sabato 26 aprile 2014

Giornata storica a Jaljulia!

Giornata storica a Jaljulia!

"Albe, mischiali tutti!" mi urla Yasha dal fondo del campo. " Tutti? Davvero possiamo???" tra l'incredulo e l'euforico rispondo io. "Si, si, tutti, tutti!"! Non potevamo crederci, invece è accaduto. Ebbene si: sul campo di Jaljulia, piccola città arabo-israeliana dove oggi abbiamo fatto convergere tutte le cellule inter campus del paese per un mega torneo, per un mega festival dell'integrazione, ha preso forma un vero e proprio momento storico per i nostri colori. Israeliani del Kibbutz e i loro vicini di terra, al di la del muro, hanno calpestato per la prima volta da quando siamo attivi in questo paese,  lo stesso campo, calciato lo stesso pallone e giocata la stessa partita, senza i limiti, gli obblighi o le restrizioni varie che fino ad ora accompagnavano e costringevano i nostri eventi. Sembrerà questa una sciocchezza agli occhi dei più, agli ochhi di colro che non conoscono bene questa realtà e concordo sul fatto che questa dovrebbe essere la norma, ma venendo costantemente in Israele due volte l'anno dal 2006, avendo tentato insieme a Max e a tutti gli altri intercampisti diverse vie, diverse forme, diverse strade per cercare di unire nello stesso campo due mondi tanto distanti e ostili, avendo quindi tante volte sbattuto il muso contro il duro muro dell'insuccesso, sentire oggi quelle parole e aver visto poi realizzarsi quel messaggio urlato da Yasha è stato per me, per noi tutti, un gran traguardo raggiunto. Un traguardo che segna l'inizio di un nuovo percorso, di una nuova sfida chiamata continuità e non certamente un traguardo inteso come arrivo, fine della corsa, ma finalmente sembra che inter campus sia riuscito a fare qualcosa inimmaginabile anche solo ad inizio giornata. Già, perché arrivato al campo, più volte mi è stato detto di dividere i "nemici di sempre", di non metterli nello stesso torneo e con Gabri avevo già costruito tre tornei diversi e separati per rispettare queste indicazioni, ma poi...l'inaspettato. Sinceramente non so perché, non so cosa sia successo, non so chi ci sia dietro questa decisione, ma...chi se ne frega! Forse Yasha "the hammer", Jasmin "la fotografa", forse Max "lo smilzo"...non lo so, davvero non lo so. Ma la decisione è stata presa e ora, dopo le due ore sul campo, mi godo, ci godiamo, la posa di questa prima, fondamentale, pietra. Ora possiamo iniziare veramente a pensare alla formazione, agli allenamenti, alle solite cose, come in tutto il resto del mondo neroazzurro, come in un "normale" paese inter campus. Almeno speriamo, visto che qui la continuità è sempre un'illustre sconosciuta. Ma continueremo a provarci.
 Grandi ragazzi, bravi tutti! Grazie anche per questo, Inter Campus!

venerdì 25 aprile 2014

Passaggio in Sudan

Passaggio in Sudan

C'è una realtà diversa dalle altre, coinvolta nel progetto inter campus da queste parti; una realtà fatta di famiglie sudanesi, profughi, esuli, scappati dalla guerra e rifugiatisi in questo spicchio di mondo. Spicchio di mondo che però non li vuole, non li riconosce, quindi non concede loro assistenza, documenti, status di qualsiasi genere; spicchio di mondo che li "accoglie" nella sua città principale, relegandoli nella periferia sud, dove questi si "accampano" un po' come fanno da noi, nelle nostre città le varie comunità di immigrati, ghanesi, senegalesi, cingalesi o rumeni che siano, chiudendosi a riccio fra loro, ghettizzandosi e rifiutando ogni minima forma di integrazione. Ecco, qui, in questa realtà, con i ragazzi più giovani, interveniamo noi, con il nostro progetto, cercando di far crescere attraverso...una palla, con una maglia indosso, i giovani seguiti, coinvolti in diversi progetti da un'associazione locale. Giovani senza regole, poco disciplinati, maleducati, un po' strafottenti il cui "allenatore" risulta essere tutto fuorché un tecnico-educatore. Un bel posto alla inter campus, dunque. E l'allenamento di oggi è stato proprio...inter campus! 16 di questi ragazzi, un cinesino, una ventina di casacche usate a tale scopo, 4 palloni e un campo da basket sul quale giocare. Introduzione sbagliata da parte nostra, con proposte troppo complicate, inadeguate al livello, per cui intensità bassissime, grande confusione, scarsa attenzione e molti richiami. Si cambia: intervengo deciso per riprendere in mano la situazione, vado a muso duro contro uno di questi bulletti e propongo un' esercitazione analitica semplice, diretta, ad alta intensità, sulla guida, inserendo gare e competizione. Molto meglio. I ragazzi iniziano a seguirci. Voglio spingermi oltre: esercitazione situazionale più complicata, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche cognitivo; i ragazzi dormono, non sono abituati a pensare, a ragionare, ma solo ad agire. Fermi tutti. Venite da me. Due parole secche e si riparte: le cose iniziano a girare e possiamo cominciare veramente a divertirci e a spingere sull'acceleratore. Iniziamo a entrare in contatto coi ragazzi: sorrisi, battute, pacche sulle spalle, soprannomi condivisi (bombolo il più bello: un ragazzino di 12 anni alto un metro e largo due...alla fine era bombolo per tutti e lui si girava al richiamo, non lo rifiutava, ma stava al gioco!)... ci siamo. Ce l'abbiamo fatta. Abbiamo lasciato qualcosa in più di un insegnamento tecnico su questo campo. Il gruppo ce lo riconosce. Bene. Ora ci vuole continuità, bisogna inquadrarli quotidianamente, se no si perdono. Searching for a coach!!! O se no qualcuno di noi si ferma qui...
Ma Inter Campus non si ferma qui: il vero obiettivo in questo spicchio di mondo è l'integrazione, quindi come cerchiamo di unire sullo stesso campo israeliani e palestinesi, domani con noi a Jailjulia, sul campo per il torneo finale, ci saranno anche loro, i sudanesi, per unire tutti sotto un unico simbolo fcim (football club inter milano), circondato da undici stelline colorate: il simbolo di inter campus!

giovedì 24 aprile 2014

Welcome to Israel.

Welcome to Israel!

Oggi si va...di la, dai vicini, a fare allenamento: nel pomeriggio, infatti, abbiamo in programma una seduta in West Bank, nel villaggio di...mi ricordassi un nome una volta...seconda cellula palestinese del progetto che affianca quella di Jaius (che non si scriverà così), dove per iniziare abbiamo coinvolto 30 bambini della scuola del paese.
Sveglia presto, dunque, corsa stupenda sul lungomare di Tel Aviv (uno dei più bei posti al mondo dove mi sono allenato, insieme a Yellowstone e Copacabana di sabato) e quindi via, con Yasha, Max, Franco e Gabri diretto verso i territori. Viaggio rapido che fila via liscio (in fin dei conti il Paese è piccolissimo, quindi per muoverti al suo interno i viaggi non sono mai lunghissimi), senza intoppi o controlli vari, che ci attendono però puntuali e incazzatissimi al rientro.
Dopo la giornata e l'allenamento su un campo di cemento con 5 palloni e un cinesino (si, si, uno! Anche questa volta con Gabri numeri di alta magia, per cercare di dar forma ad un allenamento vero e proprio. Fortunatamente avevamo tante pettorine...), in mezzo al solito, caratteristico casino "arabian style", con gente che si aggira intorno al terreno di gioco"armata" costantemente di sigarette e caffè, stanchi, ma contenti, al check point per rientrare...al di qua, veniamo fermati: "dove siete andati... a fare cosa...chi siete...cosa fate...un fiornino"! Passaporti e ispezione accurata dell'auto col cane e insieme a noi altri camion, macchine, pulmini vari accuratamente ispezionati e tenuti a bada con super armi tecnologiche; non le avevamo puntate contro, sia chiaro, ma la loro semplice presenza mi inquieta non poco! Dopo il pensiero di un figlio milanista, l'arma è la seconda cosa che mi spaventa di più. "Welcome to israel", ci urla sorridendo un ragazzo arabo che lascia i controlli, libero di oltrepassare il confine, liberato dal sospetto di terrorismo che gravava su di lui fino a pochi attimi fa,  vedendoci un po' spaesati, fermi fuori dalla macchina, in attesa del vialibera. Eh, già, welcome to Israel. Come sempre. Che situazione tutte le volte: questa tensione latente sempre presente, questo clima di sospetto, questo timore di essere in errore che ti accompagna ogni giorno in questa splendida terra. Peccato. Certo, si capisce, ma...peccato comunque. E domani sarà ancora così, visto che torneremo...di la. Amen: per ora è così. Godiamoci ora una bella serata a Jaffa, poi torneremo a sentirci colpevoli

martedì 22 aprile 2014

Tierra Santa

Tierra Santa

Archiviamo velocemente la Pasqua: si riparte! Con ancora la bocca sporca di cioccolato (cazzo, quello fondente è una tentazione grossa!), mi ritrovo nel taxi che alle 4.30 mi porta a Malpensa, destinazione Tel Aviv, per la seconda visita in Terra Santa per la stagione 2014. 
I quattro giorni di ferie sono volati e ancora nella testa, nella mente, ho vivi i ricordi del Chiapas, dei personaggi incontrati in quella parte di mondo, degli allenamenti realizzati su quei campi del mondo, ma...bisogna richiudere le emozioni nella memoria e rituffarci velocemente in una nuova avventura: altre persone, altre emozioni, altri campi mi attendono. E, cazzo, mi attendono nell'immediato! Atterriamo infatti alle 12 a Tel Aviv ed espletate piuttosto velocemente le noiose pratiche burocratiche, dribblando controlli e interrogatori vari, alle 14 siamo già in campo. E che campo! Siamo infatti al centro sportivo del Maccabi Tel Aviv, squadra storica del paese (cacchio, è più antica dell'inter!), dove abbiamo radunato, grazie al lavoro di Yasha, i nostri bambini del nucleo a sud della città, i sudanesi, quelli della parte arabo-israeliana e quelli, uno solo, del kibbutz, per mischiarli a due gruppi del Maccabi e dar forma ad un allenamento e a un torneo. Due ore volano in campo e al termine della seduta viene da noi Paulo Sousa, attuale allenatore della prima squadra, col quale parliamo un po' del progetto e di ciò che potremo fare in futuro assieme. Grande! Un altro grande ex giocatore col quale riesco a creare subito buon feeling e che, nonostante il passato da gobbo, parzialmente riabilitato dai tre anni con noi, mi lascia ottime sensazioni. In forma (si allena ancora e ha ancora un gran fisico, ma mi dice di viaggiare sui 4' al km...pensavo meglio...), entusiasta dell'avventura che sta vivendo, ha una visione del Paese e del calcio in questo paese simile a quella che mi son fatto io in questi anni di campo, per cui parlare con lui mi è piaciuto proprio. Spero di rivederlo su questi campi, o magari sul lungomare di tel aviv a correre: così rallento e vado per un po' con lui...
Bene, quindi, ottimo inizio. Domani West Bank, si passa il muro e con Gabri daremo forma ad un allenamento, anche due se ne abbiamo il tempo, con i nostri bambini...al di la. Son contento di essere tornato a viaggiare con ciccio, anche se devo martellarlo un po' per rimetterlo in forma: con la maglia inter grigia sembra un salame di cioccolato avvolto nella stagnola! Non si può vedere! Preparati!

mercoledì 16 aprile 2014

E.Z.L.N.

E.Z.L.N.

Dunque, dunque, dunque, vediamo di tirare un poco le somme e fare un po' di chiarezza: da lunedì scorso e per quattro giorni, ci siamo trasferiti all'interno di una scuola Zapatista, controllata da uno dei cinque caracol zapatisti presenti nella regione del Chiapas, parte del buon governo che si contrappone al mal governo, ossia quello centrale guidato oggi da Pena Nieto, dalla rivoluzione del 1994 ( in realtà e.z.l.n., ossia esercito di liberazione nazionale zapatista si è formato nel 1983 per controllare le terre già nelle mani degli indigeni e organizzarsi per toglierne altre dalle lunghe e viscide mani del governo, ma solo undici anni dopo è definitivamente insorto per i propri diritti) che ha portato gli zapatisti a riappropriarsi di alcune terre e a guadagnare una propria autonomia, per quanto non riconosciuta, a volte nemmeno conosciuta, dai più. Ma chi sono questi zapatisti? Mmm...vediamo di trovare le parole giuste e i riferimenti storici corretti, senza cadere nella lezione accademica o in madornali errori: come il nome stesso suggerisce, sono i seguaci delle idee di Emiliano Zapata Salazar, uno dei leader storici della rivoluzione del 1910, il cui intento principale era quello di ridare le terre agli indigeni, come sempre e come ovunque sfruttati e ridotti in uno stato di cittadini di serie b, pur essendo originali abitanti della zona, lavoratori della stessa. La tierra es de quien la trabaja, dice uno dei motti del grande leader; la terra quindi è dei campesinos indigeni di questa regione fortemente agricola e la rivoluzione zapatista di metà anni novanta ha ridato le proprietà agli storici proprietari...in parte. In parte, perché solo alcuni territori son tornati in mano agli indigeni, altri erano già loro e andavano solo "protetti",  e solo una parte di essi si è unita alla lotta (siamo arrivati approssimativamente a stabilire che sono duecentomila, ma...chi lo sa) e  ogni giorno è "lucha", è battaglia, una delle parole più utilizzate da companeros e companeras, per affermare il proprio stato, la propria esistenza, i propri diritti.
All'interno di questi territori si afferma una forma di socialismo che mi permetto di definire estrema, rigidamente strutturato e controllato dal buon governo; socialismo estremo, per cui non esiste proprietà privata, non esiste specializzazione del lavoro, non esiste individualismo in nessunissima forma: tutto è condiviso, tutti fanno tutto in funzione delle esigenze della comunità e sempre per un periodo ridotto, stabilito (se non ricordo male l'incarico dura due settimane), per cui chi oggi fa parte della giunta del municipio, domani potrebbe diventare promotores dell'educazione o parte dei sorveglianti, o muratore o lavoratore della terra, in ogni caso impiegato in incarichi utili per il mantenimento della comunità. E tutto si svolge sotto il rigido controllo della giunta e delle varie commissioni, cui ci si deve rivolgere per ogni cosa: noi, per esempio, per entrare nella comunità siamo dovuti andare dalla giunta, spiegar loro il nostro progetto e chiedere loro il permesso per fare qualsiasi cosa, il corso, gli allenamenti, le foto, mostrare video...tutto, proprio tutto. E solo dopo la loro approvazione siamo potuti entrare, seguiti dalla commissione presente per "controllarci" e aiutarci a portare avanti i lavori, e sentirci anche noi zapatisti per un po'. E in tutto questo, la libertà che ruolo gioca? O meglio, che cos'è la libertà, quando non posso scegliere cosa fare, non posso propormi, non posso decidere io dove andare, con chi e perché? In che ginepraio mi sto cacciando con questo quesito...sicuramente la libertà intesa dal compagno non è quella intesa dal milanese (o genovese, o madrileno che sia), non si base sulla possibilità di decidere autonomamente, in maniera individualistica, ma è legata alle esigenze della comunità, a ciò che è meglio per il gruppo e non per l'io; non è concepita come diritto assodato, dato per certo, proprio di ciascuno, ma come frutto della lotta, elemento proprio della comunità da guadagnare e salvaguardare con cura. E mi fermo qui, se no inciampo in chissà quali strafalcioni ideologici.
  Ma perché siamo qui? Perché sbilanciarci a questo modo, offrendo appoggio ad una lotta così fortemente politicizzata, con il nostro progetto basato sul calcio? Per quel che sono riuscito a capire in questi giorni da "compagno", la nostra presenza, il nostro sostegno è utile, teoricamente, quindi sarebbe utile a questo popolo se oltre a riconoscere a parole l'importanza educativa dello sport si aprissero a nuove metodologie e a nuove forme di coinvolgimento dei bambini, attraverso lo sport, per facilitare i loro compiti educativi,  avendo noi, nel nostro modo di far calcio attraverso questo progetto,  con loro un sacco di punti in comune: la volontà di "compartir" e non di imporre, il rispetto per le regole e la condivisione delle stesse, lo spirito di gruppo, di comunità che va oltre l'individualismo della nostra società, la disciplina...purtroppo però, come già scritto nei giorni precedenti, tutto, per ora, rimane in potenza e non si realizza, per via delle loro chiusure, delle loro paure di contaminazione e della abissale distanza tra noi e loro. Ma noi non si molla: la lucha continua anche per noi!

martedì 15 aprile 2014

In campo con gli zapatisti

IL CAMPO DEL CHIAPAS

Amaca, fagioli, cessi improponibili a parte (nemmeno in Amazzonia avevo cessi così pietosi: baracche di legno sollevate da terra, con una tazza di pietra posta sopra il buco, il tutto immerso in un condensato di odori difficilmente descrivibili a parole), in Chiapas ci siamo anche per il campo e per un corso di formazione. Tre giorni intensi di campo,ogni mattina, e di aula, ogni pomeriggio, per cercare di migliorare l'approccio allo sport, al calcio, di queste comunità; e noi ci si prova, ma che pippe! Tutte insieme, tutte sullo stesso campo, non mi era mai capitato di vederle in nove anni di Inter Campus: in difficoltà per qualsiasi movimento (corsa, balzi, rotolamenti, questi sconosciuti), con tempi di reazione biblici, scarse capacità cognitive (cazzo, anche i grandi hanno mostrato lacune importanti per quanto riguarda lo sviluppo della lateralità!) e nessuna conoscenza del gioco del calcio; tutti ottimi ingredienti per la realizzazione della ricetta Inter campus! Per fortuna che in aula...che disastro: il livello è molto basso sotto ogni punto di vista, ma la cosa che più mi deprime inizialmente è che non gliene frega nulla del calcio, loro giocano a basket e il calcio e solo "cascarita", ossia partitella, è tempo libero. Non è considerato e non vuole essere considerato uno strumento di educazione, una "materia" da studiare, al fine di portare benefici alla comunità. Per loro il calcio...è calcio. Stop. Tenerli attenti, coinvolgerli, convincerli non solo a parole della validità, della veridicità di ciò che stiamo portando loro è stata un'impresa, come ho detto al prof, "gli abbiamo tirati per i capelli dalla nostra parte"! Almeno per questi tre giorni: dal primo all'ultimo giorno i cambiamenti son stati tanti e abbastanza evidenti, tanto che credo davvero che qualcuno si sia aperto un po' più verso il mio amato pallone, ma forse è solo l'entusiasmo del momento a farmi parlare. In fin dei conti siamo alla settima visita e non può certo essere questa ad aver fatto la differenza, rispetto alle altre volte, considerando anche che i temi trattati non sono stati certo "innovativi", rivoluzionari. Mah. Vedremo. Siga la lucha, come piace sentire da queste parti.

lunedì 14 aprile 2014

Giornata zapatista

PRIMERO DE ENARIO

Ore 6 tutti in piedi, la giornata deve prendere il via : calientamento, ossia risveglio muscolare, tutti insieme dalle 7 alle 8, composto di esercizi stile Ferruccio Valcareggi (dire no con la testa, dire si con la testa, circonduzione in avanti delle braccia e altri residui storici) ieri e oggi gestito da noi (nastri e corse coordinative a fiumi!), prima di recuperare ognuno il proprio piatto, la propria forchetta e la propria tazza, per la sbobba mattutina, ossia riso, fagioli e caffè. Terminata la lauta colazione, via verso il campo da calcio disseminato di merde giganti di cavalli e capre: doppio allenamento con due gruppi per tutti e tre (io, Silvio e Karla, allenatrice di Queretaro), che ci tiene in campo fino alle 12, quando un membro della commissione lancia il segnale, un colpo di fischietto, per richiamare tutti al momento del poisol (che non si scriverà così), un pastocco di riso dolce e acqua, o mais e acqua, che deve fungere da pranzo. Trangugiata a fatica la sbobba, passa un'ora e siamo in "aula" con i cento promotores ed educatores, cui provare a presentare la nostra metodologia di lavoro, provando a cambiare, a modernizzare un po' la loro, figlia di Stalin e della DDR. Impresa ardua la nostra. Considerando anche quanto è fissata nelle teste dei nostri zapatisti quella modalità a noi tanto lontana e radicata nella loro cultura, nel loro modo di intendere e concepire lo sport, credo che non sarà facile. Ma ci proveremo. Teoria e pratica si mischiano insieme per due ore, al termine delle quali arriva il momento del desajuno: fagioli e riso, con caffè come bevanda, tanto per cambiare. Ah, dimenticavo le tortillas, ad accompagnare sempre i nostri pasti. Pasto completo, energetico, in vista del gioco libero, ossia l'ultima parte della giornata: partitazzo a basket, o a calcio, insieme ai promotores e ai ragazzi più grandi del gruppo, al termine della quale doccia gelata con il tubo della canna fuori dal nostro accampamento e via, un sacco di parole sotto le stelle, prima di chiudersi in amaca dentro il sacco a pelo (madonnina che freddo di notte!) e aspettare il ritorno del sole, per dare il via ad una nuova giornata Zapatista.

sabato 12 aprile 2014

Campeggio neroazzurro!

IN CAMPEGGIO CON INTER CAMPUS

Questa mi mancava: dopo 10 anni in giro per il mondo, dormire in amaca, cenare ognuno col proprio piatto di plastica da lavare, ognuno col proprio bicchiere e la propria forchetta, con la frontale accesa per vedere dove sedersi e soprattutto cosa mettersi nel piatto, docciarsi con un tubo di plastica che butta fuori acqua fredda, prima il prof e io a maneggiare il tubo, poi a parti invertite, insomma fare tutto quello che faccio normalmente nelle vacanze-campeggio con Si, ma per Inter Campus non mi era mai successo. Quindi giusto ora colmare questa lacuna: benvenuto in Chiapas! Già, perché il campeggio di Inter Campus prende forma quando arriviamo alla comunità "1 januario", dove si sono radunati 100 promotores/educatores e 146 bambini per il talleres de football che metteremo in pratica nei prossimi tre giorni da queste parti; qui infatti, dentro questa comunità Zapatista, come in tutte le altre dove siamo riusciti ad intervenire, le casette occupate dove alloggiamo noi e tutti i presenti sono vuote, nude e "colonizzate" dalle nostre amache, dalle nostre tende e dai nostri sacchi a pelo. In questa, da dove scrivo, siamo in otto: due amache, due tende e 4 sacchi, cui si aggiungono un sacco di insetti, un rospone e non so dire quante altre bestie. Insomma, un misto tra le avventure negli ostelli europei con i miei "nani", gli amici della vita, e i campeggi con "la mia signora"! 
Tutto bene, comunque; fin qui tutto bene: sono contento di quanto mi sta accadendo in questa avventura messicana e sono contento di vedere con noi Carlotta, abile a mascherare un po' di disagio e bravissima a calarsi in questa nuova dimensione, tra comodità strappate coi denti e adattamenti forzati. Confesso che non me lo aspettavo: complimenti!
Ora però crollo: la giornata è stata impegnativa; sveglia alle 7, mega allenamento in salita col prof, prima di riprender in mano il volante e guidare fino al caracoll di moreira, da dove solo dopo aver chiesto alla giunta del buon governo il permesso per entrare in comunità, descrivendo tutte le attività che andremo a svolgere, e avendolo ottenuto dopo un lungo consulto, ci siamo potuti muovere, per raggiungere, finalmente, la nostra meta dopo un'altra oretta di macchina, tra topes (dossi giganti posti a centinaia lungo la strada), salite e discese delle strade di montagna caratteristiche di questa parte di Mexico e i villaggi, zapatisti e non. E ora...eccoci qui, in una di queste comunità, circondata da un alone di fascino e mistero fin dai tempi del liceo, delle discussioni con Mauro e delle letture giovanili, a provare sulla mia pelle se quella forma di socialismo estremo tanto affascinante sui libri, mantiene lo stesso fascino nella realtà.

Ripetute a Città del Messico

Dopo cinque giorni in una comunità zapatista, lontano da tutto, imternet compreso, rieccomi pronto a pubblicare le mie riflessioni imtercampiste, solo che...devo riprendere da dove ho lasciato, ossia, dall'ultimo giorno a Città del Messico, prima di imbarcarmi verso la nuova avventura zapatista. Balziamo dunque indietro di quasi una settimana...


RIPETUTE A 2200 MT...

Cambia ancora l'ora, giusto per confondermi le idee un po' di più: dopo il meno otto sull'orologio al nostro arrivo, oggi arriva l'horario del verano e le lancette vanno riportate avanti di un'ora e si dorme, così, sessanta minuti in meno! Maledetti! Giusto perché tanto non siamo stanchi. 
"It's time to get up", il suono della sveglia del prof, inizia a riempire la stanza, dunque, alle 6.40 normali, in realtà 7.40, per portarci in breve fuori dalla stanza, armati di garmin, pronti per un bell'allenamento. Il programma prevede una bella piramide 1000+800+600+400+200+400+600, ma il programma non prende in considerazione i più di 2200 metri della città, cazzarola! Il mio corpo li sente tutti e un po' avverte anche l'aria non proprio pulita,  propria di questo posto, tra i più inquinati del pianeta, ma nonostante tutto si vola: passo medio sempre ottimo e con i recuperi del prof striminziti in pieno stile calzoncini di Maradona a Messico '86 posso dirmi soddisfatto. Certo, con una lepre del genere al fianco, non si può, anche volendo, andare sopra i 3'30/km, quindi la mia soddisfazione è figlia della lepre, perché dopo il secondo 400 se non ci fosse stato lui avrei mollato il passo...ma c'era, quindi bravi! Grande seduta. Terminata la corsa, doccia finalmente calda (ieri un guasto all'impianto ci ha tenuti sudati, dopo allenamento, in camera, ad attendere l'arrivo dell'acqua, per due ore e  quando finalmente poco prima delle 20.30, orario del nostro appuntamento per la cena con gli altri, dai tubi è tornata a scorrere era fredda...maledetti!) e colazione dei campioni, as usal, prima di un bel giro della città, con messa nella Chiesa di San Francisco, anch'essa mezza pendente. Anch'essa perché anche la Catedral e altri edifici storici stanno sprofondando, inghiottiti lentamente dalla terra, che non riesce più a sostenere il peso delle costruzioni umane poste su di essa e anno dopo anno sta cedendo, regalando agli occhi della gente palazzi e chiese fuori asse, monumenti più bassi del livello della strada che li circonda e altri strani, e preoccupanti per me, spettacoli archittetonici. 
Poi...via, aeroporto e partenza alla volta di Tuxla, dove noleggeremo una macchina per muoverci verso il San Cristobal. 
Ma questa è la storia di domani.

lunedì 7 aprile 2014

In campo a città del messico!

IN CAMPO A CITTÀ DEL MESSICO

Sveglia! Circuito di forza col prof, colazione dei campioni e siamo in campo all'universitad, con tutti e quattro i nuclei pronti a mostrarsi: uniersità, Triquis, Seilan e Tepito: quattro realtà diverse, accomunate dallo stato di indigenza dei bambini e...dalla maglia dell'Inter! Ritmi bassi, intensità un po' bassine per i miei gusti, ma tutto sommato buon lavoro dei mister, Adan, Ruben e Fernando; bisogna anche capire la loro cultura, il loro modo di essere: qui vanno tutti al rallenty, carlo sassi è il dio osannato, la parola più sentita è "tranquilo", insomma, chiedergli di proporre allenamenti come i nostri è quasi impensabile. Per ora. Perché col tempo son convinto di riuscire a convincere anche loro dell'importanza delle alte intensità nel corso della seduta, per coinvolgere i bambini e tenere le loro menti, oltreché i loro corpi, attive sul campo, per tutta la seduta. Col tempo, però. In fin dei conti ci siamo riusciti in Africa...ah, ah, ah, cala, cala, Merlino, direbbe Anacleto. Vero, ci siamo riusciti con alcuni allenatori, in alcuni paesi africani. Però ci siamo riusciti. E in un continente dove il tempo è relativo, in un posto dove per ogni cosa c'è sempre tempo, c'è sempre modo, in una realtà dove il domani, l'avvenire, non sono contemplati, considerati, perché già pensare all'oggi può essere un'impresa, in un Paese dove i bus collettivi non hanno un orario di partenza, ma partono solo quando sono pieni, be', dai, in un posto del genere ottenere il rispetto degli orari e allenamenti con buone intensità è un ottimo risultato. Certo, è profondamente diverso il tempo africano da quello sudamericano, dal mio punto di vista più lento ancora, più dilatato ed entrambi così diversi dal nostro, distanti dal nostro, ma se ce l'abbiamo fatta laggiù, ce la faremo anche qui. Ma con calma. Senza pressa. Tanquilo.
Anyway: allenamenti al rallenty a parte, la mattinata scorre velocemente sul campo di cemento e sotto il sole bollente dei 2200 metri della città, al termine della quale le mamme dei nostri bambini ci bloccano per mille foto, autografi e un "improbabile" spuntino con loro, a base di ogni cosa possibile, lontano dall'essere salutare: carne di porco, ketchup, salsa chily, riso rosso con non so cos'altro dentro...insomma, una dura prova, superata grazie ai tacos. Quando finalmente riusciamo a svicolare dalla tentacolare presa di mamme e bambini, si torna in hotel e...si corre! Si corre, ma in mezzo a un miliardo di persone! che casino: passiamo dalla piazza della constitution e poi ci tuffiamo su calle Madero, dribblando persone che spuntano da tutti i lati e riempiono la strada, puntando il parco vicino al palazzo delle belle arti, anch'esso colmo di esseri umani, tipo san siro durante i concerti del boss. Amen: c'è un fuso di otto ore da smaltire e una stanchezza diffusa da buttar via e niente come la corsa può aiutarci nell'intento. E allora via, cambi di direzioni continui, cambi di ritmo per superare o lasciar passare, ma non ci si ferma e si chiude alla grande una buona prima giornata messicana. Domani si riparte, direzione San Cristobal. 
Adelante companeros!

domenica 6 aprile 2014

Messico e Chiapas: si riparte!

Messico e Chiapas

...e ora? Nemmeno il tempo di asciugarmi il sudore, dopo la splendida partita di Berlino (chiaramente vinta, insieme ad un Prof in versione Walter Samuel e ad Aldo, stranamente più disciplinato e ordinato del solito), nemmeno il tempo di stare con Silvia, visto che la maggior parte della giornata siamo distanti, impegnati in luoghi di lavoro diversi ( per fortuna: lontano dal campo sarei matto!) e lontani, nemmeno il tempo di rivedere i miei fratelli, i miei amici, che sono di nuovo in aeroporto! Destinazione Messico, due giorni, e poi Chiapas, i restanti sette, prima si rientrare e godermi un paio di giorni di ferie per Pasqua.
Madonnina che ritmi! E quando sono a casa si vola sui campi, destreggiandomi tra supidaggini quotidiane che i genitori di tutte le categorie che seguo mi servono e allenamenti...insomma: bella vita, ma che corse! 
"Per fortuna" ora ho 14 ore di viaggio per "rilassarmi"...

Maremma smaialata, come dice il Pihardi, che odissea! Comodo il viaggio per il Messico...partenza alle 7 da Milano e arrivo alle 17.30 a città del messico, con 8 ore in meno, dovute al fuso, di mezzo! Buono, direi...
Anche uscire dall'aeroporto, poi, si rivela un'impresa: quaranta minuti in fila per il controllo passaporti e poi altra mezz'ora a svuotare le borse per far vedere tutti i kit per i bambini e i palloni, cercando di convincere la poliziotta di turno del fatto che tutto andrà regalato ai bambini. Alla fine si convince, salutandoci sorridente e chiedendoci per la prossima volta di portare un kit per lei...tutto il mondo è paese! 

sabato 5 aprile 2014

Berlino: ora sta a noi!

TOCCA A NOI!

Ora è il nostro turno: i 24 ragazzi sono tutti per noi, le aspettative sono altissime (cacchio, il peso del marchio che portiamo al petto) e confesso che altissimo è anche il mi battito cardiaco! Sarà il super allenamento di questa mattina, svolto nei boschi, con lo special guest (un ragazzo del Gambia, giocatore di calcio della nazionale under 21 del suo paese, che dopo averci visto ieri allenarci, ci ha chiesto di potersi unire a noi. Poverino, che scelta: dopo le prima serie ha iniziato ad arrancare alle nostre spalle e nel corso dell'ultima finiva sempre le sue ripetute senza riuscire a vederci in faccia. Che scelta, bagaet!) ad alzarmi la frequenza cardiaca, anche se credo più attendibile l'ipotesi dell'emozione. In fin dei conti siamo parte di un progetto delle Nazioni Unite e in fin dei conti siamo i più attesi, visto che tutti sanno cos'è l'Inter e quindi tutti si aspettano grandi cose. Se a tutto questo uniamo l'ultimo consiglio datoci dal responsabile di right to play per meglio gestire i due giorni di lezioni a nostra disposizione, deciso ad aiutarci, ma capace solo di distruggere le poche certezze che avevo sull'organizzazione del corso, ecco che allora l'ipotesi emozione diviene sempre più certezza. Saadi, il ragazzo di right to play, ci consiglia, infatti, di privilegiare la parte pratica, quasi di trascurare quella teorica, perché i ragazzi sono costretti in aula da sette giorni, bombardati di nozioni, attraverso lezioni frontali e statiche, quindi ora...ne hanno piene le palle! L'ansia quindi sale non tanto per il fatto che avessimo previsto 12 ore in aula, a parlare, tutt'altro: i nostri corsi sono sempre dinamici, coinvolgenti, pratici, quindi in linea con quanto richiesto; il problema è che sapere che la tua classe è scarica, svogliata, annoiata, poco prima dell'inizio del tuo intervento un po' di preoccupazione te la da! Preoccupazione, però, che come è arrivata se ne è andata: palleggiandoci la parola io e il prof, "sfruttando" gli interventi di Nicoletta e quelli  improvvisi e irregolari di Aldo e alternando in continuazione aula e campo, le ore sono volate, dandoci modo di lasciare concetti importanti, a nostro modo di vedere, e strumenti fondamentali per riuscire a proporre un allenamento ovunque e...comunque, ossia su qualsiasi campo, in qualsiasi posto e in qualsiasi condizione. Le quattro aree, il collegamento tra loro, l'allenamento e lo sviluppo della personalità del bambino, le esercitazioni specifiche utili per questa o quell'area, le fasi dell'allenamento...cazzarola, ne abbiamo messa di carne al fuoco. Ma dosando gli interventi, riportando sempre tutto al pratico, al campo, sviluppando insieme a loro i concetti, affrontandoli e sviscerandoli. Insomma, un gran bel lavoro. Con un pizzico di presunzione posso dire che questa volta abbiamo fatto veramente la differenza! Il velo della mediocrità che avvolge tutto il mondo che mi circonda è stato squarciato, siamo andati ben oltre e le reazioni dei ragazzi, le loro domande, le loro risposte ai nostri test, supportano questa mia sensazione: si, siamo stati proprio bravi. Non solo abbiamo parlato di calcio e allenamento, ma...l'abbiamo fatto e abbiamo lasciato qualcosa nelle mani dei partecipanti. E tutti se ne sono resi conto: i ragazzi di right to play, quelli dell'UNSPD...noi. Eppure...eppure mi sembra di non aver fatto di niente di così straordinario, di così eccezionale, come mi dicono. Si, siamo stati bravi, ma...cacchio, meno male! É il mio lavoro, faccio calcio di mestiere, faccio corsi di formazione per professione e parlo di cose che, a mio parere, rappresentano la base da cui partire quando si parla di educazione e calcio: meno male che lo faccio bene. Non so...rimango sempre un po' perplesso di fronte alle entusiastiche reazioni ai nostri corsi, per me non sono che la normalità, il giusto modo di fare, di agire. Mah...per fortuna che alla sera una sana partita di un'ora, insieme ai ragazzi dell'organizzazione e ai partecipanti scaccia le mie perplessità, i miei pensieri, per lasciar spazio al puro divertimento, al fanciullesco piacere di correre dietro ad una palla. Quanto è bello giocare a calcio!!!