venerdì 28 febbraio 2014

La stanza degli odori

La stanza degli odori

Sveglia alle 7.30, ci si veste, e tanto anche visto il freddo polare, e ci si fionda, tutte le mattine, in corsa verso Central Park, attraversando fiumane di persone dirette a lavoro, nelle nostre tutine e maglie termiche. 
Lavoro aerobico intensivo il primo giorno, forza e forza gli altri due, in mezzo al ghiaccio e ai cumuli di 80cm di neve: stiamo bene e gli allenamenti in coppia valgono sempre di più, vista l'ignoranza competitiva che scatta sempre in ognuno di noi e poi programmi come quello del mio prof preferito non possono che farti volare! 
Due volte che vengo in questa città e una delle cose che apprezzo di più è la fatica mattutina, nel contesto da film del parco di New York; peccato solo che poi, queste maledette maglie termiche, rientrati a casa e messe a prendere aria, impestino la mini stanza con il loro odore! E se la scorsa volta ero solo, ora siamo in due a riempire con la puzza dei nostri indumenti questo piccolo, piccolissimo ambiente! Insostenibile!!! Non oso immaginare le reazioni della povera cameriera addetta alla pulizia della nostra stanza..."Non aprite quella porta"!!! Dobbiamo trovare un rimedio, ma al momento non mi viene in mente nulla, se non...tapparmi il naso! Madonnina...

Puzze a parte, le cose proseguono abbastanza bene: anche ieri allenamento in palestra, sotto forma di circuito a stazioni, coinvolgendo a rotazione due gruppi su tre con esercitazioni dedicate ad aspetti motori prima, quindi tecnici, inserendo anche accenni di tecnica applicata. 
I bimbi sono scarsotti, ma hanno tanta voglia e mettono grande attenzione in ciò che fanno, quindi ci siamo entrambi divertiti e siamo entrambi soddisfatti. Solo che...cacchio, non mi aspettavo un livello così scadente, una preparazione così grossolana delle cose, anche qui, anche negli USA. Davo erroneamente per scontato che per lo meno dal punto di vista organizzativo sapessero muoversi e gestire alla grande ogni situazione, invece ci ritroviamo in palestre mini, con numeri sempre imprecisati di bambini e senza certezze fino all'inizio della seduta. Insomma...Inter Campus allo stato puro, anche dove non credevo proprio! Il discorso è sempre lo stesso: tanta mediocrità e poca dedizione ai bisogni reali del bambino, per cui...tutti dentro, palla in aria e via, inseguitela. Qui come in tante altre realtà, di conseguenza quando noi diamo un ordine alla seduta, un'organizzazione, un obiettivo e osserviamo il bambino, lo correggiamo, lo seguiamo sorridendo nel corso delle esercitazioni, la gente ci vede come supereroi, pur non facendo niente di eccezionale. Solo che...in un mondo do ciechi, l'orbo è re! 

mercoledì 26 febbraio 2014

In campo a New York

Giorno 1

Si, Inter Campus fa la differenza. E i bambini coi quali abbiamo giocato oggi, se non fossimo presenti, giocherebbero sicuramente a calcio lo stesso, ma come si gioca per strada, da soli, senza una guida adulta, educatrice, a sostenerli, ad accompagnarli nel loro percorso di crescita e di sviluppo, non esclusivamente sportivo. Giocherebbero come se fossero all'oratorio, divertendosi, trascorrendo sicuramente ore liete, ma senza modo di imparare, di apprendere qualcosa in più che non sia il far gol, o lo sbagliarlo. E il calcio, quindi, non sarebbe sfruttato per la sua reale forza, per il suo reale e fortissimo potenziale educativo, che in Africa, come in America, può servire, direi deve servire, per crescere ogni bimbo che calcia una palla.
Con questo non voglio dire che Inter Campus è il meglio e tutto il resto non vale nulla; non intendo dire che se non ci fossimo noi da nessuna parte si potrebbe parlare di calcio ed educazione in termini reali, ma purtroppo devo dire ciò che sostengo da anni, ciò che anno dopo anno, viaggio dopo viaggio, allenamento dopo allenamento, mi risulta sempre più chiaro ed evidente:  noi allenatori viviamo in un mondo di mediocrità! E in mezzo a questa mediocrità basta uno sguardo più attento nei confronti del bambino, un'attenzione più marcata nei confronti delle sue reazioni nel corso dell'allenamento, una cura maggiore ad aspetti non esclusivamente tecnici ( ma che influiscono, se non determinano, nello sviluppo di tale aspetto) ed ecco che hai fatto la differenza ed ecco che ti accorgi che se non ci fossi, il bambino non avrebbe potuto giocare veramente a calcio. Quindi non sto tessendo le lodi di Inter Campus e della bravura dei suoi allenatori, ma sto criticando con grande rabbia la scarsa, scarsissima, preparazione degli allenatori nell'affrontare la propria "missione", in Italia, in Europa e nel Mondo. Perché tanto cosa ci vuole ad essere allenatori? Basta aver giocato, dicono i più. Il calcio lo conoscono tutti, sostengono gli esperti. E quindi... eccoci qui, nella ricca e scenografica New York, a proporre esercitazioni banali, allenamenti normali, semplicemente dedicati alle capacità reali dei bambini e ai loro bisogni, per far si che anche questi bimbi possano veramente GIOCARE A CALCIO!

Another time in New York

Again in New York!

Via, si riparte! Dopo sei giorni a casa, a seguito del viaggio in Congo, eccoci di nuovo per aria, alla volta di New York, dove torno dopo nemmeno tre mesi per dare ufficialmente il via al progetto; dove torno, come dicono alcuni amici per prendermi in giro (vero Se? Nano maledetto!),  per far giocare e divertire quei poveri e tristi bambini ancora in possesso solo dell'iphone 4! Scemi loro a dirmi così, ma...inter campus Manhattan non si può sentire! 
Vero, anche qui come in tutte le città del mondo, le nostre comprese, le zone povere, i bambini emarginati, la realtà defavorizzata, si incontrano sempre, si trovano sempre, anche senza troppa fatica, quindi anche da queste parti il nostro intervento è utile e ben voluto, ma passare dalla regione del Katanga alla città di New York in nemmeno 7 giorni mi fa notare con ancora maggior criticità il vuoto incolmabile esistente tra nord e sud del mondo, o est e ovest o...ci siamo capiti, tra primo e terzo mondo. E questo vuoto incolmabile mi rende di difficile comprensione la mia presenza qui. Nonostante tutto.
Devo essere sincero, non mi piacciono le bugie, e devo dire che essere qui non mi fa molto felice, non mi da grandi soddisfazioni: ok i bambini hanno comunque bisogno, ok è sempre una palla quella che si insegue, ok, non sono mica in vacanza per cui non posso certo scegliere dove andare, però...a me "non mi" garba questo lato del pianeta. Si, si, vado in campo come in tutto il resto del mondo, mi diverto come su tutti i campi del mondo, sto con i bambini come in qualunque altro posto del mondo, ma...se non ci fossi io, qui giocherebbero comunque? La mia presenza qui, fa la differenza nella loro vita? In Camerun, in Congo, in Uganda...in quel continente, senza inter campus, i nostri bambini sarebbero nei campi, per strada, non andrebbero a scuola, non avrebbero accesso a cure sanitarie e non giocherebbero con la frequenza e il divertimento che invece gli accompagna da quando hanno la maglia neroazzurra addosso, ma qui? Inter Campus fa la differenza?
Va be', ho una settimana di tempo per capirlo. Domani primo allenamento e vediamo un po

giovedì 20 febbraio 2014

Foto da Lubumbashi


Il Campo di Djamaietu


San Siro...congolese!


Ti amo, in lingua locale. Ricordo di una splendida campagna abbonamenti


Nel verde di Chawama



TROVA LE DIFFERENZE: IL CAMPO DI FOOTBALL FOR HOPE...


...IL CAMPO DI INTER CAMPUS, BAKANJA CENTRE!



I mister e i mattoni/cinesini di Gocongo


INTER E CALVA: UN LEGAME SEMPRE PIU' FORTE!


IL GRUPPO DELLA FARM


lunedì 17 febbraio 2014

Aeroporto di Lubumbashi

All'aeroporto!

Quando Polidore, il nostro accompagnatore, un omone di quasi due metri, dopo avermi chiesto l'orario di partenza dell'aereo, si è girato, ha afferrato il volante, ha scalato una marcia e ha premuto con decisione sull'acceleratore, ho capito che questa volta eravamo davvero in ritardo! Giá, perché l'africano non è mai in ritardo: il suo concetto di tempo, di orario, è sempre labile, molto elastico, adattabile alle personali esigenze, ai propri ritmi compassati e rilassati. "Ok, ci vediamo in mattinata", o ancora "nel pomeriggio al campo", sono orari di appuntamento piuttosto comuni a queste latitudini, che mi metterebbero in grave crisi: che significa in mattinata? Alle 9Alle 10? Prima? Dopo? Giá, ma io sono europeo, peggio ancora, lumbard! Qui, da queste parti, il tempo si dilata. Per questo vedere Polidore preoccupato per l'orario mi ha fatto capire che questa volta ce la siamo presa troppo con comodo! Zigzagando tra le macchine, con manovre a dir poco discutibili, ma comuni e accettate dai guidatori autoctoni (un po' meno dai bianchi, che vedi imprecare dentro i loro jeepponi) arriviamo in tempo record all'aeroporto...al girone dantesco per eccellenza! Gente da tutte le parti, urla, strattoni a destra e a sinistra, consegni le valige a uno, un altro ti controlla il bagaglio a mano, un altro ancora ti fa il check in per poi mandarti a pagare le tasse di uscita...un trambusto infinito, in mezzo a centinaia di altre persone, costrette, come noi, in questa enorme e disorganizzata situazione. Credo davvero sia l'aeroporto più disorganizzato del mondo, quello di Lubumbashi. E forse anche quello con più controlli in assoluto. Del tutto inutili, per nulla accurati, ma continui, l'ultimo dei quali ai piedi dell'aereo, poco prima dell'imbarco. Meno male che poi il volo è semplice...Lubumbashi-Ndola, Ndola- Addis Ababa, Addis Ababa- Roma, Roma-Milano! La prossima volta provo in monopattino: magari ci si mette meno!

domenica 16 febbraio 2014

GoCongo

GoCongo

GoCongo è una fattoria, una mega fattoria, posta nel bel mezzo della foresta che incombe sulla città, a circa un'ora di macchina dal centro, sempre che posti di blocco della polizia o check point militari vari non ti facciano perdere ulteriore tempo e ulteriori anni di vita, portandoti sui terreni strappati alla natura selvaggia e coltivati a mais, manioca, frumento dopo molto più tempo. Questa farm è gestita da due ragazzi iraniani, Noemi e Aziz, già incontrati nelle mie precedenti visite in Katanga, coi quali abbiamo deciso di collaborare, coinvolgendo i bambini della scuola della farm nel nostro progetto. Oggi, dunque, eccoci qui, con i nostri due mister e i nostri 50 bambini, dai 6 ai 14 anni, chi vestito inter e chi Calvairate, perché qui, come in nessun altro paese, il gemellaggio della calva con Inter campus è forte, fortissimo ed evidente. Ok, quindi, bambini ci sono, maglie e pantaloncini ci sono, no abbiamo portato 5 palloni, dividiamo i bambini in gruppi da allenare uno via l'altro, ma...cinesini, coni? Avete qualcosa, domando. Si, certo...due parole a un gruppo di bambini ed ecco una piccola processione portarmi dodici mattoni di terra, da utilizzare come cinesini! Dopo foglie di banana, sassi, scarpe e sedie, ecco il mattone aggiungersi alla lista degli oggetti riadattati alle esigenze inter campus! 
Ricapitoliamo: 12 mattoni, 5 palloni e 50 bambini, tra cui una decina di bambine, tutti di età varie: be', inter campus puro e vero, direi. Via allora: iniziamo la seduta! I nostri giovani calciatori volano, attenti e concentrati nell'eseguire i giochi proposti dai due bianchi, ma anche qui la scarsa abitudine al pensare crea ostacoli e limita l'intensità delle esercitazioni; in più, qui, emerge anche una certa, diffusa...pippaggine generale, con palloni calciati di punta a destra e a manca, o condotti con l'interno piede come se piovesse. E quest'ultima cosa mi fa sempre andare in confusione: come cazzo si fa a condurre un pallone con l'interno piede, se non per cambiare direzione? Oltre ad essere antiestetico, è anche scomodo, difficile, portare in avanti il pallone in questo modo: per quale cacchio di motivo è così diffuso su questo campo? Le bimbe sono maestre di questa nuova forma di conduzione: tutte storte, con le braccia rigide e chiuse all'interno, avanzano zoppicando trascinando a fatica il pallone in avanti. E allora suggerisci, correggi, proponi percorsi per indurre la corretta forma di conduzione, cercando poi di trasmettere le stesse cose ai mister, sperando la prossima volta di non assistere più a questa danza zoppicante su questo campo, nel bel mezzo del nulla!

venerdì 14 febbraio 2014

In campo a Bakanja

Terminato il rendez vous, lasciamo Alba, destinazione...un posto sperduto, nel mezzo del nulla, ma davvero nel nulla, dove la FIFA, con il progetto da lei sostenuto football for hope, ha costruito un piccolo centro, con campo a cinque in sintetico ed edificio con aule adiacente. Qui i bambini e le mamme vengono attirati dalla sfera cuoiuta e inseriti in programmi di alfabetizzazione o di scolarizzazione...mmm...mi sembra di conoscere questo modo di lavorare. Oltretutto sfruttando lo stesso attrezzo...Chissà dove l'ho sentito?
 Qui faccio conoscenza di Gerome, un ex calciatore del Mazembe, anche lui stroncato nel fiore della carriera da un infortunio (anche, perché se non esistessero gli infortuni nel calcio, l'80% delle persone con cui parlo sarebbe arrivata in serie A), che si occupa della parte tecnica del progetto, forma giovani allenatori e organizza le sessioni di allenamento: bel personaggio, Gerome, sorridente, positivo e affamato di calcio e di conoscenze relative a questa attività, nonostante l'età non sia più giovanissima. Insomma, un bell'esempio da tenere a mente. Da li ci spostiamo poco distante, dove la fondazione di una modella congolese, oggi in America, sostiene una mega scuola, super attrezzata e super sostenuta economicamente da grandi sponsor, per le bimbe del posto, spesso, in quanto donne, escluse da ogni possibilità di istruzione e di formazione in generale e qui, invece, al centro di un bel progetto. Bene, molto interessante, tutto bello, ma...ora viene il campo! Baganja, arriviamo!!!
45 giocatori ci attendono sul campo, tra cui 11 ragazze, e con 8 palloni in tutto e 24 cinesini riusciamo a dar forma a due buone sedute, una guidata da Lorenzo e una da me, che alla fine risulterà divertente, a giudicare dalle reazioni dei nostri giocatori, coinvolgente e con buone intensità, però...però son tanti gli interrogativi che nascono in me, al termine dell'allenamento, in relazione alle risposte avute dalla squadra, inerenti soprattutto gli aspetti cognitivi toccati con le esercitazioni e che tante difficoltà hanno creato. Cose semplici, a mio modo di vedere, elementari, che però hanno bloccato, indotto all'errore, rallentato l'agire dei ragazzi, come se non fossero abituati a pensare, come se non fossero mai stati allenati all'attenzione, al ragionamento, durante l'allenamento. E questa è stata quasi sempre una costante, in questi giorni: ciò che è emerso con maggior decisione è proprio uno scarso coinvolgimento, uno scarso allenamento dell'area cognitiva del giocatore, che ci ha portati a "sbattere" contro errori veramente elementari. Vanno come delle bestie, hanno una fisicità strabordante, ma se li fermi a pensare prima di agire, scateni il panico. Ecco allora un bell'obiettivo per l'immediato futuro: capito misters?

In viaggio verso Bakanja

Bakanja centre

E via, si riparte! Sveglia, circuito di forza made in prof, colazione e siamo pronti per un'altra giornata senza sosta, tutta d'un fiato, fino a sera. Prima di iniziare a girare per i campi, piccola sosta alla sede di Alba, dove abbiamo appuntamento con la mamma di Aguy...E chi cacchio è Aguy, direte voi, fedeli quindici lettori! Aguy è un bimbo che viveva a pochi chilometri nella foresta oltre Chawama, che un bel...be', mica tanto bel...che un giorno si è ritrovato coinvolto con la sua famiglia in un'incursione dei Mai-Mai, i quali, visto che la sua capanna era poco distante da un check point dei militari, pensando fossero parte anch'essi dell'esercito, hanno prima sparato alla sue gambe e poi dato fuoco alla casa, costringendo il bimbo a trovare la salvezza trascinandosi fuori dalla capanna in fiamme sulle braccia. Di li, una volta che i ribelli hanno abbandonato il villaggio, il piccolo congolese è stato d'urgenza trasportato in ospedale, non proprio vicinissimo, dove Gabriele l'ha conosciuto e, venuto a conoscenza della sua storia e del probabile destino con cui avrebbe dovuto fare i conti di li a poco, ha chiesto aiuto a Inter Campus per salvarlo, perché la sanità, da queste parti, non è esattamente di prim'ordine e Aguy stava rischiando l'amputazione della gamba ferita. Carlotta, il nostro presidente, decide allora di attivarsi, portare in Italia il bambino e farlo curare, tutto a sue spese...questo succedeva a Giugno 2013. Da allora il bambino è stato curato e ora cammina, seppur con l'ausilio di una stampella, parla italiano e si sta perfettamente rimettendo, pur lontano da casa. Oggi, quindi, prima di iniziare la nostra giornata, abbiamo incontrato sua mamma, cui Max, che spesso è andato dal bambino in ospedale, come tanti altri intercampisti, ha mostrato le foto del figliolo e ha raccontato un po' la situazione. Da buona africana, poche emozioni ha lasciato trasparire, anzi sembrava quasi distaccata nell'osservare il figlio su quei fogli di carta stampata, e ben presto ci ha lasciati, allontanandosi con il piccolo fagottino di due mesi legato sulla schiena, nella magnifica usanza africana: Carlotta... la bimba avuta due mesi fa.

Terminato il rendez vous, lasciamo Alba, destinazione...un posto sperduto, nel mezzo del nulla, ma davvero nel nulla, dove la FIFA, con il progetto da lei sostenuto football for hope, ha costruito un piccolo centro, con campo a cinque in sintetico ed edificio con aule adiacente. Qui i bambini e le mamme vengono attirati dalla sfera cuoiuta e inseriti in programmi di alfabetizzazione o di scolarizzazione...mmm...mi sembra di conoscere questo modo di lavorare. Oltretutto sfruttando lo stesso attrezzo...Chissà dove l'ho sentito?
 Qui faccio conoscenza di Gerome, un ex calciatore del Mazembe, anche lui stroncato nel fiore della carriera da un infortunio (anche, perché se non esistessero gli infortuni nel calcio, l'80% delle persone con cui parlo sarebbe arrivata in serie A), che si occupa della parte tecnica del progetto, forma giovani allenatori e organizza le sessioni di allenamento: bel personaggio, Gerome, sorridente, positivo e affamato di calcio e di conoscenze relative a questa attività, nonostante l'età non sia più giovanissima. Insomma, un bell'esempio da tenere a mente. Da li ci spostiamo poco distante, dove la fondazione di una modella congolese, oggi in America, sostiene una mega scuola, super attrezzata e super sostenuta economicamente da grandi sponsor, per le bimbe del posto, spesso, in quanto donne, escluse da ogni possibilità di istruzione e di formazione in generale e qui, invece, al centro di un bel progetto. Bene, molto interessante, tutto bello, ma...ora viene il campo! Baganja, arriviamo!!!

giovedì 13 febbraio 2014

Chawama

Chawama

La macchina...macchina? I quattro pezzi di lamiera, con un motore per muoverla, avanza a singhiozzo lungo la strada di terra rossa piena di buche stile grand canyon e pozze d'acqua che ricordano il lago del Segrino; abbiamo lasciato la città e l'asfalto ormai da una decina di minuti e ci stiamo inoltrando in quella che chiamano "brusse", ossia il bosco,  la foresta, per andare nella seconda cellula di Lubumbashi, Chawama, un posto sperduto nel mezzo del nulla, dove i padri salesiani insieme ad Alba hanno dato forma a una scuola e dove noi portiamo calcio, quando da sotto un mega baobab sbuca un militare che ci fa segno di accostare. Si avvicina alla macchina con la sua arma in bella mostra, i suoi occhi lucidi e il suo inconfondibile olezzo alcolico e inizia a fare domande in swaili e a frugare con gli occhi la macchina. Ci avevano avvertito che più si avanza nella foresta, più si trovano check point, sbarramenti, che difendono la città dai Mai-Ma,  che ogni tanto decidono di uscire dal loro verde nascondiglio per creare disordini, ma trovarmi fermo a uno di essi mi coglie comunque impreparato e, devo ammetterlo, mi spaventa un po'. Le armi sono una cosa che mi terrorizza e vederle in mano a quattro ragazzotti ubriachi alle dieci del mattino non fa che acuire questo mio disagio. Francois, il nostro autista, padre di Bismack, oggi giocatore degli Charlotte in NBA, e collaboratore di Gabriele, allunga subito 500franchi (un euro equivale a 1200 franchi, quindi una miseria) al piccoletto e i suoi lucidi occhi scrutatori subito si calmano, così come il suo volto si rilassa e l'atmosfera intorno cambia. Ci chiede dove andiamo, cosa facciamo e quasi giustifica la corruzione appena richiesta: fa caldo e noi qui abbiamo bisogno di una "soda" per rinfrescarci, un caffè al rientro serale in città, quindi ora che possiamo bere vi lasciamo passare. "C'est le Congo", ride Francois, con la sua corruzione diffusa, presente a ogni livello, epidemica in tutte le strade: militari, poliziotti, parcheggiatori, tutto si muove solo se l'ingranaggio viene unto con l'olio verde dei franchi. In questo periodo di tensioni, con rivolte e sommosse diffuse in tutto il paese, l'epidemia si propaga con maggior decisione, colpendo, come sempre succede, la gente dei villaggi, l'ultimo gradino della scala sociale, per i quali 500 fc tutte le volte che devono uscire dal villaggio per andare in città a vendere il carbone è una tassa esagerata, che toglie loro una fetta consistente del guadagno della giornata. Ma fermarmi e spiegarlo ai militari non mi è venuto in mente...

martedì 11 febbraio 2014

Lubumbashi 2014

Lubumbashi 2014

Credevo di non arrivare più e invece, dopo "sole" 18 ore di viaggio, da Milano ad Abbis Ababa, quindi Lubumbashi, eccomi già in campo. 
Tempo ne abbiamo poco, cinque giorno in tutto, poi ritornato da qui giusto una settimana a casa e dovrò ripartire: non possiamo permetterci di non sfruttare i pomeriggi per fare allenamenti e magari riposare! Meglio il campo, i bambini, la maglia neroazzurra e lei, tutto ciò intorno a cui ruotiamo: la palla! 
E così dopo nemmeno due ore dal nostro arrivo in Katanga, la regione del Congo dove ora ci troviamo, io e Lore siamo a Jama Yetu, con 20 ragazzi di età un po' troppo differenti per i miei gusti, a dar forma al nostro primo allenamento della missione. Il loro mister osserva e al termine della seduta scambiamo con lui qualche parola: il gruppo è troppo disomogeneo, non ritengo utile, anzi lo considero dannoso, far allenare bambini di 8 con adolescenti di 13 insieme, quindi vediamo insieme di modificare le cose, per venire meglio incontro alle esigenze dei bambini e rendere così gli allenamenti più adatti e divertenti per tutti. In più in campo sono tanti i limiti mostrati dai nostri bambini, in particolar modo cognitivi, con enormi difficoltà mostrate alla prima variante richiedente un minimo di riflessione, di pensiero e non solo un'azione, sintomo questo di scarsi allenamenti, di sedute poco stimolanti. Vanno allenati e noi dobbiamo in questi giorni preparare il loro mister per soddisfare queste esigenze, perché certo non è colpa sua: ha bisogno di essere formato, di conoscere le cose, per proporle. È bravo, ha voglia: va allenato anche lui! Domani Chawama e anche li mi aspetto le stesse difficoltà: i mister sanno "costruire" una seduta dal punto di vista della forma, ma non la sanno "riempire", non la sanno adattare ai giocatori che hanno di fronte, ai bambini coi quali stanno giocando, non riescono bene a stimolarli per accompagnarli nel loro percorso di sviluppo, motorio, cognitivo, emotivo, sociale. Bene, c'è da lavorare! E intensamente, anche. 
Ora confesso che dopo la doccia,un circuitino di forza nella mia stanza presso i padri salesiani di Don Bosco, la testa inizia a farsi pesante, gli occhi iniziano a sbattere frequentemente, ma bisogna aspettare ancora una buona mezz'ora prima dell'arrivo di Gabriele...e ho una fame super! Non ho fatto colazione e non ho mangiato a pranzo in aereo, pensando di aver tempo una volta sbarcato: sono in piedi con tre frutti di Guayava colti direttamente dall'albero presso la sede di Alba Onlus, nostro partner in questa avventura...insomma, HO FAME!!! Cerco di non pensarci, accompagnato nei miei pensieri da High Hopes, del Boss. 

Lubumbashi 2014

Fa un po' ridere trovarmi in un posto con le strade distrutte, case che cadono a pezzi, illuminazione che va e viene, niente rete telefonica, con grande gioia di Silvia e...internet! Be', papa