venerdì 25 ottobre 2019

Foto dai "due mondi"


BUMA, MAN OF PEACE, come si definisce lui


Tutti gli occhi sono per lei, la palla!


In campo a Gerusalemme


Un passo di danza...

martedì 22 ottobre 2019

Tel Aviv

TEL AVIV
Miami! Ogni volta che vengo qui mi sembra di essere sbarcato oltreoceano guardando dall’alto la spiaggia, lo splendido lungomare e godendomi il clima stupendo che mi accoglie puntualmente. Che spettacolo. La corsa mattutina è un piacere triplo da queste parti, sopratutto perché la chiudo sempre con un bel tuffo in mare, per riportare alla sua normale temperatura il mio corpo e per mettere la ciliegina sulla torta e iniziare al meglio le mie giornate. Sette giorni e sette bellissime corse, in compagnia sempre di un sacco di gente, perché qui ad ogni ora del giorno e della notte c’è gente che si allena e tutto ciò fa si che ci si senta quasi obbligati a sudare, a fare fatica, a fare qualcosa per restare in forma e stare meglio. Non fosse una terra così complicata sarebbe davvero un posto dove vivere. Chissà. Finché dura mi godo le mie semestrali visite, belle certamente per quanto fin qui descritto, ma anche per quello che si combina in campo. Anche qui a Tel Aviv il progetto punta all’integrazione, ma le “parti” da avvicinare sono altre: israeliani da una parte e profughi, per lo più somali, eritrei, dall’altra. E questi ultimi sono veramente…scatenati!!! Sono bimbi che vengono da storie di vita terribili, nonostante la giovane, giovanissima età, senza nazionalità, senza una identità e quindi senza alcun diritto, nascosti ai margini della periferia della città, come se non esistessero. Molti di questi bimbi sono sotto farmaco per cercare di “domare” l’iperattività che li contraddistingue e per quanto istintivamente mi sembra sia questa una scelta un po’ azzardata, di comodo, semplicistica, non posso far altro che provare, in campo, a “domare” a mia volta i bimbi, senza l’uso di pilloline, ma con una palla. E la cosa, a mio modo di vedere, ci riesce bene. Certo è che quando sullo stesso campo si trovano un bimbo somalo che non sta fermo un attimo, ipercinetico, violento sia fisicamente che verbalmente e poco abituato ad ascoltare e a rispettare tempi e regole che non siano sue, e un ebreo piccolino, ingenuo, sperduto, come è giusto che sia alla sua età, nei suoi pensieri e nella sua fantasia, il “divertimento” è assicurato. Posso garantirlo. Ma essendo qui il progetto attivo da sei anni ed essendo Yasha, Arturo ed Emanuele, coloro che si occupano del campo, molto bravi, le cose, seppur complesse, si riescono a realizzare e gli allenamenti “misti” hanno avuto sempre un buon esito, sotto tutti gli aspetti. Certo, non son mancati bimbi mandati a sedere, richiamati, risse sedate sul nascere e arrabbiature (ho addirittura visto e sentito per la prima volta Ema arrabbiato, ma veramente arrabbiato, che ha messo a tacere un “ribelle”) da parte dei mister, ma tutto sommato si è riusciti a lavorare bene, proponendo anche l’ultimo giorno un allenamento a stazioni, con anche un funino in mezzo, che ha dato belle indicazioni e ha avuto un buon esito. Insomma, qui le cose stanno avanzando a grandi passi e stanno evolvendosi positivamente, visita dopo visita. Bravi bagai. Avanti così


lunedì 21 ottobre 2019

Torniamo in campo, va


Dopo il trattato filo sociologico e la digressione geopolitica, credo sia meglio tornare nel campo da dove provengo e dove meglio sto, ossia quel rettangolo delimitato da linee dentro il quale si realizza la magia intercampista. E non solo. In particolare oggi torno sul campo di Gerusalemme, a Talpyot, zona di “confine”, zona di convivenza, zona dove da poco più di un mese abbiamo iniziato a organizzare allenamenti con circa 50 bimbi, divisi in due gruppi, per lo più equamente divisi in palestinesi ed ebrei. Il fine è sempre lo stesso, ossia provare col calcio a dare una spinta (o una scintilla?) alla collaborazione, all’unione tra i due mondi, iniziando con i piccoli per poi sperare che quando un giorno saranno grandi si ricorderanno che anche “di la” ci sono persone come loro e non necessariamente terroristi assetati di sangue, o invasori senza scrupoli. Certo, obiettivo un po’ fuori portata, direte voi, visto che le poche ore trascorse sul campo con la stessa divisa indosso non valgono gli anni di odio reciproco maturato dagli uni nei confronti degli altri, ma…ci si prova. Il milione si fa con le mille lire e anche se qui siamo ancora alla raccolta dei centesimi di lira, non si molla e si continua a provare, nonostante i continui e frequenti balzi indietro. L’aria che si respira in campo è positiva, c’è grande voglia di partecipare, di giocare, di divertirsi e sia col gruppo dei piccoli, sia con quello dei grandi, nei due giorni loro dedicati, le sedute si svolgono con grande intensità e scivolano lisce, nonostante un grande, grandissimo ostacolo: la lingua. Cazzarola, una parte della squadra parla arabo, l’altra parte ebraico e io non parlo ne’ l’una ne’ l’altra lingua!!! E quindi? E quindi si sfruttano gli allenatori locali coi quali si parla in inglese per tradurre ai bimbi e soprattutto si usa il corpo, l’esempio, si mostra ciò che si chiede, perché se tutte le volte per spiegare un esercizio si dovesse passare da due lingue, la seduta non decollerebbe mai e ‘sti poveri bimbi si addormenterebbero in fila. Le cose invece sfruttando poche parole e tante dimostrazioni (a volte nemmeno quelle: lascio provare i bimbi e intervengo in caso di errore, per far si che prova dopo prova si arrivi a ciò che ho in testa per loro) vanno alla grande e gli esercizi proposti hanno tutti un buon esito, dandomi buone indicazioni sui bambini e su ciò che i nostri allenatori devono toccare maggiormente durante i loro allenamenti futuri. Mi piace qui, nonostante la confusione tipica di questi campi del mondo e la grande differenza tra i bambini nei gruppi: una parte super…dinamica, fisica, istintiva, chiassosa, furba e in alcuni casi quasi violenta; l’altra più lenta, sotto ritmo, meno fisica e quasi più riflessiva, più attenta e interessata all’apprendimento. Tutti insieme, nello stesso groppone, con la stessa maglia, per lo stesso fine. Loro nemmeno conoscono questo fine, nemmeno lo sanno, nemmeno ne sono coscienti: loro giocano con questo coetaneo chiassoso o con quest’altro con uno strano cappellino in testa e cercano, se in squadra insieme nel gioco o nella partita finale, di vincere per il semplice gusto di primeggiare, ma i genitori fuori osservano attentamente le dinamiche, guardano bene quel che succede in campo, leggono bene le differenze e il tentativo di collaborazione che questi 90 minuti in campo insieme stimola, quindi...chissà. Ad ora son tutti entusiasti, son tutti contenti di ritrovarsi nello stesso campo. Speriamo che duri.


sabato 19 ottobre 2019

Di la del muro

Ogni volta che varco il muro, che vado al di la, mi risuona in mente quella frase che appartiene non so a chi e che più o meno dice così: "non è che il caso ad aver deciso di farti nascere nella parte giusta del mondo". In questo caso nella parte giusta del muro, ma cambia poco, perché chiunque abbia espresso quel concetto aveva assolutamente ragione: in poco, pochissimo spazio, tempo, si passa da un mondo ad un altro, oltrepassando un check point che ad ogni missione vedo spostato sempre più in la, sempre più in territorio palestinese, si supera un varco che sembra catapultarti in una realtà lontana, distante, sembra teletrasportarti dall'agio, dalla ricchezza del "primo" mondo, alla arida, secca povertà e indigenza del terzo mondo. Eppure abbiamo coperto solo 42km, la distanza tra Tel Aviv e il villaggio in West Bank dove giochiamo, ma questa maratona risulta sufficiente per far emergere violentemente tutte le differenze, partendo anche solo, semplicemente dal panorama, dall'ambiente: di qui verde, rigoglioso, pulito e curato, di la secco, arido, polveroso, sporco e poco controllato. Incredibile osservare quanto sia agli antipodi il vivere dall'una o dall'altra parte. Non voglio entrare in questioni politiche, sia chiaro, non mi compete e non ho le conoscenze per poter sostenere una posizione; le mie sono solo semplici osservazioni, descrizioni di ciò che anno dopo anno vedo, constato, tocco con mano, quando vengo a giocare su questi campi del mondo. L'unica cosa che accomuna le due parti è la tensione, l'astio, in alcuni casi l'odio estremo che provano gli uni verso gli altri e le storie terribili di sofferenza e di violenza che vivono, anche se...anche se in maniera un po' squilibrata Qui però mi devo un po' esporre, perché "di la" le sofferenze e le ingiustizie subite, i soprusi, sono un po' tantini, cacchio, e di alcuni di questi soprusi, per fortuna nostra non di violenze, siamo stati testimoni diretti anche noi, come quella volta alla fonte vicino a Nablus. Quest'oggi la storia di violenza subita e da me udita è quella di un uomo di 48 anni, costretto da quando ne aveva 30 sulla sedia a rotelle per via di un proiettile "speciale" (ha uno nome specifico che non ricordo: è un proiettile che quando centra il bersaglio, esplode) che gli è entrato dalla spalla e una volta dentro è esploso danneggiando irrimediabilmente la colonna vertebrale. E perché gli hanno sparato? Perché era il periodo della seconda intifada, 2001 per la precisione, e il suo villaggio era circondato dai soldati; la tensione era altissima ed erano quotidiane le incursioni dell'esercito in quella zona, molto vicina al confine, dove erano molto forti le proteste, la "sollevazione popolare", appunto. Vedendo che le truppe si muovevano Issam, questo il nome dell'uomo, è uscito di casa per richiamare dentro i figli e suggerire ai loro piccoli amici di rientrare, avendo timore che l'esercito israeliano lanciasse gas lacrimogeni, ma invece del fastidioso gas i soldati hanno sparato proiettili veri e per di più "speciali", uno dei quali ha colpito la spalla del nostro e...da quel momento inizia una nuova vita, senza più l'uso delle gambe. E perché tutto questo? Non è dato saperlo. Cazzarola che ingiustizia. Eppure oggi è stato lui a chiamarci qui, è stato lui a mandare 10 bambini del suo villaggio sul "nostro" campo, è stato lui ha chiedere di entrare a far parte del nostro progetto. Perché? Anche qui, non è dato saperlo.

venerdì 18 ottobre 2019

Verso Tel Aviv

In attesa del mio aereo, ovviamente in ritardo essendo Alitalia, per Tel Aviv mi soffermo a leggere qua e la post che riportano la "notizia del giorno", ossia il caso di una squadra della Brianza che ha scartato un bimbetto di 8 anni perché troppo scarso a detta loro, troppo indietro rispetto al resto del gruppo, per poter continuare a giocare con i compagni. E mi soffermo a leggere le drastiche prese di posizione di sedicenti educatori, esperti di allenamento, sportivi d'altri tempi, istruttori affermati di settori giovanili, che urlano allo scandalo, all'abominio sportivo, proponendo punizioni esemplari per i giovani mister del suddetto "scarsotto" perché "non può esserci selezione", "tutti devono giocare", "follia" "si devono vergognare", eccetera, eccetera. A questo punto la mia mente vola ai vari campi da calcio che ho frequentato, frequento e frequenterò in futuro e a tutti quegli "scarsotti" che quei campi li hanno riempiti, giocando partite, allenandosi e migliorando, per quanto era loro possibile, esercitazione dopo esercitazione e naturalmente sorge in me un pensiero: tutti i commentatori son dei grandi, grandissimi ipocriti, oppure non frequentano le società di calcio. Perché questo comportamento oltre ad essere la norma, non va nemmeno per forza demonizzato, se alle spalle c'è un progetto educativo/sportivo destinato a tutti, indistintamente dalle abilità. E questo comportamento è per lo più auspicato da ogni papà o mamma che manda suo figlio a giocare a calcio.

In tutto questo tempo sui campi non mi è mai capitato di ascoltare il genitore di un bimbo "avanti" lamentarsi per il fatto che nella squadra del figlio non ci fossero bimbi meno educati al calcio, non ho mai sentito nessuno dire "mister, porta anche Peppino (nome inventato) con noi, anche se non ne becca una nemmeno se gliela tirano addosso", non ho mai avuto il piacere di ricevere un messaggio in cui mi si dicesse "mister, porta Peppino con la squadra più educata e metti il mio nell'altra: è meglio sia per Peppino che per mio figlio". Anzi, sono all'ordine del giorno messaggi o post facebook in cui il mister di turno viene insultato e sbeffeggiato perché ha osato "declassare" Peppino dalla squadra "A" alla "B", causando nel bimbo traumi insuperabili e demoralizzazione generale della famiglia; sono frequenti insulti dalla tribuna perché si è deciso di portare bimbi poco educati al calcio nel gruppo invece composto da altri più educati, creando squadre "equilibrate" per permettere a tutti di giocare, competere sportivamente e non ad una squadra di stravincere perché molto preparata e all'altra di finire al massacro perché invece molto indietro; o ancora è uso e costume dei suddetti genitori commentare sistematicamente le convocazioni e mettere in discussione l'operato e le capacità del mister, considerando sempre, anche quando è oggettivamente impossibile avanzare un simile pensiero, il proprio bimbo come il più abile e pronto del gruppo e quindi meritevole di fascia di capitano e posto fisso in squadra "A" (metto rigorosamente tra virgolette questa A, perché per i vari padri e le varie madri A e B indicano "bravi e meritevoli di attenzioni" e "scarsi e assolutamente da scartare": cosa che nemmeno oso pensare). Quindi perché ci si scatena così di fronte ad un comportamento assurdo, ma assolutamente in linea con quello che è il calcio giovanile e dilettantisco oggi? Perché si fa' finta di possedere una cultura sportiva tale che porti a includere indistintamente tutti i bimbi, permettendo a tutti di giocare e competere in base alle proprie abilità (leggetevi la carta dei diritti del bambino nello sport, se avete tempo), dove "includere" non vuol dire buttare tutti nello stesso calderone, ma creare gruppi adeguati, per permettere a tutti, abili e meno abili, di apprendere e migliorare esercizio dopo esercizio e allenamento dopo allenamento? Oggi è emerso il comportamento di questa società, ma se andiamo in un qualsiasi campo italiano di situazioni come queste ce ne sono a centinaia. E quotidiane. Inoltre perché non indaghiamo meglio, non cerchiamo meglio di capire cosa è accaduto? E se la società, avendo un gruppo molto avanti, avesse semplicemente detto al bambino che inserendosi solo oggi in quella squadra avrebbe avuto modo di "confrontarsi con avversari non omogenei per età cronologica, per età ossea, per maturità puberale e quindi avrebbe sviluppato la percezione di essere inferiore e incapace; quindi oltre ad essere dannoso sotto l’aspetto educativo, tutto ciò non avrebbe offerto la possibilità al bimbi di misurarsi con le proprie reali potenzialità (art. 8 della carta dei diritti del bambino nello sport)"? 

Il lavoro da fare è molto più complesso dello scrivere un post su facebook e dopo tanti anni credo sia ormai impossibile cambiare le cose, essendo questa ignoranza sportiva troppo radicata nel nostro tessuto sociale, nelle menti di tutti noi, anche se poi tutti gli anni ci provo e ci sbatto il muso nelle varie società dilettantische dove lavoro. Ma non cambia nulla. Anzi, peggiora solo. Fortunatamente ho ancora inter campus, che mi permettere ogni tanto di prendere una boccata d'aria pura e di respirare a pieni polmoni la giusta realtà sportiva/educativa. Sempre che Alitalia mi faccia partire

mercoledì 9 ottobre 2019

Foto russe


Lenin by night


Sempre Lenin, ma di giorno


La metrò sembra sempre la hall di un hotel dei primi del '900


Sulla piazza rossa


Con i bimbi di Bobrov


Common Kids

lunedì 7 ottobre 2019

Tirando le somme


TIRANDO LE SOMME
Concludendo la lunga e intensa giornata di oggi, una volta arrivato in stanza e finalmente sdraiato sul letto, nasce in me naturale l’esigenza di fare una sorta di riassunto, un piccolo punto della situazione delle sensazioni, delle emozioni, che questa missione mi ha fin qui regalato. Domani infatti sarà dedicato semplicemente ad un allenamento al parco fuori Voronezh insieme a Sasha, il suocero di Juri, con cui poi faremo la banja prima di imbarcarci sul treno che ci porterà a Mosca, dove poi prenderemo l’aereo per tornare a casa. Insomma, domani non saremo in campo coi bimbi, la missione si è conclusa, non fosse altro per il fatto che siamo ancora a tremila circa km da casa, quindi posso riavvolgere il nastro e rivedere ciò che è stato. E il nastro mi mostra cose positive, certamente, ma…ma mi lascia un po’ l’amaro in bocca, mi regala una strana sensazione che non mi fa sentire completamente soddisfatto, completamente certo di aver svolto totalmente il mio compito. Una sensazione che da un po’ gira nel mio cuore, ma che ancora non ero riuscito a catalogare. Caspita, belli, bellissimi gli allenamenti con questi bimbi speciali, bellissimo provare ad entrare in empatia con loro, guidarli “dentro” la seduta, spingerli verso il proprio, personalissimo, limite, “giocare” con le loro emozioni, esultando e facendoli esultare, ridendo e facendoli ridere, abbracciandoli (e chi mi conosce sa che non amo particolarmente il contatto fisico) e facendomi abbracciare; bellissimo, eppure difficile da spiegare quanto sia unica la bellezza del “parlare” con loro in una lingua extra, ne italiano, ne russo, comprensibile a me, come a loro, trascorrere con loro, in questi giorni, le ore sul campo, ma poi…poi io me ne vado e loro rimangono. Rimangono la dentro e il tempo che ho loro dedicato, rispetto a tutto quello che loro passano nel loro “internat” non è nulla e oggi più che mai mi domando quanto possano realmente loro servire le mie, nostre, brevi apparizioni. Certo, Alexei, il nostro allenatore che ci segue, si forma, cresce e migliora ogni giorno, rimane qui, si dedica a loro in modo unico e speciale (è una persona splendida questo giovane pazzoide), ma io? Io me ne torno a casa, lasciandoli con le loro terribili storie alle spalle e con la loro vita segnata davanti (mi si dirà che sono cinico, ma un bambino che ha visto con i propri occhi la propria mamma uccisa dal padre, ha la vita segnata), aspettando aprile/maggio per tornare da loro (forse) e riprendere in mano il discorso oggi interrotto. Un po’ poco, cacchio. Certo, son contento di tornare da Anna, Margherita, Silvia, a casa insomma, ma da un po’ di missioni a questa parte questa sensazione di “incompletezza” cresce in me con sempre maggior convinzione, e se prima non riuscivo bene ad inquadrarla, a capire cosa fosse questo nodo al cuore, questa estate durante una splendida corsa verso il lago di Carezza, quando le gambe andavano automaticamente e la testa macinava pensieri e riflessioni a raffica, come solo in momenti speciali mi succede (e sempre quando sono in montagna), si è in me sciolto il nodo ed è in me emerso in forma piuttosto chiara, sotto forma di quesito: sono utile a questi bimbi con i pochi allenamenti che in prima persona dedico loro durante le missioni? e quanto lo sono? Non solo qui in Russia, ovviamente: in Camerun, in Angola, in Congo, in Ungheria, in…in e ancora in. Certo, mi si dirà che tutto è utile, seppur quasi mai sufficiente, e che se davvero volessi raggiungere il 100% dovrei fermarmi da qualche parte, per dedicarmici con maggior costanza, dedizione e “precisione”; lo so, lo capisco bene, ma ciò non evita a questa fastidiosa sensazione di inadeguatezza, di incompletezza, di far capolino a fine missione. Così come non mi impedisce di capire e ringraziare non ho ancora ben chiaro chi, per ciò che vivo, per la fortuna che ho io ad avere le bimbe che ho e la vita che mi sto costruendo. Ecco, forse tutte queste missioni servono più a me che ai bimbi che incontro, cacchio. Forse è solo semplice e puro approfittare della situazione per trarne un personale beneficio, senza essere del tutto utile, incisivo, come ho anche pensato di essere. Chissà. Nel mentre continuerò a indagare per meglio capire e per quanto mi sarà permesso a giocare con tutti questi bimbi sui campi del mondo.


giovedì 3 ottobre 2019

In campo

A volte lamentarsi serve, porta qualcosa. Oggi infatti il cielo è incredibilmente azzurro, il sole bello caldo e la corsa di 'stamane è stata più piacevole per via anche della temperatura (certo, avevo i guanti e lo scaldacollo, ma tutto sommato stavo bene). Insomma, qualcuno deve avermi ascoltato ieri e ha deciso di regalarmi questa bella giornata. E quando c'è il sole per un metereopatico come me le cose vanno decisamente meglio. Addirittura poi, arrivati alla scuola speciale dove lavoriamo, ci hanno messo a disposizione il campo esterno, evitandoci così lo stretto, angusto spazietto della palestra interna dove normalmente ci si rifugia per sfuggire al grande freddo, e così anche la seduta ha assunto tutto un altro aspetto. Sempre grazie al sole. Gusto diverso per lo meno per me, che odio il freddo e tutto ciò che porta con se, ossia la palestra, il chiuso, il costante odore che io rimando al cavolo bollito, i rumori che rimbombano...terribile. E oltretutto in palestra i bimbi hanno a disposizione poco più di un campo a cinque per realizzare gli esercizi, quindi anche le mie proposte risultano fortemente condizionate. Ma non oggi! Oggi c'è il sole, siamo fuori, all'aperto e infatti sia la parte di Juri, che la mia vanno benone: le intensità, nonostante tutto, sono buone, il coinvolgimento dei bimbi è alto, il divertimento loro e nostro è altissimo, quindi...seduta perfettamente riuscita. Ed è stato bellissimo: per me è stato un bel risultato vederli riconoscere destra e sinistra, anche se con qualche errore dovuto alla foga, alla voglia di vincere, riconoscere i diversi stimoli uditivi e visivi che davo loro, aiutarsi e collaborare per riuscire a far le cose. Chi se ne frega se il gesto tecnico non era "ortodosso"; chi se ne frega se per correre verso la parte da me chiamata dovevano fermarsi, riflettere e ripartire; chi se ne frega se a volte si assentavano e con la testa sparivano dal campo per rifugiarsi un attimo nel loro mondo; perché tanto riuscivano comunque a raggiungere l'obiettivo, anche conducendo con l'interno piede o con la punta; perché tanto fermandosi riuscivano meglio a capire e poi ricordare e quindi imparare qual'era la destra e quale la sinistra; perché tanto dopo essersi assentati tornavano sempre in campo con noi, a giocare e a esultare per il tiro riuscito. Perché tanto...con quella maglia addosso si sentivano assolutamente speciali e non volevano altro che inseguire la sfera magica. Esattamente come chiunque altro.

mercoledì 2 ottobre 2019

Bobrov (Бобров)

Piove, c...o. Non che sia una novità da queste parti, visto che raramente son riuscito a scorgere il cielo chiaro e il sole nitido, stampato nel mezzo del suo azzurro, ma quando ti alzi, carico per allenarti, e fuori sei accolto da acqua a secchiate, ti vien voglia di girarti dall'altra parte, rimboccarti le coperte e tornare tra le braccia accoglienti di Morfeo. Per fortuna non cedo all'ozio e riesco a divincolarmi dalla presa del Dio del sonno, per "tuffarmi" letteralmente tra le strade allagate e dar fondo al mio allenamento insieme a Juri. Per fortuna, mi sento di dire ora. Per fortuna perché credo sia sempre bellissimo iniziare le giornate con una bella e intensa corsa: mi da' un'energia in più, regala un gusto diverso alle mie 24 ore, mi aiuta a vivere meglio l'intera giornata, sia come umore che come attenzione, come "testa". Pronto e carico, quindi, salgo insieme ai miei compagni di ventura sul pulmino di Alexei, direzione Bobrov, cittadina a circa 150 km da Voronezh, dove i bimbi della scuola speciale ci aspettano. Eccome se ci aspettano: giusto il tempo di scendere dal mezzo a quattro ruote che vari ragazzi, bambini e bambine, vestiti di neroazzurro, ci vengono incontro per salutarci, stringerci la mano e "scambiare con noi qualche parola"...in russo, che io non parlo, ma il bello è anche questo. Loro che parlano la loro lingua, io che rispondo nella mia, gesti, sorrisi e...via di corsa verso la palestra per iniziare l'allenamento. Sono tanti i bambini che riconosco e anche Juri, trattore del paese, quindi sempre in missione in Russia negli ultimi anni, mi conferma che la percentuale di bimbi che fa tutto il percorso con noi è molto alta. Ciò si può osservare molto nettamente quando scendiamo in "campo": nonostante tutte le loro difficoltà, i gruppi sono nella quasi totalità migliorati, cresciuti, dal punto di vista comportamentale e anche nelle relazioni: sanno stare in fila in attesa del proprio turno (a parte qualche caso estremo), scatenano pochi conflitti, riescono anche a seguire una progressione dal facile al difficile che passava attraverso stimoli uditivi e visivi, che inizialmente pensavo troppo complessa. Insomma, stanno crescendo e gli effetti dell'allenamento sono tangibili, nonostante la situazione in cui sono costretti e nonostante alcuni casi estremi; per alcuni di loro, infatti, l'allenamento non basta, hanno bisogno di un percorso "più serio", più complesso e articolato, ma per i più è stato bello vedere quello che una palla ha portato nel loro percorso di crescita. Vedere poi alcuni di loro esultare e darmi "gasati" il 5 dopo aver segnato il gol nell'esercitazione situazionale, è stato proprio un bel regalo. Tra tutti il bimbo che vive grattandosi è quello che mi ha colpito di più: soffre di una non so quale malattia, dovuta all'alcol ingurgitato dalla madre quando era in cinta, per cui...vive grattandosi. Continuamente! Ma tanto. E con foga. Impressionante da vedere, poverino: si sollevava la maglia dell'inter mentre era fuori, in attesa di partecipare alla seduta, e non smetteva un attimo di grattarsi! Pancia, schiena, gambe, sedere, braccia...Ed è così da sempre. E non può fare niente, ci dicono. La palle squamata, le mani dure, callose e questo fastidio costante. Io sarei impazzito, invece lui...sorride! Segna, esulta, corre per darmi il cinque e gioisce coi compagni. Non ho capito veramente un cacchio della vita.

martedì 1 ottobre 2019

Viaggio in treno

Me lo ricordavo più affascinante il viaggio notturno in cuccetta! Vero che la memoria è ricostruzione, ma nella mia mente c'era un non so che di romantico a far da contorno al ricordo delle due precedenti volte in treno. Avevo cancellato il caldo africano della micro stanza dove eravamo (finestrino bloccato, tre uomini in non più di 6mq e la "ventilatio", come la chiamava la capotreno, per fortuna non la "putrens" di Calboni, che funzionava a tratti, hanno contribuito a creare questo clima congolese), i continui sobbalzi e soprattutto ricordavo lo spazio letto più ampio, comodo, vivibile. Non che tutto ciò mi abbia impedito di dormire, però mi ero pregustato diversamente le dodici ore di viaggio. Ricordavo un bel materasso comodo, l'arietta frizzante del primo autunno russo entrare nello scompartimento per spingerti sotto le coperte a godere del fresco, ricordavo lo scorrere leggero del treno sulle rotaie con qualche lento, sporadico, scossone in prossimità delle stazioni e quindi degli scambi, ricordavo...un bel niente. Immaginavo, non ricordavo. Perché nello scompartimento c'erano duecento gradi e mi sono svegliato un paio di volte sudato, con le gocce di sudore lungo la schiena; perché il letto era una tavola di compensato "piuttosto" rigida e al risveglio la mia schiena era di ghisa; perché il treno sembrava procedere lungo una strada sterrata per i continui scossoni e sobbalzi che ci ha regalato, non certo su rotaie. Perché...perché memoria è ricostruzione, altroché. Anyway: dormire si è dormito, così una volta arrivati in hotel, cambio rapido degli abiti e via, per le strade di questa grande città (circa due milioni di abitanti), per una corsetta rigenerante, al termine della quale doccia, pranzo e incontro coi mister. Mister...in realtà sono ragazzi contattati da Common kids, nostro partner locale, per introdurli al "magnifico mondo" inter campus, alla nostra metodologia e al nostro modo di intendere e vivere l'allenamento, per provare a diffondere, senza per forza coinvolgere direttamente, ciò che proviamo realizzare in questo spicchio di mondo. Tra loro un giovane sembra più interessato degli altri, più coinvolto, e infatti scopriamo che lui gioca già con ragazzi con sindrome di down ed è interessato a "scoprire" nuovi esercizi, nuovi giochi, da proporre ai propri ragazzi e un nuovo metodo di lavoro, per essere ancora più incisivo nei suoi interventi. Una parola tira l'altra e al termine della nostra presentazione si finisce con il darsi appuntamento a mercoledì presso il suo campo, per assistere al suo allenamento, l'allenamento di "sturm", il nome della sua squadra. Poi scoprirò cosa significa, per il momento ci portiamo a casa quest'altro bell'incontro.