mercoledì 29 ottobre 2014

L'angolo dell'allenatore



Da questa visita vorrei iniziare a concludere le mie “memorie”, i miei racconti di viaggio, con delle brevi riflessioni esclusivamente tecniche, relative al lavoro sul campo, alle proposte realizzate e ai diversi “stili” di calcio che incontro nel mondo.
E qui, in occasione di questa missione, si toccano sempre due mondi diversi, due stili diversi, pur calpestando la stessa terra. Da un lato, quello israeliano, l’allenamento è impostato in maniera molto severa, rigida, quasi militaresca: partono subito con la palla, per quel che abbiamo visto anche nelle esperienza con i professionisti del Maccabi, ma non seguono un solo obiettivo nel corso della seduta, passando spesso da esercitazioni dedicate a un gesto, ad altre dedicate a un altro e prediligono proposte analitiche, senza grande cura degli aspetti ludici, del divertimento puro. Il loro punto di partenza è “il bambino con la palla si diverte a prescindere”, quindi non si curano di proporre gare, sfide, competizioni, non partecipano “emotivamente” all’allenamento, non sono in campo coi bimbi. Propongono, esercitazioni anche belle e interessanti, ma è raro vedere uno dei loro piccoli giocatori sorridere e manifestare quel divertimento dato per scontato per via della presenza della sfera magica. Questo loro “proporre da fuori” rende gli allenamenti un po’ sotto ritmo, con scarse intensità, e il fatto di privilegiare esercitazioni analitiche limita un po’ la capacità dei giocatori di imparare a risolvere situazioni di gioco, problemi con cui si trovano a fare i conti durante la partita.
Dall’altra parte del Paese, invece…è un gran casino! L’allenamento si svolge spesso con più di 20 bambini insieme, senza materiale, palloni che si contano sulla punta delle dita di una mano, e si limita, per quel che abbiamo visto in questi anni, ad un riscaldamento “classico”, ossia delle gran corse intorno al campo, con della gran mobilizzazione stile Valcareggi, seguito da un’esercitazione per lo più analitica poco definita e strutturata per via della carenza di materiale, con file chilometriche, e si conclude con la partita. Anche quando eravamo a Nazareth, la struttura era più o meno questa e anche li la disciplina dei ragazzi lasciava un po’ a desiderare.
In questi due contesti tanto diversi abbiamo quindi cercato nel corso delle missioni di portare da una parte il divertimento, proponendo esercitazioni iniziali molto ludiche, legate al consolidamento degli schemi motori di base o allo sviluppo delle capacità coordinative, e lavorando prevalentemente sui gesti tecnici, mentre dall’altra l’ordine, proponendo in maniera anche piuttosto rigida sedute di allenamento divise nelle nostre classiche quattro fasi, limitando al massimo i tempi morti e cercando sempre il massimo coinvolgimento dei giocatori nel corso dell’ora e mezza loro dedicata. E infatti si esce dal campo distrutti, perché…ci si allena insieme a loro tutte le volte, per raggiungere i nostri obiettivi. Ma ne vale sempre la pena!

martedì 28 ottobre 2014

special guest...

Mi piace far parlare, scrivere, i miei compagni di avventura, far si che anche altri descrivano, raccontino i campi del mondo. Oggi tocca a Gabri! Mi ha pregato di correggere, sistemare il pezzo, in ansia per la sua scrittuta scorreggiuta...io invece ho lasciato tutto così! Dal cuore alla mano, le parole escono in un flusso continuo, senza riflessioni o costruzioni artificiose. Grazie ciccio!

10 anni di amicizia e di Inter Campus

Gli anni passano ma la bellezza di conoscersi sempre più e la voglia di viaggiare insieme ci sono sempre.

Nell'ultimo mese abbiamo trascorso più tempo insieme che con le rispettive compagna , moglie e abbiamo avuto modo di parlare tanto e di confrontarci parecchio.

Come sai non amo scrivere ma alla tua proposta  di scriverti un articolo per il blog ho preso un po' di tempo e poi mi sono spinto nel farlo con molto piacere.

Non voglio soffermarmi nei racconti di viaggio perché i tuoi scritti sono sempre molto esaustivi e chiari quindi mi concentrerò sul raccontare altro!!!

Partiamo dalla Bolivia che come ben sai e' un paese che io adoro per tanti motivi: per le persone che ne fanno parte (Massimo, Veronica e tutti i bimbi che quando ci vedono ci fanno sempre grandi feste),la nuova apertura avvenuta due anni fa con il progetto in carcere e finalmente abbiamo potuto vedere insieme dove siamo arrivati e cosa dobbiamo e possiamo fare per migliorare e crescere.

Le difficoltà in Bolivia come ci siamo sempre detti è trovare persone adatte, nel nostro caso allenatori in grado di far crescere i nostri bimbi sul campo ma per fortuna abbiamo in Massimo una roccia sicura sulla quale contare e del quale fidarci per lo sviluppo del Progetto.

Che sia l'anno buono per partire con uno staff completo e determinato?
Me lo auguro perché è un progetto al quale ci tengo con tutto il cuore!

Durante questo viaggio sono stato un bel po' pigro, come sottolineavi sempre con molto precisione nei tuoi racconti, ma credetemi era troppo dura riprendere a correre in quelle condizioni caldo e cani a spasso per strada.. Il bello è arrivato in seguito...

Si ritorna dopo aver trascorso una settimana positiva e con ottime prospettive....

Il tempo di tornare, riposare,ripartire per un altro viaggio, questa volta divisi e via dopo meno di un mese siamo ancora in viaggio insieme Israele ci aspetta!!

Arriviamo e dire tutt'altra situazione troviamo rispetto al viaggio precedente ma non vi nascondo che io al contrario di Albe avevo un po' di paura prima di partire ma atterrati e iniziato a lavorare tutto è sparito.

Progetto impegnativo e certamente complicato, non è facile mettere insieme due realtà così vicine ma così distanti per mentalità e desideri, ma noi nel nostro piccolo ci proviamo e lo facciamo sul campo grazie ad un pallone e al nostro entusiasmo e a quello dei bimbi che ti da sempre una carica incredibile.
Insieme io e Albe ci sosteniamo sempre un sacco!!

Lezioni di Storia e di Catechismo in questo viaggio sono state spettacolari, Gerusalemme con i racconti e la camminata veloce per la città, in un'ora e mezza siamo riusciti a vedere un sacco di posti; mi è sembrato di tornare indietro ad uno dei primi viaggi insieme a Marrakesch.
Ricordo ancora la visita alla pelletteria, aveva lo stesso odore presente nella nostra camera dopo le corse sul mare...
Si avete capito bene le corse, questo viaggio siamo riusciti ad andare a correre 4 volte su 5 insieme (io al mio ritmo e lui al suo, non scherziamo!)
Volevo precisare che l'ultimo giorno ha avuto la pazienza di farmi da personal trainer.. Potete immaginare la sua faccia quando la gente ci superava..non stava nella pelle ma sono riuscito anche a fargli fare questo....

E comunque sono arrivato ad una conclusione: devo mettermi in forma perché ho un obiettivo da raggiungere!!!

Per concludere vi dico che le esperienze che abbiamo vissuto insieme in Inter Campus, sia in Italia che in giro per il mondo ci hanno dato forza, fatto crescere e ora siamo quello che siamo..
Abbiamo faticato, sofferto ma abbiamo sempre guardato avanti in modo positivo e continueremo sempre a farlo!!

Come avrete capito e letto non adoro scrivere ma è il cuore che scrive quindi spero di non avervi annoiato!!!

lunedì 27 ottobre 2014

Visit Israel!

“Perché siete venuti? Cosa fate qui? Perché andate anche in Tunisia? Avete amici da quelle parti? Anche in Marocco: perché? Mantenete i contatti con qualcuno in questi Paesi?” sempre le stesse domande, sempre le stesse ore buttate vie, sempre lo stesso antipatico atteggiamento inquisitorio dei soliti ragazzini della sicurezza. Tutti elementi questi che rendono ogni nostra visita un vero calvario, giusto per rimanere in tema. Tutte le sante, per forza, volte più di due ore a dire le stesse cose di sempre: “inter campus…progetto sociale…calcio…allenamenti…bambini…ghetton è il partner…” e questa volta mi hanno anche chiesto “da quanto tempo fai l’allenatore”??? Ma che cacchio te ne frega? Quasi vent’anni e allora? Dall’ascot triante ad oggi è passato un po’ di tempo: è valido? Madonnina, che rabbia! Il massimo, oggi, si è manifestato verso la fine dell’interrogazione stile Torquemada cui siamo stati sottoposti: uno di questi scemi ci si è avvicinato e ci ha detto con disprezzo che a lui non piace l’Inter…lui è tifoso, udite, udite, del “grande” Zenith San Pietroburgo!!! Ma va cagher, pirla! Scusa mamma, che si è lamentata del mio scrivere scurrile, ma è difficile non usare parolacce in questa circostanza! Ma soprattutto, che cacchio me ne frega di che squadra sei tifoso??? Avessi poi detto il Real Madrid…no, Zenith!!! Ma fa il bravo! Quando poi ci si è avvicinato un altro di questi scemi e in uno stentato italiano ci ha salutati con un “io odio l’Inter”, stavo per sbroccare! Perché lui è tifoso della Juve, ci dice mostrandoci la sua tuta contraffatta dei bianconeri! Ma che cacchio me ne frega a me!!! Ma per quale motivo mi devi avvicinare per dirmi che non ti piace la mia squadra"? Mi metto a dire in italiano, ridendo con Gabri della situazione surreale in cui ci troviamo. Ma che cacchio volete tutti quanti? Perché dentro questo aeroporto siete tutti così maledettamente antipatici??? Disgrazieto maledetto, come direbbe Canà!
Tutte le volte uscire da questo paese, ma questa volta anche entrare e muoversi al suo interno, visto che al check point di ritorno dalla West Bank ci hanno fermato e interrogato, è un’impresa. Ed è un dispiacere enorme, perché è un posto stupendo. Anche la sola Tel Aviv, tralasciando tutti i luoghi sacri e carichi di storia e fascino “turistico”: città giovane, sempre viva, a qualunque ora del giorno e della notte, con 5 km di spiaggia bianca e pulita, col mare limpido (non mi è ancora capitato di vederlo sporco)…bellissima e assolutamente a misura d’uomo. Vivere qui: caspita, più di una volta ci ho pensato. Sole e caldo almeno 9 mesi l’anno, calcio in sviluppo, spazi verdi ove allenarsi…bellissima veramente!

domenica 26 ottobre 2014

6 mesi fa...

JALIJULIA dopo 6 mesi

"Albe, mischiali tutti!" mi urla Yasha dal fondo del campo…son passati esattamente 6 mesi da quando ho scritto queste parole, a testimonianza del riuscito “mixaggio” tra israeliani e palestinesi in occasione del torneo finale, nella cittadina arabo-israeliana. Ecco, son passati sei mesi e rieccoci qui, sullo stesso campo, con le stesse intenzioni, ma con qualche ostacolo in più da superare per raggiungere l’obiettivo, ostacolo questa volta troppo alto per una semplice partitella. Il primo è rappresentato dall’assenza all’ultimo di una delle due cellule palestinesi, quella di Jaius: la guerra di pochi mesi fa ha minato i fragili equilibri sui quali ci stavamo muovendo e ha allontanato i nostri partner dall’idea di passare il check point per lasciar giocare i propri bambini con noi. Nessuno ci ha detto apertamente le cause della loro rinuncia all’ultimo, ma è chiaro che la situazione non è certo ideale per parlare di integrazione e condivisione, ma abbiamo di che consolarci con l’altra cellula, quella di Darytzia, presente con 23 bambini e 4 accompagnatori. La parte palestinese quindi, anche se decimata, è presente. 
Paradossalmente, però, ci troviamo senza quella che pensavamo fosse la parte più facile da coinvolgere: siamo privi di bambini ebrei, rappresentanti dell’altra parte che cerchiamo di unire, per lo meno per 90 minuti su di un campo: al kibbutz Shefaym dove eravamo presenti si è inserito, come già ho raccontato, un progetto sportivo a pagamento, una vera e propria scuola calcio, che…ci ha “rubato i bambini”, quindi siamo rimasti senza bimbi! Cacchio! In questa visita ci siamo messi in moto per recuperare di nuovi, non facendo però in tempo per il torneo e quindi il nostro tentativo questa volta è risultato un po’ monco. Peccato. Certo, in campo, in squadre miste, c’erano bambini rifugiati del Congo, del Sud Sudan, Etiopi, Filippini, Palestinesi e arabi-israeliani…insomma, un bel casino “inter campus’style” siamo comunque riusciti a scatenarlo, ma…mancava qualcosa. E si vedeva, si sentiva: bello, divertente comunque rivedere i bambini che abbiamo allenato in settimana uniti insieme sul campo, ma si percepiva nell’aria che c’era qualcosa in meno. Le parole non mi aiutano a spiegare bene la sensazione che ho, che abbiamo, vissuto, ma rispetto ad aprile c’era meno brio nell’aria, c’era meno entusiasmo, meno euforia. Sembrava un po’ tutto scritto, assodato, parte di un copione conosciuto da seguire: i bambini hanno giocato, si sono divertiti, ma…è mancato qualcosa. La prossima volta dobbiamo inventarci qualcosa, per riportare quel pizzico di sale che è mancato alla nostra ricetta questa volta e non parlo solo del gruppo di bimbi ebrei: nella mia testa frullano già delle idee da realizzare in campo per tornare a casa pienamente soddisfatti!

venerdì 24 ottobre 2014

ירושלים: Yerushalayim

ירושליםYerushalayim

È la terza volta che metto piede nella città santa per eccellenza, ma tutte le volte è un’emozione…mistica! Grazie a un appuntamento con un ragazzo italiano che vive qui e che vorrebbe iniziare a fare l’allenatore con noi e che noi vorremmo coinvolgere nei territori e alla possibilità di recuperare qualche contatto per pensare di aprire una cellula anche nella parte est della città, questa mattina presto partiamo da Tel Aviv, direzione Al Quds. Traffico, casino vario, intensificato anche dall’attentato di ieri in cui è stata ammazzata una bimba di 3 mesi, rallentano la nostra marcia e arriviamo nella culla delle religioni monoteiste solo dopo due ore di viaggio, ma…ci siamo!!! 
Ora abbiamo un’ora e mezza a nostra disposizione prima degli appuntamenti fissati da Yasha e allora... via, non perdiamo tempo: dentro la città vecchia dalla porta di Jaffa, giù attraverso il suq e i suoi mille e più odori, eccoci al muro del pianto, ai piedi della spianata!!! La gente intorno con le macchine fotografiche, i tour strillanti, la confusione generale, mi sembra manchino di rispetto a questo luogo e non riesco a rivivere quelle sensazioni “mistiche” vissute la volta precedente, ma come sempre la storia racchiusa in quelle pietre e in questa enorme piazza (piazza solo dal ’48, visto che prima questo enorme spazio era occupato da case), rendono il tutto affascinante. 
Via però, non perdiamo tempo: usciamo dalla parte del quartiere ebraico, lo attraversiamo in direzione “cardo”, che seguiamo per muoverci verso la basilica del santo sepolcro ove, anche qui, la folla, le macchine fotografiche, gli strilli, le spinte e le file, soffocano la spiritualità emergente da questo luogo sacro. Addirittura sul Golgotha ci scappa la mezza rissa, per via di un’indiana che ha cercato di eludere la fila per arrivare prima davanti al luogo, presunto, della crocifissione…assurdo. Tutti che parlano, flash ovunque, ragazzine col cappellino al contrario che si fanno i selfie davanti alla pietra dove è stato deposto il corpo di Cristo: insomma, tutto fuorché un luogo sacro pare questo luogo; ma davanti al Santo Sepolcro, comunque, la mia solita inquietudine da luogo santo si manifesta e pensieri, reminiscenze di preghiere, riflessioni personali e dialoghi interpersonali mi assalgono e per un attimo mi sballottano emotivamente. Per un attimo: il prete copto che si avvicina alla Basilica con la bocca piena, masticando e con in mano del cibo mi riporta ben presto sulla nuda e sporca terra, rimettendo in moto le mie gambe per proseguire il nostro, mio e di Gabri, mini-speedy tour. Via allora, fuori dalla Basilica e verso la porta di Damasco, quindi giù, alla ricerca della via Dolorosa, uscita dalla città per la porta dei Leoni, visto che sulla spianata non ci fanno entrare, sguardo veloce verso il monte degli ulivi e il giardino dei getsemani e rientro in old city! Tra 10 minuti dobbiamo essere da Yasha, alla porta di Jaffa, dalla parte opposta! “Andiamo ciccio, seguiamo le stazioni della via crucis per un pezzo e ci arriviamo in breve”, se non fosse per un gruppo piuttosto numeroso di pellegrini che sta seguendo tutta la via dolorosa, rosario in mano, pregando e soprattutto camminando mooooolto lentamente! Aaaargh! Zigzaghiamo tra i fedeli e riusciamo a raggiungere il luogo dell’incontro con solo 10 minuti di ritardo, ma…Yasha non è qui! Cacchio! La zona è stata evacuata causa zaino abbandonato = bomba, ma ben presto riusciamo a ritrovarci e ad incontrare Alfredo, giovane 23 enne milanese che da quando ha finito il liceo si è trasferito in Israele, prima lavorando in alcuni Kibbutz, poi lavorando nei territori e infine, ora, per studiare scienze politiche all’università di Jerusalem. E con lui parliamo, o meglio lui parla visto che vive qui, della situazione di odio diffuso tra la gente della città, che genera enorme tensione e continue situazioni non dico di terrore, ma…ansiose, cui sono costretti quotidianamente a vivere i Gerosolimitani (dall’antico nome col quale era chiamata Gerusalemme in Italia, ossia Jerosolima), cui anche il nostro Yasha ha assistito oggi. Insomma, un gran casino. E di fronte a tutto questo mi chiedo: basterà un pallone e una maglia? Piutost che nigot...

giovedì 23 ottobre 2014

Al di la del muro!


Alla fine avevo ragione ieri: il ciccio non si è alzato dal letto questa mattina! É bastata una serata a Yaffo e un ritorno a casa tardivo e la sua forza di volontà è rimasta invischiata tra cuscino e coperta, lasciandomi uscire solo per il quotidiano allenamento. Ma non è di questo che voglio parlare…


Oggi si va “di la”, si va a trovare i nostri bambini palestinesi, per dar vita al nostro allenamento e osservare come stanno andando le cose, per quanto riguarda il nostro progetto, anche da questa parte del muro. Come sempre accade, nessun problema a varcare il check point per entrare in palestina, quindi in perfetto orario arriviamo al campo e diamo il via ai giochi; lavoriamo insieme, con tutti e 21 i bambini nello stesso gruppo, avendo a disposizione solo 5 palloni e una quarantina di piatti di carta a fungere da cinesino, sapientemente recuperati prima di partire: diventa difficile con così poco materiale formare più gruppi, per cui optiamo per la soluzione unica.


In una lingua che è un misto di parole inglesi, spagnole, arabe e italiane che capiamo fanno parte del vocabolario dei nostri bambini, e con grande comunicazione non verbale ed esplicite dimostrazioni palla al piede, diamo vita ad una intensissima seduta di allenamento, incentrata sulla guida della palla, conclusa con un mini triangolare a tre squadre che coinvolge ed entusiasma tutti i presenti, giocatori e semplici osservatori. Tutto bello, quindi, tutto bene…peccato solo che il nostro allenatore sia tutto fuorché…un allenatore. Si presenta in jeans e ciabatte, al telefono, e da quel maledetto oggetto non si stacca praticamente mai, senza quindi sfruttare l’occasione del nostro allenamento per stare in campo con noi, osservare nuove esercitazioni e formarsi e rendendo inutile il nostro intervento post allenamento con lui, come da prassi. Niente: è sempre in giro per il campo al telefono e quando non è al telefono si lamenta con Buma per il rischio di “nomalizazioa” cui si va incontro partecipando ad un progetto del genere. Che cos’è la “normalizazioa”?

La normalizzazione può essere intesa come un processo in cui relazioni normali vengono riprodotte in un contesto segnato da circostanze anormali e, di fatto in questo caso, scindendo Israele dai suoi atti di aggressione e occupazione, trattandolo come un’entità politica che è in qualche modo indipendente dalle proprie azioni politiche…


cioèèèèèèè? cioè israele promuove progetti di integrazione con “l’altra parte” , relazioni normali, portando avanti la sua politica di occupazione, circostanze anormali, facendole passare come una cosa normale. “non vedi, ti porto anche il calcio, cosa continui a combattermi”. Questo, grossolanamente, il concetto sostenuto dai tanti allenatori che abbiamo cercato di coinvolgere nel progetto, ultimo in ordine di tempo il nostro “pallavolista”. Non sta a me ora sostenere o combattere questo concetto, ma quel che è certo è che ci ritroviamo di nuovo senza allenatore, a ragione o torto, e i nostri bambini quindi non riescono a fare allenamento con continuità. Cacchio!!!


Si cambia, si va a Daryritzia, chissà come si scrive, e li…siam messi peggio! L’allenatore son due mesi che non si vede, chi dice per via della guerra a Gaza, chi dice per lavoro (è il periodo della raccolta delle olive), in ogni caso non si vede da un bel po’ e i bambini si ritrovano al campo per giocare, ma in maniera del tutto autonoma. Cacchio, ancora una volta. Insomma, qui di normale non c’è proprio nulla e la situazione in cui vivono da questa parte del muro non fa che aumentare i problemi, le difficoltà. Se pensiamo poi a tutto quello che è successo solo due mesi fa un po’ più a sud rispetto a dove siamo ora, ecco spiegati tutti gli ostacoli che dobbiamo tornare a saltare. Che casino! Ma non molliamo e venerdì abbiamo l’evento con tutti i nostri bambini, arabi, ebrei e sudanesi, coinvolti sul campo.


Proviamoci ancora una volta!

mercoledì 22 ottobre 2014

Primo, lunghissimo, giorno

Primo, lunghissimo, giorno.

Alle 7 i borghi della mia sveglia riempono la piccola stanza del già solito nostro hotel, l’artplus hotel: il lungo mare di Tel Aviv chiama, il sole è già alto e caldo e non si può certo perdere l’occasione di una bella corsa con tuffo post sudata! Via le caccole dagli occhi, allora, cerchiamo di riprendere conoscenza nel minor tempo possibile e via, si parte, accompagnato incredibilmente questa volta da ciccio, deciso, almeno a parole, a seguirmi tutta settimana su questa motivante “pista di allenamento”. Dico almeno a parole perché già me lo immagino domani mattina al suono della sveglia…ma magari mi sbaglio. 
2 km di riscaldamento e poi una 8 km rigenerante, cercando di stare sotto i 4 al km! Obiettivo raggiunto alla fine, ma con un po’ troppa fatica per i miei gusti: le gambe non vanno, sono pesanti e vuote allo stesso tempo e, cacchio, per tenere il passo stabilito devo spingere come un forsennato. Sarà la mezza di sabato che si fa ancora sentire? Mah…Portiamo a casa l’obiettivo raggiunto e diamo ora il via alla lunga giornata che ci attende: con Yasha ci muoviamo verso Jalijulia, dove incontriamo il “nostro” allenatore a pranzo, in un posto che ci consiglia lui, dove con una padellata da due quintali di humus con falafel super unti e verdure varie sottaceto risolviamo la pratica pasto, prima di spostarci da Heab, presso la sua torrefazione, per bere un buon caffè. Heab è uno di quelli che in giro per il mondo chiamo “illuminati”: un ragazzo di 42 anni con la menta aperta, con una visione delle cose più completa, meno ottusa e limitata rispetto agli altri sui compari, con conoscenza del mondo, passione per il viaggio e un naturale carisma, tutte caratteristiche che lo rendono una piacevole compagnia oltre che molto brillante e simpatico. 
Un Fred arabo-israeliano, per intenderci. Lui è stato il nostro tramite per iniziare concretamente il progetto, perché mettendoci a disposizione il campo di Jalijulia, ci ha permesso di trovare un punto di incontro neutrale tra le nostre cellule al di qua e al di la del muro, ove far giocare tutti i nostri bambini insieme, di qualunque provenienza fossero. Insomma, senza di lui la famosa integrazione di cui tanto parliamo sarebbe rimasta sulla carta, quindi direi che è una persona piuttosto importante per noi e per il nostro progetto, oltre che una gran persona. Inoltre questo bel personaggio ha una torrefazione qui a Jalijulia, per conto del caffè Manganelli, un caffè italiano che però io ho sentito solo da queste parti, per cui con lui riusciamo sempre a bere anche dell’ottimo caffè, cosa da non trascurare per noi italiani quando siamo in giro. Insomma, Heab for preident!!! Finito di assaporare il “famoso” caffè Manganelli ci catapultiamo in campo, dove 30, 27 per l’esattezza, bambini dai 6 ai 9 anni ci aspettano: lasciamo l’introduzione nelle mani dei loro mister e poi interveniamo, per fermarci con loro alla fine e parlare un po’ della seduta, delle diverse metodologie applicate e del perché riteniamo più utile la nostra in un progetto come il nostro. Un bell’allenamento, una bellissima e interessante chiacchierata, chiamarla lezione mi sembra esagerato, per iniziare a portare dalla nostra parte gli allenatori locali e iniziare a farli lavorare secondo il nostro metodo. Tutto bene, fin qui, tutto bello, ma…ora si va al Kibbutz e li le cose cambiano. Al Kibbutz sheffain’, infatti, quest’anno è arrivato un personaggio strano, ex calciatore professionista, anche della nazionale, anche lui, come altri milioni nel mondo, stroncato proprio alle soglie del pallone d’oro da un infortunio (se non ci fossero gli infortuni la serie a, sentendo i racconti della gente, sarebbe composta da duecento squadre!), che ha deciso di dar vita a delle vere e proprie scuole calcio per i bambini dei vari Kibbutz di questa zona, che si chiama Asharon. Strano perchè le scuole calcio sono a pagamento e appena abbiamo iniziato a parlare con lui del nostro progetto e della possibilità di coinvolgere i “suoi” bambini in inter campus, per avere anche una parte “israeliana” nel nostro puzzle etnico locale, è andato in chiusura, dimostrandosi geloso e poco interessato alla partnership. Un personaggio…israeliano, prototipo perfetto dell’allenatore locale, che mi ha ricordato un sacco Arek, il Raz di Nazareth: presuntuoso, arrogante, legato ai soldi e in soldoni…scarso. Non mi piace! E non mi piace l’idea di dovermi legare a lui. Ne ho parlato subito con Ya e anche lui è d’accordo con me, per cui si vedrà: venerdì verrà in campo con noi e poi decideremo. Magari mi sbaglio. Magari...

Ritorno in Israele

Ripartenza rapida!

Viaaaaaa! Sette giorni a casa e rieccoci in aereo, direzione Tel Aviv! 
Poco più di un mese fa da queste parti suonava la sirena anti missile quotidianamente, ma ora la situazione sembra poterci consentire il nostro classico intervento, per cui…eccoci qui. 
Se già normalmente, però, il viaggio verso questi “campi” è stressante per quanto riguarda i controlli, la sicurezza, la mobilità verso le varie cellule, mi immagino che così a ridosso della guerra appena “sospesa”, fino a nuova ripresa, le cose saranno ancora peggiori del solito e infatti, nemmeno il tempo di mettere il piede nel paese, iniziano gli ostacoli. 
Al controllo passaporti vedono che sul mio ci sono diversi timbri di paesi africani e vista la drammatica situazione Ebola di questi ultimi tempi, decidono di fermarmi per alcuni controlli: mi trasferiscono quindi in uno stanzino e li mi provano la febbre, mi guardano gli occhi e mi fanno compilare una specie di questionario, con domande di vario genere sulla mia condizione di salute. 
Solo alla fine di questa trafila, poco più di un’ora, mi concedono il visto e mi fanno entrare in Israele, con la raccomandazione di avvertire subito le autorità sanitarie in caso di malessere. Ci mancava l’ebola! Ne abbiamo subite di ogni per entrare o uscire da questo paese: ci hanno fermato per un elettrostimolatore in valigia, per la valigia troppo piccola rispetto a quelle degli altri in viaggio con me, per i troppi timbri sul passaporto, per i timbri con scritte in arabo, per mille e più motivi, ma questa, dei motivi sanitari, mi mancava. 
E devo riconoscere che forse è l’unica volta in cui do loro ragione e condivido il loro operato; la situazione nel mondo è drammatica e nonostante tutti stiano sottovalutando il diffondersi del virus, credo sia ora che gli stati per lo meno adoperino delle misure di sicurezza per cercare di limitare la pandemia e questa, per quanto piuttosto superficiale, è già qualcosa. 
Confermato il mio stato di perfetta salute, possiamo iniziare: di corsa verso l’hotel con un taxi guidato da un pazzo estremista, tifoso del Beitar di Gerusalemme e parte, per quello che si riesce a capire, del gruppo ultras “la familia” (il Beitar Gerusalemme, tanto a livello di dirigenza ma soprattutto a livello di tifoseria, è frequentemente oggetto di critiche da parte dell'opinione pubblica per un presunto atteggiamento anti-arabo, talora oltre i limiti del razzismo; Il Beitar è l'unica squadra israeliana a non aver mai tesserato, nella propria storia, un calciatore arabo. La tifoseria nel 2005 costrinse un calciatore nigeriano, musulmano, appena acquistato dalla società a lasciare il club dopo pochissimo tempo dal suo arrivo, a causa della forte avversione nei suoi confronti manifestata e lo scorso anno, dopo l'acquisto di due calciatori musulmani, attaccarono con atti vandalici gli uffici della dirigenza del Beitar…insomma, brava gente, tollerante) e da li ancor più velocemente verso la periferia sud della città, dove abbiamo allenamento con un nuovo gruppo di bambini e con i nostri “soliti” sudanesi. Insomma, non si perde tempo e ora…be’, ora sono in coma. Mi cade la penna, anzi la tastiera. Buona notte!

lunedì 20 ottobre 2014

Ritorno...a casa

Fred, Mike, misses Josephine

Alla fine è un po’ come quando da piccolo tornavo a Varazze: ciao da tutte le parti, abbracci, calorose strette di mano, gente che ti saluta mentre corri! Troppo bello. E tutte le volte che rimetto piede in questa parte di mondo, così come in Angola, in Congo o in Camerun, l’esperienza è la medesima: bambini, mister, gente dell’africana village, drivers, anche gente che nemmeno ricordo: “ hi Alberto!” con la loro R arrotolata, che mi emoziona e mi fa sentire a casa. E, cacchio, quasi mi ci sento a casa, lontano da problemi stupidi, reclami insensati di genitori privi di materia cerebrale, gente che parla giusto perché in possesso del dono della parola e che devi ascoltare per forza di cose, tempi ristrettissimi e pressanti…devo trovare il modo di mettere Silvia in borsa!!!

sabato 18 ottobre 2014

Indipendence day!

Indipendence Day

9 ottobre 1962, giorno dell’indipendenza Ugandese e oggi giorno di festa per il paese. 52 anni di indipendenza dal colonizzatore bianco.
“Misses Josephine, i know that thursday is holyday, because of the indipendent day: can we'll work normally, or we’ll have some changes on our program?” chiesi appena arrivati a Nagallama, conoscendo l’importanza dei giorni liberi, di vacanza, da queste parti. 
“Nooooo. No problem at all”, mi rispose lei…
Quando poi oggi alle 9:30 siamo arrivati alla scuola e ci siamo trovati l’esercito neroazzurro schierato in pompa magna, con i vari bonghi e i vari strumenti nelle mani degli studenti più grandi, ho capito che, come sempre fanno gli africani, il “no problem” in realtà è una cazzo di risposta di circostanza per far contento il bianco e che oggi saremmo stati coinvolti in mille cerimonie che ci avrebbero tenuto ben lontani dall’aula e dal proseguimento del corso. 
E infatti…Ma per che cazzo non me lo dicono? Tanto non potrei farci nulla, dovrei, come ho fatto, semplicemente adeguarmi alla situazione e modificare il programma per riuscire comunque a portare avanti il programma, quindi perché non dirmelo? Boh! È come quando chiedi un’informazione a un africano: questi magari nemmeno ha capito che cacchio hai chiesto, ma pur di non tacere ti serve la prima cosa che ha in testa come una risposta valida e via…vai con Dio! E se tu magari ti fidi…cacchi tuoi!!! 
Ma cazzo, dimmi “non so, mi spiace”, invece di farmi perdere!!! No, invece: risposta accomodante per il mzungo e via. 
Va be’, limite comunicativo a parte, l’aver assistito a tutte le cerimonie organizzate ha reso comunque la giornata speciale e non ci ha comunque impedito di portare avanti il programma: bloccando gli allenatori in aula fino alle 13.30 per recuperare il tempo “perduto” tra balli e canti, siamo comunque riusciti a tenere attenti e coinvolti “sui banchi” tutti e 15 i nostri coaches, entrando nello specifico dei temi ieri solamente accennati. 
Voi siete furbi, ma io sono determinato, cari miei, e qui non c’è un minuto da perdere!!! E quindi…
Non contenti, poi, i nostri amici decidono dopo l’allenamento del pomeriggio, (che io ho dovuto gestire con una squadra di sole donne…madonnina che difficoltà! Non me le aspettavo, Fred mi aveva detto che avrei avuto un gruppo under 14 di maschi, quindi avevo preparato un bell’allenamento complesso, con giochi di posizione e un buon carico cognitivo, che mi sarebbe servito da spunto per l’approfondimento teorico che avevo in mente per il giorno seguente in aula, invece…ho dovuto cambiare tutto l’allenamento, perché queste povere fanciulle certo non si sono dimostrate fin dal primo incontro con il sottoscritto, in grado di svolgere le esercitazioni che avevo in mente…) ci hanno rapito, portandoci con loro in un posto a un’ora da Nagallama dove “relaxing”! Ma io non ho bisogno di rilassarmi!!! Io voglio allenarmi, cazzo! Ho un programma di allenamento da seguire. Fottuto. Sono, siamo, fottuti. Oggi si salta... E allora via, in macchina, verso questo posto che ben presto si rivela postivo: bello, bellissimo, immerso nel verde, nella pace, nella natura,  mi lascio facilmente sedurre dai manghi sotto i quali sediamo e dal tappeto di stelle che sovrasta le nostre teste, oltre che dall’ottima compagnia di misses Josephine, Fred e Kaueza oltre ovviamente ad Andre, per cui alla fine ci fermiamo li anche per la cena. Domani ci si alza prima per allenarsi, ma oggi godiamoci il nostro tilapia, sotto questa cielo oltremodo carico di stelle lucenti!

giovedì 16 ottobre 2014

Special guest: bomber Galbio scrive per noi!


UGANDA – OTTOBRE 2014


Da un paio di mesi è iniziata la mia seconda stagione con Inter Campus, è soltanto il mio nono viaggio e ho già l’onore di scrivere su questo blog. Mettere per iscritto la mia esperienza è per me qualcosa di nuovo, o meglio, penso sia dalle elementari che non faccio una cosa del genere, quando mi chiedevano di descrivere la gita di classe; mi verrebbe quindi da scrivere tutto quanto “a cuore libero” in pieno stile Forneris (ciao Lollo!) ma prendo spunto dalla struttura dei diari di Silvio e cerco di imitarlo (grazie prof!).

ESORDIO
Pur essendo stato nei mesi scorsi in Marocco e Tunisia si tratta della mia “prima” Africa, sì perché a detta di chi viene in queste zone da una decina o più anni (Albe e Max) è proprio questa l’Africa vera. La sera prima della partenza vado a letto tardi, dormo poco, la sveglia suona alle 4 e parte la solita lunga giornata trascorsa tra aeroporti e aerei.

BENVENUTO
Naggalama, Saint Joseph School, trecento o più tra bambini e bambine, tutti in nerazzurro, una trentina tra maestri e allenatori, la direttrice Mrs Josephine, tutti aspettano il nostro arrivo e ci riservano un’accoglienza splendida; mi tocca anche dire due parole (in inglese) davanti a un pubblico del genere, ma nonostante l’enorme emozione tutto fila liscio, la nostra visita parte con il piede giusto. Gabri, alla vista di così tanti bambini davanti a me mi sei venuto in mente tu e il tuo gioco del delfino: fatto in un contesto del genere sarebbe passato alla storia; infatti Albe alla prossima visita mi ha detto che ti porta con lui…

CAMPO
I pomeriggi trascorsi in campo con i bambini volano via velocissimi; l’educazione e attenzione che ho trovato qui non le ho mai viste in nessun altro paese fino ad oggi (ok, ne ho visitati solo otto); così tutto è più facile: ascoltano, capiscono subito, eseguono, si divertono; sono anche molto validi tecnicamente, chiedere di più è difficile.

AULA
Sapevo che Albe avrebbe dominato la scena, ma penso sia giusto così, abile con l’inglese, approfondita conoscenza di tutti gli argomenti e grandi capacità comunicative; probabilmente otterrebbe l’attenzione anche di mia mamma che di calcio preferirebbe non sentirne parlare mai. Riesco comunque a ritagliarmi qualche spazio, il mio inglese non è così fluido ma i concetti passano, sono chiari; rimango così abbastanza soddisfatto dei miei interventi, certo, si deve in ogni caso migliorare un sacco.

COACHES
Gli allenatori locali, Fred, Ben, Francisco, i vari Michael, Alan, Junior, Peter e tutti quelli che mi dimentico; bravi, dimostrano serietà e competenza sia in campo sia fuori dal campo, hanno fame di migliorarsi ogni giorno e fanno tutto con grande passione. E’ proprio la passione che li spinge ad essere tutti i pomeriggi sul campo con i bambini e un atteggiamento del genere fa la differenza. Qualche difetto però ce l’hanno anche loro: partita finale tra tutti i misters, un 8>8 abbastanza confusionario; la maggior parte di loro è un po’ scarsotta tecnicamente, disordinata in campo e spesso tenta di “rubare” rimesse laterali, angoli o punizioni. Quando poi gli ricordi che devono essere un esempio per i bambini che allenano riconoscono le loro colpe.

SUPER ALLENAMENTI
Sono otto i chilometri che separano il campo d’allenamento dall’African Village dove alloggiamo; decidiamo di farli di corsa dopo l’attività pomeridiana con i bambini. Primo giorno, grosso affanno, corsa continua tra discese e salite interminabili, sono costretto a vedere Albe sempre in fuga davanti a me. Si migliora il secondo giorno tra 1000 metri e tabata. Arrivo a dare il meglio l’ultimo giorno con l’allenamento alle 7 del mattino sulla forza intermittente. In contemporanea, qualche chilometro più a nord, Juri e Silvio asfaltavano le strade della Russia, mentre qualche chilometro più a est Gabri stabiliva il nuovo record cambogiano sulla maratona, giusto?

RINGRAZIAMENTI
Potrei fare un elenco interminabile di persone e scrivere accanto ad ogni nome il motivo del mio “grazie”. Però, visto che prima o poi mi sarebbe toccato dirlo o scriverlo lo faccio qui, adesso: da uno che è nato con il cuore rossonero, da uno che è cresciuto con in testa soltanto Sheva, da uno che si emoziona ancora tanto quando vede super Pippo esultare, udite udite… GRAZIE INTER!!!

Incidente sulla strada

Incidente su Kalagy road

Siamo in aula, presi dal nostro incontro con gli allenatori, intenti a condividere con loro la centralità del modo di essere allenatore affinché venga instaurato col giocatore una relazione positiva, base fondamentale dell’apprendimento, quando Fred ci interrompe un attimo, chiede la parola: poco fa un nostro bambino è stato investito da un maledetto matatu qui fuori, mentre rientrava a casa e ora è in condizioni critiche all’ospedale dove un tempo lavorava il CUAMM, prima base di appoggio nostra. Che cos’è un matatu? È un taxi collettivo, un macinino bianco e azzurro stile il furgoncino volgswagen degli anni settanta, simbolo dei figli dei fiori, sempre stracarico di gente e merce varia, senza vetri, con le porte rotte, o bloccate, con i sedili rattoppati alla meglio, o sostituiti da panche di legno, che sfreccia a tutta velocità per le strade ugandesi. Un vero pericolo ambulante, incurante di pedoni, ciclisti, moto e auto: lui va, suona il clacson per avvertire del suo arrivo e poi…vada come deve andare. Una volta a farne le spese è stato il gomito di Silvio,  questa volta è andata male a un nostro bambino, riconosciuto dalla polizia come uno di quelli della Primary school per via della divisa che aveva indosso, la nostra, neroazzurra. Oggi ci hanno detto che ha subito un grave trauma cranico, ma altro, al momento, non si sa. Cacchio…

mercoledì 15 ottobre 2014

Golden Cranes

Golden cranes

Da quell’ormai lontano 2008 sembrano trascorsi anni luce e i cambiamenti che si possono osservare sul campo paiono dar ragione a questa sensazione: da quei 100 bambini iniziali, da quei 5 allenatori impacciati, abituati a organizzare l’allenamento con un riscaldamento “classico”, incentrato su corsa e stretching, e costituito essenzialmente da una partitella della durata di circa un’ora, siamo arrivato oggi a 400 bambini, divisi in 20 squadre (e queste squadre hanno i nostri nomi: gli under 14 maschi sono la squadra Alberto, la squadra u14 delle femmine è Nicoletta...spettacolo!!!), dagli under 8 agli under 14, seguiti da 15 allenatori, alcuni dei quali con diritto chiamati coach, per le abilità mostrate, da far invidia a certi mister che mi ritrovo in Calva. Sono veramente fiero di questo progetto: in fin dei conti i primi due anni ero qui da solo, accompagnato esclusivamente da Max, che cura la parte organizzativa, e da solo ho iniziato a formare questi allenatori, a mostrar loro come strutturare una seduta e a spiegar loro come gestirla per renderla non solo utile, efficace, dal punto di vista tecnico, ma per sfruttarla per una formazione globale del bambino, comprendente anche aspetti emotivi, cognitivi, sociali; insomma, ero da solo quando ho iniziato a esportare il modello Inter Campus che ora stiamo proponendo in tutti i nostri paesi e, facilitato sicuramente dalla presenza di due “illuminati” quali Michael e Fred, da allora in questa parte di mondo, in questa parte di Africa, si è intrapreso un gran bel lavoro, che ora sta dando grandi soddisfazioni. A parte la goduria nel vedere tutte le volte questa “orda neroazzurra”, da quando siamo qui gli alunni della scuola sono triplicati, passando dagli allora 300 ai 980 di oggi, tutti attirati qui dalla possibilità di praticare sport seguiti da allenatori formati dai mzungo, sottraendo di conseguenza alla strada, al bighellonare, alla nulla faccenda, tre volte i bambini del 2008 e aumentando tre volte i giovani formati, istruiti, per i quali si potranno in futuro aprire le porte della high school o dell’università. Insomma, con questa palla e queste maglie Nagallama sta piano piano crescendo e migliorando le condizioni di vita della propria gente. Certo, c’è ancora tanto, tantissimo da fare, ma per quel poco che riusciamo noialtri, qualcosa è stato fatto e altro si farà. Avanti così!!!

lunedì 13 ottobre 2014

Un esercito neroazzurro



L’arrivo alla scuola di Nagallama è sempre emozionante e non riesco proprio tutte le volte a non emozionarmi; questa volta poi è stato ancora più particolare del solito, più sorprendente perché ormai quasi inaspettato per come stavano andando le cose. Entrati infatti dal cancello non abbiamo scorto la solita immensa presenza di bambini con la maglia dell’Inter, ma, parcheggiata la macchina sotto al “nostro” mango, un po’ deluso, ho incontrato e salutato subito solo un ristretto numero di bimbi, una trentina in tutto, pensando che  essendo tra poco un giorno di festa, giorno dell’indipendenza, fossero tutti li, impegnati gli altri nei preparativi o sulla via del ritorno verso casa per le celebrazioni. La piccola delusione svanisce presto, quando incrocio gli sguardi sinceramente felici di tutti i “miei” allenatori che uno a uno, sorridenti, mi vengono incontro: e così via con gli abbracci con William, Mike, Kevin, Ben, Francisco, Fred…tutti i miei compagni di avventura dal 2008 a oggi, coi quali rinnovo l’amicizia due volte l’anno, quando arrivo dalle loro parti. E dulcis in fundo, la mitica “headmistress”, misses Josephine, super sorridente e come al solito super elegante, che mi porta nel suo ufficio per il solito rito del guest book. E qui la situazione cambia: entrando nel suo ufficio misses Josephine preme il pulsante che fa partire la campana e il suono lungo, prolungato, fastidioso simile a quello di una sirena delle fabbriche, richiama sotto il mango bambini da ogni dove! Iniziano a sbucare ovunque, dalle aule, da dietro i muri delle classi, da dietro gli alberi, dalle casette dei professori site di fronte a noi, chi di corsa, chi saltando, chi camminando: tutti di neroazzurri vestiti, riempiono l’orizzonte col nero ebano della loro pelle, il bianco latte di cocco dei loro sorrisi e con quelle tanto amate maglie. 50, 100, 150…sono tantissimi! Un battaglione, un esercito di soldatini neroazzurri colora tutto il prato della Saint Joseph primary school per la cerimonia di inaugurazione: inno ugandese, inno della scuola, ringraziamento di tutti i presenti, parole di benvenuto della preside, del nostro head coach, di Andre e mie, il tutto scandito nel tempo dal maestro di cerimonia, Fred, che guida tutta la cerimonia e detta i tempi degli interventi. Tutto come al solito, tutto bellissimo, ma…800bambini dai 6 ai 14 anni con la divisa dell’Inter non è una visione normale, di tutti i giorni. Fantastico!!! Veramente stupendo ogni volta di più il viaggio in questa parte di mondo Inter Campus.

sabato 11 ottobre 2014

Pensieri in viaggio verso Kampala

In lotta col tempo!

Tutte le volte va a finire allo stesso modo: rientro da un viaggio carico di buoni propositi per rallentare un po’ le intensità delle mie giornate, pieno di idee per godermi di più i brevi periodi che trascorro a casa tra un viaggio e l’altro, con mille idee da scrivere, riflessioni da condividere sul blog e poi…puff…il tempo di sbarcare e tutto si dissolve in una nuvola grigia, spazzata via, lontano, dal vento furioso degli impegni quotidiani e della pienezza delle ore: sveglia, ufficio, riunione coi capi sempre oltre il mio orario, quindi corsa a casa, salto del pasto per allenarsi, doccia, allenamento coi ragazzi, incontri con gli allenatori, altro allenamento, magari una partitella la sera ed è già tornato il buio e mi rimane giusto il tempo per godermi un po’ Silvia. Cazzarola. Normale, per carità, tutto il mondo gira come me, se non più veloce: mio fratello Marco, Gian, Bibo…i miei amici…tutti, o quasi tutti, viaggiano su questo mondo ad una velocità tale che non riescono, non riusciamo, a vedere e godere del panorama che scorre la fuori, a cogliere le sue bellezze e farle proprie, per arricchirsi quotidianamente e in fin dei conti vivere meglio. Ma come uscire da questa centrifuga? Ci ho provato, ci provo, ma gli eventi, gli appuntamenti incombono e allora di ogni situazione mi ritrovo ad assaggiarne un pezzetto, a darle un morso, ma senza mai, o quasi, riuscire ad assaporarne fino in fondo il gusto, il sapore. Cacchio. E questo week-end ne è stata l’ennesima conferma: Sabato è stato il 50esimi anniversario di matrimonio dei miei genitori e con tutti i fratelli, nipoti e parentame vario, siamo andati a Varazze per “ricelebrare” quel rito che mezzo secolo fa ha unito queste due persone e le ha portate a dar vita a tutto quel grandissimo e splendido, per lo meno per noi che ci siamo dentro, casino che è la famiglia Giacomini. Mi ero detto che quel giorno me lo sarei voluto godere fino in fondo, parlando con lo zio Chicco che non vedo mai, con zio Pino che incrocio una volta l’anno, con le cugine Alia e Fede, con i nipoti coi quali passo pochissimo tempo e alla fine…alla fine ho fatto tutto questo, ma solo a tratti, per brevi momenti, senza godermeli fino in fondo. È stato un po’ come giocare una partita ed essere sostituito a metà tempo: cacchio, io ho ancora voglia di giocare!!! Ma il tempo a mia disposizione era terminato e allora si rientra: la mattina dopo si gioca, il pomeriggio c’è il compleanno di Chiara, sorella di Si, poi voglio allenarmi, la sera c’è l’Inter e lunedì mattina si parte per l’Uganda…AAAAARGH!!! Fermate sto treno impazzito!!! 
Ora sono già in Uganda: “ieri” ero con Massimo Casari a Cochabamba e ora sono dall’altra parte del pianeta. Che casino. Già sistemato all’ African Village e già pronto per l’allenamento pomeridiano. Insomma, la centrifuga non si ferma. Gli unici momenti in cui riesco a fermarmi, “perdere tempo” e osservare le ore trascorse è quando sono in viaggio, riesco a scrivere e attraverso le mie parole riesco a rendermi conto di quel che sto facendo, di dove sto andando, di come mi sto muovendo, ma cacchio sento il bisogno di ritagliarmi del tempo “da non riempire" anche a casa, da vivere più lentamente e con più calma, per poter meglio capire e di conseguenza migliorarmi giorno dopo giorno. Ma come fare?