domenica 10 dicembre 2023

Hong Kong parte seconda

 Il tempo corre, non scorre, e solo ogni tanto si acquisisce la consapevolezza, ci si rende conto che ci è scivolato dalle mani: abbiamo riempito talmente tanto le giornate, le settimane, di impegni, attività, momenti fitti, che nemmeno ci ricordiamo bene cosa abbiamo fatto, cosa abbiamo vissuto. E da questa trappola è difficile, a volte impossibile, uscire, tanto che mi ritrovo oggi su questo aereo a cercare di fissare su carta virtuale gli accadimenti di questi ultimi giorni con il fermo obiettivo…di viverli!
Dell’Etiopia, dell’avventura a Dire Dawa un po’ ho fissato i ricordi, l’operazione poi, il Laos mancato poiché stampellato e ora Hong Kong, 4 giorni che mi sembrano 10, considerando la durata infinita delle giornate. Ma erano troppe le cose in ballo, troppi gli impegni da onorare, che altro non si sarebbe potuto fare. E devo però dire che ne è valsa la pena.
Il campo l’ultimo giorno è stato un piacevole, piacevolissimo, successo e ancora una volta giocare con tutti quei bambini spiegando loro esercizi, correggendo i loro goffi gesti tecnici, incitandoli e gasandoli dopo un gol o una bella azione, il tutto in una lingua sconosciuta ai più, ma assolutamente comprensibile a noi e utile allo scopo (loro parlano cinese, io per nulla. Io parlo inglese, loro per nulla. E allora via, con gesti, mimi, sorrisi e parole italiane che diventano dizionario comune), mi ha regalato grandissime emozioni. Ancor più speciali del solito su questi campi, perché con noi hanno giocato quasi 150 bambini con disabilità intellettive e la sfida è stata ancor più complessa.
Chi saltava senza sosta, chi si chiudeva a uovo ogni volta che mi giravo verso di lui dondolando avanti e indietro, chi continuava a urlare versi senza senso…quando tutti questi bambini sono arrivati al campo questa è stata una parte dei loro comportamenti. Non male, pensavo tra me e me. Non erano mai venuti prima, non avevo avuto modo di allenarli nei giorni precedenti, di farmi conoscere, di capire quali codici per la comunicazione poter sfruttare con qualcuno e quale altro con qualcun altro. È stata una sorpresa. E non dovevano nemmeno essere così tanti. Invece…invece non finivano più e oltre a loro avrei dovuto coinvolgere le bimbe piccole di due scuole incontrate e allenate la volta scorsa, un mese fa. Totale, 202 bambini in campo contemporaneamente su 9 mini campi, con l’ausilio di 18 allenatori. Senza dimenticarci degli altri 70 impegnati sugli altri due campi adiacenti. Non nascondo che prima del mio fischio di inizio ero piuttosto preoccupato: presidente della federazione, un rappresentante del ministero dell’educazione, madame fatimata, il mio capo, più una serie imprecisata di altri esponenti del mondo del calcio o del governo erano li per assistere al “festival football for school” e non poteva certo venir fuori una baraonda senza senso. Quindi ero teso, super teso. Una volta però divisi in gruppi tutti i bambini e le bambine, accompagnati tutti nel loro campo e consegnate le squadre ai vari mister, una volta che la palla ha iniziato a rotolare, le cose, magicamente, si sono sistemate. Certo, ho dovuto “correre” (ho tolto da due giorni le stampelle…correre è ancora la da venire) da un lato all’altro del campo per dare supporto ai mister, intervenire, correggere i bambini, dare un supporto prima al campo uno, quindi al campo 7, modificare se non completamente stravolgere le esercitazioni pensate, perché troppo difficili per questi bimbi, ma alla fine quella sfera magica, ancora una volta, ha fatto il suo incantesimo e il campo è stato invaso di sorrisi, urla di gioia per gol fatti, risate contagiose per errori grossolani. Bellissimo. E i mister hanno fatto un lavoro incredibile: in Italia non riesco ad immaginarmi 18 allenatori capaci come qui di adattarsi, rimboccarsi le maniche e fare di tutto per donare 90 minuti di calcio a tutti questi bimbi. In Italia ne riesco a contare forse 5 (Ferro, Teo, Roby, Gabri…cazzo 4, neanche 5) che sarebbero stati capaci di far quello che han fatto questi ragazzi, questi signori (alcuni erano più “grandi” di me), in campo. Chapeau.

mercoledì 15 novembre 2023

Addis Ababa

 Dopo l'avventura Palestinese non son riuscito a raccontare la parentesi di cinque giorni a hong kong, ma ora, finalmente, anche se solo al quarto giorno, riesco a svuotare la testa su questo mio diario elettronico, per provare a fissare su "carta" i ricordi etiopi di questi giorni. 

Cominciando dalla fine, ossia da oggi, giorno del festival con 105 bambini coinvolti e 54 allenatori...allenatori? Allevatori, forse. Brave persone, super coinvolte, determinate a introdurre l'allenamento calcistico come inteso da noi nelle loro scuole, nelle loro ore di educazione fisica, ma in grande, grandissima difficoltà sul campo. Un po' perché non capiscono l'inglese e invece di dircelo serenamente, come gli abbiamo chiesto mille volte, hanno continuato a dirci si, a biascicare qualcosa nella lingua del regno unito facendoci credere che davvero capissero, per poi essere costretti a gettare la maschera quando, in campo, non riuscivano a rispondere a nessuna delle mie richieste durante la seduta. Ma che pirloni! In pratica abbiamo dovuto ripetere la prima giornata il secondo giorno avvalendoci di un traduttore, per provare ad arrivare oggi un minimo pronti, preparati, per l'evento con i bambini. E non solo per i bambini, che rimangono comunque il principale obiettivo. Già, perché con noi in viaggio abbiamo il segretario generale della fifa, quindi con noi in viaggio abbiamo anche mille e più persone che le girano intorno: oltre ai soliti presidenti delle federazioni calcistiche, ministri dello sport e dell'educazione, infatti,  questa volta sul campo con noi sono scesi ambasciatori, consoli, rappresentanti di vari governi africani, oltre, addirittura, al presidente, anzi alla presidentessa, del Paese che ci ospita. Una grande passerella, quindi, un momento importante per il progetto, per cui tutto doveva marciare alla perfezione e quindi...tre ore sul campo il primo giorno, poco più il secondo, altrettanto tempo in aula, per riuscire a far passare i contenuti della nostra formazione. Che fatica! Mamma mia. E non solo per la barriera linguistica (con l'amarico faccio fatica...), ma anche perché il paese è un po' in difficoltà, per cui i nostri allenatori/insegnanti non hanno avuto e credo non avranno mai la possibilità di scaricare la app che usiamo per condividere gli allenamenti. Quindi abbiamo dovuto tradurre i contenuti della app in formato cartaceo, per quel che ci è stato possibile. Internet infatti non funziona, il wifi è presente solo nei grandi hotel, gli smartphone son vecchi e malfunzionanti, in pochi, pochissimi avevano un indirizzo mail, un account di qualsiasi genere...una battaglia continua. Forse il più difficile launch fifa cui ho preso attivamente parte. Devo rifletterci un po', ma credo anche peggio di Djibuti e Mauritania. Ma per fortuna l'abbiamo portata a casa anche questa volta. Per lo meno l'evento: è stata una super giornata, i bambini erano stragasati e tutto è filato alla perfezione. Ma nella mia testa il tarlo cresce: ora che ce ne andiamo, cosa rimane ai coach? Riusciranno a riproporre per lo meno le tre sessioni di allenamento che gli abbiamo insegnato? Riusciranno a portare avanti le cose? A condividere la metodologia con altri e a diffondere il progetto? La federazione deve dar supporto, certo, ma loro ce la faranno? Certo è che questo è uno dei primi paesi in lista per i refresh che abbiamo in agenda. 

Ora però, via, si parte per Dire Dawa

martedì 17 ottobre 2023

Adesso un po' di paura ce l'ho

 "A car is coming". Lapidario Niko. Ma la sua comunicazione non verbale dice molto di più. Così come quella degli altri compagni di viaggio. Quest'ultima telefonata ci ha un po' scombussolato. Il clima tra noi quattro è sempre stato in questi giorni abbastanza disteso, ci siam sempre sostenuti a vicenda con un sorriso, una battuta, una risata contagiosa, senza mai confidare l'effettivo stato emotivo, nascondendolo forse un po' anche a noi stessi, ma oggi le cose sono un po' diverse. Anche Honey non parla tanto, cammina avanti e indietro nella hall, continua ad aprire e chiudere il suo valigione e a toccarsi la sua infinita chioma riccioluta, in attesa della tanto attesa vettura. Chissà cosa le passa per la testa: lei è palestinese, la sua famiglia è bloccata a Nazareth, ancor più di quanto noi non siamo bloccati qui. Se ora un po' di paura l'ho anch'io al pensiero della strada che dovremo affrontare, ma soprattutto al pensiero dei check point da superare e della frontiera che nessuno sa se sia aperta o chiusa, non riesco a immaginare come possa sentirsi lei. Ma ho poco tempo per elaborare pensieri. La macchina è arrivata. 

La prima cosa che faccio è guardare il colore della targa, che sia giallo o verde. "Fortunatamente" per noi è gialla, israeliana, così per lo meno al confine avremo una discussione in meno da intavolare coi soldati. Una in meno, tra le tante che mi immagino. Dove siete stati? Perché? Dove andate? Lei chi è? Perché la fifa è qui? Cosa pensate di fare...e mille altre domande che nei miei anni su questi campi mi hanno sempre, puntualmente, accompagnato una volta conclusa la missione, prima di imbarcarmi, oppure ai checkpoint, le volte che ci hanno fermati  rientrando dopo gli allenamenti svolti "di la". E pensando alle tante domande che ci aspettano decido di condividere con gli altri il discorso da fare, le risposte da dare. Nulla di complicato: la verità. Ragazzi, dobbiamo solo dire la verità, tanto sapranno già tutto. Insistiamo sul marchio che abbiamo addosso, proviamo a distogliere l'attenzione da Honey, per concentrarla sul grande nome che ci accompagna. E vediamo come va. 

Il viaggio è breve, poco meno di due ore. Due ore silenziose, col muso schiacciato sul finestrino osservando qua e la gruppi di ragazzini bruciare copertoni, altri con il volto coperto urlare e lanciare sassi verso un check point, o altri ancora cercare di risistemare una strada, bloccata da cassonetti rovesciati, con rifiuti ancora che fumano e segni di una qualche manifestazione non propriamente pacifica. Il tempo scorre veloce e arriviamo a Allenby bridge, vicino a Jericho (quanti ricordi mi accompagnano lungo questo viaggio...che anziano!) dove veniamo accolti da una lunga coda di macchine, bus, camioncini, fermi, a motore spento, e da gruppi di persone che parlano, gesticolano e aspettano. Il nostro autista supera tutti sfruttando la corsia opposta e arriva proprio vicino al "casello", per poi parcheggiare di traverso. Insomma, non proprio un bellissimo ingresso, cazzo. Si avvicina un soldatino di vent'anni, non più, col suo bel fucile in mano, Ahmed, l'autista, gli parla in ebraico e gli mostra la lettera inviataci dalla fifa come "lasciapassare", ma lui non si scompone e, sebbene non riesca a sentire per via della confusione esterna, capisco che il sunto del tutto è un perentorio "i don't give a shit". Ahmed però non si perde d'animo, scende dalla macchina e va direttamente a parlare con quello che può sembrare il capo, il responsabile. Discutono, il nostro sempre con quel pezzo di carta in bella mostra, e dopo una decina di minuti apparentemente infiniti (come cambia la percezione del tempo) torna verso di noi agitandosi e indicandoci un piccolo bus con le portiere aperte che staziona in prima linea, davanti alla sbarra. "Entrate li dentro, svelti. Buttate dentro le valigie e salite. Quando sarete di la, chiamatemi. Un'altra macchina vi sta aspettando alla frontiera Giodana". Via, nemmeno finisce di parlare che son già seduto sul bus, dove già siedono 4 americani presumo io in vacanza da queste parti. Il brufoloso soldato di prima si riavvicna. Ci chiede i passaporti. Scorge quello palestinese. E che cazzo..."chi è honey?" chiede. Scende. Proviamo a scendere anche noi, ma ci dicono di star su. Ecco, ora la fermano, penso. Io me ne andrò e lei rimarrà qui. Cazzo, cazzo, cosa posso fare? Mille scenari si aprono nella mia testa, ma...honey risale. Dopo non so quanto tempo, ma credo non più di dieci minuti, risale. Le porte si chiudono, il motore si accende: si va. Ora si va in frontiera. 

Scendiamo e non abbiamo nemmeno il tempo di orientarci che una soldatessa (si dirà così?) ci indica una stanza ove entrare, mentre specifica "la ragazza palestinese viene con noi". Madonnina che ansia. E adesso? Dove diavolo la portano? Cosa diavolo le faranno? Ora siamo spaventati. Non per noi, noi siamo degli intoccabili occidentali. Ma per lei. Iniziamo le pratiche per uscire, paghiamo non so quale tassa, ritiriamo il nostro fogliettino rosa, passiamo dall'ennesimo controllo, quando la scorgiamo mentre al seguito della soldatessa che l'ha "accolta" sta venendo verso di noi, sventolando  anche lei il foglietto rosa (il visto di uscita, in pratica). E' fatta! Siamo fuori. Tutto è passato con un po' di paura, di ansia, ma super semplicemente! Wow!!! Siamo fuori. Ci fanno salire su un altro bus che ci porta fino a "di la" insieme a un'altra cinquantina di persone e quando scendiamo l'altra macchina è li ad attenderci. Sbrighiamo le pratiche di ingresso comodamente seduti in una angusta stanzina sorseggiando caffè col cardamomo e saliamo in auto. 

Via, siamo in Giordania. Tutto sto casino e siamo già in Giordania. 

mercoledì 11 ottobre 2023

Get out of here

 Il ritrovo è fissato alle 7:30 nella hall dell'hotel, per coordinarci con tutte le persone che ci stanno aiutando e trovare la soluzione migliore e più sicura per uscire di qui. 

Quando scendo l'hotel è pieno di gente seduta un po' ovunque, con le proprie valigie in mano, al telefono o con gli occhi sulla tv che continua a trasmettere immagini di bombardamenti...così, per stemperare la tensione, direi! Come inizio non c'è male, penso citando il grande film epico per chi ama il calcio degli anni 80. Facciamo colazione mentre riceviamo messaggi e chiamate da mille persone sia della fifa che di altre grandi entità e la cosa mi fa capire che non siamo soli in questo casino, che in tanti hanno a cuore la nostra situazione. Anche se...ancora non mi sembra di essere così tanto in pericolo. Si, c'è confusione qui intorno, ma fuori è tutto tranquillo, escludendo gli incendi e i tafferugli nelle zone vicine ai check point. Ma questa è la normalità in questo lato di mondo, la gente qui è maledettamente abituata a questa tensione, a questi scontri continui, a questa guerra continua, costante, dilaniante. Non riesco a vedere l'upgrade di pericolo, per cui, per quanto super grato a tutti quanti, dentro di me penso che stiano un po' esagerando. Ma...meglio così. 

Alla fine, dopo tutta la mattinata tra telefono e pc, si stabilisce che domani verrà a prenderci una macchina per portarci al passaggio di Allenby bridge, usciremo da li e una volta in Giordania cercheremo un aereo per rientrare. Cercheremo...più o meno: abbiamo una intera agenzia viaggi che lavora per noi, come sempre siamo dei privilegiati, super coccolati, non sono io a cercare i voli sui siti internet. Sono un privilegiato Non certo come gli allenatori o i bambini locali. Già, perché io domani me ne andrò, ma loro resteranno qui. E se le cose continueranno a montare, a crescere, come tutti dicono, tra poco il rumore di esplosioni e spari non sarà più solo in lontananza, laggiù, lontano (lontano...son 60 km), ma diventerà maledettamente reale, prossimo. Cazzo.

Va be', le cose sembrano definite. Vado a studiare un po' in camera (maledetti esami) e poi ad allenarmi e la giornata scorre lentamente e noiosamente, ma inesorabilmente. Le notizie che leggiamo sui giornali sono terrificanti e spaventose, ma ancora una volta guardandomi intorno non mi sento in pericolo. Fino a quando Honey, Hahmad e Mouna, a tavola con noi, non iniziano ad agitarsi, a parlare solo in arabo e a cambiare espressione. Drizzo le orecchie, colgo qualche parola conosciuta e cerco di decifrare il loro linguaggio del corpo. è successo qualcosa al check point di qalandia, non distante da noi (forse 4 km). Lo dico a Melvin, che subito googola e scopre: i militari hanno ammazzato due persone che cercavano di uscire dal paese e sono iniziati scontri anche li. Questa volta molto vicino a noi. Arriva una chiamata: get out! preparate le valigie, state pronti, appena vi chiamiamo entro un'ora la macchina sarà li e dovrete partire. Ma dove cazzo andiamo che le frontiere sono chiuse??? Si ricomincia: chiamate, siti delle ambasciate (la nostra latita), comunicazioni con il mondo intero (UN, federazione calcio israeliana, federazione calcio palestinese...) per capire se possiamo uscire da qui o no e alla fine, dopo un paio d'ore, arrviamo alla conclusione: se aprono le frontiere apriranno quella di Allenby, ma solo dopo le 8 e fino alle 15. Domani mattina proviamo: se quelli della macchina riceveranno conferma ci chiameranno e in meno di un'ora partiremo per provare l'uscita. Non dovessimo riuscirci torneremo qui in hotel e troveremo un'altra soluzione (parlano di uscire in ambulanza, di un elicottero...mi sembra d essere nel film "argo"!!!). Ok, allora via, andiamo a letto. Domani dobbiamo essere pronti a tutto.

Dormo, mi addormento velocemente, ma dopo un tempo indefinito mi sveglio: spari, rumori sordi, qualche fischio seguito da una specie di esplosione, interrompono il mio riposo. Cazzo, son qui, li sento chiaramente. Tutto però torna a tacere in poco tempo. Torna il silenzio, La calma. Si sentono rumori di aerei, ma è una costante da giorni. Sembra passato. Ritorno a dormire, sperando davvero di andarmene domani. Ora si, sono preoccupato

lunedì 9 ottobre 2023

Back to Palestine

BACK TO PALESTINE part 2

Allenamento in palestra, doccia e son pronto per la cena insieme ai miei compagni di viaggio e ad alcuni allenatori. Come sempre da queste parti, il tavolo in breve si riempie di piccoli piattini con diversi assaggi di ogni cosa (hummus, insalate con la frutta secca, babaganoush e mille altri) e enormi piattoni ricolmi del loro maledettamente buonissimo pane. E in più ettolitri di limonata con la menta. Spettacolo vero. Si attaccano i piatti, si parla, si ride, come se nulla fosse, fin quando Niko, un mio collega, non riceve una chiamata direttamente dal segretario generale appena entrato in carica e tutto cambia: dobbiamo rientrare. Missione cancellata e “asap” dobbiamo salire su un volo per tornare a casa. ‘azz. Non me l’aspettavo. Già, ma quando partiamo? E come? E soprattutto, come passiamo il confine, che hanno chiuso tutte le frontiere?

Seguono ore di chiamate frenetiche, supposizioni, proposte, idee. Chiamo l’ambasciata italiana a tel aviv…niente. Chiamo il consolato…niente. Attivo la app “unità di crisi”, provo a registrare la mia posizione, ma…non ho modo di scegliere dall’elenco la Palestina come luogo ove mi trovo, perché non c’è. Come inizio, direi, non c’è male. Grazie alla ma direttrice in FIFA, però, riesco a contattare la nostra assicurazione, che si attiva immediatamente per darci supporto. Intanto anche gli altri colleghi si attivano e dopo poco più di tre ore arriviamo ad una decisione comune: andiamo a dormire e aspettiamo che ci dicano come poter uscire. Senza auto, scorta, non ci muoviamo dall’hotel. Io provo a proporre di far comunque il corso e l’allenamento: siamo qui, loro sono qui, perché non provarci? Tanto sicuramente fino a domani non avremo notizie e credo fino a dopo domani non potremo uscire di qui. Tanto vale. Lo staff della sicurezza però non prende bene la mia proposta e cancella evento e qualsiasi altra attività. Ok, ok, mi chiudo in hotel. E aspetto insieme agli altri.

Al mattino, dopo un mini allenamento e colazione, parte una serie infinita di messaggi: UN, IMSSA, FIFA…son tutti super attivi per trovarci una soluzione, ma i problemi grandi da risolvere sono due: le frontiere sono chiuse in uscita e con noi, nella nostra delegazione, c’è una ragazza, prima calciatrice palestinese, fondatrice della nazionale femminile, ora parte dello staff comunicazione di fifa, che ha passaporto palestinese! Un po’ come avere la maglia del tottenham in un pub di tifosi dei gunners. Un bel casino. Ma tutti sono, sembrano, super attivi, sul pezzo, e ci danno grande supporto. Io…son tranquillo, non mi sento in pericolo. Ci son dei momenti in cui mi dico che forse dovrei allertarmi un po’, ma ho l’impressione di essere in buone mani. Ho solo la preoccupazione di trasmettere questa mia tranquillità a Silvia, perché se quando ero in trasferta alle comore, dopo due ore che non riceveva mie notizie ha chiamato l’hotel, non riesco a immaginare quante telefonate abbia già fatto al Papa… 

domenica 8 ottobre 2023

India-Palestina-Libano

 

BACK TO PALESTINE

Atterrato all’aeroporto che più odio al mondo dopo un viaggio iniziato a notte fonda da Bangalore (parlerò più avanti della mia esperienza sui campi indiani), devo ammettere che sono un po’ teso, in ansia. Manco da questo paese assurdo da ormai quattro anni e I ricordi legati ai controlli e ai vari militari che popolano questo spazio non sono dei migliori; ma allo stesso tempo son contento di tornare da queste parti, di rientrare nella confusione organizzata dei palestinesi, di tornare a bere settanta caffè al giorno che loro bevono come se fosse acqua e che ti offrono in continuazione, quasi offendendosi se, con le mani tremanti per la quantità di caffeina assorbita in circolo nel tuo corpo, provi a rifiutare con garbo. E il primo contatto con I “locals” è anche super positivo: al controllo passaporti, infatti, una donna sorridente di mezza età, vedendo il logo fifa sul mio petto e leggendo la lettera di invito con lo stesso logo ben in vista, nemmeno apre il mio passaporto pieno di timbri poco graditi da queste parti, mi sorride (addirittura???) e mi dice “ah, Fifa: welcome, welcome. Perfetto. Si entra. E anche I momenti successivi sono super sereni e positivi.

Bene, I miei timori, le mie ansie, erano completamente immotivat...nemmeno il tempo di godermi questo stato di tranquillità che, al check point da cui dobbiamo passare per entrare in palestina veniamo travolti da una novità non propriamente positiva, per lo meno, egoisticamente parlando, per noi: hamas ha attaccato israele con migliaia di missili e questi hanno dichiarato lo stato di guerra. Quindi: confini chiusi e massima allerta. Il check point, infatti, è chiuso e sorvegliato da militari super armati. Cazzo. E adesso. L’autista però è sereno: succede sempre, passiamo da un altro. E infatti dal punto di ingresso da questi conosciuto si entra, ma...cacchio, non si esce! La via opposta è chiusa, bloccata, tante, troppe macchine entrano, ma nessuna esce. “no worries, insiste l’autista, succede sempre”. Ok, mi fido e resto sereno.

Intorno, però, a parte il traffico allucinante, c’è un po' di casino: gruppi di ragazzini con il volto coperto da foulard verdi e sventolanti bandiere palestinesi stanno bruciando cumuli di copertoni vicino al muro a pochi metri dalla “frontiera” e altre colonne di fumo nero si innalzano all’orizzonte, in corrispondenza degli altri punti di ingresso. Ma tutto sembra comunque parte della ordinaria follia, del quotidiano stato di “normalità” di questo lato di mondo, per cui tranquillo e sereno arrivo in hotel, mi doccio veloce e volo al campo per preparare l’aula e fare un sopralluogo sul terreno di gioco in vista dei prossimi tre giorni di lavoro. I vari membri della federazione che ci accolgono ci tengono a tranquillizzarci (ma io non sono preoccupato!) e con loro mettiamo a punto un eventuale piano B e un C per fronteggiare eventuali emergenze dell’ultimo minuto e insieme ad TD della federazione mi godo anche il primo tempo dell’inter. Il primo me lo godo, il secondo un po’ meno...

Perfetto, tutto pronto. Ho anche il tempo di allenarmi. Ottimo.

lunedì 11 settembre 2023

Le ferie...più o meno

 AGOSTO DI VIAGGI

Quando sono in montagna a camminare mi riapproprio, anche se solo per poco, pochissimo, di quello che dovrebbe essere il normale, comune, umano scorrere del tempo: ore e ore che trascorrono nel tuo muoverti da un punto all’altro, attraverso impervie salite, o dolci pendii, con lo sguardo catturato da un panorama sempre incredibile in questo lato di Italia, libero di fermarti ad ammirare una cima, oppure un fiore, o, come ci è capitato, una volpe guardinga. Senza ansia, fretta, senza il dovere di arrivare entro un certo tempo, un certo orario, ma semplicemente godendo di ogni passo, di ogni attimo, di ogni esperienza. Devo ammettere che con le due nane al seguito forse il tempo si è un po’ troppo dilatato (soste ogni tre metri per vedere questo o quel fiore, questa o quella farfalla, questa o quella pianta…un po’ troppo, si), ma nulla riesce a riconnettermi con me stesso come le nostre gite estive. Solo che poi mi ritrovo con un senso di malinconia e un bisogno di cambiamento che faccio fatica a gestire. Quest’anno come non mai. Già, perché quest’estate è stata una estate a singhiozzo, con continue partenze per missioni in giro per il mondo e repentini rientri malpensa-velturno per tornare ad immergermi nel mood vacanziero, per cui ho vissuto un contino “entrare e uscire” da quel concetto di tempo sopra descritto, rendendo ancora più difficile da accettare il ritmo quotidiano che mi, ci, viene imposto, lontano dalle Dolomiti. Prima il Marocco, tre giorni super full, poi il Ghana, 5 giorni frenetici, quindi la Malaysa, altri 5 giorni senza un attimo di respiro e ora Puerto rico. Tutto in un mese, tornando a respirare solo quando atterravo a Malpensa e “volavo” letteralmente lassù, sui monti dalle e con le mie donne.
3 viaggi, il quarto è ora in corso essendo in questo momento in aereo direzione san juan, diversi tra loro, 3 esperienze come sempre uniche, 3 momenti di riflessione e di domande.
Marocco, nuovo progetto extra football for school, con 70 allenatori provenienti da 30 paesi del mondo, in campo parlando in inglese, switchando repentinamente al francese, per buttarci anche qualche parola in portoghese per gli amici brasiliani; ma essenzialmente dimostrando nel linguaggio più universale del mondo, il calcio, una serie di esercitazioni divise per fasce d’età e concentrandomi sulle modalità di gestione della seduta. Il tutto trattenendomi in campo dalle 9 circa del mattino alle 19, più o meno. Not bad.
Ghana, lancio del progetto fifa football for school nella capitale, Accra, una delle città più “ingaraffata” come si dice in Angola, ossia incasinate per il traffico, tra quelle fin qui da me conosciute nel continente nero. 15 km circa dall’albergo al centro tecnico federale in non meno di un’ora, tutti i giorni, per incontrare e formare circa 50 allenatori/professori di educazione fisica provenienti da tutto il paese. Traffico a parte (utile per farmi delle dormite supplementari…) come sempre l’Africa mi regala i momenti migliori: la gente che incontro è sempre di una allegria, di una spensieratezza contagiosa, per cui le giornate passano sempre leggere, veloci, divertenti, pur “devastandomi” dal punto di vista fisico. Sveglia alle 6, allenamento, ore 8 partenza dall’hotel, ore 9:30 inizio corso, ore 18 fine. Così tutti i giorni, fino al torneo finale, che si è concluso alle 15. E io alle 19 son ripartito per tornare in Italia…si diceva della frenesia?
Torno da Accra, malpensa-velturno, tre giorni e rieccomi in aeroporto, questa volta direzione Kuala Lumpur, KL come dicono loro. Altro mondo, altra gente, altro modo di rapportarsi a me, di intendere il calcio, di vivere l’allenamento. Ci si adatta, si vivono altri giorni full, full, full e super divertenti. Sono da solo, creo un bel legame con tutti e 35 gli allenatori, mi metto completamente a loro disposizione e le giornate, intensissime, volano, ma spero lasciando loro qualcosa di importante per portare avanti il progetto. Riparto, mi rimetto in macchina e questa volta accuso un po’ di jet leg: sei ore di differenza un po’ le sento la prima notte, ma non c’è tempo per far nulla: domani Silvia deve tornare a monza a lavorare e io mi fermerò qui con le bimbe. Tre giorni per riconnettermi, anche se senza Si, prima di…ora. Di nuovo in volo, direzione San Juan, Puerto Rico.
Dopo queste ferie, ho bisogno di ferie!!!

sabato 13 maggio 2023

Tchad

 Che casino. Madonnina che casino in questo posto. Tutto è un casino e tutto, fino ad ora, è stato un casino. Per nulla semplice questa trasferta. 

Un po', certamente, è dovuto al fatto che mi sento un po' stanco: negli ultimi 40 giorni, 26 li ho vissuti fuori casa e anche le bimbe, più che Silvia, iniziano ad essere stanche, iniziano giustamente a manifestare apertamente il malcontento (rientrato da Tashkent son stato a casa un solo giorno prima di ripartire per Riga e Anna, arrabbiatissima, mi ha detto "ma allora non tornare neanche. Così non serve a niente"), facendomi così vivere con un gran senso di colpevolezza queste giornate, amplificando ulteriormente la stanchezza; e un po' è dovuto al fatto che questo posto...è un casino. 

10 soli paesi si trovano dietro il Chad nella classifica mondiale dei paesi più poveri e spesso, ahimè, povertà fa rima con corruzione e disorganizzazione, confusione, e così è. Da quando ho messo piede a Ndjamena. Anzi, anche da prima: il visto infatti è stato un calvario e ho ottenuto il via libera solo 4 ore prima che il mio volo partisse, per poi atterrare in terra chadiana e...farmi requisire il passaporto per due giorni. La lettera che mi autorizzava ad entrare aveva valore solo per 24 ore, quindi per restare tutti e 5 giorni devo fare un vero e proprio visto. Fortunatamente il presidente della federazione e il segretario generale sembrano avere la situazione in mano e anche se ad oggi sono ancora senza passaporto, a detta loro non c'è nulla di cui preoccuparso. Inshallah. Superato il primo impatto, devo ora recuperare le valigie: due nastri trasportano in giro contemporaneamente i bagagli del volo proveniente da Addis su cui ho viaggiato e se non sei super attento, con gli occhi sui due tappeti contemporaneamente, pronto a tuffarti sul tuo zaino, qualche inserviente dell'aeroporto, non capisco per quale motivo, prende e mette le varie borse a detta loro "dimenticate" in un angolo dell'aeroporto, dove lentamente vanno ad accumularsi. Con la notte praticamente insonne sul groppone, eccomi dunque a controllare il tutto, fin quando, dopo circa un'ora, scorgo i miei due pazzi tra le mille gambe ancora in attesa e in pressing sui due nastri trasportatori. Corsa stile Castrogiovanni in mezzo alla folla e a gomiti alti recupero il tutto. Finalmente posso uscire...col cazzo. Ho dimenticato l'etichetta dei bagagli nel passaporto che mi hanno requisiti e sti stronzi della dogana non mi fanno passare senza quel foglietto che dimostra che i bagagli che ho con me sono effettivamente miei! Corsa quindi al posto di polizia di frontiera, recupero il mio pezzettino di carta, non senza aver litigato con un cazzo di poliziotto che non vuole darmi retta perché impegnato a fare il visto ad un altra persona, e posso finalmente uscire. 

Fuori mi accolgono 45 gradi e un aria caldissima, come se qualcuno mi stesse puntando in faccia un phon accesso alla massima potenza! Ma son contento: la confusione, gli odori, i rumori...welcome back in Africa! 

Via, diretti verso la federazione: prima di lasciarmi in hotel, chiedo di verificare che tutto sia pronto per il corso. Palloni, wi fi, cinesini, casacche, proiettore...tutto ciò che ci occorre per i prossimi tre giorni di corso. E ovviamente...non funziona nulla. I palloni non ci sono, o meglio ne hanno 12 e noi abbiamo bisogno almeno di una trentina di magiche sfere; il wi fi non va, ca va sans dire; il proiettore manca del cavo hdmi, quindi al momento è totalmente inutile. Insomma, tutto come mi aspettavo, tutto come previsto e per questo ho chiesto di venire subito qui, così da far trovare loro il necessario con 24 ore di vantaggio. Certo, hanno avuto circa tre mesi per preparare tutto ciò che avevamo già richiesto, ma...questo lato di mondo funziona così, o almeno così ha funzionato nella mia esperienza.

Ok, concluso il check in federazione, posso finalmente andare in hotel: non vedo l'ora di farmi una doccia, allenarmi e godermi la semifinale di champions' contro la terza squadra di Milano, ma qualcosa ancora si frappone fra me e il mio programma. In reception, infatti, sostengono che devo pagare la camera, perché Fifa travel ancora non ha provveduto al pagamento. Mostro loro con calma olimpica la ricevuta del pagamento, ma la "simpatica" signorina insiste col dire che loro non son stati pagati. Contatto allora direttamente l'agenzia, che manda una mail con me in copia all'hotel in cui mostra i dettagli del bonifico (non accettano carta di credito, da queste parti...), ma non sono soddisfatti. E allora mi incazzo. Per quale cazzo di motivo non vuoi darmi la chiave? Pensi che sia venuto qui per dormire 4 giorni a ufo e poi scappare nella notte? Credi che fifa non paghi, o non abbia già pagato? O vuoi solo prendere dei soldi cash, adesso, dal bianco di turno? I toni si alzano, ma io ne ho piene le tasche: chiedo la mia maledetta camera, do loro il numero dell'agenzia e dico loro di chiamarli. Se entro domani ancora non avranno risolto, me ne tornerò in Italia. Magicamente compare la mia stanza. Devono verificare, ma per il momento posso andare in stanza. E che cacchio!


mercoledì 3 maggio 2023

Tashkent

 Dopo il tour gastronomico dello scorso post, oggi la mia mente si è soffermata sui professori e sugli allenatori della federazione, parte del nostro corso. Un gruppo variegato, composto da 43 "coach-educators", una parte solo coach e una solo "educators", proveniente da tutte e 13 le regioni del paese, portando con se ognuno le proprie distinte caratteristiche: l'omone grande e grosso, discendente diretto di Tamerlano, quello con i tratti più "arabeggianti" che potrebbe essere scambiato per un nord africano, quindi la ragazza piccolina, occhi semichiusi, carnagione olivastra, come se fosse appena arrivata dalle alte montagne nepalesi. Insomma, un mix incredibile, che però, per quanto ci riguarda, si esaurisce nell'aspetto fisico: la voglia, la fame di conoscenza, l'entusiasmo e la passione di tutti, infatti, fanno sparire queste "differenze" per allineare tutti quanti. Davvero, raramente mi è capitato di avere un gruppo così coinvolto, così "gasato". E quando situazioni simili si sono verificate, si son verificate sempre, almeno stando alla mia memoria, in Paesi dove il calcio arriva a spizzichi e bocconi, dove le occasioni di formazione sono rare, dove l'idea di allenamento dei più è ancora legata a concetti ormai passati, per fortuna, seppur ancora in voga anche da noi. E la cosa mi piace: l'avere proprio la percezione che stai facendo qualcosa di utile, quasi unico, stai aiutando, a tuo modo, queste persone, mi da da sempre soddisfazione. Certo è che, da parte mia, vorrei tornar qui entro massimo sei mesi, per fare con i nostri 43 il punto della situazione, per vederli all'opera nelle loro scuole, per fare un passettino in aventi con tutti loro e proseguire il nostro percorso insieme nel "mondo" fifa. Ma purtroppo questa cosa ancora non son riuscito a farmela approvare: al momento siamo concentrati sulle aperture e l'unico modo che abbiamo di controllare, di fare monitoraggio, è legato a dei report mensili che le federazioni del mondo ci inviano. Ed essendo un report senza nessun controllo da parte nostra...mi fido sempre poco. Tommaso che non sono altro. 

In ogni caso qui è stato proprio bello. E anche il torneo finale è stato un grande successo: 109 bambini e bambine (cosa più unica che rara) coinvolti contemporaneamente sul campo per quasi due ore, sotto un sole potentissimo, ma reso gradevole da una piacevole aria fresca che ci ha accompagnato durante tutti i 90 e più minuti. Uno spettacolo. E per chiudere degnamente le cose...partitone con tutti i mister coinvolti. Tutti? Quasi tutti. Qualcuno non si muove dal '54 e di certo non ha iniziato oggi, ma un numero comunque decente di partecipanti ci permette di fare tre squadre e di giocare con il sistema "chi vince regna", permettendo alla mia squadra di regnare ininterrottamente fino al triplice fischio. Ca va sans dire

sabato 29 aprile 2023

Uzbekistan

 Finalmente!!! Non ci posso credere, riesco finalmente a sedermi e a dedicare un'oretta al mio blog! Credo sia un record: da quando ho messo piede a Tashkent non ho avuto un secondo per aprire il mio diario di bordo e fissare su carta virtuale i miei ricordi e le mie esperienze quotidiane. Mmm...in realtà un'ora al giorno l'ho anche avuto, ma cacchio voglio anche allenarmi, quindi bene il blog, ma nella vita ci sono priorità e correre per me è una di queste, con un leggero gap dal giocare. Anyway, eccomi finalmente qui.

Se mi avessero detto ai tempi del mio "avventuroso" liceo che un giorno sarei andato in Uzbekistan per conto della Fifa avrei prima di tutto cercato di capire dove fosse l' Uzbekistan, per poi ridere di gusto e sfanculare l'autore di tale previsione. Invece eccomi qui oggi a Tashkent, capitale dello stato nato dalla disgregazione dell'Unione Sovietica, un tempo culla dell'immenso impero di Tamerlano per quella che è ormai la mia ventesima missione con la FIFA. Alla scoperta dell'Asia centrale, di un Paese che assolutamente non conoscevo e che mi immaginavo totalmente diverso da ciò che si sta rivelando, con gente che di certo mai avrei pensato sarebbe stata come poi si sta rivelando. Nella mia mente, infatti, mi ero creato un immagine dell' uzbeko un po' "russa": chiusi, rigidi, con una bella scorza da scalfire e un po' freddi nei rapporti; invece mi sono ritrovato...in sud Italia! Gentilissimi, mega ospitali, orgogliosi della loro terra e desiderosi di mostrarla, di fartela conoscere, visitare, accompagnandoti in ogni dove, in ogni momento, sempre col sorriso sul volto e sempre...alla ricerca di cibo! La tavola è la loro ossessione e tutto per loro parte da li. Non puoi muoverti, non puoi girarti, senza che ti mettano in mano una delle mille varietà di non (pane), senza che ti offrano l'iran, senza che riempiano la mano di frutta secca o di frutta fresca dei loro alberi. Quando ti va bene, perché se ti portano al ristorante, sei fott..o: devono farti assaggiare tutto e qui tutto è a base di carne, carne di ogni tipo, di ogni provenienza, per cui...good luck. Carne di cavallo, kebap di agnello, salame di lingua di cavallo, intestino di mucca ripieno di riso, lingua di bue; delle robe indicibili, ma che mi hanno offerto con tale orgoglio, con tale generosità che non ho potuto rifiutare, seppur cercando sempre di coprirne i sapori fortissimi e non proprio gradevoli al mio palato con le sempre presenti salse sulla tavola. L'intestino però...quello proprio non ce l'ho fatta: solo l'odore, misto ad aglio, mi ha fatto quasi rimettere. E ogni pasto è andato così: non sono mai riuscito a ordinare, han sempre fatto tutto loro e guai a rifiutare. cacchio si offendono, ci rimangono male, per cui già il secondo giorno ho deposto le armi e appena seduto limitavo la mia scelta al the con cui accompagnare il pasto (son mussulmani, per cui anche se ovunque ho visto birre e vino, essendo i miei commensali osservanti, mi sono adeguato in tutto e per tutto), dicendo a Ma'mood, "fai tu, sono nelle tue mani". E via con gli ordini! 

Anche il paese, la città, me la aspettavo diversa, più grigia, più triste, più figlia del blocco da cui solo nel 91 si sono liberati. Invece, a parte alcune impronte chiaramente di stampo sovietico (i mega viali a 8 corsie, gli edifici immensi sede del governo, le piazze infinite), i mille bazar che oggi abbiamo visitato mi hanno catapultato in un'altra dimensione, così come le moschee (quella di Islamabod, dentro la quale sono anche entrato, seppur moderna, mi ha impressionato), ma anche i tanti parchi, mi hanno portato ad associare Tashkent più al medio oriente, che alla Russia. Gran bella scoperta che merita più tempo e non quegli scampoli di giornata che gli sto dedicando durante questa intenso, bellissimo, lancio di fifa football for school.

sabato 25 marzo 2023

Non è tutto oro quello che luccica

 "Dove vai questa volta?", mi chiedono gli amici e i famigliari quando vengono a conoscenza della mia quasi immediata ripartenza. "Vado a Victoria, sull'isola di Mahé, alle Seychelles". La risposta è per tutti la medesima "sempre in vacanza. Che bella vita". Bella, bellissima la mia vita, sono consapevole e ringrazio Dio ogni giorno per questa immensa fortuna, ma non è sempre "vacanza", ne tanto meno sempre facile. Soprattutto da quando con noi ci sono quelle due nane, che ultimamente danno segni di malcontento ad ogni mia partenza, mettendomi in una condizione non semplice ogni volta che le saluto. Ma...va bene così. Un piccolo scotto da pagare per continuare le mie avventure sui campi del mondo, però ci tengo a ribadire sempre che "non è tutto oro quello che luccica". E da queste parti, ogni giorno, scopro la veridicità, il valore di questo modo di dire. Mahè, isola principale delle Seychelles, paradiso naturale, dove anche le spiagge pubbliche, quelle lungo la strada, le uniche dove mi sono tuffato in mare post allenamento, al calar del sole, per 5 minuti, quelle schifate dai locali, sono spiagge bianche, chiuse da palme, con un mare cristallino (anche se mosso la al tramonto e con una corrente terribile) invidiabili e da sogno per molti di noi (che comunque godiamo la bellezza delle spiagge italiane). Mahè, capitale dei resort, degli alberghi di lusso, dei club med, del turismo "d'assalto"; piena di russi (si, russi. Mi sono stupito di incontrarne così tanti in aereo), americani, francesi, qatarioti o sauditi, in vacanza con i loro yacht, catamarani o chissà con cos'altro e le loro giovani "innamoratissime", mogli. Mahé, capitale delle spese folli, dove una notte in un hotel normalissimo ti costa almeno 250€, dove una cena semplice e leggera non vale meno di 80€, dove un caffè espresso costa 4,60€ (meno male che siamo in quaresima e mi son tolto il caffè!). Mahé, dove la gente locale fatica a vivere, a star dietro ai costi folli, dove le bambine di 14 anni sono mamme (anche perché fino a poco tempo fa lo stato dava un incentivo economico importante per ogni bambino, per cui tante sceglievano come mestiere quello della mamma, piuttosto che la cameriera), dove il consumo di alcool pro capite, rapportato al numero di abitanti, è il più alto al mondo e il venerdì sera è comune trovare lungo la strada file di auto con lo sportello aperto e una ragazza o un ragazzo riverso fuori a rigettare i malesseri della serata finita troppo presto. E non scherzo quando scrivo "le file": sembra ci sia un posto prestabilito dove vomitare dalla macchina, le ritrovi tutte li. Dove la droga circola con una disarmante semplicità e viene consumata ad ogni età, partendo da bambini a rovinarsi la vita. Eppure...le palme, il sole, la pace e la tranquillità che mi hanno accolto in questi ormai tre giorni (pace e tranquillità per loro che vanno a zero all'ora! Noi abbiamo trottato come matti dalle 7 alle 17 tutti i giorni, cazzo!) non mi davano questo pensiero, questa immagine. Ma...non è tutto oro ciò che lucicca.

mercoledì 15 marzo 2023

Torneo si, torneo no

 Sveglia presto, mini allenamento per il risveglio e poi via, in macchina, verso lo stadio scelto non senza difficoltà ieri. Già, non senza difficoltà, perché una volta arrivato l'ok dal presidente della federazione per procedere con l'organizzazione del torneo finale, è sorto il problema del campo. Un po' perché qui non ce ne sono, un po' perché il campo doveva essere "all'altezza della fifa", quindi non potevamo prendere un campo in terra rossa, africana, qualsiasi, per non dare al mondo un immagine negativa del paese ("altrimenti mi prendono per i cogli..i", dice l'amico di marsiglia). Ma via, ormai lo abbiamo trovato, andiamo al campo! Dall'hotel allo stadio sono 15 minuti (incredbile trovarsi in Africa e non rimanere imbottigliati nel traffico. Ma qui funziona così. Hanno addirittura i semafori, oltretutto rispettati...), ma quando arriviamo ci aspetta una sorpresa. Una spiacevole sorpresa. L'evento è rimandato. Oggi non si farà nulla. Non sono stati avvertiti alcuni ministri, la figlia del presidente non era al corrente dell'importanza della giornata, i bambini non possono venire...insomma, mille supercazzole, ma ciò che è certo è che oggi nessun pallone rotolerà su questo campo. Scattano le telefonate per fermare le leggende fifa, gli ospiti, i vip, i giornalisti, le decine e decine di persone invitate e ad ogni telefonata cresce in noi la delusione, ma anche la rabbia per una cosa che a noi, soprattutto ai miei compagni di avventura, appare incomprensibile. Non voglio fare l'esperto di geopolitica, ma ieri, quando Gerrard parlava, capivo perfettamente la sua posizione, il suo stato: se "dall' alto" non arriva l'ok ufficiale, qui, le cose non si fanno. Che tu ti chiami FIFA, Uefa e chissà cos'altro. I miei colleghi un po' meno e, nonostante il mio tentativo di spiegare il punto di vista del nostro amico, non son riuscito a render ben chiara la situazione. Ma il no di questa mattina, forse, è servito maggiormente allo scopo. 

Con le pive nel sacco, quindi, rientriamo in hotel, dove è prevista una riunione con il ministro dello sport, il ministro dell'educazione, il presidente della federazione e il segretario generale. Per...per organizzare il torneo che domani potrà svolgersi!!! Si, proprio così. Oggi no, ma domani si. Perché? Forse è meglio non esplicitarlo troppo. Ma l'importante è che domani saremo in campo. Chiedo più volte conferma, certezza del fatto, e dopo aver ricevuto le dovute rassicurazioni posso andare a correre felice. Ok, oggi è passato. Iniziamo a pensare a domani e ai cento bambini.

domenica 12 marzo 2023

Kigali, Rwanda

Quando io e Antonio siamo stati raggiunti dalla telefonata del nostro capo, che, ancora incredula, ci comunicava che il segretario generale della federazione aveva poco fa cancellato il torneo/evento di lunedì, con la mente son tornato indietro ai tempi dell'Inter, quando in Palestina, improvvisamente, il sindaco della città ci aveva chiamato per dirci che non ci sarebbe stato alcun torneo in Israele tra i loro bimbi e quelli parte del nostro nucleo di Tel Aviv. Stessa situazione: finito allenamento tutto confermato, pacche sulla schiena e sorrisi in vista del grande evento che si sarebbe svolto di li a pochi giorni, e poi, poche ore dopo, l'incredibile e inspiegabile marcia indietro: non se ne fa nulla. Ma se da una parte le ragioni le conoscevo (la secolare e perenne "guerra" tra i due popoli, la paura di essere accusati di collaborazionismo, la volontà di non passare per amici "di quelli li"...), da quest'altra tutto mi rimane di difficile comprensione. E anche i miei colleghi, nella riunione improvvisata nella hall dell'hotel, sono spiazzati e tirano fuori mail, whatsapp, messaggi, in cui lo stesso personaggio che ora annulla tutto, aveva felicemente dato conferma del tutto, ringraziando fifa per l'opportunità e garantendo supporto e aiuto in tutto. Invece...Quando poi questa mattina, con il DT della federazione abbiamo affrontato il problema, per trovare una soluzione, le cose son diventate ancora più oscure: noi spingevamo per organizzare comunque un torneino in un altro campo in città e lui è andato su tutte le furie, mosso da qualcosa che a me è parso terrore, paura, spavento. Quando poi ha ripetuto più volte "se organizziamo qualcosa senza tutte le autorizzazioni io sono un uomo morto. Voi giovedì ve ne andate, ma io qui ci lavoro. e voi non sapete con chi abbiamo a che fare", ho capito che forse la mia idea del torneo approvata ieri sera non sarà di così facile attuazione. Spaventato, occhi sempre aperti, senza quasi mai un battito di ciglia e un fastidioso, almeno per me, tic alla mandibola ad accompagnare il tutto, l'ex giocatore del Nizza che avevo già incontrato in Mauritania e col quale si era creato un bel rapporto di stima e rispetto reciproco (ancora una volta costruito grazie alla palla), mi ha fatto capire che le cose non sono così semplici da queste parti. Insomma, il ragazzo (più o meno ragazzo) era piuttosto preoccupato. E io ho iniziato a rivedere le mie già scarse conoscenze del paese. Ricordo infatti un paio di articoli su internazionale che descrivevano questo posto come una rarità africana, ma senza ben spiegare il come si è raggiunto questo grado, apparente, di "sviluppo". E' vero, la città è pulitissima, ordinata, in giro tutti i motociclisti indossano un casco (rarità assoluta, per quanto ho visto io in Africa, nei 15 paesi fin qui da me incontrati), ma...tutto è controllato, centralizzato, deciso e ordinato dall'alto e nulla si muove se da sopra non arriva un via libera. E non si muove veramente. La gente qui va a zero all'ora, peggio dei cubani di Holguin che per me erano parenti stretti dei bradipi. Nulla si muove. E noi nemmeno. Senza autorizzazione non possiamo organizzare un bel niente. Per fortuna i contatti dei miei capi sono ad altissimo livello, per cui al termine della giornata odierna otteniamo dal presidente della federazione la tanto attesa autorizzazione: si può fare! Domani quindi sveglia prestissimo per prender possesso del campo, "addobbarlo" a festa, preparare i campi e accogliere i bambini (ne aspettiamo 100...chissà quanti ne arriveranno) e dar vita, speriamo, a una grande giornata di festa. Sempre che nel frattempo non succeda qualcosa d'altro.

mercoledì 1 febbraio 2023

Running in Moroni

 La giornata è lunga e intensa, tra aula e campo, in più il caldo umido dell'isola certo non aiuta a conservare le forze. Ma quando Antonio, il mio collega, saliti in macchina mi propone una corsa verso la spiaggia in centro città, dove abbiamo visto tutti i giorni, a qualsiasi ora, bambini giocare a calcio, per vedere il tramonto, magicamente recupero le forze e, stupidamente, accantono i libri, per accendere il garmin e partire. Dall'hotel sono 3km scarsi di saliscendi, ma con questa luce e, finalmente, un po' di brezza fresca dal mare, nonostante le macchine lungo la scalcinata strada, la corsa è un vero piacere. Anto è un po' fuori forma, ma comunque tiene il passo, e lungo la via è bellissimo scorgere l'oceano alla nostra destra spuntare tra gli immensi e verdissimi alberi, e ammirare l'immensità del vulcano alla nostra sinistra, dietro le "case" della città, con il suo comignolo perennemente celato agli occhi dalle nuvole. Meno di un quarto d'ora (se non altro questa mattina mi sono già allenato...) e siamo in spiaggia, dove ci imbattiamo in un paio di ragazzotti che pretendono il pagamento di un ticket di ingresso e che velocemente dribbliamo: la spiaggia a mille accessi, nonostante sembri ben recintata, e loro stanno chiudendo solo quello principale. Basta spostarsi di una decina di metri et voilat, eccoci sulla sabbia. O forse sarebbe meglio dire eccoci a coverciano! sono in corso contemporaneamente almeno 5 partite "ufficiali", con il mare come linea laterale e delle grosse pietre come pali della porta; squadre divise non si capisce bene con quale criterio (bellissimo uno di questi incontri: alcuni giocatori hanno la casacca verde, altri no, ma le squadre sono composte da un mix fra casaccati e non casaccati!) e portieri che quando la palla è lontana si esibiscono in salti mortali, ruote o mosse tipo capoeira. Non nascondo che mi sale la scimmia di entrare in campo con una di queste squadre, ma il tramonto è ormai prossimo e Anto ci tiene ad ammirarlo, per cui ci spostiamo sulle rocce e...incredibile. Non avevo mai visto il sole tramontare dietro il mare salutando questo lato di mondo con dei raggi ben distinguibili di luce di diverse gradazioni di arancione. Davvero, sembrava un disegno, quando si riproduce su un foglio il sole, circondato da delle linee a rappresentare i raggi. E il riflesso di questi raggi sull'acqua rendeva il tutto ancora più...finto! Sembrava davvero dipinto. Il tutto si esaurisce velocemente: il sole in meno di 5 minuti "crolla" in acqua e sparisce e noi ci rimettiamo le scarpe e facciamo dietro front, però,,,che meraviglia. Il tutto con intorno palloni da calcio che volavano e venivano, malamente va detto, colpiti. I 3 km di ritorno volano via velocemente, ricaricati di energia dallo spettacolo di poco prima, per cui, arrivati in hotel, avendo ancora 40 minuti prima dell'appuntamento per la cena, decido di chiudere la giornata in palestra. A studiare ci penso domani. Per forza

domenica 29 gennaio 2023

Moroni, Comore islands

Devo riuscire a dare più continuità a questo blog. Ho completamente omesso da questo diario di bordo il viaggio in costa d'avorio, oltre ad aver concluso frettolosamente l'avventura malawiana. Peccato, perché è vero che la memoria è il mezzo migliore, almeno per me, per rivivere le esperienze, ma a volte anche lei ha bisogno di una piccola spinta, di un piccolo supporto e mi dispiacerebbe perdere per strada pezzi di esperienza che hanno e stanno contribuendo al mio quotidiano crescere. Ci proverò, ma, metto le mani avanti, i tempi son sempre tiratissimi. Questo giro devo anche, sottolineo devo, dedicare del tempo allo studio, visto che giusto al ritorno avrò un esame da sostenere...ma ci proverò.

Dunque, dove siamo? Ah, si: Moroni, isola grande delle 4 che formano le Comore. Un posto che, onestamente, avevo solo sentito nominare, ma che non mi ero mai preso la cura di cercare sul mappamondo prima d'ora; un posto che, per quel poco visto fino ad ora, mi sta colpendo positivamente: un' isola vulcanica, dominata dal monte/vulcano Khartala (Moroni, il nome della città, in lingua locale mi hanno detto voglia dire "circondata dal fuoco", per motivi abbastanza evidenti), una terra nera, lavica, una natura verde, verdissima, incombente e un mare multicolore, bellissimo. Nota negativa, lo stato delle cose: il paese, da nord a sud sulla costa ovest che abbiamo percorso, sembra sia stato distrutto l'altro ieri e da ieri in fase di ricostruzione. Case in pietra mezze costruite (un must sono le scale esterne in pietra lavica senza alcuna copertura, paratia, appunto come nelle case in costruzione), strade a tratti impercorribili, intere distese lungo il crinale delle montagna con pietroni neri a sostituire il verde delle palme e della vegetazione tropicale. Come se, come detto, l'altro ieri ci fosse stata un'eruzione. Eppure, da quel che mi hanno detto, l'ultima grande e importante eruzione risale al 2007, 15 anni fa: un po' di tempo è passato. Non sembrerebbe. Anyway: il primo impatto rimane comunque positivo. Questo primo, intensissimo giorno, mi ha fatto inoltre incontrare e iniziare a conoscere la gente e anche sotto questo profilo l'isola mi ha ben accolto: dal dt, al presidente della federazione, dagli allenatori, fino ai bambini, tutta gente positiva, sorridente, disponibile e, cosa più importante, super appassionata di calcio. E questa cosa, tutte le volte, mi affascina un sacco: accorgermi come quella sfera di cuoio (a volte di stracci: oggi c'erano dei bimbi che calciavano un oggetto sferico di imprecisato materiale) sia universale, sia inseguita in ogni angolo del globo da chiunque, è una "scoperta" cui non mi abituerò mai. Si, si, sono esageratamente fortunato