martedì 28 febbraio 2017

Back to Uganda

UGANDA 2017
Toccata e fuga in Italia, sette giorni di numero, sufficienti appena per giocare un po’ con Anna e tornare a sentirne la mancanza, e rieccomi nel continente nero, accolto dalla ormai solita sberla di umidi…ma cacchio, non è vero. Questa volta al mio arrivo ad Entebbe ad accogliermi non c’è il caldo solito, l’umidità e quell’inconfondibile odore di Africa; questa volta al nostro arrivo c’è la pioggia. Un mega temporale con tanto di fulmini che rende l’aria fresca e piacevole, per lo meno a noi bianchi, che arriviamo dai 2 gradi mattutini di Milano e che comunque apprezziamo questa condizione, sicuramente migliore di quella da cui proveniamo. Alla gente attorno, però, non sembra far piacere ques’arietta frizzante: giacche, cappellini, chi sciarpa e guanti, tutti imbacuccati e infreddoliti da questi, almeno per mia percezione, piacevolissimi 16 gradi. Tutto è relativo, anche questa volta mi sembra chiaro.
Accolti quindi da questa nuova e quasi insolita condizione climatica, grazie alle migliorie apportate all’aeroporto (a confermare quanto scrivevo in occasione dell’ultimo viaggio in camerun: gli aeroporti africani stanno, quasi tutti, adeguandosi per quanto riescono agli standard europei, viaggio dopo viaggio, rendendo più facile la vita a noi mzungo, anzi bazungo, al plurale) perdiamo pochissimo tempo in attesa dei bagagli e altrettanto velocemente sbrighiamo le pratiche burocratiche (qui il visto lo fai direttamente all’immigrazione, senza troppe corse in ambasciata e giorni buttati a Roma. Paghi 50$ e sei in Uganda!) prima di uscire e trovare i nostri amici a salutarci: Michael, Fred, Miss Josephine e il nostro autista, Hussein, col loro sorriso color latte di cocco nella buia notte di Entebbe, sono i primi che scorgiamo tra la folla non appena fuori dall’aeroporto. Che bello tutte le volte…tornare a casa! È come rivedere vecchi amici, anzi, sono ormai vecchi amici: come sta Silvia, come sta la baby munga, Anna, come vanno le cose a Milano…e tu, tua moglie, Mike, i tuoi figli, Fred…è esattamente come quando, dopo un po’ di tempo, mi rivedo col Mighe, piuttosto che con Zazzà, o con altri amici coi quali riesco a rincontrarmi saltuariamente. E il nostro incontro fisso cade ogni sei mesi, qui, sui nostri campi. 



lunedì 20 febbraio 2017

Ultimo giorno camerunese

L'ultima giornata su questi campi del mondo è sempre la più intensa e sfiancante, visto che, avendo l'aereo solo in serata, condensiamo più impegni insieme, incastrati con la perfezione tipica di Francis, il camerunese atipico per eccellenza, e l'intensità giusta per condurci sul volo di ritorno sufficientemente stravolti per crollare sui sedili quasi svenuti.
Giornata piena, quindi, che prende il via molto presto per trasferirci a Yaounde e andare in visita di cortesia dall'ambasciatore italiano, anzi ambasciatrice, in Camerun, non prima però di un passaggio al mercato dell'artigianato, tappa fissa di ogni viaggio, non tanto per acquistare qualche cosa, almeno io, ma perché mi diverto sempre un sacco a parlare con i vari venditori, sentire cosa vogliono "offrirmi" e sopratutto sentire un po' le loro storie e conoscere un pezzo delle loro vite. Spesso questa mia curiosità si infrange sullo spirito commerciale di questi ragazzi, che mi parlano, si avvicinano solo perché mi vedono come un gonfio portafogli europeo, pieno di eurini da prelevare, ma quando si accorgono che da me riusciranno ad ottenere quasi nulla, si allontanano, soffocando la mia curiosità. Spesso, però, non sempre e questa volta infatti la mia nuova conoscenza, Diomede, giovane artista del posto, tifoso juventino (disgraziato maledetto), affascinato dai viaggi, dall'Europa e innamorato del suo paese, seppur dispiaciuto per come è sfruttato, mangiato, dai suoi stessi concittadini, non mi pressa per spingermi ad acquistare maschere o cavatappi a forma di coccodrillo, o batik di ogni forma e dimensione; no, Diomede non è interessato a quello, ma vuole solo parlarmi,  scambiare due parole con me, sentire un po' come funziona la mia vita europea e raccontarmi la sua. Cacchio, così si che mi diverto. Come quella volta che conobbi Serge, musicista del posto, che attraverso la musica attirava, spero attiri ancora, i bambini che vivono per strada a Yaounde, per poi indirizzarli alla casa dei salesiani, o ad altre missioni, capaci di aiutarli e provare a dar loro un futuro. Sono rari questi "venditori di storie" e non di cianfrusaglie, ma quando li trovo è sempre divertente. 

giovedì 16 febbraio 2017

Il corso

I CAMPI DI AKONO


Akono è un piccolo villaggio a circa sessanta chilometri da Yaounde dove…non c’è nulla. Ma nulla davvero. Casette, capanne, baracche, sono costruite ai bordi dell’unica  strada asfaltata che passa di qui e che porta a Kribi (in realtà la strada è asfaltata fino ad un certo punto, poi “cade” nella foresta e diventa un sentiero rosso e sconnesso, che attraversa la foresta e costringe i viaggiatori diretti al mare ad una deviazione capace di rendere il cammino che sarebbe di poco più di 150 chilometri, una odissea di oltre trecento cinquanta!), per lo più tutte arroccate intorno alla cattedrale, vero “centro” del paese e unica alternativa al "villaggio olimpico"che ci ospita in questi giorni e che sorge alle spalle dell’edificio religioso.

Ora, vediamo di contestualizzare il "villaggio olimpico": grandi, grandissimi spazi verdi delimitati da calce bianca, con porte e bandierine, o canestri scalcinati e senza retine, tutti circondati da alberi di ogni forma, altezza e colore, con qua e la delle casette, delle aule, dei piccoli edifici, che fungono da alloggio per gli atleti, o da scuola per i bambini del posto e, in questi giorni, per i nostri allenatori coinvolti nella formazione. Già, perché in una di queste classi diamo vita al nostro corso, dedicato questa volta a solo (solo, perchè normalmente in classe mi ritrovo con quaranta, cinquanta misters!) quattordici mister pre selezionati tra quelli che hanno già frequentato precedentemente la nostra formazione e che hanno superato il test che ho fatto loro svolgere a metà gennaio, grazie all'impegno sul posto del solito Francis. Quattordici allenatori, dunque, da portare ad un più alto livello, puntando soprattutto sulla parte pratica, perché qui, più che da altre parti, teoria e pratica rimangono distanti e “nemici”: spesso teoricamente, a parole, i coach risultano super preparati, poi, una volta in campo, con dei bimbi da gestire...un po' meno! File uniche e infinite, bimbi di sei anni che giocano insieme a bimbi di dodici, fischietto in bocca, urla e strepiti ad ogni errore: tutto ciò che vediamo normalmente anche in Italia, ma che con la maglia neroazzura addosso non può accadere. E allora via, si parte: iniziamo il nostro lavoro e vediamo cosa riusciamo a combinare. Tema della formazione: l'insegnamento del gesto tecnico, per crescere e educare il bambino. Vediamo...




mercoledì 15 febbraio 2017

Sulle strade di Akono

14 km SELVAGGI
Finito allenamento coi bimbi tocca a me divertirmi, seppur faticando: dopo la giornata tra aula e campo, se voglio pensare di raggiungere il traguardo a Gerusalemme tra poco più di un mese, ho un programma da rispettare, delle corse da fare, quindi rientro in hotel, mi cambio e…fuori. Già, ma dove vado? Il villaggio dove siamo alloggiati non ha nulla: è un ammasso di casette, baracche in legno, capanne in terra, costruite a ridosso della strada, intorno alla cattedrale e con la foresta che incombe alle spalle. Non appena abbandoni la strada asfaltata ti ritrovi su terra rossa, rossissima e erba, alberi, piante di ogni tipo, forma, altezza, dimensione. Quindi…dove cacchio corro per i 14 km previsti??? 

Non mi interessa, non ora: si va, si parte. Seguo quindi la strada asfaltata, lungo i suoi ripidi e continui saliscendi, salutandola di tanto in tanto per avventurarmi lungo percorsi secondari, in terra, che entrano ed escono dalla foresta circostante, che hanno preso forma nel tempo solo per il continuo passare nello stesso punto della gente, diretta verso altri villaggi, o verso le proprie “case”, interne, nascoste…periferiche. E vado, vado, con bimbi che mi salutano qua e la, che si tolgono le ciabatte mezze rotte e mi accompagnano per brevi, o lunghi tratti, guardando attorno a me la natura che preme sulle case, sull’asfalto, sul mio cammino, alzando lo sguardo al cielo per osservare l’azzurro che lentamente sta diventando blu e la luna che sta prendendosi progressivamente il palcoscenico, con la sua quasi pienezza. Che spettacolo! Che corsa! 14 km di medio, continuo, tra sali e scendi, in un ambiente unico, passando in mezzo a gente che ancora adesso si starà chiedendo chi fosse quel pazzo bianco incrociato oggi e trascurando quasi totalmente il mio garmin, i miei tempi, le mie medie, il mio battito. Che corsa! Meglio ancora dell’Uganda, perché li sono costretto a stare sulla strada, con boda-boda e matatu in continuo passaggio e i loro conseguenti fumi a farmi da compagni di viaggio. Qui no! La strada è praticamente deserta e le vie laterali, a volte parallele, sono stupende!!! Domani ripetute, spero con lo stesso spirito a dominare la mia testa! 

martedì 14 febbraio 2017

Viaggio nel tempo

CAMERUN, SEMPRE IL SOLITO CAMERUN
Anno dopo anno, missione dopo missione, in quasi tutti i Paesi che fanno parte del circuito Inter Campus ho avuto modo di imbattermi ogni volta in qualche cambiamento, in qualche miglioramento, anche solo per quanto riguarda le infrastrutture o il semplice aeroporto. Anzi, il più delle volte, solo per quanto riguarda queste cose, ahi noi.
Il Congo, in particolare Kinshasa, è l’esempio che mi viene più facile da citare: dal 2011, anno della prima visita, quando la strada che porta dall’aeroporto alla città era tutta di terra e sassi, buche e pietre che spuntavano qua e la; o quando appena sbarcati dall’aereo dovevi raggiungere la sala per il controllo passaporti a piedi, attraversando la pista camminando e, una volta dentro, venivi catapultato in una sorta di inferno dantesco, con un caldo pazzesco ad accoglierti e gente da tutte le parti che ti chiedeva il passaporto, o si proponeva per ritirarti i bagagli e accompagnarti chissà dove; o ancora quando nella sala dove riconsegnavano le valige scorgevi uomini a cavalcioni di zaini e scatoloni vari, lanciare letteralmente le borse dei vari passeggeri, fra grida e spintoni di ogni tipo (giuro, non sto esagerando: Lore può confermare, mio compagno in quei primi viaggi). Oggi invece i cinesi hanno rifatto le strade e per arrivare in città, seppur nel traffico caotico e selvaggio di Kinshasa, si viaggia su di una sorta di superstrada a tre corsie, asfaltata e in alcuni tratti, pochi, addirittura illuminata; sono comparsi i bus, come in tutti gli altri aeroporti del mondo, con anche aria condizionata nelle sale e polizia a tener fuori curiosi e casinisti vari (e a chiederti la mancia per evitare che ti fermino). Insomma, le cose sono cambiate a Kin, così come a Luanda, notevolmente cresciuta sotto questo punto di vista, migliorata nelle strade (quelle grandi e percorribili dai più, non certo quelle della Lixeira) e nello stesso aeroporto,  eppure qui, il Camerun, è rimasto al palo. Qui il tempo sembra essersi arrestato, le cose sono ferme agli anni ottanta, o almeno così sembra: hotel in progressiva “decomposizione”, strade sempre più rovinate, aeroporto in lenta decadenza e nessuno sembra far nulla. Nessuno si preoccupa, a dire il vero: tutti tranquilli, sempre calmi, beati nella loro condizione “sospesa nel tempo”, i camerunesi non sembrano per nulla interessati a questa cosa. Seduti a giocare a domino, spesso pieni di birra, aspettano…chissà cosa, chissà chi.

lunedì 13 febbraio 2017

Les liones indomptables!!!

YAOUNDE 2017
Il Camerun è campione d’Africa!!! Dopo 15 anni (2002 l’ultima vittoria) i Leoni sono tornati a casa dal Gambia con il trofeo continentale e al nostro atterraggio i segni del loro passaggio sono ancora evidenti: poco prima di noi, infatti, una folla di più di cinquemila persone ha invaso l’aeroporto per portare in trionfo i giocatori e ora sta paralizzando la città con caroselli, balli e canti per tutta la capitale e…Francis ne sa qualcosa! Il nostro fedele compagno camerunese è bloccato da più di un’ora nella strada che da casa sua porta qui, una strada che normalmente si percorre in meno di mezz’ora, ma che oggi risulta essere non percorribile per via dei suoi concittadini festanti e che quindi lo intrappola, fermo nello stesso punto, senza possibilità di avanzamento. Prima o poi si libererà della folla e arriverà, quindi mettiamoci comodi e aspettiamo. C’est l’afrique, inutile arrabbiarsi e perdere energie: quando arriva, arriva. Decidiamo così di uscire dalla sala di attesa e sederci su di una della panchine poste nel parcheggio dell’aeroporto per aspettarlo. Deja vu: un paio di anni fa, all’arrivo sempre qui, al Nsilimanen aeroport, col Pihardi come compagno di viaggio, oltre al classico Max, Francis ebbe un problema con la macchina che ci accompagnò poi durante tutto il viaggio, e rimanemmo, esattamente come ora, un’ora buona, seduti (loro, io in piedi: dopo 7 ore di viaggio i miei flessori hanno bisogno di essere allungati!!!) proprio su questa panchina, in attesa di iniziare l’avventura. Come dice spesso Silvia “che razza di abitudinario, che sei!”. Anche la stessa panchina, vado a cercare…
Quando dopo poco più di un’ora arriva Francis può finalmente e veramente prendere il via la nostra nuova avventura, destinazione Akono, ma non prima di aver fatto sosta alla “maison Italia”, casa di Francis, per il tradizionale poule d.g. con plantain e ananas finale, oltre all’immancabile bottiglia di arachidi per il sottoscritto! A stomaco pieno si vive molto meglio, tanto che nonostante siamo in piedi dalle 6 (qui sono ormai le 23), il viaggio di un’ora verso la nostra destinazione scivola via facile, nel buio unico africano, lungo la strada deserta, che taglia in due la foresta. All’arrivo all’hotel, però, ci attende una sorpresa: tutta la città è senza corrente, per cui a tastoni, illuminati dagli schermi dei telefonini, o dalle torce in essi contenute, riusciamo a muoverci con qualche difficoltà per entrare in camera e, nel caldo afoso delle stanze, dopo una veloce doccia fredda, senza possibilità di asciugarmi per via della mancanza di asciugamani, crollare esausti tra le braccia di Morfeo. Domani si comincia.