soprusi, sono un po' tantini, cacchio, e di alcuni di questi soprusi, per fortuna nostra non di violenze, siamo stati testimoni diretti anche noi, come quella volta alla fonte vicino a Nablus. Quest'oggi la storia di violenza subita e da me udita è quella di un uomo di 48 anni, costretto da quando ne aveva 30 sulla sedia a rotelle per via di un proiettile "speciale" (ha uno nome specifico che non ricordo: è un proiettile che quando centra il bersaglio, esplode) che gli è entrato dalla spalla e una volta dentro è esploso danneggiando irrimediabilmente la colonna vertebrale. E perché gli hanno sparato? Perché era il periodo della seconda intifada, 2001 per la precisione, e il suo villaggio era circondato dai soldati; la tensione era altissima ed erano quotidiane le incursioni dell'esercito in quella zona, molto vicina al confine, dove erano molto forti le proteste, la "sollevazione popolare", appunto. Vedendo che le truppe si muovevano Issam, questo il nome dell'uomo, è uscito di casa per richiamare dentro i figli e suggerire ai loro piccoli amici di rientrare, avendo timore che l'esercito israeliano lanciasse gas lacrimogeni, ma invece del fastidioso gas i soldati hanno sparato proiettili veri e per di più "speciali", uno dei quali ha colpito la spalla del nostro e...da quel momento inizia una nuova vita, senza più l'uso delle gambe. E perché tutto questo? Non è dato saperlo. Cazzarola che ingiustizia. Eppure oggi è stato lui a chiamarci qui, è stato lui a mandare 10 bambini del suo villaggio sul "nostro" campo, è stato lui ha chiedere di entrare a far parte del nostro progetto. Perché? Anche qui, non è dato saperlo.

venerdì 18 ottobre 2019

Verso Tel Aviv

In attesa del mio aereo, ovviamente in ritardo essendo Alitalia, per Tel Aviv mi soffermo a leggere qua e la post che riportano la "notizia del giorno", ossia il caso di una squadra della Brianza che ha scartato un bimbetto di 8 anni perché troppo scarso a detta loro, troppo indietro rispetto al resto del gruppo, per poter continuare a giocare con i compagni. E mi soffermo a leggere le drastiche prese di posizione di sedicenti educatori, esperti di allenamento, sportivi d'altri tempi, istruttori affermati di settori giovanili, che urlano allo scandalo, all'abominio sportivo, proponendo punizioni esemplari per i giovani mister del suddetto "scarsotto" perché "non può esserci selezione", "tutti devono giocare", "follia" "si devono vergognare", eccetera, eccetera. A questo punto la mia mente vola ai vari campi da calcio che ho frequentato, frequento e frequenterò in futuro e a tutti quegli "scarsotti" che quei campi li hanno riempiti, giocando partite, allenandosi e migliorando, per quanto era loro possibile, esercitazione dopo esercitazione e naturalmente sorge in me un pensiero: tutti i commentatori son dei grandi, grandissimi ipocriti, oppure non frequentano le società di calcio. Perché questo comportamento oltre ad essere la norma, non va nemmeno per forza demonizzato, se alle spalle c'è un progetto educativo/sportivo destinato a tutti, indistintamente dalle abilità. E questo comportamento è per lo più auspicato da ogni papà o mamma che manda suo figlio a giocare a calcio.

In tutto questo tempo sui campi non mi è mai capitato di ascoltare il genitore di un bimbo "avanti" lamentarsi per il fatto che nella squadra del figlio non ci fossero bimbi meno educati al calcio, non ho mai sentito nessuno dire "mister, porta anche Peppino (nome inventato) con noi, anche se non ne becca una nemmeno se gliela tirano addosso", non ho mai avuto il piacere di ricevere un messaggio in cui mi si dicesse "mister, porta Peppino con la squadra più educata e metti il mio nell'altra: è meglio sia per Peppino che per mio figlio". Anzi, sono all'ordine del giorno messaggi o post facebook in cui il mister di turno viene insultato e sbeffeggiato perché ha osato "declassare" Peppino dalla squadra "A" alla "B", causando nel bimbo traumi insuperabili e demoralizzazione generale della famiglia; sono frequenti insulti dalla tribuna perché si è deciso di portare bimbi poco educati al calcio nel gruppo invece composto da altri più educati, creando squadre "equilibrate" per permettere a tutti di giocare, competere sportivamente e non ad una squadra di stravincere perché molto preparata e all'altra di finire al massacro perché invece molto indietro; o ancora è uso e costume dei suddetti genitori commentare sistematicamente le convocazioni e mettere in discussione l'operato e le capacità del mister, considerando sempre, anche quando è oggettivamente impossibile avanzare un simile pensiero, il proprio bimbo come il più abile e pronto del gruppo e quindi meritevole di fascia di capitano e posto fisso in squadra "A" (metto rigorosamente tra virgolette questa A, perché per i vari padri e le varie madri A e B indicano "bravi e meritevoli di attenzioni" e "scarsi e assolutamente da scartare": cosa che nemmeno oso pensare). Quindi perché ci si scatena così di fronte ad un comportamento assurdo, ma assolutamente in linea con quello che è il calcio giovanile e dilettantisco oggi? Perché si fa' finta di possedere una cultura sportiva tale che porti a includere indistintamente tutti i bimbi, permettendo a tutti di giocare e competere in base alle proprie abilità (leggetevi la carta dei diritti del bambino nello sport, se avete tempo), dove "includere" non vuol dire buttare tutti nello stesso calderone, ma creare gruppi adeguati, per permettere a tutti, abili e meno abili, di apprendere e migliorare esercizio dopo esercizio e allenamento dopo allenamento? Oggi è emerso il comportamento di questa società, ma se andiamo in un qualsiasi campo italiano di situazioni come queste ce ne sono a centinaia. E quotidiane. Inoltre perché non indaghiamo meglio, non cerchiamo meglio di capire cosa è accaduto? E se la società, avendo un gruppo molto avanti, avesse semplicemente detto al bambino che inserendosi solo oggi in quella squadra avrebbe avuto modo di "confrontarsi con avversari non omogenei per età cronologica, per età ossea, per maturità puberale e quindi avrebbe sviluppato la percezione di essere inferiore e incapace; quindi oltre ad essere dannoso sotto l’aspetto educativo, tutto ciò non avrebbe offerto la possibilità al bimbi di misurarsi con le proprie reali potenzialità (art. 8 della carta dei diritti del bambino nello sport)"? 

Il lavoro da fare è molto più complesso dello scrivere un post su facebook e dopo tanti anni credo sia ormai impossibile cambiare le cose, essendo questa ignoranza sportiva troppo radicata nel nostro tessuto sociale, nelle menti di tutti noi, anche se poi tutti gli anni ci provo e ci sbatto il muso nelle varie società dilettantische dove lavoro. Ma non cambia nulla. Anzi, peggiora solo. Fortunatamente ho ancora inter campus, che mi permettere ogni tanto di prendere una boccata d'aria pura e di respirare a pieni polmoni la giusta realtà sportiva/educativa. Sempre che Alitalia mi faccia partire

mercoledì 9 ottobre 2019

Foto russe


Lenin by night


Sempre Lenin, ma di giorno


La metrò sembra sempre la hall di un hotel dei primi del '900


Sulla piazza rossa


Con i bimbi di Bobrov


Common Kids

lunedì 7 ottobre 2019

Tirando le somme


TIRANDO LE SOMME
Concludendo la lunga e intensa giornata di oggi, una volta arrivato in stanza e finalmente sdraiato sul letto, nasce in me naturale l’esigenza di fare una sorta di riassunto, un piccolo punto della situazione delle sensazioni, delle emozioni, che questa missione mi ha fin qui regalato. Domani infatti sarà dedicato semplicemente ad un allenamento al parco fuori Voronezh insieme a Sasha, il suocero di Juri, con cui poi faremo la banja prima di imbarcarci sul treno che ci porterà a Mosca, dove poi prenderemo l’aereo per tornare a casa. Insomma, domani non saremo in campo coi bimbi, la missione si è conclusa, non fosse altro per il fatto che siamo ancora a tremila circa km da casa, quindi posso riavvolgere il nastro e rivedere ciò che è stato. E il nastro mi mostra cose positive, certamente, ma…ma mi lascia un po’ l’amaro in bocca, mi regala una strana sensazione che non mi fa sentire completamente soddisfatto, completamente certo di aver svolto totalmente il mio compito. Una sensazione che da un po’ gira nel mio cuore, ma che ancora non ero riuscito a catalogare. Caspita, belli, bellissimi gli allenamenti con questi bimbi speciali, bellissimo provare ad entrare in empatia con loro, guidarli “dentro” la seduta, spingerli verso il proprio, personalissimo, limite, “giocare” con le loro emozioni, esultando e facendoli esultare, ridendo e facendoli ridere, abbracciandoli (e chi mi conosce sa che non amo particolarmente il contatto fisico) e facendomi abbracciare; bellissimo, eppure difficile da spiegare quanto sia unica la bellezza del “parlare” con loro in una lingua extra, ne italiano, ne russo, comprensibile a me, come a loro, trascorrere con loro, in questi giorni, le ore sul campo, ma poi…poi io me ne vado e loro rimangono. Rimangono la dentro e il tempo che ho loro dedicato, rispetto a tutto quello che loro passano nel loro “internat” non è nulla e oggi più che mai mi domando quanto possano realmente loro servire le mie, nostre, brevi apparizioni. Certo, Alexei, il nostro allenatore che ci segue, si forma, cresce e migliora ogni giorno, rimane qui, si dedica a loro in modo unico e speciale (è una persona splendida questo giovane pazzoide), ma io? Io me ne torno a casa, lasciandoli con le loro terribili storie alle spalle e con la loro vita segnata davanti (mi si dirà che sono cinico, ma un bambino che ha visto con i propri occhi la propria mamma uccisa dal padre, ha la vita segnata), aspettando aprile/maggio per tornare da loro (forse) e riprendere in mano il discorso oggi interrotto. Un po’ poco, cacchio. Certo, son contento di tornare da Anna, Margherita, Silvia, a casa insomma, ma da un po’ di missioni a questa parte questa sensazione di “incompletezza” cresce in me con sempre maggior convinzione, e se prima non riuscivo bene ad inquadrarla, a capire cosa fosse questo nodo al cuore, questa estate durante una splendida corsa verso il lago di Carezza, quando le gambe andavano automaticamente e la testa macinava pensieri e riflessioni a raffica, come solo in momenti speciali mi succede (e sempre quando sono in montagna), si è in me sciolto il nodo ed è in me emerso in forma piuttosto chiara, sotto forma di quesito: sono utile a questi bimbi con i pochi allenamenti che in prima persona dedico loro durante le missioni? e quanto lo sono? Non solo qui in Russia, ovviamente: in Camerun, in Angola, in Congo, in Ungheria, in…in e ancora in. Certo, mi si dirà che tutto è utile, seppur quasi mai sufficiente, e che se davvero volessi raggiungere il 100% dovrei fermarmi da qualche parte, per dedicarmici con maggior costanza, dedizione e “precisione”; lo so, lo capisco bene, ma ciò non evita a questa fastidiosa sensazione di inadeguatezza, di incompletezza, di far capolino a fine missione. Così come non mi impedisce di capire e ringraziare non ho ancora ben chiaro chi, per ciò che vivo, per la fortuna che ho io ad avere le bimbe che ho e la vita che mi sto costruendo. Ecco, forse tutte queste missioni servono più a me che ai bimbi che incontro, cacchio. Forse è solo semplice e puro approfittare della situazione per trarne un personale beneficio, senza essere del tutto utile, incisivo, come ho anche pensato di essere. Chissà. Nel mentre continuerò a indagare per meglio capire e per quanto mi sarà permesso a giocare con tutti questi bimbi sui campi del mondo.


giovedì 3 ottobre 2019

In campo

A volte lamentarsi serve, porta qualcosa. Oggi infatti il cielo è incredibilmente azzurro, il sole bello caldo e la corsa di 'stamane è stata più piacevole per via anche della temperatura (certo, avevo i guanti e lo scaldacollo, ma tutto sommato stavo bene). Insomma, qualcuno deve avermi ascoltato ieri e ha deciso di regalarmi questa bella giornata. E quando c'è il sole per un metereopatico come me le cose vanno decisamente meglio. Addirittura poi, arrivati alla scuola speciale dove lavoriamo, ci hanno messo a disposizione il campo esterno, evitandoci così lo stretto, angusto spazietto della palestra interna dove normalmente ci si rifugia per sfuggire al grande freddo, e così anche la seduta ha assunto tutto un altro aspetto. Sempre grazie al sole. Gusto diverso per lo meno per me, che odio il freddo e tutto ciò che porta con se, ossia la palestra, il chiuso, il costante odore che io rimando al cavolo bollito, i rumori che rimbombano...terribile. E oltretutto in palestra i bimbi hanno a disposizione poco più di un campo a cinque per realizzare gli esercizi, quindi anche le mie proposte risultano fortemente condizionate. Ma non oggi! Oggi c'è il sole, siamo fuori, all'aperto e infatti sia la parte di Juri, che la mia vanno benone: le intensità, nonostante tutto, sono buone, il coinvolgimento dei bimbi è alto, il divertimento loro e nostro è altissimo, quindi...seduta perfettamente riuscita. Ed è stato bellissimo: per me è stato un bel risultato vederli riconoscere destra e sinistra, anche se con qualche errore dovuto alla foga, alla voglia di vincere, riconoscere i diversi stimoli uditivi e visivi che davo loro, aiutarsi e collaborare per riuscire a far le cose. Chi se ne frega se il gesto tecnico non era "ortodosso"; chi se ne frega se per correre verso la parte da me chiamata dovevano fermarsi, riflettere e ripartire; chi se ne frega se a volte si assentavano e con la testa sparivano dal campo per rifugiarsi un attimo nel loro mondo; perché tanto riuscivano comunque a raggiungere l'obiettivo, anche conducendo con l'interno piede o con la punta; perché tanto fermandosi riuscivano meglio a capire e poi ricordare e quindi imparare qual'era la destra e quale la sinistra; perché tanto dopo essersi assentati tornavano sempre in campo con noi, a giocare e a esultare per il tiro riuscito. Perché tanto...con quella maglia addosso si sentivano assolutamente speciali e non volevano altro che inseguire la sfera magica. Esattamente come chiunque altro.

mercoledì 2 ottobre 2019

Bobrov (Бобров)

Piove, c...o. Non che sia una novità da queste parti, visto che raramente son riuscito a scorgere il cielo chiaro e il sole nitido, stampato nel mezzo del suo azzurro, ma quando ti alzi, carico per allenarti, e fuori sei accolto da acqua a secchiate, ti vien voglia di girarti dall'altra parte, rimboccarti le coperte e tornare tra le braccia accoglienti di Morfeo. Per fortuna non cedo all'ozio e riesco a divincolarmi dalla presa del Dio del sonno, per "tuffarmi" letteralmente tra le strade allagate e dar fondo al mio allenamento insieme a Juri. Per fortuna, mi sento di dire ora. Per fortuna perché credo sia sempre bellissimo iniziare le giornate con una bella e intensa corsa: mi da' un'energia in più, regala un gusto diverso alle mie 24 ore, mi aiuta a vivere meglio l'intera giornata, sia come umore che come attenzione, come "testa". Pronto e carico, quindi, salgo insieme ai miei compagni di ventura sul pulmino di Alexei, direzione Bobrov, cittadina a circa 150 km da Voronezh, dove i bimbi della scuola speciale ci aspettano. Eccome se ci aspettano: giusto il tempo di scendere dal mezzo a quattro ruote che vari ragazzi, bambini e bambine, vestiti di neroazzurro, ci vengono incontro per salutarci, stringerci la mano e "scambiare con noi qualche parola"...in russo, che io non parlo, ma il bello è anche questo. Loro che parlano la loro lingua, io che rispondo nella mia, gesti, sorrisi e...via di corsa verso la palestra per iniziare l'allenamento. Sono tanti i bambini che riconosco e anche Juri, trattore del paese, quindi sempre in missione in Russia negli ultimi anni, mi conferma che la percentuale di bimbi che fa tutto il percorso con noi è molto alta. Ciò si può osservare molto nettamente quando scendiamo in "campo": nonostante tutte le loro difficoltà, i gruppi sono nella quasi totalità migliorati, cresciuti, dal punto di vista comportamentale e anche nelle relazioni: sanno stare in fila in attesa del proprio turno (a parte qualche caso estremo), scatenano pochi conflitti, riescono anche a seguire una progressione dal facile al difficile che passava attraverso stimoli uditivi e visivi, che inizialmente pensavo troppo complessa. Insomma, stanno crescendo e gli effetti dell'allenamento sono tangibili, nonostante la situazione in cui sono costretti e nonostante alcuni casi estremi; per alcuni di loro, infatti, l'allenamento non basta, hanno bisogno di un percorso "più serio", più complesso e articolato, ma per i più è stato bello vedere quello che una palla ha portato nel loro percorso di crescita. Vedere poi alcuni di loro esultare e darmi "gasati" il 5 dopo aver segnato il gol nell'esercitazione situazionale, è stato proprio un bel regalo. Tra tutti il bimbo che vive grattandosi è quello che mi ha colpito di più: soffre di una non so quale malattia, dovuta all'alcol ingurgitato dalla madre quando era in cinta, per cui...vive grattandosi. Continuamente! Ma tanto. E con foga. Impressionante da vedere, poverino: si sollevava la maglia dell'inter mentre era fuori, in attesa di partecipare alla seduta, e non smetteva un attimo di grattarsi! Pancia, schiena, gambe, sedere, braccia...Ed è così da sempre. E non può fare niente, ci dicono. La palle squamata, le mani dure, callose e questo fastidio costante. Io sarei impazzito, invece lui...sorride! Segna, esulta, corre per darmi il cinque e gioisce coi compagni. Non ho capito veramente un cacchio della vita.

martedì 1 ottobre 2019

Viaggio in treno

Me lo ricordavo più affascinante il viaggio notturno in cuccetta! Vero che la memoria è ricostruzione, ma nella mia mente c'era un non so che di romantico a far da contorno al ricordo delle due precedenti volte in treno. Avevo cancellato il caldo africano della micro stanza dove eravamo (finestrino bloccato, tre uomini in non più di 6mq e la "ventilatio", come la chiamava la capotreno, per fortuna non la "putrens" di Calboni, che funzionava a tratti, hanno contribuito a creare questo clima congolese), i continui sobbalzi e soprattutto ricordavo lo spazio letto più ampio, comodo, vivibile. Non che tutto ciò mi abbia impedito di dormire, però mi ero pregustato diversamente le dodici ore di viaggio. Ricordavo un bel materasso comodo, l'arietta frizzante del primo autunno russo entrare nello scompartimento per spingerti sotto le coperte a godere del fresco, ricordavo lo scorrere leggero del treno sulle rotaie con qualche lento, sporadico, scossone in prossimità delle stazioni e quindi degli scambi, ricordavo...un bel niente. Immaginavo, non ricordavo. Perché nello scompartimento c'erano duecento gradi e mi sono svegliato un paio di volte sudato, con le gocce di sudore lungo la schiena; perché il letto era una tavola di compensato "piuttosto" rigida e al risveglio la mia schiena era di ghisa; perché il treno sembrava procedere lungo una strada sterrata per i continui scossoni e sobbalzi che ci ha regalato, non certo su rotaie. Perché...perché memoria è ricostruzione, altroché. Anyway: dormire si è dormito, così una volta arrivati in hotel, cambio rapido degli abiti e via, per le strade di questa grande città (circa due milioni di abitanti), per una corsetta rigenerante, al termine della quale doccia, pranzo e incontro coi mister. Mister...in realtà sono ragazzi contattati da Common kids, nostro partner locale, per introdurli al "magnifico mondo" inter campus, alla nostra metodologia e al nostro modo di intendere e vivere l'allenamento, per provare a diffondere, senza per forza coinvolgere direttamente, ciò che proviamo realizzare in questo spicchio di mondo. Tra loro un giovane sembra più interessato degli altri, più coinvolto, e infatti scopriamo che lui gioca già con ragazzi con sindrome di down ed è interessato a "scoprire" nuovi esercizi, nuovi giochi, da proporre ai propri ragazzi e un nuovo metodo di lavoro, per essere ancora più incisivo nei suoi interventi. Una parola tira l'altra e al termine della nostra presentazione si finisce con il darsi appuntamento a mercoledì presso il suo campo, per assistere al suo allenamento, l'allenamento di "sturm", il nome della sua squadra. Poi scoprirò cosa significa, per il momento ci portiamo a casa quest'altro bell'incontro. 

lunedì 30 settembre 2019

RUSSIA 2019

RUSSIA 2019
Finito il “congedo parentale”, finito il lungo periodo a casa per accompagnare la nuova arrivata nel suo inserimento in questo folle mondo e per aiutare Silvia nella sua super precisa gestione delle bimbe, rieccomi con le chiappe appoggiate al seggiolino scomodo di un aereo. Direzione Mosca. Dopo quasi tre mesi riparto e non nascondo le difficoltà, oltre ad una certa emozione. Difficoltà perché stare a casa e vivere per un periodo così lungo una normale routine casalinga, con quotidiani ritorni a cena, week end tutti per noi (squadre permettendo) e sveglie sempre nello stesso letto, mi ha fatto conoscere e apprezzare cose che normalmente vivo per brevi momenti, a cui non ero abituato e che un po’ mi sono anche piaciute; emozione perchè…be’, perché è stato bello vedere Anna, Silvia e Margherita tutti i giorni e stare con loro più tempo possibile, ma il viaggio, la missione, è qualcosa che è parte di me, di cui in parte sentivo la mancanza, e ritrovarmi nuovamente immerso nelle sensazioni che mi accompagno da 15 anni…mi emoziona, ancora una volta. Preparare le sedute, pensare agli allenatori che andremo ad incontrare e a ciò che proveremo a condividere con loro, ragionare sugli obiettivi da raggiungere per rendere sempre più “utili” gli allenamenti per i nostri bambini, per aiutarli ad uscire un po’ dal loro contesto, dalla loro situazione, organizzare le giornate, per poi stravolgerle sempre per questo o quell’improvviso cambiamento della situazione, insomma, vivere un viaggio inter campus mi mancava. Il viaggio…noi siamo allenatori da viaggio, lavoratori da viaggio, non possiamo essere considerati come normali impiegati da ufficio, ogni tanto impegnati all’estero. Naaaa. Il fulcro del nostro lavoro è il viaggio, è quello che riusciamo a fare, a programmare e poi a realizzare quando siamo in Africa, Asia, sud America che sia. È la missione. Per quanto sia bello restare a casa con le bimbe, credo di avere ancora bisogno di tutto questo. Nonostante tutto. Sotto allora con la missione Russia. Una volta atterrati a Mosca ci attendono dodici ore di treno per coprire i circa 600km che separano la capitale da questa città così vicina al confine con l’Ucraina e una volta li, domani mattina, abbiamo subito un incontro con gli allenatori per fare un po’ il punto della situazione. Insomma, subito a mille. Buon viaggio, allora, mister. 


venerdì 28 giugno 2019

Aguazinha

Il primo allenamento a Recife prende il via in questa favela non distante dalla pousada dove siamo, caratterizzata da strade sabbiose, con continui dossi enormi non tanto a rallentare, quanto piuttosto a fermare continuamente le poche auto di passaggio e con bassi edifici in muratura, tetti in lamiera, praticamente ammassati l'uno sull'altro. Alcuni scorci, alcuni angoli mi ricordano Cuba, in particolare Holguin nella zona vicina al campo grande dove facciamo allenamento: le case ammassate, le strade dissestate poco trafficate da auto, ma con cavalli quali mezzi privilegiati di trasporto, gli appartamenti aperti "a vista", aperti e con gente seduta all'esterno a caccia di fresco, ferma, nullafacente, osservante la vita, il movimento, scarso e raro, la' fuori. Ovviamente in un contesto del genere l'arrivo dei gringos e la presenza sul campetto di 40 bambini in neroazzurro diventa l'evento del giorno, l'argomento da trattare per il prossimo mese almeno, tanto che i curiosi fuori dal nostro spazio di gioco vanno via, via crescendo man mano che l'allenamento prosegue: giovani mamme, anziani signori, anche uomini della mia età: chiunque è li di passaggio, si ferma a buttare un occhio, a chiedere qualcosa, a osservare curioso e, perchè no, a dare il suo consiglio ai giovani "calciatori" in azione su come meglio calciare quella palla, o come meglio riceverla. Non importa se il campo è una distesa di sabbia e sassi, se le reti delle porte sono strappate, se i palloni utilizzabili sono quattro (gli altri sono sgonfi se non addirittura bucati): per il quartiere quella è l'arena è per tutti è un punto di riferimento importante, oggi più che mai. Le due sedute di allenamento vanno via lisce, i bambini sono attenti, ben "educati all'allenamento", con buona disciplina, ma soprattutto con grandissima voglia di giocare e divertirsi; forse qualche grande è un po' più...favelato degli altri, un po' più galletto, un po' più strafottente, ma niente di irrecuperabile, niente di complesso, tanto che i pochi episodi chiamiamoli critici si sono poi risolti velocemente e con un semplice richiamo o intervento diretto mio o di Juri. Insomma, il nostro mister qui, Lucas, sta facendo un gran bel lavoro, nonostante la sua giovane età e riuscire a dar forma ad un allenamento come quello appena concluso in un contesto come quello è per me un gran successo. Ora godiamoci la "linda Olinda" per la nostra serata, prima di ripartire domani. 

giovedì 27 giugno 2019

Olinda

Recife vista da questo lato è per me una novità: non ero mai stato infatti a Olinda a dormire in tutte le mie precedenti esperienze, ma mi ero sempre fermato sulla boa viajem, perdendomi, mi rendo conto ora, un posto...fico! Fico e di valore storico, oltretutto, visto che la città alta è quasi completamente area unesco per via delle sue numerose chiese barocche (se ne contano 20) e dei due grandi monasteri risalenti al periodo dell'insediamento dei Portoghesi (1835).
Le strette strade ciotolate e le continue salite e discese la rendono ancor più suggestiva, soprattutto la sera, quando il chiaroscuro del buio e dei lampioni cela le imperfezioni degli edifici, lasciati un po' a se stessi, all'incuria, e quindi nasconde quell'apparenza di abbandono che emerge quando il sole picchia alto nel cielo. Aspetto poi da non trascurare, Olinda è molto vicina alle favelas dove giocano i nostri bambini, quindi anche dal punto di vista logistico la sua "scoperta" è stata strategica, risparmiandoci giornate infinite in auto nel mezzo del traffico assurdo di Recife e levatacce mattutine che avrebbero segnato decisamente quest'ultima settimana di missione. Grazie invece alla nuova, per me, sistemazione riesco ad andare a correre subito la mattina, ore 7 fuori, per poi essere operativo alle 8:30 per il trasferimento in favela e il lavoro quotidiano dedicato ai vari centri. Tutto bene, quindi, questo primo approccio alla terza tappa del viaggio brasiliano: speriamo ora che i prossimi giorni mantengano le aspettative. si parte domani con Aguazinha e con il successivo incontro con i mister. Vamos embora, agora. C'è da riposare.

mercoledì 26 giugno 2019

Altro giro, altra corsa


MACEIO
Tempo a disposizione per mettere il naso fuori dal campo, per fare un tuffo, un giro in spiaggia, come sempre non ce n’è e anche questa volta l’unico momento libero lo abbiamo dopo il torneo dell’ultimo giorno, un pomeriggio che sfruttiamo per muoverci verso Maceio, spiaggia qui vicino, dove amici italiani hanno prima aperto un locale e ora stanno concludendo i lavori per una pousada in riva al mare. Sfiga vuole che dopo i 4 giorni di sole a picco sulle nostre teste, oggi il meteo abbia deciso di giocarci uno scherzo, riservandoci una fastidiosa quanto antipatica e intermittente pioggerella, che cambia notevolmente i nostri programmi goduriosi. Ci limitiamo quindi a piazzarci in spiaggia, nel locale di un altro italiano, dove pranziamo e rimaniamo fino a sera in compagnia di Omar e di Marco, ridendo, scherzando e parlando un po’ di tutto, dal calcio alla situazione politica e sociale brasiliana dopo l’ascesa al potere di Bolsonaro. Riusciamo anche in un momento di pausa a fare un tuffetto in acqua, quindi tutto sommato la giornata va via bene e ci accompagna piacevolmente fino a sera, fino all’ultima sera in questa parte di mondo: domani infatti si riparte, destinazione Recife, dove ritorno dopo quattro anni di “latitanza”. Sono contento ed emozionato di ritrovare il mitico Augusto e i vari allenatori che sono con noi da una vita, i vari Leo, Edenilson, Marcelo, ma anche di incontrare i nuovi e vedere direttamente come si è evoluto il progetto nelle favelas grazie al lavoro di Juri. Lasciamo quindi questo incredibile cielo stellato che tanto mi ricorda quello africano, in vista della prossima tappa.


martedì 18 giugno 2019

Il mattino ha l'oro in bocca

ALLENAMENTO MATTUTINO
Non contento della sveglia impossibile di ieri, oggi riesco a fare peggio: Georges, un nostro vecchio allenatore, organizza sedute di allenamento in un campetto abbastanza vicino al nostro hotel con inizio alle sei del mattino e allora…perché non andare da lui? Sveglia quindi alle 5:30, doccia gelida e via di corsa per raggiungere il campo e divertirci un po’ insieme. Come già scritto il caldo e il sole se ne fregano dell’orario, tanto che alla fine dell’ora di allenamento sono sudato come se avessi corso una mezza a mezzogiorno, ma…amen. Ormai sono abituato. E non c’è tempo per lamentarsi: tra meno di sessanta minuti si torna in campo coi nostri bimbi. Si corre in hotel per docciarsi, cambiarsi e magari riuscire a mangiare qualcosa, giusto per tenere il campo fino alle 12:30. Di certo non si può dire che ci si annoia nei viaggi con Capellini…
I ritmi e gli allenamenti rimangono gli stessi per tutti e quattro i giorni trascorsi su questi campi, fino ad oggi, quando col torneo finale e tutti i bimbi del progetto in loco coinvolti chiudiamo i battenti e ci prepariamo per cambiar zona, destinazione Recife, dove ci aspettano 8 giorni pieni, pienissimi, sui campi dei cinque nuclei della città e in aula insieme ai nostri ormai storici mister. Via, allora, a letto ora: sveglia prestissimo anche domani per una bella corsa pre viaggio, visto che le sei ore che ci separano dall’aeroporto ci costringeranno anche domani a lasciar troppo presto le, per quanto sporche e poco accoglienti, calde coltri delle nostre camere. Lascio qui un progetto in crescita, che coinvolge con una buona costanza bambini che vivono nelle comunità intorno al campo, ognuno con la sua…sfiga, ognuno con la sua maglia nero azzurra da indossare e con la quale crescere. Eugenia, la donna che funge da referente locale, sta facendo un po’ la mamma (o la nonna) di tutti i nostri, in contatto costante con madri o padri, a seconda di chi c’è, e attenta e capace nel leggere negli occhi di tutti eventuali problemi, anzi Problemi, di cui poi si fa carico, cercando di aiutare tutti nell’affrontare il difficile cammino nella vita. E le difficoltà sono di tutti i tipi: figli di padri carcerati, seguiti solo da madri che per mantenere la famiglia devono lavorare sempre, ma proprio sempre, e quindi di fatto assenti; figli di madri e padri carcerati, come tanti qui “presi” per questioni legate al traffico di droga, affidati a nonni o zii, che crescono privati delle naturali figure genitoriali; figli di…nessuno. Anche qui, come in tanti altri posti, gli uomini hanno il piacevole uso di ingravidare diverse donne, per poi sparire nel nulla, lasciando ad altri i compiti, le responsabilità, proprie dei papà. Figli…be’, insomma, avete capito. La situazione non è delle più rosee, ma nonostante tutto il costante supporto di Eugenia e il lavoro sul campo di Dan Dan, seppur gocce nel mare, qualcosa stanno muovendo, migliorando e, come dico sempre, piuttost che nigot…
Pronto ora per Recife: favelas e altre situazioni estreme ci attendono.


sabato 15 giugno 2019

Camocim


CORRENDO SOTTO IL SOLE
“Non può essere, non può essere…infatti non è” diceva Canà. La citazione è d’obbligo: rispetto a quanto scritto ieri, infatti, mi vedo costretto dopo pochi metri di corsa a rivedere la mia speranza di fresco e ripensare il tutto non tanto come una speranza, quanto una pallida illusione. Fa caldissimo sempre, sole o non sole, qui a Camocim, che siano le 6 del mattino o le 18 di sera. Amen, questa è la situazione, andiamo avanti, ho troppa voglia di correre e allenarmi in questi giorni e dopo le corse mattutine e la partita di Pititinga, il minimo è dare continuità. e allora via, fuori, per la deserta Beira mar di quest’ora, puntando il faro e correndo lungo i sali e scendi continui di questa città di circa 60000 anime. l’allenamento, fortunatamente, va via piuttosto bene: le gambe girano, riesco a tenere il passo che mi ero preposto e seppur totalmente bagnato a fine seduta, non mi sento esageratamente distrutto. Il giusto. Quel giusto che mi permette poi di lanciarmi in campo per le successive ore di allenamenti coi bimbi. E mi permette di divertirmi un casino. Il primo gruppo di bambini è un bel gruppo attivo, energico, con tanta voglia di giocare e imparare, e, coi limiti ovvi dovuti alla condizione in cui vivono, educato, attento e positivo.  Molto migliorata, notevolmente, la situazione dei bimbi in campo dal mio ultimo passaggio su questi campi: nonostante purtroppo a casa e per strada le cose non siano migliorate molto dall’ultima volta che ho messo piede nello stato del Ceara, i bimbi dimostrano buona capacità di attenzione, buona disponibilità all’ascolto, grande entusiasmo e piacevole energia. A dimostrazione del fatto che l’allenamento vale più di mille lezioni a scuola, di mille discorsi, di mille insegnamenti senza palla; quell’oggetto sferico vale più di ogni altra cosa, se usato sapientemente, per crescere ed educare bambini. Ahimè il 90% di coloro che ne fanno uso, però, nemmeno conoscono questo potenziale o, forse peggio, nemmeno se ne interessano, ma questo è un altro paio di maniche. Qui ci siamo noi e le cose stanno portando evidenti miglioramenti. Certamente non possiamo dirci arrivati, non è nostra intenzione abbassare la guardia o lasciar le cose così come sono: ancora tante cose possono essere fatte e possiamo realizzare, ma la strada fin qui segnata sembra essere quella giusta. Ottimo. Avanti così


venerdì 14 giugno 2019

Si riparte, destinazione Camocim


CIAO, CIAO PITITINGA
Dopo quattro giorni di intensi e divertenti allenamenti, è giunta l’ora di ripartire, direzione aeroporto, per volare verso Fortaleza. E una volta li…sei maledette ore di macchina per arrivare a Camocim. Madonnina che palle!!! La strada è terribile, piena di buche che in alcuni punti sembrano più crateri che semplici buche, macchine e camion che procedono a due chilometri orari, ma essendo il tutto su due corsie, una che sale e una che scende, l’ipotesi semplice di sorpasso è un azzardo importante! E tutto rimane immutato per tutti gli infiniti chilometri che ci separano dalla meta! Che palle, ripeto! Non si arriva mai! Fuori dal finestrino scorrono paesini fatiscenti, all’apparenza disabitati, alternati a lunghi tratti di nulla assoluto, eccezion fatta per quando si arriva alla città di Sobral, vero e proprio nucleo urbano, con negozi, ristoranti, caffè e bar…normali. Ma per il resto…nulla eterno. Intorno alle 21 arriviamo finalmente alla meta, il tempo di una cena e si sviene nel letto. Anche perché domani alle 8 siamo in campo e volendo prima allenarmi la sveglia si punta alle 6. Faccio fatica anche solo a scriverlo. Madonnina. Per lo meno spero che a quell’ora il sole, seppur già bello splendente lassù nel cielo, ancora non sia caldissimo come invece era a Pititinga: cacchio uscivo praticamente all’alba per correre, ma la temperatura era sempre già intorno ai trenta gradi. Spero che qui sia diverso, anche se…perché dovrebbe???


giovedì 13 giugno 2019

In campo a Maracajau


PELADINHA A MARACAJAU
“Questi ci asfaltano”. Esordisce così Juri, quando finito il nostro allenamento coi bimbi iniziano ad arrivare i vari genitori che ci hanno sfidato ad una partitina di futsal. Giovani, grandi e grossi e sicuramente più abituati di noi alla pratica di questo sport, parente del calcio che tanto amo, ma profondamente diverso per regole, gesti tecnici e aspetti tattici. Quando la palla inizia a rotolare, però, le cose cambiano: i tre italiani con Joazinho in porta e Braz, con Iran a dare un turno, macinano gioco e minuto dopo minuto prendono in mano le redini del gioco, ma soprattutto iniziano a segnare un gol dietro l’altro. Non ce n’è! Si arriva ad un picco di differenza di più 7 a nostro vantaggio, che poi si restringe per ridursi al meno tre finale, ma comunque, seppur bravi, le apparenze hanno ingannato. Condor Capellini la davanti sfodera una prestazione di qualità e quantità, segna a raffica e corre a destra e a manca, coprendo con i compagni di casacca italiani il buco lasciato più volte da un evidentemente fuori forma Braz e da un Iran con colpi di qualità nella fondina, ma bloccati nella suddetta fondina da un paio di strati di troppo di adipe. Va segnalato che a cinque minuti dalla fine dell’ora a nostra disposizione ho anche chiesto il cambio, non tanto perché fossi stanco, ma perché solo a quel punto mi sono reso conto che tutti erano usciti dal campo per dar spazio al compagno in panchina più di una volta…tranne il sottoscritto. Quando me ne sono reso conto ho provveduto a trovar rimedio, ma fino ad allora ho continuato a correr dietro quella palla, senza ben rendermi conto dei compagni che giravano intorno a me. Trance footballistica la chiama il Pihardi: quando si torna a calciare un pallone tutto ciò che ci gira intorno scompare. E con esso tutti i pensieri che spesso ci affollano la testa…
Terminata vittoriosamente la partita, belli sudati e puzzolenti siamo andati a casa di Braz a mangiare aragoste pescate dal papà di un nostro bimbo la mattina e donateci come forma di ringraziamento: spettacolo. Ma la cosa più bella è stato poi il rientro a pititinga: Braz e un amico salgono su due quad e ci invitano a seguirli, si torna via spiaggia. E così, con una incredibile stellata sopra le nostre teste, l’oceano calmissimo alla nostra destra, risaliamo verso nord la costa fino a tornare a casa sani, salvi, stanchi, ma, almeno io, contento per la giornata. Domani si parte, destinazione Camocim.


martedì 11 giugno 2019

Pititinga


PITITINGA
Poche, pochissime persone conoscono questo posto sperduto tra dune di sabbia, lagune e il mare, e ancora meno si sognano di venire qui in vacanza, eppure il villaggetto ci crede, prova a crederci, e qui e la’ compaiono posade, hotel, ristoranti e anche qualche centro turistico che offre gite in dumbaghi sulla sabbia. Ma se potessi suggerirei loro di investire in altro il loro tempo e i loro soldi. Non perché il posto non sia bello, tutt’altro: le spiagge sono molto belle, le dune sono suggestive e tutto il contesto così “selvaggio” e quasi primitivo è molto suggestivo,  ma…ma non c’è nessuno! Oltre a noi, ovviamente. Dopo le prime due notti passate in una posada, dove eravamo solo noi tre presenti, insieme a blatte di diverse dimensioni, zanzare a migliaia, formiche volanti e ragni di ogni tipo (“bella vita che fai” mi rimbomba sempre nelle orecchie), siamo stati costretti a cambiare perché a tutti e tre si è sfondato il letto e se per Ste e Juri siamo riusciti ad intervenire facendo cambio con quelli delle stanze vuote accanto alle nostre, quando è toccato a me trovarmi nel mezzo della notte col culo per terra…erano finiti i letti! Siamo stati quindi costretti a muoverci verso un hotel nuovo, aperto da un italiano di Verona, molto carino, pulito, ben curato, ma anch’esso…vuoto! Solo noi tre come ospiti anche li. Difficile quindi pensare ad una esplosione del turismo da queste parti. Per carità, loro fanno bene a crederci, ma…la vedo grigia. Anche nell’altro villaggio dove lavoriamo, Maracajau, il discorso poco differisce: belle spiagge, bel posto (anche se molto più…favela, rispetto a Pititinga), ma un po’ poco frequentato. Al momento. Gli auguro davvero di fare il botto, ma per ora la vedo grigia. 


domenica 9 giugno 2019

In spiaggia

ALLENAMENTO IN SPIAGGIA
Dopo tanto tempo torno a fare un allenamento in spiaggia! L’ultima volta era stato a Rio, quando abbiamo portato un gruppo dei nostri bimbi della favela a Copacabana per una seduta “atipica” per me, unica per loro; se infatti nel nostro immaginario anche il favelato carioca vive in spiaggia, sul mare, nella realtà i nostri bimbi vivono lontano dalle spiagge e alcuni di loro non hanno mai avuto la possibilità di avvicinarsi alle mitiche spiagge che tutti noi conosciamo, pur magari non avendoci mai messo piede (chi non conosce Copacabana? Chi non conosce Ipanema?). E quella volta per molti di loro fu la prima e ultima occasione, tanto che ricordo tutt’ora quando alla fine dell’allenamento ci siamo lanciati in acqua, l’emozione di molti di loro. Qui a Pititinga la situazione è molto diversa perché i bimbi qui vivono in spiaggia, vivono grazie al mare: molti, moltissimi di loro, infatti, si alzano tutti i giorni poco prima del sorgere del sole per accompagnare il padre, o il nonno, o chissà chi altro, a gettare le reti prima e a ritirarle poi per la pesca quotidiana, unica fonte di sopravvivenza per quasi tutti gli abitanti di questo minuscolo e sperduto villaggio, sito a poco meno di 100km da Natal. Di conseguenza per loro l’essere in spiaggia non è che normalità, routine, ma…esserci per giocare è diverso e anche per loro i quasi 90 minuti trascorsi insieme hanno assunto un valore particolare. E anche per me, devo ammetterlo. Una bella prova di adattamento e di fantasia, perché, ovviamente, ho dovuto pensare giochi/esercitazioni, realizzabili sul bagnasciuga, utili per sfruttare questa diversa “superficie” di gioco e per rendere la seduta sicuramente divertente e nel contempo utile. Peccato solo che il livello della mia squadra non mi abbia permesso di realizzare un gioco che avevo pensato per stimolare pre acrobatica e acrobatica, gioco che sicuramente avrebbe lasciato un bel segno, ma che viste le abilità avrebbe lasciato braccia rotte ed ematomi di vario genere. Meglio accantonare. Al termine, anche qui, tuffo in mare tutti insieme, prima di volare a scuola per le lezioni. Si, perché la seduta si è chiusa alle 9, giusto in tempo per mandarli in classe essendo loro il gruppo del mattino; a seguire arrivano quelli del gruppo del pomeriggio e si ricomincia.


sabato 8 giugno 2019

A spron battuto


A SPRON BATTUTO
Atterro alle 22, salgo in macchina con Ste direzione Pititinga dove arrivo alle 23 circa, stanza, doccia e crollo inevitabilmente nel letto! In fin dei conti per me sono le 4 di notte, ho dormito tre ore in aereo e sono in ballo dalle 9 del mattino: lecito crollare. Un po’ meno lecito, magari, è il modo in cui crollo: svengo letteralmente nel letto, a tal punto che quando al risveglio Ste mi racconta le sue disavventure notturne con blatte, formiche volanti e zanzare che lo hanno costretto ad una notte in bianco e l’hanno spinto ad uscire dalla camera alle 5 per la disperazione, io cado dal pero, penso di essere stato rapito dagli alieni e non so dar seguito alle sue lamentele. Per me infatti la notte è trascorsa tutta d’un fiato, senza alcun disturbo, avvolto in un sonno profondo che non mi ha permesso di accorgermi di alcunché. E per fortuna, aggiungo ora, perché la giornata ha richiesto il massimo delle energie, energie che se non fossero state recuperate con quel sonno fanciullesco, mi avrebbero creato problemi. Subito alle 8 infatti sono in campo con i due gruppi di Pititinga, prima coi piccoli e poi coi grandi, inizialmente solo, poi raggiunto da Juri, anch’egli catapultato in Brasile, in campo, appena arrivato, direttamente dall’Italia. Breve pausa pranzo in compagnia anche di Milena, la coordinatrice della fondazione locale, e poi nuovamente in campo, questa volta a Punau, piccolo villaggio qui vicino. Altre due sedute e finalmente arriva la sera. Finalmente per la stanchezza accumulata, perché lo stare così tanto in campo è stato piacevole e divertente, oltreché utile per capire come stanno lavorando i mister locali e come stanno crescendo i nostri bimbi, allenamento dopo allenamento, esercitazioni dopo esercitazione, ma il mio corpo ora ne risente. Devo spegnermi. E non mi importa di blatte, formiche volanti o qualsiasi altro ospite indesiderato della posada.


venerdì 7 giugno 2019

Il luogo del nontempo

BRASILE otra ves
In attesa del mio volo per Natal, girovagando per l’aeroporto di Lisbona, mi rendo conto una volta di più di quanto questo luogo sia un “non luogo” e che il tempo qui assuma una dimensione, un valore unico, che nessun’altra parte riesce a donargli. Cammino infatti da un estremo all’altro del terminal 1 per passare un po’ le ore che mi separano dalla mia partenza e osservando qui e la’ questo posto non posso fare a meno di credere di essere…ovunque! Un centro commerciale a Milano, come invece un mall a New York, la hall di un hotel a Dubai, come invece l’ingresso di un multisala in Messico: ovunque, ma in fin dei conti da nessuna parte. Quest’aria finta, nessuna finestra aperta, nessuna illusione di brezza sul mio corpo, la luce naturale smorzata dalle vetrate e quindi sostituita dalle luci al neon dei negozi o dei vari fast food, le musiche che si sovrappongo, si mischiano e che cancellano le voci delle persone, il rumore dei passi, o qualsiasi altro rumore naturale: tutto è artificiale, tutto è finzione, mascherato e imposto. Che merda! E in tutto questo il tempo sembra infinito, sembra non scorrere: quante volte abbiamo buttato via ore e ore in attesa di un volo, di una coincidenza, seduti su una scomoda poltroncina di ferro, o appollaiati in posizioni impossibili su divanetti improvvisati o poltrone artefatte? Quante volte il giorno si è trasformato in notte e viceversa, vedendoci dormire scomodamente alle 3 del pomeriggio, oppure correre per raggiungere il gate allo stesso orario, ma della notte? I cicli circadiani perdono di significato in questo posto, si confondono, si mischiano e si confondono tra loro, tutto perde di senso, di significato. L’unica cosa certa che rimane, con cui siamo sempre costretti a fare i conti, è la noia! Che palle le coincidenze lunghe! Non vedo l’ora di salire su sto cacchio di volo, per dare il via anche a questa missione Brasileira.


mercoledì 15 maggio 2019

Qualche foto dal Nepal


Oltre lo smog, sua maestà oltre gli 8000!!!


I campi Inter Campus


A zonzo per Kathmandu


A zonzo per Kathmandu 2


Le regine della strada!

lunedì 13 maggio 2019

Un frontale con la realtà

NEPAL 2019

Rileggendo i post degli scorsi giorni potrebbe sembrare che sia qui in vacanza e non per lavoro, visto che scrivo solo di giri per la città e partite di calcio, per cui, per fugare ogni dubbio, per tacere ogni malalingua, il post di oggi cade a fagiolo. Negli scorsi giorni infatti, accompagnati dai nostri partner locali di Apeiron, abbiamo girato un po' la città per capire dove potremo iniziare a "giocare", dove potremo coinvolgere bambini cui dedicare il nostro lavoro, e siamo entrati in contatto con una realtà poverissima e in alcuni casi addirittura drammatica, che non so per quale strano funzionamento della mia testa non mi aspettavo. Non credevo, e ripeto, non so perché, che anche in questo lato di mondo potessero esistere storie così terribili di violenza e povertà e queste giornate mi hanno aiutato a perdere questa sciocca illusione e fare ancora una volta una fredda doccia di cruda e triste “umanità”. Famiglie che non possono permettersi di spendere 5$ per le scarpe del figlio, che di conseguenza non potrebbe giocare con noi perchè a piedi nudi sui “campi” che abbiamo visto non riuscirebbe certo a correre; bimbi orfani che vivono in una casa insieme ad altri venti “compagni di sventura”, costretti come loro non si sa da quale diabolico disegno, ad aspettare che qualcuno si accorga della loro esistenza e li accolga in una nuova famiglia, che quindi non sarebbero da coinvolgere nelle nostre “squadre” perché da un momento all’altro, si spera, potrebbero andarsene, rendendo difficile quindi il nostro intervento,  caratterizzato  da sempre da continuità; altri bimbi, figli di madri che hanno subito violenza domestica, stupri, e che hanno assistito a tutto questo, segnando così per la vita la loro mente, il loro cuore, che sarebbe meglio non includere perché anche loro non riuscirebbero a dare continuità: le loro mamme sono inserite in un progetto bellissimo che le sta aiutando a trovarsi un posto nella società e che cerca in sei mesi di “liberarle” dalla casa dove le accoglie, insegnando loro un mestiere utile per poi provare a ricostruirsi una vita con i propri figli. Tutte situazioni troppo complesse per essere sostenute semplicemente con la nostra maglia, con la nostra palla, con i nostri allenamenti, ma che cercheremo con il nostro intervento futuro di arginare, di limitare, provando a educare, crescere, bambini che magari in futuro eviteranno di ripetere le assurdità sopra citate, o che grazie al fatto che continueranno a studiare riusciranno in futuro a provvedere ai propri figli. Già, perché se quelle situazioni descritte sono onestamente troppo grandi per noi, abbiamo però trovato modo di inserirci in alcune scuole, due per la precisione, con circa cento bambini, per passare attraverso il calcio messaggi utili per provare a migliorare un po’ le cose, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna, includendo anche le bimbe nei nostri allenamenti e iniziando così a rompere quel muro invisibile che le tiene fuori da tutti gli spazi dove si gioca, dove si fa’ sport, dove…ci si diverte. Partiremo in punta di piedi, includendo quante più bambine possibile, seppur “relegandole” in squadre loro dedicate, perchè squadre miste al momento sono impensabili, ma piano, piano, allenamento dopo allenamento, stagione dopo stagione…chissà. Si parte con cento, una goccia nel mare, ma come ci è sempre capitato nel giro di poche stagioni non sarà difficile raddoppiare i numeri e magari iniziare ad essere due gocce nel mare e poi tre e poi…Proviamoci.


giovedì 9 maggio 2019

Platone a Kathmandu

"Si può scoprire di più di una persona in un'ora di gioco che in un anno di conversazione".
Ogni volta che gioco a calcio su qualche campo del mondo con allenatori, ragazzi del paese che mi sta ospitando per la mia missione, non posso evitare che nella mia testa rimbalzi questa frase attribuita a Platone. Il filosofo greco ancora non conosceva lo sport più bello del mondo, però, perché se no avrebbe ridotto il lasso di tempo a dieci minuti per conoscere una persona: quando si scende in campo, quando c'è quella palla da inseguire e calciare, le mille maschere che indossiamo spariscono ed emerge solo la persona che si è realmente, il bimbo che c'è in noi in tutta la sua purezza. O almeno questo è quello in cui credo fortemente da quando ho iniziato a capire cos'è il calcio per me ed è quello che riscontro ogni volta che gioco, soprattutto con sconosciuti. E in questi giorni c'è stata l'ennesima, non richista, conferma: colui che potrebbe diventare il nostro head coach è anche lui malato di calcio, anche giocato, e già dal primo giorno ci siamo trovati in sintonia, per cui, avendo capito con chi ha a che fare, ha invitato sia me che Paolo a giocare coi suoi amici una volta finito il lavoro; così sia ieri che oggi per un'ora abbiamo rincorso insieme quella magica sfera, calciandola, conducendola, contendendola agli "avversari" del momento, ma soprattutto presentandoci, facendo conoscenza l'uno dell'altro. E come sempre, è stato bellissimo. Le sensazioni che mi aveva trasmesso, hanno trovato conferma con la palla tra i piedi: una bella persona, gentile, educata, onesta e leale, che sa incazzarsi quando sbaglia un controllo, ma anche riprovarci per poi sostenerti quando sei tu a sbagliare. Una bella scoperta che sicuramente potrà aiutarci. E con il quale mi sono divertito un sacco. Avrò anche quarant'anni, avrò anche due figlie (quasi, manca ancora un pezzettino per la seconda), sarò anche nell'età in cui "ci sono cose più importanti", ma...toglietemi tutto, ma non la possibilità di giocare a calcio. Anche in situazioni assurde come queste: solo, Paolo oggi mi ha abbandonato segnato dalla partita di ieri, su un campo sperduto in quartiere di Kathmandu (sperduto davvero: tra mille vicoli, case e negozietti vari, all'improvviso si apre questo spazio con due campi a 5), senza conoscere nessuno e senza parlare una sola parola della lingua dei ragazzi, che per lo più ignorano l'inglese o qualunque altro idioma diverso dal loro, con solo la palla come mezzo per comunicare. Ma mi basta così. Come è sempre stato. Intendendomi attraverso un passaggio, un assist, un applauso o un richiamo, magari in milanese, che comunque viene compreso. Bellissimo. E la cosa che mi affascina di più è che, ovviamente, non c'è solo il bello in campo: quando si gioca emerge anche l'omuncolo, colui che bara, che cerca sempre una scusa per giustificare l'errore, che fa' il fenomeno inutilmente e poi...non la vede mai e si becca un bel tunnel. È così: puoi fregarmi fuori, ma con la palla tra i piedi, sei quello che sei.