giovedì 24 marzo 2016

Nicaragua-Venezuela

VENEZUELA
La partenza da Managua è piuttosto…temprana, presto, la mattina, visto che la navetta che ci porta all’aeroporto parte alle 5, ma non mi sento particolarmente stanco. Nonostante la merda mangiata ieri (non finirò mai di insultarti, Ciccio), mi sveglio bene, certo non fresco e riposato, ma non particolarmente distrutto.Si parte, dunque, direzione Caracas, dove mi aspetta (Gabri torna a Milano, siamo solo io e Ste a muoverci) una bella matassa da sbrogliare: la situazione del paese ha bloccato per quasi due anni il nostro progetto, costringendoci a sospendere le missioni e a congelare i lavori, ma i nostri partner in loco hanno proseguito in maniera del tutto sconclusionata e anarchica, mossa solo da lodevoli intenzioni nei confronti dei bambini, quindi ora che si riprende bisogna riportare l’ordine. O almeno iniziare a capire qualcosa in più. Inoltre il Venezuela sta affrontando una crisi mai nemmeno pensata prima, che noi poveri gringos ignoriamo completamente, perché dalle nostre parti non giungono che gli echi della disperazione che si diffonde quotidianamente da queste parti. Questa crisi che ha portato, porta e porterà povertà diffusa a tutti i livelli della società, sta scatenando violenza (pensa che l’aspettativa di vita media nelle favelas per un uomo è di 26 anni!!! Nemmeno in Africa!) e sta distruggendo il paese, soffocato dai debiti e dalla svalutazione del Bolivares, la moneta locale. Tale moneta ha tre diversi valori al cambio: al mercato nero con 1 dollaro si ottengono 1000 Bs, al mercato “regolare” è consigliato a 300, ma al mercato ufficiale è cambiato a 200! Quindi per noi gringo un risotto può costare 45 euro, come 6, a seconda del cambio! Assurdo. Ma la cosa peggiore è per i locali: lo stipendio minimo di 25000 Bs, oggi, vale quasi nulla, se si pensa che i prodotti sono per lo più venduti al mercato nero, con prezzi fuori controllo completamente, anche quelli così detti “controllati”, ossia venduti con il prezzo fissato dallo stato; tutte le merci, infatti, sono limitatissime e ogni cittadino ha diritto ad un solo prodotto di quelli controllati e... fin quando ce ne sono! Per fare la spesa, con la carta d’identità, si mettono in fila al supermercato per far valere il proprio diritto di acquistare un sacco di riso, uno solo, ad esempio, al prezzo controllato; solo che questo prodotto ben presto finisce, perché tutto è importato e tutto è limitatissimo, quindi coloro che ne rimangono senza devono ricorrere al mercato nero, dove lo stesso sacco viene venduto ad un prezzo maggiorato anche di 500 volte! Assurdo! Questa cosa, poi, sta scatenando lo sciacallaggio: è nata negli ultimi mesi la figura della “formica” (detto bachoco mi sembra di ricordare), ossia del delinquente che si “arma” di più carte personali per l’acquisto dei prodotti e fa man bassa di tutto, al prezzo bloccato, per poi fare fortuna rivendendo il tutto al mercato nero. E ogni giorno qualche “formichina” in più abbandona il suo lavoro, per vivere alle spalle della povertà e della disperazione della gente. Veramente una situazione drammatica, che si vede, si sente, si avverte, in ogni momento e in ogni dove: appena atterrati un funzionario ci offre di cambiarci i dollari a un buon prezzo, non usciamo dall’aeroporto fin quando la macchina che ci deve portare in città non è fuori dalla porta di uscita, facciamo forse 5 km in macchina e veniamo fermati dalla polizia per un controllo fittizio, volto in realtà a scucirci soldi (che non hanno ottenuto, perché nonostante la loro insistenza nemmeno troppo velata, ne’ io ne’ Ste abbiamo dato segno di cedimento), arrivati in hotel si raccomandano di non uscire mai la sera se non accompagnati, in macchina, e per andare in un posto chiuso. Insomma, niente male il viaggetto!

mercoledì 23 marzo 2016

L'angolo dell'allenatore

L’ANGOLO DELL’ALLENATORE NICARAGUENSE


Questa volta gli spazi e il materiale certo non posso dire che mancassero: un campo regolamentare diviso per quattro squadre e quasi un pallone ogni tre bambini a disposizione, pettorine di tre colori, cinesini, coni, addirittura una speed ladder! Insomma, grosse difficoltà sul campo non ne abbiamo incontrate. Il vero problema è stato…l’idioma! Cazzarola, io lo spagnolo lo capisco, ma lo parlo come un immigrato appena sbarcato a Lampedusa parla l’italiano e Gabri…be’, non me ne voglia, ma lui forse in Italia è sbarcato ieri! Quindi? Come facciamo a trasmettere i concetti che vogliamo lasciare rispetto all’allenamento? Il campo e i bambini non sono un problema: con loro basta il nostro itagnolo, l’esempio, il linguaggio del corpo e tutto si risolve sempre al meglio, ma in aula? Spiegare cosa sono gli schemi motori di base, il loro legame con le capacità coordinative e quindi poi con i gesti tecnici, gesticolando con le mani e muovendo il corpo non è facile, ma sopratutto potrebbe non essere efficace. Invece…invece in aula tiriamo fuori un idioma comune a tutti, una sorta di esperanto calcistico, che ci permette di affrontare e approfondire temi difficili da sviluppare anche nella nostra lingua, rendendoli chiari ai nostri mister (ho verificato più volte che le cose fossero realmente capite e non ci dicessero si solo per porre fine a quello stupro della lingua spagnola) e fissandoli nella loro zucca, rendendoli così consci delle loro responsabilità sul campo nei confronti dei bambini e consapevoli della grandezza del calcio quale mezzo di educazione, crescita, miglioramento non solo tecnico. Insomma, come sempre dico, il calcio è un linguaggio universale, fatto di gesti, parole, passione e divertimento, capace di unire tutto e tutti...peccato poi ci si mettano gli adulti a giocare e tutto si trasforma in quel carrozzone stracolmo di persone squallide, dedite solo alla ricerca del soldo, all'accumulo dello stesso, nascondendo, se non cancellando del tutto, la vera essenza di questo magico sport. Son sempre "loro" il problema: gli adulti.

giovedì 17 marzo 2016

Al porto con Ciccio

PUERTO SALVADOR ALLENDE
Grazie Gabri. Non fosse stato per te, sarei riuscito anche questa sera a mangiare bene e ad evitare di metter piede in quelle specie di fast food puzzolenti, con la musica a mille decibel, di chiara derivazione americana, che tanto successo stanno avendo anche dalle nostre parti. Devo venire fino a Managua per ritrovarmi a mangiare al Roadhouse di Cinisello Balsamo! Già, perché il posto di questa sera sembrava proprio il “ristorante” su viale fulvio testi. Madonnina! Invece eravamo al porto Allende, una zona riqualificata dopo il 2010 e ora diventata una specie di luna park del cibo: ristoranti di ogni tipo, bar, karaoke, caffè, l’uno via l’altro, freddi, sembrano di plastica, con le loro luci artificiali, la loro musica dal vivo, i loro trucchi spilla soldi. Che turistata. Ma, mi chiedo io, tutto questo baraccone per chi? Non ho visto grandi orde di turisti: pochi, pochissimi ragazzi, per lo più americani, incontrati, intravisti qua e la in questi giorni, ma non abbastanza da giustificare tutto questo. Ed è un peccato. Non certo per il porto Salvador Allende, ma per la bellezza potenziale di questo Paese: io non ho visto nulla, se non il centro deportivo nicaraguense e l’hotel dove dormivo, ma ho chiesto, ho letto, ho surfato un po’ su internet e mi sono reso conto che dal punto di vista naturalistico il Nicaragua è tutto da scoprire. Vulcani attivi, una costa caraibica (Bluefields dicono tutti sia da vedere) e una sul pacifico, laghi e fiumi in abbondanza (il lago Nicaragua è immenso, diciannovesimo del mondo, dice wikipedia), montagne, foresta pluviale: piuttosto verde, direi, tanto che quasi un quinto del territorio è designato come area protetta, come parco nazionale. Ma nessuno lo sa, o per lo meno io ignoravo completamente questa realtà. Ed è un peccato. Turistate a parte e situazione, il turismo potrebbe essere per il Paese una bella risorsa per cercare di migliorare un po’ le cose, visto che la crisi in Venezuela si sta ripercuotendo in maniera piuttosto decisa anche qui, essendo il paese Chavista un finanziatore piuttosto generoso (come fa anche con Cuba, Colombia e Bolivia: regalano petrolio, cercando di costruire un fronte antiamericano coeso, o almeno sulla carta vogliono questo)del Nicaragua (non so in cambio di cosa). Chissà. Non che sia un sostenitore del turismo di massa, ma quello sano e puro, “zaino in spalla”, nel rispetto della realtà che si visita e con l’umiltà di adattarsi ad essa, per me rimane la fonte principale di conoscenza per ciascuno di noi e in ogni mio viaggio, seppur dovendo lavorare nei vari posti, cerco di conoscere e vedere sempre più cose possibili. Ma per adesso ci fermiamo: domani riparto, direzione Venezuela. Il Nicaragua è nel cassetto e fino a novembre potrò tornare in questa nazione centroamericana, su questo campo del mondo, solo comunicando con i nostri mister, sempre con l’obiettivo di migliorare il loro lavoro e far crescere nel migliore dei modi i nostri bambini, vestiti elegantemente di neroazzurro.

lunedì 14 marzo 2016

Affinità

CUBA-NICARAGUA


Sarà l’estrazione marxista del partito al potere, sarà il sostegno dato da Cuba alla guerriglia sandinista negli anni settanta, sarà il clima e la gente che mi circonda, ma girando per Managua, parlando con le persone, giocando con i bambini, sono tante le analogie che ho riscontrato. I manifesti che tappezzano la città con i vari slogan tipici anche dell’isola caraibica (seguimos juntos hasta la victoria…la lucha sigue…el pueblo presidente…eccetera), le foto, i dipinti di Chavez, Bolivar, Jose Marti su case, muri, strade, le piazze enormi che mi hanno ricordato quelle “storiche” de l’Havana (plaza de la revolucion e plaza della fe soprattutto, sembravano prese dalla capitale castrista), poi hanno contribuito ad aumentare le mie sensazioni di deja vu. Parlando poi con le persone mi sono reso conto che anche qui l’istruzione ha un ruolo fondamentale e tutti, chi più chi meno, hanno grandi conoscenze della storia del proprio paese, oltre a nozioni varie assolutamente chimeriche nella nostra povera penisola, dominata da ignoranza e totale non curanza nei confronti della storia e del mondo circostante. Se penso che oggi un ragazzo con cui stavo parlando di 26 anni mi ha detto “non posso pensare al mio futuro, se non conosco la mia storia”, in seguito ad una “charla” che abbiamo avuto sulla rivoluzione sandinista (charla sorta a seguito di una mia osservazione relativa alla presenza di tanti progetti attivi con l’Italia, nati in seguito alla volontà di tanti italiani che negli anni 80 sono venuti a dare il loro contributo alla lotta: lavorando nelle piantagioni di caffè, aiutando i campesinos, sostenendo a loro modo la guerriglia e rimanendo tutt’oggi legati al paese), durante la quale mi ha illustrato attraverso date e nomi di poeti, guerriglieri e personaggi storici vari, alcuni fatti, mi rendo conto che noi, paese sviluppato, viviamo nell’agio e nella ricchezza, ma siamo veramente dei poveretti! Laureati o sedicenti tali che scrivono buttando la punteggiatura a caso, per non parlare di coloro i quali si avvalgono esclusivamente dei puntini di sospensione; ragazzi che parlano senza nemmeno sapere cosa sia il congiuntivo, gettando a caso e a ripetizione l’imperfetto nelle proprie proposizioni; adulti che ignorano chi o cosa sia stato…qualunque cosa, al di fuori di Totti o Del Piero. Non son certo Umberto Eco io che scrivo, ma per lo meno riconosco di non sapere e provo, vanamente e costantemente, a colmare le mie immense lacune e per lo meno non credo che London sia scritto L, apostrofo, ondon…(mi riferisco ad un video che mi ha fatto vedere Andre in Camerun, in cui il prototipo dell’italiano medio viene intervistato e alla richiesta di fare lo spelling della sua città europea preferita, cosi risponde. Povera Italia). 

domenica 13 marzo 2016

In campo

CAMPO-AULA-CAMPO
La sveglia suona presto, perché prima dell’incontro in aula voglio andare a correre e voglio farlo con una temperatura per lo meno accettabile, visto che martedì, appena arrivati, mi sono tuffato in strada con Ste a mezzogiorno e con i suoi 34 gradi! Piuttosto estremo, direi. No,no, ora i gradi saranno 24/25, per cui più che accettabile e vicino all’hotel c’è il campo dove faremo gli allenamenti, con una pista di atletica intorno, quindi le condizioni sono decisamente migliorate. Via allora, si parte con la giornata! Il mio corpo non sembra in accordo con la mia mente e la mia volontà e l’aerobico lungo in programma diventa una sorta di martirio: 9km (non avevo più tempo) con gambe di marmo e un paio di tonnellate di sovrappeso sulle spalle! Erano anni che non mi sentivo così a pezzi! Saranno state le 19 ore di volo, saranno forse le 7 ore di fuso orario, sarà, sarà, sarà…tutte scuse. Non so bene perché, ma sembro un dinosauro, mentre annaspo intorno a questa maledetta pista. Rientro in hotel un po’ deluso, ma ben presto l’entusiasmo per la lezione da tenere ai nostri mister mi fa dimenticare il tutto e soprattutto la partecipazione, l’interesse, la voglia di questi ultimi mi ricarica le batterie. Taccio per ben 39 minuti (mi ero ripromesso di lasciar far tutto a Gabri e di intervenire solo per aiutarlo, per migliorare il suo modo di stare in aula), di più non riesco, non perché Ciccio stesse commettendo errori o altro di negativo, ma semplicemente perché l’aula aveva bisogno di una scossa, di un interruzione di schema, di una sveglia. Decido allora di alternare i miei interventi a quelli di Gabri, di completare e approfondire i suoi contenuti, di stimolare e richiedere la riflessione da parte di tutti i presenti, tirando in mezzo una volta Caesar, una volta Alex e così via con tutti e…be’, sembra che le cose vadano bene. Ora tocca al campo, ma anche li le cose vanno nella direzione giusta. Anzi, più di quanto credessi: i bambini hanno fame, hanno voglia e interesse, nonostante siano piccoli (8/9 anni i miei), per cui la seduta scivola via rapida, senza intoppi e con ottimi livelli di varianti sia cognitive che motorie proposte; inaspettatamente, devo essere sincero. Non pensavo che rispondessero così e non credevo avessero così a cuore il calcio: lo sport nazionale è il baseball, il calcio è uno sport di nicchia, poco praticato, per cui mi aspettavo che quei pochi a mala pena sapessero di dover usare i piedi per giocare, invece…Bella sorpresa. Ecco un’altra analogia con Cuba: l’isola caraibica ritorna con sempre maggior insistenza, la rivedo in tante cose. 

sabato 12 marzo 2016

Nicaragua, questo sconosciuto

NICARAGUA, QUESTO SCONOSCIUTO
Non sapevo fosse così grande la città di Managua, ne tanto meno sospettavo potesse avere quasi due milioni di abitanti (è la seconda città più grande del centro america, pensa un po’…), ma, detto tra noi, non sapevo nemmeno un sacco di altre cose di questa nazione, se non quelle poche lette, nemmeno studiate, su libri o sui vari articoli di internazionale nel corso di questi anni (grande fonte di informazione Internazionale. Non smetterò mai di ringraziarti, Silvia, per l’abbonamento che mi hai regalato anni or sono). Per cui oggi, parlando con Arquimedes, uno dei nostri quattro allenatori locali, nelle rare digressioni dall’argomento fondamentale, ossia il calcio e l’allenamento dei bambini, mi sono tuffato volentieri nella travagliata storia di questo Paese, grazie alla grande cultura del mio interlocutore, aiutato nei ricordi da Wilber, altro allenatore inter campus. Travagliata e oltretutto moderna, o relativamente tale, se si considera che la sua indipendenza dal Messico risale solo al 1823 e che per quasi tutto il ‘900 ha subito occupazioni statunitensi (che qui volevano costruire un canale che collegasse i due oceani) e soprusi vari da parte dello zio Sam, con governi sostenuti dagli americani da porre in opposizione al frente sandinista, di chiara ispirazione marxista, sostenuto dai sovietici, ma per lo meno autoctono. Tali opposizioni portarono ad atrocità di ogni genere, finanche alla guerra civile, cui seguirono azioni varie di disturbo da parte della nazione a stelle e strisce, cui si pose fine solo nel 1989, con il cessate il fuoco tra governo e ribelli, che portò all’elezione, guarda caso, di una coalizione di partiti finanziata indovina da chi…Ora al governo, dal 2006, c’è Ortega, ex guerrigliero Sandinista, ma la presenza americana si vede, si tocca con mano ovunque, basti pensare che al supermercato oggi, per pagare le acque, abbiamo usato i dollari! Come se all’esselunga facessimo la spesa e pagassimo con i “verdoni”: assurdo! Sempre oggi abbiamo incontrato il figlio del presidente Ortega, Lauerano mi sembra si chiami, che vuole sostenere il progetto e aiutarci in ogni modo per portare avanti i nostri lavori, e la cosa bella è che…avevamo appena finito allenamento, ci hanno caricato in macchina, siamo arrivati in questo mega hotel e tutti belli sudati, con la maglia inter, calzoncini e calzettoni, ci siamo seduti ad un tavolo con lui e il suo entourage! Un po’ come se andassimo ad un appuntamento con il figlio di Mattarella in pantaloncini e sporchi di terra…solo con Inter Campus si può! L’abito non fa il monaco e il ragazzo si è dimostrato incurante del nostro stato pietoso ed entusiasta e interessato a fornirci tutto il supporto possibile, anche se non ho ben capito in cambio di cosa, perché a questo mondo nessuno fa niente per niente, tanto meno un politico. Si vedrà. Nel mentre godiamoci il supporto incassato per il lavoro che stiamo facendo. Lavoro che oggi ci ha portato prima in aula, mattina, e poi in campo e che mi ha fatto intravedere un buon potenziale, una buon punto di partenza: le motivazioni da parte di tutti sono altissime e il lavoro fin qui svolto da Gabri è stato valido, tanto che gli allenamenti sono già strutturati, coi limiti del caso, seguendo la nostra metodologia, con proposte valide e coinvolgenti, seppur con ritmi sudamericani. Mi ha ricordato un po’ Cuba e non solo il campo. Magari mi sbaglio…

giovedì 10 marzo 2016

NICARAGUA

NICARAGUA
Cazzarola, son qui da tre giorni e ancora non ho trovato modo e tempo per buttar giù due righe e raccontarti, o diario virtuale, ciò che sto vivendo in questo nuovo luogo di pellegrinaggio in neroazzurro. Nuovo per me, per lo meno, essendo questa la mia prima visita in questo paese centroamericano, aperto però già da due anni, ma da quando ormai due stagioni or sono son diventato responsabile tecnico del progetto, mi sono ripromesso di iniziare a girare tutti i progetti del mondo inter campus, per cui poco per volta colmerò tutte le mie lacune, iniziando da qui. E per fortuna queste lacune non son molte: in questo viaggio vedrò Nicaragua, appunto, e Venezuela, per cui per completare l’opera dovrò nel corso del prossimo semestre volare verso Libano, Cina e Cambogia. Ce la si può fare. In questo modo avrò avuto modo di giocare e far giocare bambini su tutti i nostri campi del mondo e potrò così con maggior conoscenze ricoprire il mio incarico. Bel casino però, o meglio, bell’impegno: con questo, considerando i due mesi di stop per la nascita di Anna, sono all’ottavo viaggio dell’anno e nel solo mese di febbraio ne ho fatti tre…povera Silvia, certo, ma povero me, anche: cacchio, non vedo mai la mia super nana! Ma ok, c’è ben di peggio nella vita, per cui…vamos adelante!
Il viaggio che ci ha portato qui non è stato proprio dei più comodi: quella merda di compagnia aerea riconosciuta col nome di American Airlines ci ha portato a Miami con quasi due ore di ritardo, per un totale di poco più di dodici ore di viaggio, facendoci quasi perdere la coincidenza per Managua, grazie anche agli scrupolosi e altrettanto ridicoli controlli a stelle e strisce di bagagli e passaporto. Per fortuna l’aereo ci ha aspettato e così di corsa e sudati, soprattutto ciccio che credo fosse dal 2001 che non correva così tanto e così forte, siamo riusciti ad imbarcarci per i nostri successivi e interminabili 180 minuti di viaggio. Viaggio che però ha avuto i suoi risvolti positivi: il decollo è avvenuto al tramonto e dal finestrino per tutta la prima ora, circa, si vedeva questa palla arancione sempre più scura, tingere di colori caldissimi la terra là sotto, che appariva e scompariva, celata ai nostri occhi di improvvisati uccelli, da tappeti di nuvole bianchissime, a tratti bucati, vuoti, che liberavano la visuale verso il mondo piccolissimo e scuro. Bellissimo. 

giovedì 3 marzo 2016

La Lixeira

LIXEIRA


Se si chiama “pattumiera” ci dovrà essere un motivo (lixo= pattume). E girando per i suoi vicoli sterrati, con buche che sono crateri, acqua putrida ovunque, baracche fatiscenti, una puzza unica, si capisce il perché del nome. Eppure qui si lavora, si gioca a calcio, si sta insieme…si vive. Mi viene difficile descrivere non solo Lixeira, ma anche Mota o Trilho, o qualsiasi altro quartiere dove i salesiani intervengono alla grande e dove noi facciamo calcio, facciamo inter campus: qualche foto riuscirà meglio nell’intento...