mercoledì 31 agosto 2016
martedì 30 agosto 2016
Hergla
HERGLA
E dodici! Ebbene si, siamo giunti a dodici con questa appena iniziata e già al terzo viaggio. Dodici cosa? Stagioni. Dodici stagioni sportive con addosso questa maglia, dodici stagioni a girare il mondo per proporre allenamenti e corsi di formazione a bambini e allenatori di ogni razza (ma si può parlare ancora di razze?), religione, genere e stato sociale, dodici stagioni su campi in terra, in sabbia, in erba, con buche o superbamente curati, su spazi rubati all’interno di favelas, o in stadi bellissimi, anche se tristemente vuoti e silenziosi; dodici stagioni cercando di far conoscere ai nostri vari amici il nostro metodo di lavoro e l’importanza centrale dello stesso nel percorso educativo, nello sviluppo completo, “ideale” della personalità del bambino, attraverso lo sport da noi più amato e per noi più “educativo” di tutti. Il calcio. Che invece ai più appare tutto, fuorché educativo, fuorché strumento per insegnare ad un bambino a stare con gli altri, a conoscere se stesso, a pensare e a vivere insieme agli altri con regole e ruoli da rispettare. Già, perché se parlo di calcio a tutti vengono in mente i grandi campioni, le macchine di lusso, le donne da sogno e i conti in banca senza limite agli zero e a pochi, se non a nessuno, salta alla mente un qualche pensiero legato all’educazione, alla crescita, allo sviluppo di bambini e bambine. Eppure…eppure è così e da dodici anni, viaggio dopo viaggio, mi rendo conto di quanto forte, quanto potente, sia effettivamente questo strumento, questo mezzo, ma anche, se non soprattutto, quanto potenziale di esso viene quotidianamente sprecato sui…campi del mondo. Anche i nostri, quelli italiani, se non sopratutto sui nostri, troppo ingombri di allenatori improvvisati capaci di urlare sguaiatamente dietro a bimbi piccolissimi per un errore tecnico, capaci di lamentarsi con tutti gli arbitri che incontrano, capaci di insultare (si, si, insultare. Visti e sentiti in prima persona) i loro piccoli giocatori, rei, a loro modo di vedere, di aver fatto loro perdere la partita e quindi il gusto di poter andare al bar del paese a raccontare del loro primato in classifica. Retorica, pura retorica, questa, alle orecchie dei più: tutti ormai si riempiono la bocche di parole come “educazione e calcio”, “il calcio come strumento di crescita”, “bisogna pensare solo allo sviluppo dei bambini”, ma quando poi li vedi all’opera tutto questo non rimane che un concetto astratto, espresso per ben figurare. La partita va solo vinta e non mi importa come. Che abbia la responsabilità di bambini di sei anni, o di quasi uomini di quattordici. Parole, soltanto parole. E nessuno fa nulla di più. Nessuno…quasi nessuno. C’è qualcuno che da vent’anni fa altro (inter campus), per mezzo di altri che da dodici girano il mondo.Meno male che ci sei, Inter Campus.
martedì 2 agosto 2016
lunedì 1 agosto 2016
Inter Campus all'ONU
Ci vuole del tempo per capire bene le cose, per far scemare le emozioni e comprendere meglio ciò che si è fatto e il valore, eventuale, delle azioni; è per questo che ci ho messo un po' a riprendere in mano il mio diario virtuale e scrivere, raccontare l'ultima, grande, esperienza inter campista. Ora, a distanza di un paio di giorni provo a riguardare indietro e a fissare su questi fogli ciò che è stato, magari per capire anche meglio io stesso le cose.
La sveglia suona un po' prima del solito, perché se io e Andre oggi vogliamo allenarci l'unico momento disponibile è questo, vista la fitta agenda degli impegni odierni. Fuori, pur essendo solo le 7, fa già caldissimo. Caldo e umido ci accompagnano per tutta la seduta, per tutte le ripetute, ma non ci abbattono anzi, forse per il pensiero fisso a ciò che succederà nel pomeriggio, le gambe girano alla grande e il menù scivola via senza intoppi. Sudato fradicio, ma soddisfatto per la fatica, rientro nel gelido hotel (gli americani sono dei ritardati: come cacchio si fa a tenere l'aria condizionata sparata a questo modo???), colazione nel solito stanzino (preferivo la sala dei giocatori, dove per errore ci siamo trovati a mangiare il primo giorno, guidati da Toldo) e via, pronti per il trasferimento. Direzione 760 United Nations Plaza, New York, NY 10017, USA, ossia Palazzo di vetro dell'Onu. Già, perché oggi saremo ospiti noi di inter campus coi nostri bambini, insieme alla squadra e a tutto lo staff, proprio li, in quel luogo ove tante decisioni fondamentali per il mondo vengono prese (o almeno, discusse...), dove nel bene o nel male tanta storia è passata. Pensa un po', io, qui presente per l’evento Inter at UN: The power of football to change the world, fostering the Sustainable development goals, dove come Inter Campus portiamo la nostra testimonianza di come sia stretta la relazione tra il mondo dello sport e i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) che le Nazioni Unite intendono completare entro il 2030. Cazzarola...l'Onu. Da piccolino pensavo di fare del calcio la mia vita, ma mai avrei immaginato che attraverso quella palla rotolante sarei arrivato fin qui! Certo, non io, Alberto Giacomini, noi, Inter Campus siamo arrivati fin qui, però seduto su quelle poltrone a sentir parlare dal palco della conferenza, mediata da Joe Colombano, il Vice Rappresentante Permanente per l’Italia, l'ambasciatore Inigo Lambertini, il Presidente dell’Inter Erick Thohir, Javier Zanetti e il responsabile ONU dei programmi per la gioventù Ahmed Alhendawi, al momento ci sono io, quindi...chi l'avrebbe detto. Ma l'emozione più grande è arrivata dopo, quando ci siamo trasferiti nella sala dell'assemblea generale, noi, con tutti i bambini. Li, dove veramente si discute, li dove tanti personaggi storici si sono succeduti, ora tocca a noi, anche solo passare, anche solo vedere, ma...tocca a noi. Ora mi sa che farò un tour tra tutti i miei prof del liceo a raccontare cosa sto combinando...
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