giovedì 29 settembre 2016

Altre foto Iraniane



Non siamo nemmeno tanti...



Magari fosse vero!!! Maglia numero 6.



Grazie, Graziella e...


Non sono presidente, ma rimango operaio.



La consegna della maglia è sempre un momento unico per i bambini del mondo. Per lui forse ancor più unico: sordomuto, famiglia...in difficoltà, ricevere la maglia neroazzurra e potersi allenare sono due cose ora fondamentali. 

martedì 27 settembre 2016

Foto dalla Persia



Abbigliamento iraniano...





Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio, dice il saggio. E allora via, cultura iraniana

mercoledì 21 settembre 2016

In campo a Tehran

L'accoglienza, l'ospitalità, la gentilezza, la disponibilità di tutte le persone con cui abbiamo a che fare è quasi imbarazzante e giorno dopo giorno, crescendo il rapporto tra noi, aumenta in maniera esponenziale, facendo rimbalzare nella mia testa il solito quesito che sorge in me, quando mi rapporto a gente così gentile: io farei lo stesso? Se loro fossero da me, in Italia, sarei in grado, come loro, di mettermi così completamente a loro disposizione, al loro servizio? Qui in Iran è particolare la loro gentilezza, ma pensando a Chicco in Tunisia, a Francis in Camerun, ai ragazzi di Nagallama e a mille altri posti dipinti di neroazzurro, mi rendo conto che...è contagiosa questa gentilezza, è quasi un marchio di fabbrica Inter campus! Come marchio di fabbrica di Inter Campus è il casino iniziale, la confusione totale e la difficoltà con cui dobbiamo fare i conti aprendo un progetto, per cercare di portare sulla nostra via, sulla nostra strada, allenatori e bimbi. Lo dico sempre e lo penso sinceramente: non credo che il nostro metodo sia la panacea di tutti i mali, non credo che il nostro metodo sia il migliore di tutti e non credo nemmeno, veramente, che quelli incontrati, conosciuti nel corso di questi anni di esperienze siano "sbagiati"; però mi rendo conto che ciò che noi proponiamo in giro, sui campi del mondo, stia dando frutti, stia portando vantaggi a tutti i bambini, però...che difficoltà condividerlo! E non è una questione di lingua. I traduttori (perché il farsi ancora mi manca) sono stati bravissimi questa volta, ma, soprattutto quando si parte da una base come quella di Tehran, gli ostacoli da superare ci appaiono insormontabili. Gruppi da 75 bambini (si, si, 75), seguiti da un mister, capace di proporre diverse esercitazioni, con diversi obiettivi, mantenendo buone intensità e buon coinvolgimento, ma, ovviamente, senza mai riuscire a correggere, a seguire, a creare rapporto con i propri bimbi. E questo è ciò che invece vogliamo noi, è la base del nostro metodo. Quindi...si cambia. O almeno si prova. Si mostrano allenamenti strutturati con gruppi di numero inferiore, esercitazioni legate sempre allo stesso obiettivo, atteggiamento positivo del mister, vicino ai ragazzi e propositivo; quindi si parla con loro, gli allenatori, si discute con loro del nostro modo di lavorare, di come applicarlo, di ciò che può portare di positivo nello sviluppo del bambino, ci si ferma ad osservare direttamente sul campo, nel corso della seduta, ciò che si sta dicendo...ma poi, quando tocca a loro fare allenamento, rieccoci con i mega gruppi. Allora si prende da parte un mister, gli si fa notare ciò che non va, secondo la nostra idea, della seduta, proprio mentre questa si sta svolgendo; si ferma il tutto, si riorganizza il gruppo e si propone una "nostra" esercitazione, stimolando il mister ad osservare, a notare le differenza tra "il prima e il dopo", si parla con loro, si affrontano temi legati all'educazione, alla crescita e...si spera che almeno qualcosa sia rimasto nella loro testa. Almeno i volti sorridenti, la postura aperta, il coinvolgimento totale di tutti. In modo che inizino in questi sei mesi a cambiare, a riorganizzare le cose e passo dopo passo, provare a fargli fare il cambio, aiutandoli da casa (per quanto possibile, viste le difficoltà che hanno con l'accesso a internet) mandandogli esercitazioni, allenamenti, proposte, consigli. Come facciamo in tutto il mondo. E tra sei mesi ci si rivede. Sperando di non vedere più gruppi da 75 bambini...

lunedì 19 settembre 2016

Un Paese in cambiamento

Se ieri mi lamentavo per l'obbligo di indossare pantaloni lunghi in pubblico e per il conseguente fastidio provato quando mi ritrovo costretto a correre con delle braghe lunghe e attillate, che cascano costantemente e mi fanno sudare il doppio dei miei già copiosi standard, non ho fatto cenno ad un'altra cosa per me stranissima, che vivo sempre da queste parti: il fatto che non ho ancora visto uno spogliatoio come lo intendo io, con giocatori, o allenatori, che si cambiano insieme, che si mostrano senza timori senza maglia o nudi, pronti per fare la doccia; insomma, che vivono serenamente il proprio corpo e che condividono con cameratismo tipico degli sportivi quelle quattro, solitamente sudice, mura. Si cambiano di nascosto, velocemente, senza farsi notare; non ho mai visto un mister senza maglia, non li ho mai visti docciarsi post seduta, non li ho mai visti in mutande, seduti sulla panchina, parlare dell'allenamento...per me, per come tutti gli sportivi del mondo, cambiarsi al campo, prima di iniziare la seduta di allenamento, è un rito, un momento condiviso con altri mister, quasi necessario, composto da una serie di gesti che mi, ci, permettono di entrare con la testa nella seduta: mi allaccio l'orologio (che fuori dal campo nemmeno indosso), metto le scarpe da calcio, mi cambio per lo meno la maglia, tiro su i calzettoni, conto i cinesini...un rito, ormai classico, visti i tanti anni fin qui trascorsi in campo, che prende forma sempre, insieme al mio compagno di viaggio, con i compagni di squadra,  qualunque sia lo spogliatoio (una baracca, un albero di mango che crea ombra, l'aula di una scuola, il retro della macchina: ogni luogo è valido, ma non entro mai in campo senza), che su questi campi del mondo non ho ancora vissuto. O meglio, l'ho vissuto, ma sotto lo sguardo quasi spaventato degli altri, che mi fissano sempre come se stessi compiendo chissà quale oscenità. Poi non mi dicono mai nulla, ma colgo il loro imbarazzo, il loro disagio. Mi spiace per voi  allenatori, (مربی, come scrivete voi), ma io passo più tempo nudo che vestito in spogliatoio o in camera, chiedete ai vari Gabri, Juri, Lore, Robi... ci provo, ma mi viene difficile nascondermi. 

A lato di queste situazioni per noi stranissime, devo però sottolineare come comunque il paese stia cambiando, si stia aprendo, soprattutto per quel che riguarda la condizione delle donne. In questi giorni con Max, che ha molta più esperienza di viaggi di me in questo lato di mondo, notavo alcune cose per noi normalissime, ma che contestualizzate a questa realtà, rappresentano vere e proprie rivoluzioni, conquiste, vittorie. 

Oggi, ad esempio, dopo allenamento stavamo rientrando a casa in macchina, come sempre bloccati nel costante traffico di Tehran (c'è sempre traffico, incredibile! Anche all'una di notte. Sul serio: sempre!) e in strada con noi abbiamo notato auto guidate da donne, ma soprattutto ragazze in motorino, passeggere su moto da strada, col velo, chiaramente, ma con il golfino svolazzante per via del vento, i capelli in mostra, seppur parzialmente coperti, caviglie nude per la postura cui erano costrette. Insomma, una rivoluzione! Una conquista incredibile. Impensabile anche solo quattro anni fa. E parlando con le persone, sono tanti i cambiamenti in corso e in procinto di realizzarsi, che permetteranno alle donne di ottenere qualche libertà in più, per noi date per scontate, ci mancherebbe, ma veri successi vivendo in alcuni Paesi. 

domenica 18 settembre 2016

A gambe coperte

TEHRAN 2 secondo giorno


Terminato l’afterhours in campo, con doppia sessione, dalle 9 alle 13, senza sosta (bella vita che fai…mi riecheggia sempre nell’orecchio), con una parte dei nostri 150 bambini locali (figli di profughi afghani, legati all’associazione Popli Khalatbari) e conclusa la riunione con gli allenatori, decidiamo di muoverci tutti insieme “nel miglior ristorante di kebab di tehran”, millantano, ma…abbiamo i calzoncini corti! "Non avete la tuta lunga", ci domandano un po’ preoccupati. Cacchio, no, dovevo fare allenamento: qui posso usare i pantaloncini! Chi ci pensava al fatto che saremmo potuti uscire per strada dove certo non possiamo mostrare le nostre nude e impudiche gambe. Quindi? Be’, alzate i calzettoni, ci suggeriscono…non male. Due provetti Nureyev in giro per la città, con gli occhi della gente addosso, incuriositi e alcuni infastiditi nell’osservare due arroganti occidentali che osano abbigliarsi a loro piacimento a casa di altri. Assurdo. E ancora più assurdo quando oggi siamo andati in un caffè per un pranzo veloce e leggero e, poiché noi due ritardati ancora non ci eravamo preparati, portandoci i calzoni lunghi, non volevano farci sedere! Sempre per il solito motivo: le gambe nude. Abbiamo allora rimediato come ormai  consuetudine con i calzettoni alti alla TT Henry, ottenendo di entrare, ma…fatti accomodare in un angolo del locale, di modo da non essere troppo visibili, perché la “polizia morale” potrebbe fare storie. Per fortuna Leila, la nostra referente locale, è una iraniana “moderna” e ci porta nel tavolo centrale senza troppe storie, chiedendoci solo di tenere alti i calzettoni, ma la gente intorno non sembra tanto d’accordo: sono tanti quelli che ci fissano in malo modo, tra lo spaventato e l’infastidito. Uomini, donne, anche ragazzi. Davvero incredibile. E dire che mi sembrava così cambiato il Paese l’ultima volta, più aperto, più tollerante. Invece in questi giorni sono stato smentito. Certo, gli sguardi potevano anche essere di compatimento, perché con quei calzettoni tirati sopra il ginocchio sembravamo proprio due babbazzi, però i loro occhi mi sembravano più accusatori che altro. Peccato. Per loro e per noi. Per loro perché certo non deve essere facile vivere in un simile contesto, per quanto sicuramente abituati, ma per noi perché…cacchio, col caldo che fa i calzoni lunghi sono una pena!!! Anche per correre, per allenarmi con Robi, sono stato costretto a infilarmeli, sacrificando i miei tanto amati pantaloncini da corsa, sudando così il doppio del normale, che già non è poco, ma soprattutto lottando tutto il tempo con il cavallo dei pantaloni, visto che sono super attillati e le mie gambone non si trovano tanto bene al loro interno!!! Che fastidio!!!Be’, domani nello zaino metto anche i pantaloni lunghi, promesso. Basta danzare per strada.

sabato 17 settembre 2016

Ritorno in Persia

TEHRAN
Si balla, eccome se si balla. Sull’aereo del big jim sul quale ci siamo imbarcati a Istanbul per dirigerci nella capitale della repubblica islamica, le turbolenze si sentono con forza. E si balla più che ad un concerto punk. Con la stessa violenza, però.Per fortuna il viaggio è breve, tant’è che dopo nemmeno tre ore siamo pronti all’atterraggio…ballerino! Che fifa. Nonostante le luci dell’immensa città che si estende sotto di noi rendano affascinante il nostro avvicinamento a terra, i continui “balzelli”, gli scossoni, ma soprattutto la vista delle ali fuori dal finestrino che si muovono senza piegarsi, fortunatamente, su e giù, sotto la forza del vento, delle correnti che stiamo attraversando, scendendo attraverso i nuvoloni neri che circondano Tehran, non nascondo mi abbiano non poco spaventato e il sudore che scorre a rigoli sulla mia schiena ne è testimone. “Tutto bene, viaggio tranquillo”, sono chiaramente le prime parole pronunciate toccato, gioendo internamente, il suolo iraniano, ma in realtà queste ultime tre ore, pur trascorse rapidamente, non son state propriamente piacevoli. Ma va bene così. Ora ci siamo. Sani, salvi e pronti tutti e tre, io Robi e Max, alla missione. Già perché dopo i cinque anni di stop, il check di maggio, eccoci ora qui a dare il via alle danze: domani (vaffanculo, alle 7:30 ci vengono a prendere! Siamo atterrati a mezzanotte, ora che siamo arrivati in hotel, da dove ora sto scrivendo, sono arrivate le due, ore 6:40 sveglia…anche senza Anna, si dorme pochissimo anche questa notte!) saremo in campo coi nostri bambini, 150, i nostri mister, 3, per dar forma noi alle sedute di allenamento, iniziando così a mostrare il nostro metodo di lavoro, così distante, così diametralmente diverso, dal loro. Già, perché qui i bimbi, per lo più profughi afgani, seguiti dalla fondazione Leila, che da' loro la possibilità di andare a scuola e di praticare sport, sono abituati a scendere in campo in 75 alla volta, seguiti da un solo mister…be’, si, direi che siamo un po’ distanti come metodo di lavoro. Da domani si inizia a cambiare.