venerdì 29 maggio 2015

Favela

IN FAVELA
Non mi abituerò mai: la macchina rallenta, la musica si spegne, si abbassano i finestrini, Del si toglie la cintura di sicurezza e il cicalino delle frecce inizia a riempire la macchina, si accende la luce interna, in modo da far vedere chi c’è dentro. Eccoci in favela. Una volta dentro è un continuo salutare, per Del ovvio, suonare il clacson alle varie sentinelle, segnalarci dove possiamo e dove non possiamo guardare. Ogni volta è così, ogni volta questo “rito” ci introduce in queste città nelle città, ordinate e governate secondo le loro leggi, secondo i loro codici e se non ti adegui…sono affari tuoi. Nel senso più stretto del termine: lo scorso anno, quando eravamo qui noi, un ragazzo in auto non ha abbassato i finestrini entrando e pochi metri dopo è stato freddato. Non so chi sei, non riesco a riconoscerti, ti faccio fuori: potresti essere un pericolo e non posso correre il rischio. Pauroso!!! Allora si, Del, abbassa tutto!!!
Ultimamente questa tensione è cresciuta, per via del processo di pacificazione delle favelas in atto da prima del mondiale giallo verde dello scorso anno: l’esercito, seguito poi dal BOTE (batalhão de operaçoes policiais especiais), che quando entra fa disastri, dalla polizia e da altre divisioni delle forze di sicurezza, alternandosi, entrano nelle comunità e le liberano dai banditi che le controllano, fermandosi poi per controllare che la pacificazione sia effettivamente avvenuta ed evitare che le gang tornino ad esercitare il loro potere e questa cosa, seppur sulla carta positiva, sta scatenando guerre per il controllo delle restanti favelas e per il dominio nelle varie comunità. Durante gli allenamenti, infatti, sono sempre di più le armi che vediamo intorno a noi: ragazzini che girano in moto, con fucili o pistole armate a tracolla, che ci controllano, guardano cosa stiamo combinando e a volte chiedono informazioni, vogliono sapere perché siamo li. Oggi poi abbiamo raggiunto il clou: nel trasferimento tra un campo e l’altro, tra una comunità e l’altra, siamo passati vicino a un punto nevralgico della favela, una sorta di confine (la striscia di Gaza, mi ha detto Del), dove una ventina di ragazzi poggiavano su dei tavoli “sacchetti bianchi”, in attesa non ho ben capito di chi o cosa; armati stile american sniper, giravano intorno a questi tavoli evidentemente in tensione…a me terrorizzano le pistole ad acqua, figuriamoci quell’armamento, ma per fortuna il campo era distante…nemmeno trenta metri!!! Madonnina! Nulla è successo, Del ha detto che si stavano preparando per una incursione notturna in un’altra favela, quindi ci è andata bene, però che situazione! Noi ci passiamo solo, ma questa gente, questi bambini ci vivono quotidianamente, questa situazione fa parte della loro quotidianità, al punto che adesso le mamme, quando vogliono impedire ai figli di uscire di casa, dicono loro che fuori stanno sparando! Non uscire, fuori stanno sparando…quotidianità

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