mercoledì 31 ottobre 2018
venerdì 12 ottobre 2018
domenica 7 ottobre 2018
La Bania
LA BANIA RUSSA
Dopo allenamento e alla fine della giornata Sasha (qui ogni tre persone una si chiama così), il papà di Antonia, un uomo grande e grosso, col viso tondo, un bel sorriso sempre stampato in volto, gentilissimo e molto ospitale, ci invita a casa sua, appena fuori città, dove insiste per farci provare la sua bania e farci vivere l’esperienza della sauna tradizionale russa. Insiste, in realtà non è che abbia dovuto poi insistere così tanto con me: la sauna e l’esperienza del caldo assoluto che si vive li dentro mi piace e anche negli altri paesi inter campus dove ho avuto modo di provarla mi son sempre divertito, mi è sempre piaciuta, quindi appena mi è stata proposta, ho accettato di buon grado. Quando poi mi è stato proposto un trail nel bosco di circa sei km prima di tutto, non ho fatto fatica ad accettare. E così, giusto il tempo di tornare in hotel, preparare le cose per correre e per il post, ed eccoci in questo parco fuori città, con questi sentieri che si arrampicano nel bosco su e giù dalle colline, a correre con Cyril, il fratellino di Antonia, un vero tosto di dieci anni, già invasato per corsa e sport, che tutti i giorni si allena lungo questi percorsi. Fa un po’ freddo, ci saranno forse sei gradi, c’è molta umidità, ma il bosco, la corsa sul sentiero, il ritmo blando (ha dieci anni, ma in piano riesce ad andare a 4:50 al km il nanetto) rendono il tutto piacevole ed estremamente rilassante. Un po’ meno rilassanti sono le super salite che ci riserva il bosco, ma rientra tutto in ciò che considero divertimento e che ci porta a chiudere l’anello stabilendo il record per il giovane atleta sul giro, strastimolato dalla presenza del futuro marito della sorella e da quest’altro “vecchio” (tua sorella) italiano corridore. Ora però viene il bello: chiusa la corsa con un po’ di trazioni, qualche tricipite alla sbarra e dello stretching (fighissimo questo parco, attrezzato per tutti gli sport e aperto, pubblico), ci si tuffa in sauna; la casa è vicinissima, giusto il tempo di fermarci a comprare la carne per la cena ed eccoci in costume, dentro questa costruzione in legno di circa 6metri quadri, con tre scalini ove sedersi e una stufa che butta calore a più non posso. Il primo giro in sauna passa facilmente, complice anche il freddo accumulato durante la corsa nel bosco, per cui i quindici minuti trascorsi al caldo passano piuttosto facilmente. Poi si esce, doccia fredda e si inizia a mangiar qualcosa, in attesa del secondo giro. Un po’ più intenso: la “stanza” è arrivata a più di settanta gradi e si inizia a sudare veramente tanto. Ma a me piace quella sensazione e mi sento costretto ad uscire quando ormai tutti gli altri sono già fuori da un po’ (stare li dentro da solo non mi piaceva), per raggiungerli…in giardino! Si, in giardino, all’aperto, a circa 4/6 gradi, in costume. Temo la maledizione di montezuma, ma il caldo accumulato mi permette di star fuori per un bel po’ senza accusar problemi. Si rientra, si mangia ancora qualcosa e si passa al terzo turno: questa volta si entra uno alla volta, per passare sotto le sapienti mani del padrone di casa! Sasha infatti aspetta i suoi ospiti uno ad uno in sauna, li fa sdraiare e quindi con dei piccoli rami con foglie di quercia inizia…a frustarli. Si, davvero: a frustarli. Senza violenza, senza far male, ma per richiamare sangue e intanto l’aria caldissima che si smuove intorno aumenta ancora di più il calore percepito dalla pelle del “malcapitato” di turno. Ogni tanto questi rami vengono immersi in acqua e l’acqua viene sparsa sulla schiena, prima di ricominciare con le “frustate”, per concludere così il rito dopo circa dieci minuti. A questo punto esci, fai un giretto in giardino al freddo, rientri, ti docci et…voilat. Bello fresco e rilassato, pronto per finire di cenare. Bellissima esperienza. Certo, quando mi ha passato i rami sulla pianta del piede stavo per urlare, ma è stato comunque bella e piacevole tutta la serata. спасибо (grazie) Sasha!
martedì 2 ottobre 2018
Alla scuola "speciale"
30 bambini, 16 io e 14 Juri, tra i 6 e gli 8 anni, tutti con dei ritardi più o meno evidenti nello sviluppo cognitivo e conseguentemente motorio, chi per problemi legati all’ abuso di alcol da parte delle madri, chi perché maltrattato da piccolo, chi perché nato così e basta. All’inizio sono increduli, non capiscono bene perché io sia li, perché queste persone con la maglia dell’inter siano loro davanti con dei palloni e dei cinesini, perché stiano loro sorridendo e stiano mostrando un gioco da fare. Alcuni chiedono più volte se siamo davvero italiani, se davvero arriviamo da così lontano…per loro. Quando però iniziamo la seduta man mano che l’esercitazione prende il via, si sciolgono, ci seguono, ci sorridono, si divertono e, pur mostrando tutti i loro enormi deficit, tutti i loro importanti limiti, cercando di impegnarsi al massimo per apprendere. Scontato per me, come per chiunque altro di fronte a queste situazioni così diverse dalla propria, volare con la mente a migliaia di chilometri da qui e avvicinarmi ad Anna, alla sua e nostra fortunatissima condizione che con troppa semplicità, con troppa superficialità, consideriamo scontata, ovvia, normale, quasi dovuta. Quando con la testa torno nella palestrina della scuola la mia attenzione si sofferma su due bambini in particolare: Katia e credo Nikita, ma forse sbaglio il suo nome, che nel corso dell’allenamento hanno mostrato ancora una volta la forza della palla. La prima è una bimba di circa otto anni, che fatica a comprendere e ad esprimersi correttamente, si muove male (non flette quasi le ginocchia mentre corre , tallona in maniera spaventosa, ha il busto e le braccia rigide e con grande difficoltà riesce a legare insieme due movimenti, anche se elementari come il correre e il lanciare) e all’inizio è quasi spaventata dalla mia presenza. Io però la chiamo per nome, le sorrido, la sostengo con parole che lei non comprende, ma di cui coglie il significato e pian, piano si scioglie e si lascia prendere dal gioco. Il suo allenamento raggiunge l’apice quando nell’esercitazione con i tiri in porta decide di andare in porta e Juri la avvicina per darle dei consigli per stare tra i pali: lui diventa il suo riferimento, ogni volta che riusciva a fermare un pallone con le mani lo porgeva a lui e soltanto a lui e ogni volta che “parava” e veniva da noi gasata con applausi e urla, stringeva i pugni in segno di soddisfazione, sorridendo contenta. Un’altra bimba rispetto solo a mezz’ora prima e tutto per via di un pallone.
Il secondo è un bimbo di forse dieci anni, anche lui con un ritardo nello sviluppo cognitivo, spaventato, chiuso e molto fragile. Teme di sbagliare, si vede, e non vuole cimentarsi nelle prove che proponiamo. Quando prende il coraggio a due mani e decide di provarci manca miseramente il pallone e piangendo decide di uscire dal campo per sedersi. Inizia a dondolare, a piangere e, nascondendo le mani sotto le maniche lunghe, a sfregarsi le dita come se dovesse togliersi della polvere dai polpastrelli. Provo ad avvicinarmi, gli parlo in Italiano e non so perché lui pare capire, ma mi risponde sempre “niet” (provo a convincerlo a tornare in campo e giocare con noi, fregandosene dell’errore), fin quando una sua maestra prende il mio posto e lo abbraccia dolcemente. Rimane seduto ancora per un po’, poi decide di rientrare e anche lui decide di andare in porta. Visto il livello bassissimo di tutti i compagni riesce a “parare” qualche pallone (in realtà viene colpito dalle sfere malamente calciate dai compagni, ma chi se ne frega) e accompagnando noi l’impresa con applausi e sorrisi, anche lui, come la compagna, termina l’allenamento col sorriso. Per bacco, che forza questa palla magica.
Verso la Russia
TOCCO E RIPARTO
Giusto il tempo di lavare il materiale, stirare le polo di rappresentanza, archiviare nella memoria la positiva esperienza ungherese e rieccomi in aereo: destinazione Voronezh. Cinque giorni a casa son pochissimi, soprattutto per Anna, che in questo momento difficile per via dell’inserimento all’asilo ha bisogno e chiede esplicitamente la mia presenza, ma son stati comunque proficui per noi tre e credo di esser riuscito a darle un po’ più di sicurezza per affrontare questa nuova avventura e per riuscire a riprendere il via per un’altra missione senza troppi sensi di colpa. Senza troppi, si, ma qualcuno per forza di cose rimane in me bello vivo. Quando poi lei, come ha fatto la sera del mio ritorno, mi sussurra nell’orecchio “non te ne vai mentre dormo, vero?”, ecco che il senso di colpa diventa assoluto! Ma…va così. Questo ancora rimane il mio lavoro e non posso fare a meno di viaggiare per svolgerlo al meglio. Devo imparare a gestire meglio il mio calendario, questo è certo, ma i miei continui vai e vieni sono una costante nella mia vita da quindici anni e anche Anna imparerà a conviverci. Mi consolo sempre dicendole che “ogni mio ritorno è una grande festa; se fossi sempre a casa non ci sarebbe questa gioia nel riabbracciarsi”. Ma non so se la beve…
Anyway. Eccoci in marcia. Si torno in Russia dopo sei mesi, per verificare se i semi gettati nel corso dell’ultima visita hanno portato alla nascita di qualcosa di solido, di stabile, da cui ripartire per il progetto in questo lato di mondo. Una settimana intensa, in giro tra le tre scuole scelte insieme al partner locale e a Pirelli, accompagnati dai nostri mister, mattina e pomeriggio, sperando di non trovar sorprese come successe con la scuola con cui lavoravamo prima. Solo il campo potrà dircelo. E allora via, scendiamo anche su questi campi del mondo.
lunedì 1 ottobre 2018
In viaggio verso Szendrolad
SZENDROLAD
Mi piace sempre tantissimo quando le missioni Inter campus prevedono trasferimenti interni al paese con noleggio auto e il mio impegno alla guida. Non so perché, ma è questa un’esperienza che mi fa sentire ancora più unito ai miei compagni di viaggio, che mi fa’ godere ancor più la trasferta, che funge realmente, almeno per me, da “team building”. Cercare le strade, trovare giochi, passatempo durante le ore di guida (vinto facile al gioco dei calciatori col bilanista e fornasier), parlare, raccontare, ascoltare le storie altrui…Mi piace sempre il viaggio in macchina, più di aereo o treno che sia e anche questa esperienza non è stata da meno: io alla guida, Paolo co-pilota e Lore libero di far tutto il disordine che voleva sul sedile posteriore, lungo le circa tre ore che da Budapest ci hanno portato a Szendrolad, questo villaggio sperduto sulle colline magiare, anzi tra le colline magiare. Già, perché i quasi duemila abitanti ufficiali vivono in questa valle grigia e un po’ decadente circondati da 4 colline che sembra vogliano celare agli occhi del resto del mondo la presenza di questa comunità rom, sembra che vogliano isolare dal resto del paese queste persone. Sembra, o è una scelta ragionata da parte del governo quella di chiudere in questo “ghetto” i poco graditi “roman”, come li chiamano qui? Non si sa, ma il ragionamento credo abbia una sua logica, alla luce della situazione attuale. Ma non è di politica che voglio parlare, ma della nostra attività su questo campo del mondo. Qui i bambini sono cento, tra gli 8 e i 13, che hanno solo inter campus per giocare, per svolgere attività sportiva, perché la “città” non offre nulla, non ha nulla: case quasi diroccate, nessun servizio, cani randagi in ogni dove e un campo da calcio con l’erba altissima e…in salita. Tutto qui. Ma a noi giusto un campo occorre e così dal 2011 siamo attivi anche qui, con le nostre due classiche visite, i nostri allenamenti e la nostra formazione, rivolta da sempre al mitico Gabor (una volta anche sindaco del paese), oggi accompagnato da Thomas e…non so scrivere il nome del terzo. In più qui riuscendo insieme a love is the answer ad organizzare anche un camp estivo sul lago Balaton cui partecipano tutti i nostri bimbi, sia quelli dell’orfanotrofio, sia i rom; un’occasione per tutti di uscire dal proprio “ghetto”, per socializzare, per conoscersi e magari riuscire anche ad interiorizzare qualche regolino utile per la convivenza civile. Già, perchè alcune elementari, per noi, norme di comportamento, da queste parti non sono tanto conosciute, per cui con una palla tra i piedi cerchiamo di fare anche questo. E mi sembra con qualche buon risultato. Certo che però ci si dovrebbe trasferire qui per sei mesi per dar una svolta vera al progetto in loco. Ma per ora non si può. Magari più avanti la mia idea di permanent coach potrà prender forma. Per ora cerchiamo di dare tutti noi
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