sabato 8 dicembre 2018

Shanghai

SHANGHAI
Pensare che in questa megalopoli risieda praticamente metà Italia mi fa’ un po’ impressione: caspita 32 milioni di abitanti in questo puzzolente, per via dello smog, posto nel mondo! E non si può certo dire che “non sembra” che ci siano tanto persone, perché ogni strada, ogni linea della metropolitana, ogni marciapiede, ogni cementato centimetro quadrato straripa di esseri umani ad ogni ora del giorno e della notte, in qualsiasi giorno della settimana, con qualsiasi condizione atmosferica. Tante piccole formichine che si muovono in gruppi sparsi, con gli occhi sempre fissi sul proprio smartphone, con poca voglia di guardarsi intorno e per nulla incuriositi, rispetto alla gente di Fuyang, dalla nostra presenza, che in questa mega città passa inosservata, considerando quanti altri occidentali qui vivono, lavorano, passano. Eppure, nonostante tutta questa gente, in due giorni Shanghai mi ha regalato due sorprese a dir poco incredibili, di quelle che mi fanno esclamare con un leggero accento francese che “il mondo è una scoreggia”: venerdì pomeriggio, liberi da impegni, stavamo girovagando nella zona della concessione francese, alla ricerca di un mercatino che ricordavo aver visitato nel corso delle missioni precedenti, luogo che ritenevo utile per soddisfare il desiderio di shopping compulsivo dei miei compagni e allo stesso tempo piacevole da frequentare. Purtroppo però, non avendo l’indirizzo preciso, stavamo camminando da ore un po’ a caso, quando, attraversando una strada, incrociamo due ragazzi del marketing di Inter! Gente che a stento riusciamo ad incontrare e salutare quando siamo in sede a Milano, che invece incontriamo quaggiù! Incredibile. Loro qui per seguire il presidente al salone del mobile di Shanghai, noi per inter campus, incrociati su di un marciapiede per estremo caso. Ma, senza nulla togliere a Laura e Tal, l’incontro fortuito che più mi ha emozionato è stato il secondo: la mattina dopo aver incrociato sulla mia strada i colleghi milanesi, esco presto per allenarmi e, come sempre in questa città priva di parchi e zone per correre, mi dirigo seguendo per un tratto il fiume, verso il “mio” mini spazio chiuso di 300 mt circa, unico angolo di quiete dove dar fondo alle mie energie. Verso la fine del mio programma di ripetute incrocio lo sguardo di un signore che mi sorride, che mi ricorda qualcosa, ma che non riesco a collegare a niente, forse anche per via della stanchezza diffusa, fino a quando non è lui ad attirare la mia attenzione chiamandomi per nome. “Alberto, how are you?”. Wow, phil, incredibile! Phil è un signore che ho incontrato ormai un anno fa in questa città, sempre mentre mi allenavo, con cui ho scambiato quattro chiacchiere, che mi ha raccontato un po’ di se’ e che mi aveva tristemente confermato che l’unico posto dove correre era proprio quello che avevo appena scoperto. Un incontro piacevole e casuale, che non pensavo certo di rinnovare e che invece ho avuto modo di ripetere per non so bene quale coincidenza astrale. Ecco, non so dire quale significato ci sia dietro, se c’è un significato, se qualcuno voleva dirmi qualcosa, farmi capire qualcosa, ma rivederlo per pochi minuti mi ha fatto un super piacere. Grande Phil, ci vediamo tra sei mesi…se ritornerò ancora su questo campo del mondo.


mercoledì 5 dicembre 2018

Le bambine cinesi


IN CAMPO
Mentre a Fuyang avevo con me il mitico Lu durante l’allenamento che traduceva ogni mia richiesta, spiegazione, correzione ai bambini, seguendomi tutto il tempo come ogni buon traduttore fa’ normalmente in campo (poverino: considerando quanto mi muovo in campo quel povero ragazzo in due allenamenti deve aver camminato più che negli ultimi sei mesi della sua vita), a Shanghai siamo rimasti senza “accompagnamento”, per cui mani, espressione del viso, dimostrazioni e qualche parola di inglese da loro conosciuta sono stati l’unico mezzo per comunicare con efficacia coi bambini delle due scuole dove lavoriamo. Ma essendo le nostre culture molto distanti, assolutamente diverse, il non verbale nostro e il loro non sono molto in linea e anche i gesti sembrano significare cose diverse, per cui…che difficoltà! Non volendo abbassare il ritmo e l’intensità della seduta, viste anche le enormi difficoltà nel rapportarsi al pallone di ciascun bimbo, ho cercato di semplificare al massimo ogni proposta e di rendere il tutto il più intuitivo possibile, per far si che fossero loro, direttamente, a capire cosa fare e a provare come fare, come eseguire, soddisfare la richiesta, ma…ho sottovalutato le difficoltà dei ragazzi, ahimè. O meglio, non ho considerato il fatto che, per lo meno per la mia esperienza accumulata negli anni in cina, i bimbi sono abituati a ricevere “ordini”, indicazioni molto chiare e dirette, senza grossi spazi per interpretare, per intuire appunto, per cui di fronte alle mie semplicissime richieste, che però chiedevano loro di partecipare attivamente con la testa all’esercizio per capirlo e risolverlo, il risultato iniziale è stato un grande gioco delle statue. Tutti fermi che mi guardavano come se fossi un alieno sceso da Marte! E più io mi muovevo ed eseguivo per loro l’esercizio, meno loro si muovevano, capivano e partecipavano: tante piccole statuine del presepe sul campo della scuola. Attimi di sconforto hanno quindi preso posto sul bel terreno di gioco a nostra disposizione prima che non trovassi il modo per farmi intendere: avendo individuato la ragazzina più sveglia di tutti (come sempre una bimba, c’è poco da fare, Anna mi insegna: hanno una marcia in più), mi sono concentrato su di lei per farne “la modella”, colei che avrebbe spiegato per me al gruppo il tutto e così a volte prendendola per mano tra le risate nascoste del gruppo, a volte accompagnandola nello spazio che volevo loro coprissero in guida, a volte semplicemente sorridendole e applaudendo ogni sua azione corretta, piano piano sono riuscito a conquistarla e farne la mia “traduttrice” personale, la mia assistente per tutta la seduta, rendendomi un po’ più semplice il lavoro e permettendomi di dar forma a tutti gli esercizi che avevo in mente per loro, portandomi così alla fine a raggiungere l’obiettivo: farle divertire e nel contempo insegnar loro qualcosa. Certo, non ho la certezza che il secondo obiettivo sia stato realmente raggiunto, ma aver potuto osservare come alcuni inizialmente conducessero sfruttando l’interno piede pur in guida rettilinea e al termine della progressione invece si impegnassero per realizzare questo gesto tecnico sfruttando la superficie per me più appropriata, da me suggerita, mi lascia ben sperare. Mentre per quanto riguarda il primo…be’, è la palla a far tutto: non ci si può non divertire quando si gioca con lei, quindi sorrisi, risate, esultanze varie le do’ abbastanza per scontate nel corso delle mie sedute, nel corso di un allenamento inter campus.
 


martedì 4 dicembre 2018

In aula

IN AULA
Alla fine anche questa volta ce la siamo cavata alla grande e tutti gli allenatori presenti, quasi un centinaio nei tre giorni, sono andati a casa contenti, soddisfatti, ma sopratutto con una nuova visione dell’allenamento, un nuovo punto di vista riguardo ciò che si può combinare sul campo, un punto di vista che non ho la presunzione di pensare ora faranno proprio, ma che penso abbia instillato in loro qualche dubbio affinché riescano, o per lo meno provino, a vedere il calcio non unicamente come mezzo per arrivare ad essere professionisti e soprattuto ad essere ricchi. 

Poi magari, tornati alla loro realtà, faranno propri solo i discorsi sul metodo per fasi, sul miglioramento del gesto tecnico oppure riutilizzeranno solo le esercitazioni, ma…sarebbe un peccato. Vista anche la loro partecipazione, le loro domande e il fatto che tutti sono “allenatori” parte di un progetto sociale già attivo, sarebbe un peccato, vero, continuare a limitare il loro intervento alla sola area motoria, anche se ogni giorno di più mi rendo conto che l’idea dominante di calcio in questo lato di mondo, che siamo sinceri, va a braccetto con quella con cui mi scontro quotidianamente anche a casa mia, risiede anni luce da quella che invece è propria di inter campus e di tutti i suoi allenatori, il sottoscritto per primo, per cui capisco che uscire dalla loro visione delle cose dopo soli tre giorni possa essere difficile, forse impossibile, ma…chissà. Noi ci si prova. Penso poi che questa volta l’aver chiesto loro di partecipare ad una seduta nelle vesti del bambino sia stato ancora più utile rispetto al solito (onestamente non credo in questo genere di role playing) per cercare di far capire cosa significa realmente, nel concreto, vivere un allenamento inter campus, giocare e divertirsi mentre si corre, si pensa si collabora e quindi si impara. Insomma…mentre si gioca a calcio! Vedremo al nostro ritorno qui se qualcosa è cambiato. Nel frattempo metto in valigia anche questa esperienza, utile per me e per il mio futuro da allenatore e da uomo. Avanti così. 


lunedì 3 dicembre 2018

A tavola

CINA
a cena
…ma anche a pranzo, la storia è sempre la stessa: si mangia maluccio da queste parti. Per carità, di fame certo non si muore, ma i sapori dei piatti che senza sosta, con estrema cortesia e ospitalità ci portano al tavolo, non sono proprio di mio gusto. E mi spiace perché loro sono molto gentili e ci tengono molto a metterci a nostro agio per farci “godere” fino in fondo le prelibatezze della loro cucina, per cui con le bacchette di cui ormai sono preciso utilizzatore, assaggio tutte, o quasi, le portate, ma non riesco a trovare nulla che possa definire buono, piacevole fino in fondo. Se non…il the. Già, perchè a tavola si beve necessariamente o the, oppure…acqua calda! Bei bicchieroni di acqua calda a mezzogiorno che però a cena (alle 18, tipo ospizio) lasciano il posto a bicchierini di grappa, che loro ritmo incessante si scolano, certo non prima di averti chiesto di partecipare con loro ad un brindisi. Ed è un continuo alzarsi in piedi, ringraziare e…bere. Casco in questo gioco la prima sera, anche se dopo tre brindisi inizio a fingere, così da non essere costretto ad ubriacarmi e allo stesso tempo senza offendere nessuno, perché poi, forte delle esperienze passate, mi spaccio per astemio e lascio gli onori a Dario, che con gusto tiene testa a dei veri professionisti della sbornia come i nostri commensali. E così con piatti di budella di maiale, o di “pappardelle” di cotenna di maiale, o di una specie di porridge fatto con uva e…fagioli, o di una strana patata (così ce la spacciano) gelatinosa e trasparente, che girano in continuazione sul tavolo (girano letteralmente: il tavolo tipico, così come nei nostri ristoranti cinesi, ha al centro una parte che gira, per cui le portate passano tra i commensali senza che nessuno si alzi mai da tavola), il mio compagno di avventura, che a differenza mia che assaggio semplicemente tutto, mangia abbondantemente qualunque cosa, si lancia in una sfida all’ultima goccia con quello che è un po’ come il presidente della regione per noi, ritirandosi , pur comunque tenendogli testa solo dopo una dura battaglia a causa della mia pressione, visto che domani la giornata sarà ancora piuttosto intensa e mi dispiacerebbe affrontarla in solitaria. 


sabato 1 dicembre 2018

Non si arriva mai in Cina!

CINA.
Viaggio infinito
In tanti anni di viaggi è la prima volta che mi capita di lasciare casa di domenica per salire in aereo e arrivare a destinazione solo il martedì mattina! Per “guadagnarmi” anche questa stella è stato sufficiente tornare in China, per la precisione tornare a Fujiang: per arrivare qui è stato infatti necessario passare da Shanghai, dormire all’hotel dell’aeroporto, per riprendere il volo il mattino seguente alle 6 e concludere così definitivamente la traversata. Per fortuna poi ci si ripos…MIAO. Macché riposo: arrivate nella “piccola”, per loro, città della provincia Zhejiang ,di soli 2 milioni di abitanti, veniamo prelevati immediatamente dai ragazzi di Amity foundation con cui lavoriamo per andare alla scuola rurale fuori città, dove gli studenti e un sacco di autorità ci aspettano per l’annuncio ufficiale della collaborazione e quindi del sostegno di Inter Campus alle scuole che già sono inserite nei programmi di Amity e Suning, il programma 1+1.
Si passa quindi dal sedile dell’aereo a quello dell’auto, dove rimaniamo per circa un’ora, prima di essere accolti da centinaia di bambini schierati tipo soldatini e per assistere ad una lunga e noiosissima cerimonia, completa di mille discorsi a pugno chiuso. Chiusa la lunga “celebrazione” si va finalmente in hote…MIAO ancora. Si rimonta in macchina e si va direttamente alla scuola dove daremo forma al corso, coi 138 allenatori che ci aspettano ansiosi. E così, con ancora le valige appresso, si inizia, accompagnati nelle nostre spiegazioni dal traduttore, per fortuna, Lu, un ragazzino di 22 anni che nelle espressioni mi ricorda Hello Spank! Stanchezza e fuso orario non si fanno sentire e per due ore filate parliamo ai mister che abbiamo davanti, sfruttando anche un paio di giochini per meglio far arrivare i nostri concetti, le nostre idee sull’allenamento e sul ruolo del coach nella crescita, nello sviluppo del bambino; tutto fila via liscio, ci divertiamo in aula e anche loro si dimostrano interessati e divertiti, coinvolti, e finalmente riusciamo ad andare in hotel! Dopo praticamente due giorni vestito allo stesso modo e senza essere riuscito a correre, scopro insieme a Dario la palestra al terzo piano e la facciamo mia: un bell’allenamento pre cena e ciò che più di ogni altra cosa, in questo momento, voglio!