sabato 17 marzo 2012

Brasile 2012

SAN PAOLO, DON VINCENZO E UN NUOVO INTER CAMPUS San Paolo, città di quasi 23 milioni di abitanti, un'immensità, un concentrato spaventoso di palazzoni, case, strade, macchine, uomini, smog e sporcizia. Una schifezza, per quel poco che ho visto. Ma noi mica andiamo a Miami, e così eccoci catapultati in questa nuova realtà, per aprire questo nuovo progetto verde-oro. Qui il nostro referente e' don Vincenzo, un prete leccese che vive qui da più di 30 anni, che ha lentamente trasformato il quartiere di San Miguel da favela a realtà urbanizzata, organizzata come fosse un normale quartiere, con solo ancora una piccola parte evidentemente defavorizzata, ma totalmente su di un altro pianeta rispetto alle favelas di Rio e alla violenza, la criminalità in esse contenute. Favela si, ma quartiere residenziale, paragonate al complesso do Mare'!  In ogni caso, anche qui un pallone può fare la differenza nella crescita e nell'educazione di un bambino, e infatti nella parrocchia di Don Vincenzo iniziamo il nostro lavoro. I bambini sono tanti, troppi, visto che ce li presentano sempre tutti insieme, e così io e Juri dobbiamo centuplicare, volentieri, gli sforzi, per coinvolgere tutti e permettere a tutti di giocare, di essere sul campo, con noi. Diamo così vita ogni giorno a 4 allenamenti, con gruppi di circa 20 bambini alla volta, giocando in 3 giorni con circa 120 nani brasiliani! Bello, bellissimo, come sempre, vedere come le nostre proposte, i nostri allenamenti, divertano, entusiasmino tutti, richiamando l'attenzione, l'interesse di altri bambini, di altre persone, che iniziano così ad avvicinarsi a questa specie di oratorio, abbandonando la strada e le cattive tentazioni da essa sempre, ovunque, presentate. Certo, e' facile, come dicevo a Juri proprio oggi, coinvolgere, divertire i bambini attraverso i nostri allenamenti, perché coloro che normalmente si prendono cura di loro, per quanto competentissimi ( qui il loro allenatore e' anche allenatore della nazionale brasiliana di futsal under13, non proprio un pirla), non hanno il nostro entusiasmo, la nostra attenzione verso i bambini, la nostra cura della seduta e dell'intensità della stessa, per cui ogni nostra esercitazione scatena sempre un coinvolgimento, una gioia indescrivibile nei bambini. Questo, credo io, non perché siamo noi particolarmente bravi, ma perché in un mondo di ciechi, l'orbo la fa sempre da padrone! E noi siamo orbi, anzi forse ci vediamo bene da entrambi gli occhi... In ogni caso, qualunque sia la spiegazione, le nostre sedute scatenano grande entusiasmo e noi diventiamo delle star nel quartiere, al punto che i bambini fan la fila per darci il cinque, salutarci, parlare con noi...che spettacolo! Niente, ma proprio niente al mondo può donarmi le sensazioni, le emozioni di Inter Campus.  Grazie ancora una volta Inter!

Brasile 2012

ALLENAMENTI FAVELATI Oggi siamo in Madureira, una favela parte del complesso della Mare', casa del mitico Campeao: allenatore di 75 anni, che se c'e' da giocare, non si tira mai indietro e si butta per primo in campo! Uno spettacolo! A suo dire, da giovane e' stato calciatore professionista e ha giocato con Pele', ma tutti qui dubitano un po' dei suoi racconti; a me la cosa non disturba granché: mi piace talmente tanto Campeao, che se mi dice di esser stato sulla luna per giocare contro una selezione di marziani, io ci credo!  Qui, a casa sua, io e Juri abbiam dato forma forse all'allenamento più bello e divertente, aiutati anche dalla Policia Federal...Gia', perché prima che arrivassimo e' scattata un'operazione di pacificazione della favela, con la polizia che ha fatto irruzione arrestando favelati su favelati, per fortuna, e spaventando però allo stesso tempo i nostri bimbi, che si son rinchiusi in casa, evitando addirittura di venire al campo. Addirittura, perché non giocare a calcio e' una possibilità poco, se non mai, contemplata da queste parti!  Ci siam così trovati con solo 18 giocatori e abbiam deciso di lavorare insieme, dando libero sfogo alla nostra creativita' e dando vita ad un grandissimo allenamento, a mio vedere: un allenamento integrato, in cui si e' ricercato lo sviluppo di alcune capacità coordinative, attraverso percorsi finalizzati all'esecuzione di un gesto tecnico (Silvio docet!).  Bello l'allenamento e bravo il bimbo Juri. Seduta conclusa, ci trasferiamo in un'altra favela, sede dell'incontro con gli allenatori, che si conclude, per forza, com una peladinha, cui partecipa anche il prefetto di Rio...pensa te! Un po' come se Formigoni si togliesse giacca e cravatta e scendesse in campo a prender mazzate da tre italiani (in squadra con Campeao e Rene, il mitico Rene'). Spettacolo!  Peladinha alle spalle, doccia a casa di Paulinho, ennessima delusione della prima squadra e via, di corsa verso l'aereoporto, destinazione San Paolo! Se solo non mi mancasse così tanto la mia fanciulla, laggiù, in Italia, sarebbe tutto esageratamente perfetto.

lunedì 12 marzo 2012

Rio...

Brasile 2012

Brasile 2012 Rio!!! Magica Rio! Rieccomi qui, dopo più o meno sei mesi di assenza, torno in questa parte del mondo inter campus dove c'e' ancora tanto, tantissimo da fare e dove pero' risulta tutto difficile, complicato, ma non per questo meno affascinante. Qui il nostro "teatro" delle operazioni e' la favela, o meglio sono le favelas della comunita' do Amare', un'enorme città nella citta', un microcosmo autoregolamentato e autogestito. Favela, questa realtà conosciuta di nome da tutti, ma lontana dall'immaginazione dei più; noi con Del entriamo e usciamo continuamente dalle diverse comunità inserite nel progetto, dalla vila do joao, alla madureira, dalla villa do alemao, alla Mare e via, via, passando per tutte le altre, ma se non fossimo costantemente seguiti da un autoctono, un favelito, non resisteremmo tre passi dentro questi posti. Ad ogni  punto di ingresso, infatti, le sentinelle, armate di pistola o fucile e walkie talkie, controllano tutto, verificano che non ci siano ospiti indesiderati e se non riconoscono qualcuno che sta entrando, lanciano il segnale alle postazioni seguenti, per avvertire tutti del pericolo e dei possibili "disagi" alle loro attività, portati dai visitatori non graditi. Una volta dentro, poi, la vita si svolge con apparente normalità, tra negozi, supermercati, bar e ristoranti ( i churrasqui in favela son fighissimi!!!), pur sempre sotto l'occhio vigile di fucili o pistole varie. Questo e' ormai il terzo anno che vedo, che tocco con mano,  questo mondo alternativo, eppure ogni volta e' uno stupore nuovo che si accende, vivendo a stretto contatto con i diversi nuclei, con i diversi microcosmi. Oggi poi la favela Vila do Joao e' animata da un grande fervore, per il concerto che i Cacinha Preta terranno questa sera al campo: la banda e' una delle più famose di musica forro di tutto il Brasile, in tour per Rio, e oggi trascinata qui da Del e dai suoi contatti per aprire ufficialmente la sua campagna elettorale di candidato alla prefettura di Rio. Grande movimento, quindi, nella favela; fervono i preparativi ed intorno al campo un grande mercato di ogni genere, dai vestiti ai dvd, occupa le strade, invase di gente e al calar del sole la cosa non cambia, anzi, aumenta ancora il flusso di persone, attirate dalla musica, perennemente trasmessa da ogni bar, e dal fresco sceso sulla città. Io mi lascio trasportare da questa vita  e osservo il mondo intorno, entusiasta dell'esperienza: bambini che giocano a calcio per strada, donne giovanissime che passeggiano con aggrappati al collo bimbetti di pochi mesi, adolescenti dell'eta' dei miei della Calva che osservano il via vai attaccati alle radio, con le loro armi ben in evidenza...la vita nella favela!

domenica 4 marzo 2012

Uganda Maggio 2011

Uganda 2011 una lunga, quasi infinita lingua di asfalto separa l'immensa savana del west nile, popolata di scimmie, elefanti, giraffe, ippopotami e tutti quegli altri animali fino ad oggi compagni di viaggio per mezzo dei vari documentari trasmessi dalle televisioni e fino ad oggi quasi mitici, fantastici esseri, viventi soli in quello schermo colorato. fino ad oggi, perché questa volta inter campus mi ha portato ad Angal, nell'estremo nord est dell' Uganda, a pochi passi dal confine con il Congo, 18 km dicono i padri nostri ospiti; Angal, terra selvaggia, nel cuore della savana, dove la vera Africa, quella dei documentari sopra citati prende forma e vita. Per la precisione la nostra avventura si realizza presso la sede dei padri comboniani, una missione nel mezzo del nulla, tra villaggi di terra e fango e la natura selvaggia. Proprio qui nel 1928 i padri comboniani decisero di stabilire un loro centro, creando scuole ed ospedali per la gente povera, poverissima, della regione e proprio qui lo scorso anno abbiamo deciso di provare ad aprire un inter campus, dando supporto ad un ragazzo di questo villaggio che, mosso dai padri, ha creato una squadretta coinvolgendo quasi cento ragazzini, allontanandoli dalla strada e dando loro, anche se solo nel week end, la possibilità di inseguire una palla e divertirsi come tutti gli altri bambini del mondo. poco importa se la palla e' sgonfia, se ai piedi non hanno le scarpe e se il campo e' disseminato di merde di vacca; poco importa se durante l'allenamento passano sul campo boda boda, capre e gente diretta all'ospedale; poco importa se il campo e' in pendenza, ha delle voragini enormi ed e' fatto di terra rossa sabbiosa, che col caldo e il vento si solleva e con la pioggia si allaga;  l' importante e' inseguire quella palla e da oggi con una maglia importante addosso, prima nemmeno sognata: quella dei campioni d'europa!  Con Juri siamo arrivati qui sabato sera, dopo un viaggio infinto in jeep durato sette ore, da Nagallama, dove abbiamo fatto prima tre giorni di corso con i nostri allenatori "storici" e allenamento con il nostro esercito di 600 bambini in nero azzurro. concluso il lavoro con la classica, formalissima cerimonia in perfetto stile ugandese, siam saliti in macchina alla volta di Angal, per dare ufficialmente inizio ai lavori di inter campus in questa zona. I padri che ci hanno accolto qui sono persone straordinarie, trasferitesi qui chi da 40, chi da 25 anni, decise a cancellare la propria vita, le proprie aspirazioni, le proprie egoistiche prospettive, per dedicarsi completamente agli altri, ai loro bisogni e alle loro sofferenze, per...un sorriso, forse un grazie, ma certo poco di più. e nessuno sa nulla di loro, della loro esistenza e del loro quotidiano, instancabile lavoro, dalle sei del mattino alle 19 della sera. Grandi uomini, grande persone, con uno spirito giovane e meravigliosamente positivo.  Padre Gino da Vicenza, di poche parole, profondo teologo, aperto alla conoscenza di nuove prospettive e religioni ( stava leggendo un trattato teologico sull'islam quando siamo stati da lui), generosissimo e desideroso di avere visite, compagnia; con lui una sera mi son bevuto due Tembo, riducendolo ai limiti dell'ubriachezza, causandogli sensi di colpa il giorno seguente. Padre Mario, leccese, il più giovane e attivo dei padri; suonatore di clarinetto, appassionato di astrologia (ma con un cielo stellato, spaventosamente popolato di lucine bianche vibranti, di diverse intensità, chi non lo sarebbe?), che si muove tra i vari villaggi della zona a bordo di un vecchio fantic 150, di propieta' di un altro fratello, ormai impossibilitato ad usarlo dopo un incidente.  Padre Luigi, Bergamasco verace,78enne, con 40 anni di vita trascorsi in questa zona, ma con l'accento ancora ben marcato nella parlata. Uno spettacolo, il mio preferito tra i presenti, sempre sorridente, con una vitalità unica ed invidiabile. Lui e' il nostro referente, il nostro contatto, lui e' quello che ha spinto Ivan, il nostro "allenatore" a creare la squadra e ha pensato di dar vita ad inter campus quaggiù. Lui e' colui che ci ha permesso di scovare questo angolo sperduto di mondo, di vivere l'ennesima, grandiosa, esperienza, di giocare a calcio con altri nuovi, eppur sempre uguali, bambini in nero azzurro. E siamo solo all'inizo... Grazie Inter Campus.

Amarcord: Uganda, novembre 2011

Uganda novembre 2011 questa volta e' dura. e' dura riuscire a convogliare quel flusso esagerato di emozioni che scorrono nel mio animo attraverso questa minuscola penna e lasciarle fluire su questo foglio. e' dura perché tra Nagallama prima e Angal ora, ogni ora e' stata vissuta incredibilmente, come sempre qui, ma con in più l'affetto che mi lega a queste persone, ormai da quattro anni in pianta stabile nella mia vita. Ci proverò, pero', perché non voglio perderle, non voglio che nuove esperienze offuschino quelle presenti, lasciandole cadere nel mare dei ricordi, riducendole a semplice passato. E ci proverò andando per ordine; la nostra avventura inizia a Nagallama, nella nostra solita scuola, la St. Joseph Primary school, dove arriviamo e veniamo accolti con le solite cerimonie emozionanti e ordinatissime. L'inno ugandese prima, l'inno della scuola poi, i vari discorsi e ringraziamenti tutti scanditi da sorrisi, risate e dal loro, unico modo di applaudire. Finite le pratiche formali scendiamo subito in campo per il primo allenamento dei quattro previsti e sul campo tutto va alla grande,  così come dal giorno dopo anche le cose in aula prendono subito la giusta, prevista piega. Ma la cosa più bella in questa realtà e' l'extra campo, ciò che succede tra il corso della mattina e l'allenamento del pomeriggio, quando i bimbi piccoli, non coinvolti nel progetto, mi si attaccano alle mani e mi portano in giro per la scuola, capitanati da Benjamin, ormai i mio figlioccio ugandese, chi per farmi pompar l'acqua del pozzo, chi per farmi giocare con lui, chi solo per portar,in giro. Tutte le volte mi circondo di una schiera di piccoli mudugabi, uomini neri, che mi accolgono il primo giorno a suon di "Alberto, Alberto", per lasciarmi solo nei momenti in cui lavoro sul campo,  o in aula. Emozionante! Incredibilmente emozionante! Così come la serata a cena fuori e poi in quella specie di discoteca: unici bianchi in mezzo ad una folla di nerissimi; rinoceronti bianchi, animali rari, osservati da lontano, con le dovute precauzioni da tutti coloro che si imbattevano con il loro sguardo su di noi! poi, una volta entrati in contatto con noi, quasi con timore, facilmente disposti al sorriso, alle risate e alla conversazione. Se penso a quando entro in un locale a Monza...il mondo in cui sto vivendo e' altro, sembra di essere in un altro pianeta, non solo per l'ambiente, per cio in cui mi imbatto quotidianamente, ma anche per le persone, per i rapporti, per l'umanita' di questa realta'. e' questa cosa che mi spinge a volte a dire a Silvia che il nostro posto e' qui, in mezzo a questa gente, e non nella fredda, triste e scontrosa Lombardia. Chissa'.  Finiti i giorni di corso e di allenamento, dopo la solita festa finale e dopo aver atteso gli avversari per la partita organizzata con gli allenatori per ben quattro ore (si, si: si son presentati con quattro ore di ritardo),  salutiamo tutti e...via, verso Angal! Via, attraverso un viaggio splendido, su di una strada incredibile che taglia in due la foresta e passa tra animali prima visti solo nei documentari da sud est a nord ovest tutto l'uganda, per portarci oggi a poco più di quattro ore di cammino dal confine con il Congo, in questo villaggio desolato, dai nostri splendidi padri comboniani e dai nostri cento bambini in neroazzurro! Bambini che non hanno nulla, vivono con un pasto al giorno, senza scarpe, con abiti logori e sudici, che si lavano raramente, che soffrono per le difficoltà della vita cui sono stati costretti e che, nonostante cio', sono una fonte inesauribile di sorrisi, risate e di grande attenzione, durante le sedute di allenamento! Quando sono qui volo col pensiero ai miei bambini delle scuole calcio in Italia, a quei bambini viziati, incapaci di stare attenti per più di tre minuti, con scarpe nuove ad ogni allenamento,  in grado di lamentarsi per campi non perfetti o palloni sgonfi, e mi chiedo come posso, in che modo, educare i nostri nani Italiani ad un mondo diverso, opposto, come quello in cui mi trovo ora. Poi mi chiedo: posso? Perche'? Come? Mondi troppo diversi, realtà troppo lontane per essere in qualche modo accumunate. Quindi, per il momento, rimango senza risposta. e ringrazio ancora una volta Inter Campus!

venerdì 2 marzo 2012

Amarcord: Camerun 2008

GIORNATE UNICHE

È vero, a volte si rischia di cadere nel banale, nella retorica, incapace di rendere giustizia alle esperienze che sto vivendo in giro per il mondo, però è difficile trovare parole adatte ad esprimere i sentimenti, le emozioni che si alternano in me quando sono a contatto con questi bambini, con questi allenatori, con le loro storie e con la loro vita. Ed è altrettanto vero che a volte si rischia di perdere di pezzi nel raccontare, nel cercare di fermare su carta, be’ in questo caso su carta virtuale, ciò che si è vissuto, per non correre il rischio che l’inesorabile scorrere del tempo inghiotta momenti, accadimenti unici.
Un casino insomma. Se non si scrive si perde qualcosa, se lo si fa si incontrano mille difficoltà perché i pensieri scorrono rapidissimi nella testa, ma non fluiscono con altrettanta rapidità attraverso le dita per cementarsi sul depositario dei miei viaggi. ..

Comunque ci provo…

Oggi per esempio,…da dove comincio…be’, direi dall’inizio, con ordine. Sveglia presto, colazione e poi via, con il solito mitico, Francis, condottiero di mille avventure, verso Bakinkili per la festa finale e i saluti ai ragazzi. Alla scuola l’orda nera dei nostri allievi camerunesi è già pronta e scalpita per mostrare il proprio personale e sentito saluto ai due “nassara” (bianchi).: i bambini disposti a ferro di cavallo, seduti sulle dure panche di legno, cantano inni di gioia, guidati dagli animatori. È tutto un susseguirsi di canti, balli, risate. Poi la rigidissima scaletta africana irrompe e il maestro di cerimonie (come ci tengono a queste formalità!!! Minuto per minuto, tutti gli interventi vengono scanditi e guidati da una persona preposta a questo compito e nulla potrà mai deviare il corso degli avvenimenti rispetto a quanto è scritto sul foglio del programma. Nulla!) inizia a chiamare uno per uno gli interventi previsti: Issa che ringrazia  l’inter, Victoria che lo segue, la finale di tiro alla fune e gli sketch divertentissimi con i nostri bimbi nei panni degli attori. Tutto intervallato da altri canti, da ritmi unicamente africani, da armonie e cantilene semplici, ma esageratamente coinvolgenti. Alla fine, da vera cerimonia africana, il momento dei discorsi da parte dei “VIP”: mesieur Kammogne, Max e io, che però, come sempre, rifuggo il mio dovere di oratore, nascondendomi dietro al fatto di essere animale da campo, capace di parlare unicamente sul terreno di gioco.
La cerimonia termina con un piccolo buffet a base di biscotti e bevande (birra alle 10 del mattino sotto un sole asfissiante…questi son matti!!!) e con le solite, immancabili, mille e più pose, con bambini, allenatori, con altri bambini, con l’animatore…solite mille e più pose.
Queste son le cose che voglio conservare per sempre nel mio cuore. Il lavoro è splendido, sul campo vivo meglio che a casa, in aula mi muovo ormai con disinvoltura, i rapporti con gli allenatori vanno sempre alla grande, con i bambini ancor meglio…tutto splendido, ma…queste son le cose che voglio veramente tener con me. Questi eventi, queste emozioni che vanno oltre il calcio, gli allenamenti, la formazione. Bambini con i loro giochi, con il loro umorismo, adulti con le loro regole educative, con i loro modi di fare…incontri di mondi diversi, di esperienze opposte che mi aiutano, ogni volta, a crescere e ampliare il mio minimo ventaglio di esperienze. Grazie Inter!

Amarcord: Camerun 2009


A zonzo per Baffousame

Credo questo possa essere il titolo ideale per descrivere l’esperienza vissuta durante tutta la giornata di ieri. Un via vai continuo tra le “case” di alcuni quartieri di Baffousame per incontrare e conoscere di persona i bambini che son stati selezionati per venire a Limbe, dove un’ ulteriore selezione sceglierà i 14 fortunati che rappresenteranno il Camerun alla coppa del mondo di inter campus.
Case di ogni dimensione e di ogni materiale: dalla monocamera in terra e fango, capace di ospitare 9, si, si, leggi bene, 9 persone, illuminata da una sola lampada a petrolio, senza alcuna finestra, con la parete coperta da una serie di sacchi di farina, alla casa in mattoni vera e propria, composta addirittura da tre camere, divise da teli di stoffa, in grado di ospitare, direi comodamente, sette figli e i genitori (mi ricorda qualcosa…). Ma quella che mi ha colpito di più…be’, no, non ce ne’ una sola ad avermi colpito. Anzi, direi, caro mio, che tutte mi hanno colpito allo stesso modo. Quella in fondo a quella infinita discesa buissima, con max che si lamentava ad ogni pesante e goffo passo,;
quella che ospitava 8 bambini accuditi dalla sola nonna, vedova, senza figlio e nuora falciati dall’ AIDS, o sida come si dice qui;
quella nel villaggio vicino, con le gabbie per i polli ad adornare il soggiorno (unica stanza, oltre a quella ricavata tirando un telo in soggiorno ove tutta la famiglia, nonni compresi dormivano;
quella senza finestre e spiragli di luce, all’ingresso della quale son stato accolto da una bimba che per salutarmi mi ha abbracciato e poi mi ha preso per mano per accompagnarmi dentro;
o quell’altra…te lo avevo detto che tutte mi avevano colpito.
E oltre alle case la cosa che mi ha letteralmente folgorato son state le persone in esse contenute: bambini orfani, madri vedove, mariti fuggiti, famiglie ricostruite, zii con sulle spalle la propria e la famiglia del fratello, nonne ritornate madri per la scomparsa della propria figlia e del marito, nonni vedovi con a carico nipoti piccoli e grandi…una varietà di casi umani inimmaginabile, per me, fino a prima di questo viaggio. Già, perché se ieri ero a zonzo per baffousame, l’altro ieri la protagonista del mio girovagare è stata Yaoundè e i suoi villaggi vicini, e anche li le storie che la città mi ha raccontato non son state certo migliori: Richard, orfano, accudito da zio e moglie, Mamouda cresciuto dal solo padre costretto a svolgere oggi questo e domani quel lavoro per cercare di portare a casa ai figli, non c’è mica solo Mamouda, qualcosa da mangiare, o Ya-Ya, ultimo di una stirpe di 9, orfano di padre, con madre disoccupata, i fratelli più grandi in carcere o ormai prossimi ad entrarvici e la strada come unica maestra, poiché la scuola è troppo costosa…o almeno lo era: con una donazione di 150 euro abbiamo garantito al bambino l’iscrizione a scuola per il prossimo anno scolastico.
O ancora quei bimbi in quel villaggio fuori dal tempo a soli 30 km fuori dalla capitale. Un villaggetto autosufficiente, nel senso che coltivano il mais che poi sfruttano per fare farina o altro, allevano maiali e polli, coltivano pomodori, patate, manioca e tutto secondo un sistema realmente socialista. Non vi è proprietà privata: i polli non appartengono ad una persona, così come i maiali o i campi coltivati. Tutto è del villaggio e i polli o il mais o tutto ciò che producono in eccesso e che vene venduto in città non fruttano soldi ad una persona, ma beni per il villaggio intero. E qui, all’ingresso di questo villaggio anacronistico, un bimbo, vedendomi, ha sgranato gli occhi come avesse visto un alieno. Mi ha seguito da lontano, intimorito, mi ha studiato e quando io, sorridendo, gli ho porto la mano, lui, lentamente, anch’egli sorridendo, mi si è avvicinato, mi ha sfiorato ed è scappato via, nascondendosi poi dietro il fratello più grande. Al sicuro, dietro la schiena del fratellone, che avrà avuto sei anni, sbirciava le mie reazioni, i miei movimenti, come fossi una cosa da lui mai vista ne’ immaginata, una cosa sconosciuta, diversissima da lui e da tutti coloro che invece li son ben familiari.
Tanti bimbi mi guardano come fossi un cane rizzatosi in piedi ed in grado di comportarsi come i suoi simili, umani; molti, vedendomi urlano “le blanche, le blanche”, o “nassara” indicandomi ed inseguendomi, col desiderio di toccarmi, ma con il terrore di farlo; molti altri invece mi salutano, sorridono, mi chiamano aspettandosi da me semplicemente un gesto, un sorriso, sempre loro donato.
Incredibile, davvero. Tutte le volte che vengo in Africa e vado in posti un po’ dispersi, le reazioni dei bimbi son le stesse, di stupore, meraviglia. E tali reazioni mi lascian sempre basito: “Cazzo, sono umano come voi. Ho solo un colore più pallido…

E oggi? Quel viaggio interminabile da Baffousame a Limbe’, attraverso montagne, altipiani, pini e fresco? L’avresti mai immaginato? Nel cuore dell’africa, all’altezza dell’equatore, pini e abeti…villaggi a ripetizione lungo la strada e foresta di alta montagna. Da impazzire…grazie inter

Ma non finisce certo qui.
E’ trascorso un anno, anzi, qualcosa meno (oggi è il 18 febbraio 2010) e rieccomi qui, in Camerun. La coppa del mondo è ormai in archivio, uno splendido ricordo, ma il progetto va avanti e così rieccomi nella terra dei leoni, questa volta con Robi e questa volta in una zona mai vista da nessun allenatore inter: Garoua, nella regione del nord. Al termine del viaggio che ci ha condotti fin quassù ho capito perché nessuno mai vi aveva messo piede: 15 ore di treno e sei ore di bus!!! Un’odissea. Una grandiosa, bellissima odissea. Il treno che correva prima attraverso il verde delle regioni centrali, che piano piano lascia il posto all’altopiano dell’ adamhoa, che diviene infine pianura secca, calda, savana, africa…vera africa. Uno spettacolo mai visto e mai immaginato prima. Sensazioni incredibili e cervello che si intasa di pensieri, riflessioni, difficili da far fluire attraverso questi tasti. Ma ci proverò. Iniziando con della semplice cronaca.
Già solo il viaggio meriterebbe un libro per essere raccontato nella sua completezza: arrivati alla stazione di Yaoundè veniamo assaliti da migliaia di persone con valige, sacchetti, zaini in spalla, trascinati per mano, in testa…una bolgia dantesca, completata da odori, colori e suoni affascinanti per noi nassara. A bocca aperta andiamo a prendere posto nel nostro scompartimento, con 4 cuccette, strette, ma comode. Ma chi si interessa inizialmente delle cuccette? Affascinati da tutta quell’ Africa li, fuori dal finestrino, passiamo le prime due ore attaccati al vetro per cogliere ogni angolo di mondo che ci viene propinato: baracche di legno ammassate lungo i binari, bambini in corsa dietro il treno, mani che si scuotono e sorrisi che si accendono al passaggio di questo strano, rumoroso, mezzo ferroso, grande, incredibile modernità; man, mano poi che la città viene lasciata alle spalle, la foresta pluviale camerunense prende il sopravvento davanti ai nostri occhi, illuminata da una splendente, seppur minima, luna e da migliaia di puntini stellati. La stanchezza ben presto prende il sopravvento e, nonostante il caldo soffocante, in breve ci ritroviamo tutti orizzontali, ma pur sempre con gli occhi fissi all’esterno, stupefatti dal paesaggio e dagli immensi mercati che ci si offrono d’innanzi ad ogni stazione. Già, perché non appena il treno rallenta e si ferma, sulla banchina appaiono venditori di ogni merce, pronti a soddisfare le tue esigenze: manioca battuta, banane, mandarini, ananas, avocadi, manghi, planten…di tutto e di più di viene offerto. Veri e proprio bar in movimento e a cielo aperto.
Con le prime luci dell’alba arriva, finalmente anche una brezza fresca che ci permette di respirare e di riaprire gli occhi non più grondando sudore, pronti per la prima colazione: caffè e croissant e fuori dal finestrino un paesaggio che si è ancora modificato. Non più il verde e l’oppressione di piante di mille e più specie a stretto contatto, ma immense pianure verdi e giallastre, interrotte da alberi e zone rigogliose: la savana. Con questo scenografia di contorno scendiamo intorno alle 10 alla stazione di Ngaundere, per dirigerci alla gare routiere per prendere il car per garouà; trovato il nostro con facilità, tra urla, musica, animali e altri mille e più venditori prendiamo posto al suo interno, ancora increduli per ciò che stiamo vivendo: su di un bus, con altre 28 (si, si 28+noi 3 fanno 31 persone su di un pulmino che in italia ne conterrebbe al massimo 16) persone ed in un posto del quale non conoscevamo nemmeno l’esistenza fino a un mese prima!!! Inimmaginabile.
Dentro quel trabiccolo di ferro tra soste, due ruote bucate, venditori, villaggi, trascorriamo 6 ore, per coprire 278 km e arrivare, alfine alla nostra meta: la procure di garouà, un posto nella regione del nord del camerun, famoso per il caldo e il sole distruttore. Ma che io imparerò ad adorare!!!
Qui, in questa cittadina, prende forma il nostro corso per 55 allenatori e con 40 bambini, che poi, magicamente, diventeranno 55, che tra colpi si sole e diarree (tutti problemi dei miei compagni, non del sottoscritto; io a fine giornata andavo anche a correre, mica pizza e fichi.), porta un po’ della metodologia del nostro settore giovanile anche in questa zona. E qui, oltretutto, abbiamo modo di visitare due mercati puramente africani (bancarelle di ogni genere, con ogni cosa in vendita, con odori fortissimi, musiche, sorrisi ed immensa curiosità nei confronti di questi strani, sconosciuti esseri dalla pelle chiara) e un parco ove, seppur da lontano, scorgiamo ippopotami e scimmie. Sempre qui cerco sollievo dal caldo tuffandomi in acqua, con ancora le malauguranti parole di Nicoletta nella testa (“non vi azzardate a fare il bagno in acqua dolce: la bilarzia è sempre in agguato”…gratt, gratt!!!), ma con i miei amici a reclamarmi per giocare con loro. Non potevo resistere.
5 giorni a 40 gradi, tra corso e campo, tra corse nella sabbia e serate troppo velocemente volte al termine (aiutate dalla noarcolessia del mio compagno di viaggio), tra versi di natura fuori dalla porta nella notte e migliaia di occhi puntati addosso per il nostro stato di diversi, tra l’estasi suprema, unica, capace di darmi solo inter campus e pensieri, riflessioni sulla vita, mia e generale, che solo queste realtà sono in grado di donarmi.
Che meraviglia!!! Questa è la mia vita! Questo è ciò per cui son nato. Fatemelo fare!!!