mercoledì 31 maggio 2017

Alla ricerca del parco perduto

ALLA RICERCA DEL PARCO PERDUTO
Oggi corro. Cadesse il mondo, oggi trovo uno spazio dove correre. Abbiamo dovuto sospendere l’allenamento del mattino a causa della pioggia e di conseguenza abbiamo dedicato la mattina agli incontri con i ragazzi di Suning e brevemente coi nostri allenatori, per cui ora ho ancora più energie da smaltire, non avendo dato sfogo sul campo a nulla. Ma, cacchio, non è facile trovare uno spazio verde da queste parti! Questa megalopoli è un condensato di cemento e i parchi segnati sulla cartina della città sono tutti distanti da noi, ma forse ho una speranza: c’è un piccolo punto verde non distante dall’hotel , udite udite, c’è un “athletic free field” sulla nostra via! Lascio allora i due al loro tardo pomeriggio di shopping (finito il lavoro a scuola, sono ormai quasi le 17) al fake market e mi cambio, pronto per cercare, ma soprattutto trovare, uno spazio dove allenarmi. E chi se ne frega del mio collaterale lesionato: starò attento e prudente. Parto, quindi, speranzoso, ma dopo circa due chilometri di zig zag tra gente di ogni età diretta chissà dove, inizio a dubitare di trovare la pista di atletica; torno quindi sui miei passi, sempre senza fermarmi (e vi assicuro che arrivare ai semafori e deviare, per evitare di dover rompere il ritmo, rende allenante la seduta non solo per il corpo), evitando rossi e prevedendo i movimenti di quelli davanti a me, fino a quando sulla sinistra non mi sembra di scorgere una specie di stadio. È fatta, ecco la pista. Mi immagino già mentre giro sul manto rosso morbido di questo centro sportivo aperto a tutti, tipo quello dove ci alleniamo a Managua, in Nicaragua, quando vado a sbattere sulla dura realtà: il centro altro non è che una specie di palazzetto, con una pista di pattinaggio dove si stanno allenando dei bimbi e una palestrina, dove altri nanetti cinesi stanno prendendo lezione. Certo, è aperto e libero, tant’è che entro ed esco senza mai interrompere la corsa, ma semplicemente girando intorno a questi due spazi, ma non è proprio quello che immaginavo. Continuo la ricerca. Ricordando la piantina della città, mi muovo verso quel puntino verde che avevo visto non distante da dove siamo alloggiati e intanto i chilometri passano. Siamo a 3.2, quando mi ritrovo a passare davanti all’hotel. Prendo una strada super trafficata, ampia, con la corsia per le bici e le moto elettriche, che qui la fanno da padrone, che diventa la mia pista e per un altro chilometro e mezzo vago alla ricerca di verde. Niente, solo palazzi, cemento, macchine e gente intorno a me. Quando ormai sto perdendo le speranze scorgo degli alberelli appena piantati sulla mia sinistra, in un prato di erba appena tagliata che sembra aprirsi in un pacchetto. Eureka!!! Trovato. Certo, non è il parco di Monza (il giro completo sono 850mt…), ma è uno spazio verde, un po’ isolato dalla strada, senza rumore di macchine, addirittura con un paio di uccellini e delle rane e, cosa da non sottovalutare, inabitato! Sono l’unico essere umano presente, per cui posso correre liberamente, senza alcun problema, ostacolo, rischio (visto il mio ginocchio, è un bel colpo questo: non devo fare improvvisi cambi di direzione per evitare il cagnolino, il bambino scappato dalla madre, o il vecchio che corre a due all’ora). Chi la dura la vince!

martedì 30 maggio 2017

Debutto in Cina

DEBUTTO CINESE
Un viaggio quasi piacevole, seppur infinito (partiti da Milano alle 22:20 di domenica, arriviamo a Shanghai alle 22 di Lunedì, con +6 ore di fuso…), mi conduce per la prima volta in Cina, a Shanghai per la precisione, in questa megalopoli da ventiquattro milioni di abitanti, la più popolosa della Cina e, se non erro, del mondo intero; un terzo della nostra Italia concentrati in una sola città, dove Inter Campus è attivo nelle scuole, come supporto al programma educativo scolastico, fornito attraverso la pratica sportiva, in particolare, ovviamente per quanto riguarda noi, attraverso il calcio. Finalmente, aggiungo io. Finalmente sono qui. Quando tre anni fa sono diventato responsabile tecnico del progetto mi ero ripromesso di colmare le mie lacune nel mondo inter campus nel più breve tempo possibile, ossia mi ero ripromesso di visitare, di giocare, su tutti i campi del mondo neroazzurro, con tutti i bimbi del mondo neroazzurro, lasciando alcuni miei storici paesi in favore di quelli dove ancora non ho avuto modo di lavorare; questo non per mettere la bandierina sul mio mappamondo personale, ma per avere un quadro completo del progetto, avere un’idea, per lo meno un accenno di idea visto che in una sola missione si conosce una parte del paese, della situazione attuale delle nostre attività. Ad oggi mi mancano ancora Russia, Cambogia e Libano, ma conto nel giro di questa stagione di raggiungere il mio obiettivo, partendo proprio da qui, Shanghai. E parto da un progetto di certo non facile, che ancora stenta a spiccare il volo per mille motivi, uno fra tutti le difficoltà linguistiche, che ci impediscono di arrivare con precisione ai nostri allenatori. Già, perché il cinese è assolutamente incomprensibile e l’inglese è parlato da pochi (o per lo meno sono pochi quelli che abbiamo incontrato noi fino ad ora) e non sempre benissimo, per cui tutte le nostre indicazioni, tutti i nostri consigli per strutturare inter campus e migliorare la qualità delle proposte, non sempre “arrivano a destinazione”. In più loro non sono propriamente “flessibili”, pronti al cambiamento, per cui la loro idea, il loro pensiero sull’allenamento, sulle esercitazioni e sul modo di rapportarsi ai bambini è difficile da cambiare, da rendere più…Inter Campus. Ma il bello è questo, siamo qui proprio per questo motivo, se no non ci sarebbe bisogno di noi. E allora via, sotto con gli allenamenti...non prima di una sana e ricostituente dormita!!!

lunedì 29 maggio 2017

Essere allenatore a Teheran

L’ANGOLO DELL’ALLENATORE IRANIANO
In ogni caso, a prescindere da ciò che credo io sia meglio per i bambini in campo, saper gestire 42 bambini nello stesso tempo, con dieci palloni, è una cosa notevole. Avvantaggiato sicuramente dalla buona educazione di base di tutti i presenti, profughi afghani o iraniani che fossero (si, perché se penso una cosa del genere in Italia, dopo dieci minuti ci scappa il morto), rispettosi dell’adulto e soprattutto desiderosi solo di giocare a calcio, sia Hadi che Housseini sono riusciti entrambi a far divertire tutti i loro mini giocatori, mantenendo anche discrete intensità. Certo, hanno mixato gli obiettivi, hanno buttato qua e la momenti di valcareggiano stretching con bimbi di 9 anni, hanno lasciato per interi minuti bambini fermi, non coinvolti, in attesa del loro turno (in Italia il bambino in attesa dopo 12 secondi avrebbe già sgozzato il compagno davanti e il genitore avrebbe già denunciato il mister per maltrattamenti), ma tutti sorridevano, tutti hanno giocato, tutti alla fine erano felici, quindi, anche se solo in parte, gli obiettivi più importanti sono stati raggiunti. Bravi, veramente bravi. Se ora riuscissimo a portarli dalla nostra parte, condividendo con loro il nostro metodo, le nostre esercitazioni, il nostro allenamento “integrato”, su questi campi del mondo si potrebbero realmente raggiungere risultati (non intesi come partite vinte) importanti per i nostri bambini, che qui sono per lo più figli di profughi afghani e quindi figli dell’ultimo gradino, per lo più nemmeno riconosciuto, della scala sociale. Già perché le famiglie dei nostri bimbi qui quasi non esistono: non avendo documenti e non venendo riconosciuti vivono di espedienti, dei lavori più umili, sottopagati, se non sfruttati, adulti o bambini che siano. Così alcuni dei nostri “mini giocatori” in maglia nerazzurra, dopo l’allenamento vanno ad aiutare la madre a far le pulizie nelle case degli iraniani, oppure vanno per strada a raccogliere l’immondizia, se non addirittura a chiedere l’elemosina. Questo tutti i giorni, a parte quando grazie a Popli, l’associazione con cui collaboriamo, vanno a scuola a studiare, o quelle due volte alla settimana in cui, insieme ad altri bambini vestiti con la stessa maglia, scendono in campo e si allenano, tutti insieme, senza più barriere, differenza. 

giovedì 18 maggio 2017

Terzo giorno in Persia

E TRE
Se per Johnny Stecchino il traffico era il problema più grande di Palermo, certo non era mai stato a Teheran. Mai visto nulla di simile, in nessuna delle città fin qui viste grazie a Inter Campus: Yaounde, Kampala, Luanda, Caracas; tutti paesini ordinati se paragonati alla caotica, immensa e inquinatissima capitale iraniana! È vero che sono sedici milioni solo nella città; è vero che pagando 25 centesimi un litro di benzina, tutti sono incentivati a muoversi in auto; è vero che avendo poche alternative alla macchina per spostarsi da un punto all’altro della città (ci sono solo tre linee di metro, che tra l’altro collegano solo il nord e il sud della città e neanche totalmente), essendo i mezzi pubblici poco sviluppati, tutti devono ricorrere a mezzi propri per lavorare o per qualunque altro spostamento; però una cosa del genere è impensabile, è invivibile! Il primo giorno per arrivare in hotel dall’aeroporto ci abbiamo impiegato tre ore! In condizioni normali in cinquanta minuti la stessa tratta viene coperta; il secondo giorno per tornare dove siamo alloggiati dal campo, dopo allenamento, quindi dal quartiere Shahre Rey a sud, al quartiere Niavaran a nord, percorso che normalmente richiede 35-40 minuti, abbiamo perso due ore, e così via, per tutti i giorni del nostro soggiorno in Iran. Assurdo. Tutti in auto, tutti per strada e tutti selvaggi, incuranti del codice della strada e di qualsiasi altro comportamento prudente, sensato: motorini contromano da tutte le parti (occhio, quindi, ad attraversare anche le strade a senso unico: un motorino inaspettato potrebbe saltar fuori e rischiare di schiacciarvi. Chiedete a Robi!); auto che fanno inversioni a u nel mezzo della highway non appena si interrompe il muretto divisorio tra le corsie; mezzi di ogni forma, dimensione e potenza (motorini, macchine, suv o camion, nulla cambia) che ti sfrecciano a mezzo centimetro dalla carrozzeria, ricavandosi spazi occultati ai più, formando corsie certamente non preventivate dagli ingegneri, costruttori della strada. Insomma, un vero e proprio inferno! Se penso a quei poveretti che vivono in questa città, non posso che compatirli e certamente non invidiarli per nulla.
Ovviamente in un contesto del genere, con auto in ogni direzione, l’inquinamento la fa da padrone, tant’è che non appena sali verso nord (la città è in discesa e si passa dai 1200mt del campo, zona sud, ai 1505mt dell’hotel, zona nord) e ti volti “verso il basso”, per vedere la metropoli che si sviluppa sotto di te, il tuo occhio, la tua vista è limitata da una spettrale nebbia grigia scura che si alza dal basso e che invade tutto il tuo spazio visivo, portandoti automaticamente a tossire, a sentirti mancare il fiato, per la suggestione che provoca. Coff, coff.

mercoledì 17 maggio 2017

Aeroporto-campo, passaggio diretto

SI COMINCIA:SUBITO IN CAMPO


Arriviamo in hotel sfiniti, dopo più di tre ore di macchina a causa del maledetto traffico di questa immensa e sovraffollata città  e la semifinale in tv appena iniziata e già avvincente non favorisce certo il nostro avvicinamento al letto (qui siamo due ore e mezza avanti, quindi Atletico-Real inizia alle 23,15 da queste parti); conseguentemente al suono della sveglia, puntata alle 6, non mi sento propriamente fresco come una rosa. Ma ok, bastano tre giri con l’elastico e già la giornata assume un altro contorno e dopo una mini colazione, eccomi pronto per il campo. Allo stadio è in programma la prima giornata con i nostri bambini, ottanta in tutto, e con i nostri mister, lo storico Hadi (storico…siamo alla terza visita…)e il nuovo Hosseini: prima seduta con metà gruppo, gestita da loro, per permetterci di capire meglio se qualcosa è cambiato dall’ultima volta e quindi per vedere come sono realmente andate, più o meno avere una idea, le cose negli ultimi sei mesi senza di noi, e secondo allenamento invece nelle nostre mani. Loro, con i dovuti e legittimi limiti e problemi legati ad uno stravolgimento così radicale del loro metodo in favore del nostro, pur mixando un po’ gli obiettivi e pur allenando ancora troppi bambini nello stesso tempo (seppur meno della prima volta che sono stato qui, quando Hadi si esibì in un super allenamento con 75 bambini in contemporanea), qualcosa di interessante ce lo mostrano, a dimostrazione del fatto che qualcosa stanno facendo. Certo, la strada è ancora lunga, ma per lo meno abbiamo iniziato a camminare. D’altronde non dice forse il saggio che ogni grande cammino prende il via con un passo? Ecco, noi il nostro piccolo passo l’abbiamo appena fatto. E anche fermo e bene. A seguire tocca a noi, a me e a Roby, scendere in campo e anche qui, come nel corso dell’ultima visita in Venezuela, la mia voglia di allenare è ai massimi storici: da quando mi hanno tolto la Calva non scendo più in campo quotidianamente, quindi la mia voglia di allenamento si accumula e trova sfogo in viaggio, durante le varie missioni, per la grande gioia dei bimbi, almeno mi pare, che vengono travolti dalla mia sventagliata di energia e motivazione. Rispondono bene i piccoli Iraniani e nonostante l’ostacolo piuttosto ingombrante della distanza linguistica (il farsi è veramente impossibile!!!), a gesti, con qualche parola buttata qua e la, con le dimostrazioni e con l'aiuto di Nasser, un energico uomo di cinquant'anni che parla inglese bene e che mi aiuta dall'inglese al farsi nella traduzione, le varie esercitazioni pensate, con annesse varianti, pur complesse, vengono svolte con entusiasmo e grande coinvolgimento. E anche dimostrando discrete abilità, una buona base motoria e un buon approccio alla palla. Bello, bellissimo allenamento. Mi sono veramente divertito.  Anche il post allenamento, quando ci siamo spostati in “aula” per la parte teorica, nonostante la traduzione da inglese a farsi ogni tanto zoppicasse (certi termini tecnici in inglese se non si conosce un po' il tema sono difficili da tradurre, quindi son dovuto spesso ricorrere a perifrasi, rallentando un po’ lo svolgersi della “lezione”), le cose sono andate via lisce, ma soprattutto efficacemente, viste le risposte dei mister, quindi…avanti così. Domani si replica. Ora però tuffiamoci in palestra, perché se non posso correre a causa dell’infortunio, per lo meno posso sfondarmi di pesi in palestra, messaci a disposizione da Leila!!! Via, allora, andiamo, Roby, la panca ci aspetta!

martedì 16 maggio 2017

Ritorno a Teheran

Ritorno in Persia


Attento, ben attento alle lettere da pigiare su questa tastiera, per non offendere o ferire nessuno di coloro che tanta polvere hanno sollevato in seguito ai miei ultimi sfoghi virtuali, eccomi nuovamente in viaggio, eccomi nuovamente pronto a scendere in campo, sui miei campi del mondo. Destinazione Persia, ossia Iran, nello specifico Teheran, dove il nostro progetto sta vigorosamente riprendendo forma e definizione, dopo la lunga sosta forzata a causa della situazione politica nel, che aveva portato scontri e tensioni in tutta la città (quando abbiamo sospeso l'Iran era un bel vulcano pronto ad esplodere). 

Ora ci siamo, si riparte: nuovo partner stabile, forte, un bel progetto già attivo legato alla scuola, all'istruzione, dedicato a bimbi figli di profughi afghani (e qui ce ne sono tantissimi) e la possibilità per noi di inserirci in questo progetto per portare sul campo i bimbi e cercare di integrarli con coetanei iraniani attraverso il gioco (e la cosa non è semplicissima, ma la palla, si sa, è magica...). Insomma, gli ingredienti ci sono tutti per un'ottima ricetta. 

Sono emozionato, contento, di tornare a Teheran e su questo semivuoto aereo continuo a pensare a come meglio organizzare i gruppi di bambini, a come meglio supportare gli allenatori e a come gestire la settimana di lavoro che ci attende, per poter lasciare più indicazioni, aiuti, possibili. Mi piace quando si parte da zero, quando riesco a dare direttamente la "forma" al progetto, quando sono io l’unico responsabile, anche in caso di errori, per la riuscita o meno dei lavori: qui ci sono i bambini che hanno bisogno, ci sono i mister da formare, c’è un campo sgangherato, ma comunque a disposizione e utile per giocare, c’è una ong che segue fuori dal campo i bimbi…insomma, c'è tutto. Tocca a me, tocca a noi miscelare, bilanciare e amalgamare al meglio tutti questi elementi per dar forma a quel gustuso piatto neroazzurro chiamato Inter Campus Iran.