giovedì 26 gennaio 2017

Back to Italy

BACK TO ITALY
Quando dopo 22 ore di volo ti ritrovi in Italia con 2 gradi alle 11 del mattino al momento del tuo atterraggio; o quando nel pomeriggio, con ancora la terra rossa, viva, africana, incastrata (incollata, vorrai dire!!!) fra i tacchetti delle tue testimonial, ti tuffi in campo con i tuoi 2000, coperto da tre strati di maglie, guanti, scaldacollo e cappellino e riuscendo comunque a soffrire il freddo, ecco, è a quel punto, è in quei momenti che nella mia testa riprende a rimbalzare quell’urlo: al caldo, devi andare a vivere al caldo!!! Mi mancano già i calzoncini e la maglietta che solo ieri indossavo per fare la stessa cosa che ho appena fatto: allenare. Che palle impegnare mezz’ora tutti i giorni per vestirsi, uscire dallo spogliatoio e ricevere quello schiaffo in faccia unico, tipico, dell’aria fredda, puzzolente ed inquinata di Milano, per poi, a fine giornata, rientrare in questo stanzino con mani e piedi prossimi all’assideramento, la tosse, il raffreddore e così via. Che palle. Capisco bene che c’è gente che apprezza questa condizione (non so come possa, ma c’è gente così), ma io, ormai, non faccio più parte di quel genere e son convinto che anche Anna e Silvia vivrebbero meglio al caldo costante, ma…cacchio, Inter Campus è a Milano e senza Inter Campus non si può stare, quindi, per ora, ci si copre, si soffre ma si deve rimanere in ghiacciaia. Non si può stare senza Inter Campus perché tutte le volte che chiudo una missione e sull’aereo che mi riporta a casa rivedo le giornate, rianalizzo gli allenamenti proposti, la formazione con i mister e soprattutto ripenso ai volti dei bambini in reazione ai nostri giochi, alle nostre esercitazioni, sapendo da dove vengono, alcune delle loro storie e il loro cammino, la loro crescita, il loro percorso, tracciato da quella maglia neroazzurra e guidato dall’ong nostra partner locale, qui Alba onlus, che li segue quotidianamente, be’, tutte le volte che penso a queste cose, mi convinco che ci vorrebbero più inter campus ancora, più bambini coinvolti, più bambini aiutati attraverso lo sport a crescere e trovare la loro strada…normale. Magari anche in Italia, per iniziare a vivere lo sport in maniera un po’ diversa. Ma qui forse sto esagerando…

sabato 21 gennaio 2017

In campo a Chwama


Forse tra tutti i “miei” campi del mondo questo è il più affascinante, il più difficile, il “meno campo”, il più selvaggio, insomma, il più inter campus tra tutti. Certo, non va dimenticato quello di Cateura, in Paraguay, dentro la discarica municipale e sopra i rifiuti urbani; o quello di Garoua, in Camerun, a ridosso del deserto, ma dentro una sorta di oasi; o ancora quello nella salina in Romania, sotto terra, nel freddo indicibile. Insomma, sono tanti i campi “particolari” su cui i nostri bimbi giocano e su cui noi, quindi, diamo forma ai nostri allenamenti, ma quello di Chwama rimane il più…il più. Stop. Se no, gli altri, capiscono...(cit).

 Si trova alla periferia di Lubumbashi e lo si raggiunge dopo un viaggio di circa quaranta minuti, attraverso una strada tutta buche e sabbia, quando non piove, altrimenti tutta buche e acqua, che passa attraverso la savana, quella poca savana che ancora resiste, ai margini della città. Lungo questa strada, ai suoi lati, pressate da alberi di ogni tipo e erba altissima, si incontrano qua e la case in mattoni e capanne in paglia e fango, ai cui fianchi si possono scorgere piccoli orticelli per l’agricoltura di sussistenza di quella gente che ancora vive in campagna, seppur a ridosso della città. Il panorama intorno rimane più o meno immutato fin quando non si supera un piccolo ponte, sopra un altrettanto piccolo corso d’acqua e si oltrepassa un posto di blocco militare, installato non più di cinque anni fa, per bloccare l’avanzata verso la città di Lubumba delle milizie ribelli Mai-Mai, che ogni tanto creano disordini nei dintorni. Posto di blocco...oddio...un militare sgangherato con il suo AK47, con scarpe sbrindellate e la divisa che doveva appartenere a suo fratello maggiore, visto come gli cade sulle spalle, mezzo ubriaco già di prima mattina, che butta un occhio nella macchina e che spera, vista la presenza di tre bazungo (perchè mzungo è uno, ma se sono due, diventa bazungo, ho scoperto) a bordo, di riuscire a raccattare qualche franco. Capiti male, amico mio: se vuoi ti diamo una spilla dell'Inter, ma soldi qui non ne becchi! Abbiamo dei bimbi e degli allenatori che ci aspettano e quando gli nominiamo il campo di Chwama ci libera e ci lascia andare con un sorriso: conosce il campo e conosce il progetto ed è contento di ciò che stiamo combinando da quelle parti, per cui ci ringrazia e ci fa partire. A questo punto il panorama cambia: ora la natura è interrotta solo dalla strada, ma tutto intorno è un susseguirsi di alberi di ogni forma, altezza e dimensione, senza più "case" e uomini ad interromperla qua e la. Tutto verde e marrone intorno a noi, fino a quando, sulla sinistra, ecco apparire il nostro campo, con le sue porte regolamentari, i suoi termitai a segnalarne due angoli (termitai che sono in realtà due montagnette di tre metri!!!) e il suo edificio in mattoni che funge da magazzino, spogliatoio e sala riunioni, con la scritta "mina penda" in neroazzurro (ti amo, in swahili) sul lato lungo. Ma soprattutto con la sua folla di bambini in maglia neroazzurra, che grazie ad Alba Onlus che ha spianato (più o meno spianato...) il terreno e lo ha ripulito da erbe e radici varie, hanno a disposizione un campo dove giocare, non solo a calcio, e degli allenamenti fissi da seguire durante la settimana. Non sarà san siro, ma a me piace da matti questo campo!!!

martedì 17 gennaio 2017

I Campi di Lubumbashi

IN CAMPO A LUBUMBASHI


Giriamo i centri parte del progetto nel periodo in cui siamo qui, dedicandoci giorno dopo giorno ai vari Bakanja, Chwama, Djamajetu (chissà come si scrive), saltando questa volta Go Congo a causa del volo perso ad Amsterdam, ma inserendo un nuovo “campo” e conseguentemente nuovi 20 bambini, una squadra, portando a 150 i nostri “atleti” in questa parte di mondo. Con mia, nostra, grande sorpresa le cose qui stanno procedendo bene, gli allenatori stanno crescendo, hanno creato un bel gruppo di lavoro unito, coeso e, nonostante una permanente disorganizzazione di base, o meglio una certa permanenza africana nella loro organizzazione (orari molto, molto flessibili, gruppi esagerati in campo contemporaneamente, uso degli spazi…originale, materiale scarso e mal sfruttato) io e Lore ci rendiamo conto che la strada imboccata è quella giusta: il comportamento di tutti i bambini è incredibilmente migliorato, la loro partecipazione alla seduta è cresciuta, i gruppi si sono andati definendo sempre più proprio come gruppo e non come insieme di bambini e anche le loro abilità tecniche sono migliorate. Insomma, un sacco di indizi che ci hanno portato a capire che le cose qui stanno viaggiando nel verso giusto. Certo, le cose da migliorare sono tante, tantissime e la strada è ancora lunga, lunghissima, non siamo che all’inizio e i nostri mister hanno ancora tanto, tantissimo da fare, ma i segnali che abbiamo sono sempre positivi, per cui…avanti così. Va ammesso che ormai sono sei anni che veniamo anche in questa parte di Congo, oltre che a Kinshasa, però non sempre il tempo ci aiuta davvero a migliorare il nostro intervento, basti pensare al Brasile…lasa sta, va. Meglio pensare a qui. A qui e ai nostri vari allenatori, quali per esempio Magui, una ragazza che ha partecipato ai mondiali di atletica in Corea nel 2011, che incontrai a Macolin in occasione dello YLP con l'Onu e che segnalai a Gabriele di Alba quale possibile, valida ragazza da coinvolgere nel progetto: non mi sbagliavo. Anno dopo anno è cresciuta, migliorata e ora in campo è proprio brava, al punto che lo scorso anno ha collaborato con il Mazembe, la squadra locale paragonabile all'Inter per storia e tradizione, gestendo la squadra femminile. Insomma, una bella scoperta, un bell'investimento, che mi ha fatto finalmente capire a cosa servono i camp dell'Onu...Ora con lei e grazie a lei, oltre che a tutti gli altri Aguy, Jean, Charles detto Gollum (è identico!!! Mangia anche il pesce crudo!), Jean Luc e Lidia, i nostri bimbi hanno la possibilità di giocare almeno tre volte la settimana, seguiti da persone competenti e a loro completamente dedicate, cosa da non trascurare considerando questi lati del mondo. Fin qui tutto bene, dunque. Avanti così, adesso.

domenica 15 gennaio 2017

Finalmente arrivati

FINALMENTE LUBUMBASHI


Pensavo di non arrivare più! Dopo aver perso la coincidenza ad Amsterdam a causa del maltempo e la partenza posticipata di 24 ore, con conseguente giornata buttata a zonzo per la gelida cittadina olandese (da notare che, essendo diretto in Congo, con me avevo solo vestiti leggeri, quindi per riuscire a sopravvivere in giro per la città mi sono vestito a strati, con praticamente tutte le maglie che avevo nello zaino, indossate! E comunque mi sono congelato), siamo partiti dall’Europa dopo più di un’ora trascorsa seduti dentro l’aereo e, non contenti, arrivati finalmente a Nairobi dopo 9 ore di volo, siamo rimasti altre due ore fermi sulla pista ad aspettare di decollare! Infinito, un viaggio infinito. Quando poi il fato ci ha finalmente concesso di toccare il suolo congolese erano trascorse poco più di 48 ore da quando il viaggio era iniziato a Linate…48 ore! È stato sicuramente uno dei viaggi, se non il più devastante dei miei 12 anni di Inter Campus e all’arrivo a casa, nell’appartamentino bellissimo che ci ha trovato Gabriele per questa settimana, non ho potuto far altro che mettere la sveglia e buttarmi sul letto, ove sono crollato nel sonno nel giro di pochi minuti. Per fortuna al risveglio mi sono sentito bene, quasi riposato (ho detto quasi…) e pronto per la corsa che avevo in programma: nel momento in cui mi sono sdraiato ho pensato fra me e me, che forse questa volta la corsa potevo saltarla, ma per fortuna non ho ascoltato questo pessimo consiglio dettato dalla mia parte pigra, ma di dar retta al mio bisogno di sport, di attività, e quindi mi sono infilato le scarpe e sono uscito…per strada. Già, per strada: siamo alloggiati in una sorta di residence, inserito in un contesto ove si trovano anche una specie di centro commerciale e un lago artificiale, con annessa spighetta, sempre finta, e tutto questo è circondato da mura e controllato a vista da diverse guardie armate. Il perimetro di tutta questa struttura misura poco meno di un chilometro, per cui come un criceto sulla sua ruota, mi son messo a girare e rigirare intorno a questo edificio per circa 45 minuti, coprendo la distanza di dieci km ma iniziando a soffrire di claustrofobia!!! Che palle girare in tondo: sembravo un matto, un leone in gabbia, avanti e indietro lungo le salite e le discese di questo posto, chiamato La Plage. Ma di qui non si può uscire: le tensioni degli ultimi mesi hanno reso poco sicure le strade “la fuori”, soprattutto per un Mzungo come me, quindi…aspetto il mio torsolo di mela e risalgo volentieri sul mio ruotino!

giovedì 12 gennaio 2017

Sui campi italiani


È da un bel po’ che non riesco a scrivere due righe su questo mio foglio virtuale, un po’ perché ultimamente ho viaggiato meno di tutti e un po’ perché tutta una serie di vicende…“calcistiche” mi hanno un po’ infastidito, schifato, ultimamente, arrivando ad occupare con violenza la mia testa i miei pensieri, impedendomi così di riuscire a riportare su “carta”, seppur virtuale, ciò che vivo, ciò che faccio…sui campi del mondo. Ora, fermo ad Amsterdam da 24 ore a causa del maltempo e impossibilitato a raggiungere Lubumbashi, ho avuto modo, tempo, lontano dal quotidiano trambusto villasantino e dalla volontà di rimandare tutto per mantenermi sereno e pronto per le mie due splendide donne, di far lentamente defluire i miei pensieri, svuotando parzialmente la mia mente e lasciando spazio per i miei racconti di viaggio. Chiaramente quel lento deflusso di pensieri negativi su ciò che sta accadendomi intorno in questi ultimi mesi non potrà ora essere riportato, perché giugno e la fine della stagione sono ancora lontani, ma a tempo debito troverà spazio su questa pagina, vera valvola di sfogo per tutto ciò che riguarda il campo, i campi, per tutto ciò che riguarda la mia esperienza di mister. Una cosa però voglio scriverla, anche se non riguarda direttamente me e i miei viaggi, ma la condizione precaria del calcio giovanile: nel week end della befana sono stato insieme ai miei 2000 a Firenze per un torneo insieme ad altre 68 squadre di diverse categorie, dai 2008 in su, provenienti da diverse parti d’Italia. Nel corso dei giorni e delle partite ho avuto modo di incrociare, parlare, osservare, altri mister all’opera, con bimbi o adolescenti, e mi sono tristemente reso conto, una volta di più, che educazione non può essere calcio, tanto più quando si è in campo a giocare un torneo. Urla, bestemmie, insulti di ogni genere…lasciamo stare la qualità del gioco, passerei per fenomeno, ma i comportamenti dei più mi hanno proprio intristito: questi sono i mister, c’è poco da fare. Questo è quello che offrono le scuole calcio e ad un certo punto credo anche che questo è ciò che cercano, vogliono genitori, famiglie. Il più “bello” è stato un mister bergamasco di una squadra 2008: una bella squadra, con dei “bei bimbi”, uniti tra loro e appassionati, “grintosi” come piace dire ai geni del bar dello sport e attentissimi ad ogni parola, ad ogni gesto del loro mister, che nel corso dei 15 minuti che ho potuto osservare non è stato zitto un solo attimo, ha telecomandato i suoi piccoli “burattini” a suon di urla, richiami negativi e frasi mangiate perche ricche di parolacce e insulti di vario genere. “Ma cosa combini? Ma no, ora ti tolgo! Che scelta stupida farti giocare”, il must di quei minuti di gioco. ‘azz. 2008…torneo…calcio…educazione…non è possibile! ed eravamo a Coverciano, sui campi della nazionale, a casa della scuola allenatori, dove si formano  i mister e da dove sarebbe dovuto uscire qualcuno per fermare questo o quel mister, magari anche il sottoscritto, non lo escludo, impedendogli di continuare a praticare questo mestiere così importante eppure così poco considerato. Non tutti possono fare il professore, l’artigiano, il cuoco, non capisco perche invece tutti siano pronti per essere educatori/allenatori di bambini. Mah...w l'Italia.