lunedì 30 novembre 2015

Arrivo a L'Habana

HAVANA!


Atterriamo nella CAPITAL addirittura con mezz’ora di anticipo, alle 15, e già scalpitiamo in vista della corsa che abbiamo deciso di fare appena arriveremo a casa, in calle industria. Anche il controllo passaporti scivola via piuttosto rapido, rispetto agli standard locali, e se non fosse stato per la lentissima riconsegna della valigia del prof, avremmo battuto ogni record di “velocità” in uscita dall’aeroporto. In ogni caso 1 ora rimane comunque un gran tempo! Appena fuori troviamo subito il mitico Roberto, che a bordo del suo taxi, ogni volta diverso da quello della volta precedente, tra chiacchiere sul suo stato di salute, un passaggio a casa sua e discussioni sulla situazione attuale dell’isola, ci porta al nostro solito condominio, dove alloggiamo ormai da sei anni, sempre in una casa particuar differente, sempre ospiti di famiglie diverse. Qui, giusto il tempo di conoscere Maria Lidia, ci cambiamo e…via, verso il Malecon per la sgambata rigenerante! Necessaria, dopo 11 ore in aereo! 7 km sul lato interno del lungomare, perché le onde altissime e violente invadono il marciapiede sull’altro lato della strada, a ritmo basso (4:25), utile per muovere le gambe e buttar via un po’ di tossine. Perfetto. Stiamo bene, si corre bene, le sensazioni sono positive,  siamo tornati nella nostra ennesima casa (come lo è Yaounde, o Kinshasa, o città del Messico…) e siamo pronti, prontissimi per la settimana di lavoro. Ora non ci resta altro da fare che una cenetta veloce insieme ai nostri due compagni di viaggio, Christian ed Eligio, e poi…letto!!! Domani altra sveglia presto per tornare in aeroporto e partire alla volta di Hogluin. Sperando che questa volta ci sia l’aereo e non siamo costretti, come a Maggio, a passare la notte in aeroporto, per poi rientrare con le pive nel sacco. Ora però buona notte.

domenica 29 novembre 2015

Partenza per Cuba!

CUBA
La sveglia è puntata presto, prestissimo questa volta, ma oggi non serve: ci pensa Lei a svegliarmi, iniziando a “miagolare” nella sua culla mezz’ora prima della fatidica ora, lamentandosi e dimenandosi sotto le sue copertine; mi alzo, dunque, per salutarla per bene, cercare di calmarla e rimetterla a dormire, sperando così di lasciare tranquilla ancora per un paio d’ore Silvia, ma ogni volta che mi stacco dalla culla Anna riprende il suo concertino lamentoso, fino a scoppiare in un vero e proprio pianto quando la lascio sola per un po’, dovendo lavarmi e vestirmi, costringendo la mamma ad alzarsi. Sicuramente è una invenzione del mio cervello deviato di papà indispensabile, ma è sembrato quasi avesse capito che stessi per andarmene, che stessi per lasciarla per 15 giorni, destino Cuba e Brasile, e quindi, a modo suo, non stava facendo altro che segnalarmi il suo disappunto, la sua contrarietà alla mia partenza. Quando poi stavo per uscire e lei, attaccata al seno di Silvia per l’ultima poppata della notte, continuava a cercarmi, muovendo la testa da una parte all’altra, staccandosi dal seno, cosa impensabile per lo squaletto di casa, mi sono autoconvinto della cosa: scusa Anna, devo andare. Inter Campus chiama e per un po’ non ci vedremo. Ma torno. Cacchio se torno. Giusto il tempo di un viaggio a l’Havana, per andare poi ad Holguin a proporre un corso ai nostri allenatori, spostarmi vicino a Fortaleza, in Brasile, prendere contatto con una nuova possibile cellula verde-oro, scendere a Rio e dedicare due giorni ai bambini delle nostre comunità e chiudere la missione a San Paolo, poi torno. Sono 13 notti, poi mi fermo di nuovo per un po’. Dai. In fin dei conti dovrai abituarti, mia nana: questo è ciò che faccio, questo è ciò che so fare, questo è ciò che mi piace. Non far impazzire Silvia e vedrai che prima che tu te ne accorga sarò già a casa! Ho pensato più volte al distacco, alla mia prima partenza dopo la lunga sosta forzata prima del suo arrivo, ma non avevo mai preso in considerazione tutti questi stati d’animo, tutte queste emozioni che sto vivendo; non pensavo, non credevo, non consideravo minimamente di poter essere così “stregato” da un simile nano, di poter mettere in dubbio le mie partenze, i miei viaggi, i miei campi del mondo. Certo, anche quando era solo Silvia la donna di famiglia era complicato andarsene, ma la certezza del ritorno, la bellezza del sapere che una volta a casa saremmo e saremo di nuovo noi, mi ha sempre lasciato tranquillamente vivere le emozioni del viaggio, dei corsi, degli allenamenti, invece ora…cacchio, vorrei non perdermi un minuto della sua vita (e già durante il giorno normale sono con lei pochissimo, tra ufficio e campo), un attimo del suo percorso di scoperta, di esplorazione di se stessa e del mondo esterno, di conoscenza delle cose. Ma ok, va bene così: rientriamo nei ranghi e pensiamo al lavoro adesso: ci sono allenatori da formare e bambini da crescere in giro per il mondo Inter Campus. Vamos!

martedì 17 novembre 2015

Giocare aiuta a guarire

È da tanto che manco da queste pagine ed è da tantissimo che non viaggio, ma una bimba ha fermato il mio incessante pellegrinaggio per il mondo e mi ha volentieri "costretto" a casa, per accudirla, per vederla, per conoscerla, insieme a Silvia. Erano 11 anni che non rimanevo in Italia per così tanto tempo, ma ora si riparte, si torna a raccontare i campi del mondo.
Ma questa volta niente aereo, niente trasferta intercontinentale, niente massacrante, forzata seduta negli scomodissimi seggiolini di una qualsiasi compagnia aerea; questa volta il campo che mi accoglie è quello di casa, Interello, dove per la seconda volta questa stagione diamo vita a un allenamento con bambini in post therapy dell'ospedale San Gerardo di Monza. Post therapy??? Cioè? "Parla come mangi", sento già riecheggiare nelle orecchie questa frase. Post therapy: dopo la terapia. Bambini che sono stati malati di leucemia e che stanno uscendo dalla malattia e per questo hanno bisogno di un pallone da inseguire per trovare più velocemente la strada che porta fuori. Bambini dai 5 anni ai 14 che hanno trascorso gran parte delle loro giornate costretti a letto, il più delle volte nemmeno il loro letto, ma quello freddo, "puzzolente" (l'ospedale puzza, non si può negare: di disinfettante, di odori finti, artificiali...puzza) dell'ospedale, bambini che quindi hanno poca, se non nessuna, dimestichezza col movimento, col proprio corpo...con il gioco. Eppure bambini bellissimi, sorridenti, positivissimi, determinati, decisi ad imparare, ad apprendere il più possibile in quell'ora e mezza che possiamo dedicargli; bambini che corrono allo stremo delle forze "dentro" le nostre esercitazioni, correggendo il loro movimento ad ogni nostro consiglio e migliorando minuto dopo minuto; bambini che hanno tanto da insegnare ai miei della Calva, sani, forti, robusti, inconsapevoli della fortuna che hanno, del grande dono che hanno ricevuto: la salute.
Ok, ok, spostatevi davanti...lasciate far manovra...lasciate ora uscire il gran camion di retorica che ha scaricato il suo contenuto su questa pagina...No, mi spiace, questa volta no. Non sono il tipo da lanciarsi in racconti in pieno stile De Amicis, in storie prese da studio aperto. No, no, quale retorica? Tutto vero, tutto parte di ciò che sento, che provo, ogni volta che sono sul campo con questi bambini e bambine; quando sono sul campo con Teresa, ad esempio: un fascio di nervi con due mega occhi azzurri che ti fissano attenti quando spieghi e una "grinta" che la porta a duecento all'ora a provare, a mettere in pratica ogni tua richiesta, ascoltando i tuoi consigli e migliorandosi minuto, dopo minuto; oppure quando gioco con Vittorio, un nano di 5 anni simpaticissimo, in possesso di una proprietà di linguaggio che tanti adulti mai potranno nemmeno immaginarsi, con grossi, evidenti limiti già negli schemi motori di base quali il correre e il saltare, eppure sempre...sul pezzo, con la sua corsa ultra tallonata e la sua inimitabile conduzione di punta, che allenamento dopo allenamento sta quasi diventando di esterno piede. Grandissimo.
O ancora Marco, o Jacopo, o Oscar (6 anni e già un trapianto di midollo alle spalle), o, o, o...Mi diverto sempre un sacco in campo con loro e mi piacerebbe portarli in campo una volta coi miei bambini, farmi raccontare la loro storia ed essere io ad ascoltar loro per imparare, apprendere qualcosa in più.