domenica 31 dicembre 2017

In Base

LA BASE
Muri grigi più bassi di quelli che mi immaginavo poco fa, quando Juri mi ha chiesto cosa pensavo di trovare, blocchi di cemento, pile di gomme bianche e rosse, filo spinato da tutte le parti e torrette a circondare il perimetro: ecco il benvenuto riservatoci all’arrivo alla base. Mi immaginavo una situazione simile, ma esserci dentro mi fa un certo effetto. Come mi fa effetto essere scortato in ogni mio movimento da due Lince con tanto di soldato in torretta armato di mitragliatrice, uno davanti e uno dietro, e da vari soldati armati come se dovessimo assaltare chissà quale rifugio di combattenti. Questo effetto diventa poi rottura di c…o quando durante il briefing “di benvenuto” in cui mi spiegano cosa succede in caso di attacco alla base e cosa devo fare (tranquillo, sono tranquillissimo) per salvarmi le chiappe, mi dicono anche che non posso correre da solo. Ho bisogno della scorta. E che palle!!! Volendo andare domani molto presto, visto che poi abbiamo attività alla scuola, non mi va proprio di costringere qualcuno alla sveglia anticipata per venire a correre con me, ma appena chiedo se posso correre la mattina, scatta subito “l’operazione scorta maratoneta” e ci affibbiano un cinquantenne attivissimo, che, per lo meno all’apparenza, si dice contento del compito che gli è stato dato. Contento tu…”Ok, ragazzi, domani mattina ore 6:30 pronti a muovere”, ci dice salutandoci. Non sbatto i tacchi, salutandolo con la mano destra sulla fronte, per non rischiare di essere preso per “blasfemo”, però il suo modo di congedarmi mi “carica” come direbbe Lorenzo. Via allora, in branda, domani la sveglia sarà peggio di quella milanese. 

domenica 24 dicembre 2017

In Libano per la prima volta

LIBANO, finalmente Libano


Dopo tanti viaggi, dopo tanti anni, finalmente riesco a mettere piede anche qui, in Libano. Finalmente. L’ultima volta che avrei dovuto venire, pochi giorni prima della partenza, mi sono stampato in moto, quindi son stato costretto a rimandare il tutto a data da destinarsi, che tra un viaggio e l’altro sembrava non arrivare mai, fino ad oggi. E sono contento. Uno degli obiettivi che mi sono dato quando sono diventato responsabile tecnico del progetto era visitare tutti i progetti nel mondo e dedicarmi a tutti quelli ritenuti più critici, per indicare ai mister la strada da seguire e poter svolgere così a pieno titolo il mio ruolo. Ora mancano Cambogia e Russia al mio risiko nero azzurro, poi avrò calcato tutti i campi del mondo che conta per me. Fino a nuove aperture. E per tutti mi son fatto una idea, su tutti ho una “road map”, esclusi i due che ancora mi mancano, per cui…bravo, il primo obiettivo è stato raggiunto. Sotto con tutti gli altri. 
Il viaggio aereo è stato facile e breve, solo tre ore e cinquanta, ma il bello mi attendeva a Beirut: usciti dall’aeroporto il nostro partner si è fatto facilmente riconoscere, mostrandoci i mezzi con cui è venuto a prenderci: due Lince a fare da scorta, mezzi corazzati con tanto di torretta e postazione mitragliatore sul tetto, uno davanti e uno dietro, un furgone centrale dove saliamo noi e una camionetta dell’esercito libanese davanti a sirene spiegate. Già, perché da queste parti il nostro partner sono i caschi blu dell’ONU, o meglio i soldati italiani dell’ UNIFIL, impegnati dai tempi dell’ultima guerra in Libano, 2006, a fare da mediatori nella difficile situazione tra il paese che ora ci sta ospitando e Israele. E con loro le procedure sono…militari, per cui GAP (giubbotto antiproiettile che “nudo”, ossia senza i vari caricatori che mettono loro, pesa circa 10 kg e che con i vari optional arriva  a oltre 15kg…da indossare per muoversi. Mica male) da indossare prima di partire e elmetto, che però loro stessi mi dicono di non indossare (“ma tu di che l’hai indossato, se te lo chiedono”), in dotazione, per quasi tutto il tragitto che ci separa dalla base UNIFIL di Shama, dove staremo per i prossimi giorni. È la prima volta che lavoro con militari, è la prima volta che entro così direttamente in questo mondo e sono curioso di conoscere meglio i ragazzi che lo definiscono, i ragazzi che rappresentano l’Italia in queste zone di tensione, i ragazzi che decidono di arruolarsi e di vivere una vita così intensa, almeno per quel che mi immagino io, e così diversa. Quando poi ho saputo che insieme ai “nostri” del CIMIC, alla base ci sarà un battaglione della folgore, la mia curiosità è cresciuta esponenzialmente! Via allora, che inizi anche questa esperienza.

mercoledì 6 dicembre 2017

Qualche foto


Sfilata di auto "moderne"


Il sacro ed il profano nella pozza (edificio ambasciata russa e chiesa)


L'aereo a pedali


Saggezza di regime


martedì 5 dicembre 2017

Ricomincio da capo

SEMPRE LA STESSA STORIA…ANCHE QUI!
Quando sbarco su quest'isola mi sembra sempre di essere entrato a far parte del cast di una nuova, scadente versione di quel film degli anni '90con Bil Murray in cui il protagonista rivive quotidianamente il giorno della marmotta! 

È la quarta volta questa che vengo a Holguin; è la quarta volta questa che mi avventuro verso l’aeroporto dei voli interni, quello “nacional de l’havana” per prendere un cacchio di aereo che risale ai tempi della madre russia (un antonov a elica tenuto insieme non si sa bene da quali viti eterne); è la quarta volta che il volo in un modo o nell’altro è in ritardo (senza contare quella volta che nemmeno partì e ci costrinse a tornare in Italia); è la quarta volta, ma non ne voglio più sapere! Basta. Sempre la stessa storia. E la cosa che più mi fa imbestialire è che nessuno ti dice nulla, nessuno sa nulla, tutto sembra rientrare nella norma: un’ora di ritardo, un’ora e mezza, alla fine due ore e dieci di ritardo, poi finalmente ci imbarchiamo. Ma sembriamo noi tre gli unici ad avere una percezione reale del tempo: per gli altri è come se si stesse partendo in orario, tutto normale, pacifici, serafici, lenti come solo loro sanno essere, ridendo, parlando e scherzando danno forma all’ennesima fila della loro giornata, aspettando di salire sul trabiccolo volante. Quando finalmente si decolla le nuvole intorno a noi ci fanno subito capire che non sarà un volo semplice: sul triciclo ad elica di fabbricazione russa le turbolenze sono fortissime e più di una volta mi ritrovo a serrare con entrambe le mani i braccioli rosicchiati del sedile sfondato sul quale siedo (giuro, non sto esagerando: il sedile è davvero sfondato e si sentono le barre di ferro, scheletro un tempo ricoperto, sulla schiena), sperando di toccar terra al più presto. Lo shakeraggio per fortuna si conclude dopo poco più di due ore e una volta atterrati il buon Castro, referente del progetto in Oriente, ci accompagna in hotel, al magnifico hotel pernik...madonnina, che scempio. Sempre peggio. Se la menano come se fosse il Melia, quando già alla prima occhiata ci rendiamo conto della decadenza dell'edificio: è evidente che questo doveva essere un fiore all'occhiello del regime nel periodo della grande mamma Russia, ma oggi non è altro che un triste e sbiadito ricordo vivente, più o meno vivente, dei bei tempi che furono: sporco, ultra mega umido, puzzolente (giuro, puzza di spogliatoio la domenica pomeriggio dopo tutte le partite del settore giovanile e quella della prima squadra sotto la pioggia), buio e soprattutto frequentato dai peggiori puttanieri dell'isola (un sacco di crucchi tra loro, non solo i classici italiani) e ovviamente dalle loro "muse". Spettacolo vero. Chiudiamo gli occhi, va, facciam finta di essere con Annina e pensiamo al lavoro che ci attende da domani. Che certo non è poco.

lunedì 4 dicembre 2017

Sempre la stessa storia

SEMPRE LA STESSA STORIA
Rileggendo ciò che ho scritto ieri mi vien da dire che è sempre facile fare il finocchio col culo degli altri, o per adattarlo alla situazione, facile fare il socialista con la vita degli altri. Io bello, bello, nel mio mondo capitalista e “libero”, almeno così sembra, con tutto ciò che voglio, anche di più, a portata di mano, anzi di carta di credito, vengo qui a dispiacermi per il crollo della grande illusione cubana e l’apertura al mercato mondiale dell’isola con il suo conseguente totale adeguamento al…mondo la fuori, senza però aver mai vissuto sulla mia pelle “CUBA” nel vero senso della parola, il leader maximo e il sua reale governo dell’isola, la limitazione della libertà personale nel nome del bene comune in pratica, in grado di definire il mio sviluppo, il mio futuro, la mia crescita. Insomma, ho lanciato, scritto, proclami basandomi solo su ideali, sensazioni, pensieri e speranze, che però non derivano da esperienze dirette, da vita vissuta, perché quando poi sbatto il muso con una parte di realtà cubana, quella con cui entro in contatto io tutte le volte che torno qui, con alcune sue caratteristiche che condizionano fortemente il mio lavoro su questi campi del mondo, mi incazzo. Eccome se mi incazzo! E provo in tutti i modi a cambiare ciò che non mi piace, per renderlo più simile a ciò che credo sia meglio che è anche ciò che è tanto lontano dal loro modo di fare e di essere. Un esempio? Gli allenatori di questi campi del mondo devono attenersi rigidamente a ciò che il ministero dello sport dice loro di fare sul campo attraverso un manuale sempre uguale da trent’anni, che indica le linee guida, il metodo di lavoro da applicare per dar forma agli allenamenti e nessuno di loro può pensare di cambiare le cose: delegati della federazione del calcio girano fra i centri sportivi, osservano gli allenamenti e valutano i vari mister all’opera, sulla base delle vittorie in campionato e delle loro "proposte" sul campo, quanto queste seguono il “programa integral de preparacion del futbolista”, quindi quanto queste sono “confermi e fedeli” al metodo cubano. Chi è fedele rimane al suo posto, i “ribelli” vengono corretti e nei casi più estremi rimossi. Per cui il nostro metodo di lavoro che da tanti anni cerchiamo di applicare è già in partenza sconfitto , è già in partenza bandito dal vecchio dinosauro ministeriale, perché i nostri ragazzi, per quanto interessati, desiderosi di applicare i nostri suggerimenti, sono impossibilitati dal farlo, soprattutto se non vincono i tornei. E io mi incazzo! Per forza, perché le proposte sono noiose, per nulla divertenti, inadeguate e lontane anni luce da ciò che Inter campus propone e suggerisce e i bambini sono molto più contenti di giocare con noi, piuttosto che rimanere sotto le grinfie del dinosauro, ma…non si può cambiare. Non ci si può aprire. Nessuno sa meglio di cuba quale sia il bene per cuba. Per cui…sempre la stessa storia.

sabato 2 dicembre 2017

Il capitalismo a Cuba

L’ISOLA DELLE CONTRADDIZIONI
Lo scrivevo giusto ieri: quante contraddizioni porta con se’ questo posto, in particolare questa città. Ma a pensarci bene dovrei probabilmente scrivere portava con se’, perché ormai “l’imperialismo americano” ha vinto, annientando tutti i sogni socialisti con il suo potente e famelico capitalismo ormai dilagante e onnipresente, che giorno dopo giorno prosegue il suo crudele e inesorabile stupro della capitale, aumentando quotidianamente il divario tra chi i soldi li ha e chi i soldi li brama, ma non li ottiene. Un terribile divario. Oggi ne ho avuta l’ennesima dimostrazione: dalla volta scorsa abbiamo deciso di abbandonare la pasteleria francesa per la nostra tradizionale colazione, per affidarci all’hotel telegrafo, dove con 10 cuc, circa 9 euro, abbiamo accesso al buffet del ristorante, evitando i vari italianucoli che popolano il bar sotto i portici vicino al Capitolio e le ore di attesa per ottenere un succo di Guaiaba e un caffè. Piacevole e anche abbastanza dignitoso, con frutta e succhi vari (frutta rinseccolita e succhi allungati, ma...così funziona), rimaniamo soddisfatti dell’hotel e per pura curiosità (pura curiosità, perché la casa particular dove siamo, ospiti di Gustavo, è un po’ casa nostra ormai, col nostro letto e le nostre routine) chiediamo il prezzo per una notte in una doppia…il ragazzo della reception mette subito avanti le mani “come cubano mi vergogno di questo prezzo. Non siamo noi a deciderlo, sono i padroni, che non sono cubani”. Quindi, “quanto?”, chiediamo. 420€ a notte! What??? L’hotel telegrafo? E il "central" quanto costerà mai, allora? E il nuovissimo Manzana, allora? Semplice, dai 400 ai 700 euro a notte!!! Incredibile. O meglio, normale, normalissimo: anche a New York gli hotel costano uno sproposito insensato, anche quelli di bassissima qualità, però qui a me fa più effetto sbattere il muso contro questa realtà delle cose. Stupido, inutile pensiero il mio, ma…cacchio, questa è l’isola della rivoluzione impossibile, messa in piedi e realizzata da pochissimi, contro tanti, tantissimi, mossi da un ideale altissimo, da un sogno, da una speranza (certo, che poi si è realizzata a costo di qualcos’altro, però l’ideale era bellissimo); questa è la città dove, quando ancora c’era un controllo del turismo, i pochi che potevano entrare in contatto con gli stranieri e con i loro soldi, ottenendo quindi condizioni economiche privilegiate (basti pensare che un pesos cubano vale 1/25 di dollaro e un turista sgancia mance anche da 5$), avevano creato una cassa di solidarietà in favore dei lavoratori esclusi dall’oro turistico, per condividere fra tutti i loro vantaggi! E ora...e ora sono arrivati gli stranieri, con i loro prezzi e le loro regole di mercato, con i loro "sogni" che si possono comprare e il loro benessere, la loro "libertà" sbattuti in faccia a gente cresciuta in un mondo diametralmente opposto. È così, è il mercato, è il capitalismo e quindi anche qui è iniziata la corsa continua e comune al resto del mondo all’arricchimento, una corsa senza fine, spesso senza vincitori, ma che porta tutti a vendersi, a vendere, pur di avere in tasca il faccione verde di Ulysses Grant o Benjamin Franklin, più ambito . E allora eccoli, per la strada: “taxi”…”chicas”…”cigarros”…di tutto e di più, pur di avere il tuo cuc.

venerdì 1 dicembre 2017

Ritorno a Cuba

RITORNO A CUBA
Il volo scivola via abbastanza tranquillo, nonostante qualche inquietante balletto fra le nuvole: l’upgrade in economy plus ha fatto la differenza e le dieci ore lassù in cielo, seduto comodo in poltrona, con ampio spazio per le mie corte gambe e la possibilità di sdraiarmi quasi a 180 gradi, passano apparentemente più veloci e sicuramente più comodamente. Il non aver fatto fila al controllo passaporti ha reso ancor più incredibilmente fortunata fin qui la lunga trasferta (ricordo delle volte in cui siamo rimasti due ore in fila per entrare nel paese e 40 minuti è sempre stato il minimo indispensabile per farsi mettere il timbro dell’immigrazione), ma la normalità del tempo infinitamente dilatato di Cuba ci attende dietro l’angolo, o più precisamente oltre il controllo al metal detector, ossia al nastro bagagli: un’ora ad osservare valigie sempre diverse passare sotto il nostro naso, in attesa di scorgere la nostra. O meglio, la loro, perché io non cambio la mia strategia e ho sempre con me il mio fedele zaino, bagaglio a mano, appunto per evitare queste attese snervanti dopo viaggi così lunghi. Quando finalmente anche i nostri bagagli arrivano, un’altra coda (questo è il paese delle code, lo dico da sempre) ci attende, quella della dogana: in aereo hanno distribuito solo pochi formulari da compilare e in aeroporto non se ne trovano più, per cui molti viaggiatori appena atterrati ne sono sprovvisti e rimangono fermi in fila in attesa di non si sa bene cosa, visto che senza il foglietto compilato non si esce, impedendoci di uscire. Tra spinte e scavalcamenti vari delle persone ferme, degni solo di noi italiani, con il nostro raro bel formulario in mano dopo altro tempo buttato, eccoci fuori: aria fresca, calda, ma piacevolissima, una splendida luna a forma di sorriso dello stregatto ci danno il benvenuto ancora una volta a l’Havana! Ancora una volta (forse l’ultima per me dopo tanti anni) rieccomi in questo posto che tanto mi affascina e che tante contraddizioni porta con se’, ora più che mai: il sogno socialista, gli slogan per la patria e il pueblo unito da una parte, le orde di turisti armati di dollari e capitalismo dall’altra. Un sogno infranto, una illusione dispersa.