venerdì 19 dicembre 2014

Immagini brasiliane


Juri in porta...non il nostro Juri...anche se...


in campo col gioco dei colori...


Vedute carioca!

Si ringrazia il fotografo della missione, Stefano Capellini.

martedì 16 dicembre 2014

Special guest: Juri "boiola" Monzani!!!

Nuovo viaggio con il blogger ufficiale di InterCampus, il Mister Alberto Giacomini… Ed eccomi qua, nella mia consueta (si fa per dire) rubrica: “Sei stato a Rio con Alberto se…”

-    Sei stato a Rio con Alberto se anche tu hai arato il lungomare di Flamengo con ripetute ed esercizi di forza ad andature mai viste prima

-    Sei stato a Rio con Alberto se più di una volta hai, tristemente, creduto di essere al fronte, anziché in una favela

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai imparato a memoria la canzone “Carro” di Elio e non potevi fare a meno di cantarla a tutte le ore del giorno (e della notte)

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai ricevuto una media di 873 domande in portoghese dei bambini delle comunità, a cui dovevi dare una risposta, spesse volte la stessa… Il bello di Intercampus è anche questo!

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai fatto i conti della giornata di Fantacalcio sulla tazza del cesso, sperando invano di vincere, insultando i tuoi avversari

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai scoperto che esiste il vagone metro dedicato alle donne

-    Sei stato a Rio con Alberto se ti sei ustionato testa, braccia e faccia grazie ai 42 gradi all’ombra dell’estate Carioca

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai ripercorso tutti gli attimi de “L’allenatore nel pallone” percorrendo le strade della città

Per concludere ne approfitto per fare tanti auguri di buon compleanno al vecchio Giacomini che oggi compie la bellezza di 36 anni (anche se lui dice 26...)!!!

lunedì 15 dicembre 2014

L'angolo dell'allenatore carioca

L’angolo dell’allenatore
Parlare di “allenatore" in questa parte del mondo mi viene difficile, per lo meno considerando i miei canoni, il mio modo di intendere questa “attività”, per alcuni fortunati, questo mestiere. Ma…in questa parte del mondo? Scusa, mister, ma che differenza c’è tra Jardel e l’anziano signore che a Milano guida la squadra piccoli amici del quartiere dove è cresciuto e dove ha la sua attività di pescivendolo? O tra Veloso e l’ex calciatore di serie c che conclusa la carriera per il solito, gravissimo e “stronca carriera” infortunio, riversa le sue “conoscenze” e competenze ultraterrene sul campo dove ha calciato i primi palloni, allenando la squadra allievi, tra bestemmie, corse attorno al campo, stretching in qualunque forma e ricordi sbiaditi di quando giocava? Poche, pochissime differenze, in effetti: entrambi presuntuosi, entrambi impreparati, entrambi abili a ridar vita sul campo ora con i giovani agli allenamenti in bianco e nero di gioventù calciatrice, ma entrambi appassionatissimi e disposti a dedicare il proprio poco tempo libero a bambini, giovani, adulti, in forma del tutto gratuita (anche se qualcuno qualcosa riceve), nonostante mogli per nulla accondiscendenti, condizioni proibitive e difficoltà ogni giorno crescenti. Quindi? Ci si accontenta e si ringrazia, chiudendo non uno, ma entrambi gli occhi di fronte all’ennesima seduta strutturata con un maledetto riscaldamento classico, o con una serie di esercitazioni miste, con diversi obiettivi, senza progressione didattica, senza logica, messa in atto giusto per non limitarsi alla sola partitella? No, non ci sto, cacchio! Ringrazierò sempre queste persone, così innamorate della palla e così ben disposte nei confronti dei propri ragazzi, per la loro dedizione, per il loro impegno, ma la loro responsabilità è troppo grande, il loro ruolo nei confronti dei giovani è troppo importante per poter lasciar correre e far finta di niente e allora, tutte le volte, ci riprovo, riproviamo: un passo alla volta, concetto dopo concetto, esercitazione dopo esercitazione, incontro dopo incontro, proviamo a cambiare qualcosa nel loro modo di concepire, di vivere l’allenamento e…chissà, prima o poi riusciremo anche a mettere in piedi anche a Rio un vero e proprio corso di formazione come in tutto il resto del mondo inter campus. E dopo questa visita sono ancora più speranzoso: già, perché questa volta ho intravisto “una luce in fondo al tunnel”, ossia ho visto più attenzione, più interesse, miglior predisposizione da parte di alcuni nei confronti delle nostre proposte, delle nostre richieste, quindi…shhhh!!! Diciamolo sotto voce…Quindi magari qualcosa sta cambiando…shhhh!!! Parla piano, mister...

venerdì 12 dicembre 2014

Pelada final

Pelada final!

“Voce gioga muito!!!”, “Quel craque! direttamente da Italia”, “voce corre muito”…alcuni dei commenti dopo partita!!! E godo. Cazzo se godo! Qui in Brasile il calcio è una religione e il mio non è un modo di dire: più giochi, più sai giocare, più sei considerato, sei ascoltato, sei rispettato e per cercare di far entrare nelle teste dure e presuntuose dei nostri allenatori “pentacampeones” queste partite in cui sfogo la mia passione mi servono. E a prescindere dagli aspetti legati al mio lavoro… godo comunque! La peladinha finale, ossia la partita con tutti gli allenatori, è sempre utile e necessaria, come già detto più volte, ma soprattutto è divertente: è bellissimo giocare a calcio! Ed è da tutta la mia vita che vivo questa magia, come tanti altri tra noi: ore e ore  passate da piccolo a giocare in ogni dove e ad ogni ora: il Giambe che passava a chiamarmi alle 14, palla in mano, Alone in porta e via, tutto il pomeriggio ad inventarci sfide in 1<1 (li si che si lavorava su tecnica di base, tecnica applicata e tattica individuale!!! Mille occasioni per ricevere, condurre, calciare, per dribblare, tirare in porta, prender posizione, difendere la porta…e partendo da quei ricordi ho ripensato ora, da allenatore, a strutturare esercitazioni di ogni tipo!) monopolizzando una porta del campo dell’oratorio, ceduta solo quando si doveva, voleva, andare al campo per gli allenamenti. Crescevo, ma le cose cambiavano poco per me, pur cambiando i “compagni di giochi”: loro, infatti, man mano perdevano questa magica passione, sostituendola con altri interessi, ma in me, invece, questo fuoco cresceva di intensità, anno dopo anno! E così eccomi al liceo, guarnito di fughe dalla classe per andare a Monzello agli allenamenti, con la prof di chimica attaccata allo zaino per cercare di non farmi uscire, incurante delle mille note e richiami subiti per il mio menefreghismo di fronte a tutto ciò che non era sferico e cuoiuto: io voglio giocare! Non mi interessava dove, a che livello, con chi: allora come adesso, a me interessava inseguire la palla e calciarla, forte, precisa, col giro o pulita. A me interessava la palla!!! Mi parlavano di rinunce, di sacrifici…mai vissute come tali le mie scelte, prese per giocare:  sabato a casa, ritiri, vacanze interrotte due settimane dopo la fine della scuola, capodanno ridotto, una volta con ripresa degli allenamenti l’1 gennaio alle 10… Nulla mi interessava: volevo, voglio, giocare, quindi…Già, voglio giocare, anche ora, perché pur ormai cresciutello, rimango sempre ammaliato da quell’oggetto sferico, oggi causa di liti a ripetizione con Silvia, come prima punto di scontro con mamma (papà meno, assecondava molto di più la mia passione), poiché fonte di distrazione dalla scuola (e aveva ragione, cacchio se aveva ragione, poverina!!!): c’è un amico da vedere, ma c’è una partita da giocare a meno tre gradi, su un campo nel mezzo della steppa, la mia scelta è sempre la stessa: si gioca! C’è un film da vedere tranquillamente a casa, al caldo, con lei, come ci succede raramente vista la mole di viaggi, ma qualcuno mi chiama per un torneo da qualche parte, be’…mi piace da matti star con lei, altrimenti non l’avrei sposata, ma quella palla…cazzarola! Che casini che combino sempre per colpa sua!!!
E questa cosa non la si capisce, non la si può capire, se non si è rimasti folgorati da piccoli dall’incontro con quell’affare rotolante e questa dipendenza accomuna me a tanti altri calciofili del mondo: penso ai colombiani con cui ho giocato alle 6 del mattino, prima di lavorare, ai prof ugandesi, di ogni età e stazza, che nonostante tutto giocano e amano giocare, o a questi brasiliani, ex giocatori ancor oggi impegnati in questo o quel torneo tra favelas, o ai miei compagni di gioco italiani, alle 23 sui campi di Vedano o Milano, con la neve, la pioggia, la grandine, pur di colpire il pallone! Marco, mio fratello, Lillipuz, Galbio, Roby Monzani, Dado Manfre, Il Dilly…siamo in tanti, colpiti dalla stessa malattia!!!

 Non so donare la felicità ad un bambino, ma posso sempre regalargli un pallone!!!

mercoledì 10 dicembre 2014

Favela, la città nella città.

Guerra in favela!


Il rituale è sempre lo stesso: entri in favela, quindi abbassi i finestrini per farti vedere, accendi la luce interna nel caso in cui sia buio e avanzi lentamente tra le sue intricate vie per farti ben vedere dalle varie sentinelle e salutarle una ad una, come se le si ossequiasse. Bip, un colpo di clacson, “vale Del”, la loro risposta; e via, verso la prossima. Così è da sempre, da quando abbiamo messo piede per la prima volta in questo micromondo parallelo che caratterizza Inter Campus Rio de Janeiro, ma questa volta qualcosa di diverso c’è, si scorge ed è difficile non vederlo: carri armati ad ogni ingresso, trincee, soldati in mimetica col casco e il fucile sempre puntato! Difficile non rendersi conto della novità! Se prima le armi erano “solo” in mano ai banditi delle varie fazioni che governavano le favela, con bambini vari che ci seguivano durante i nostri allenamenti dall’esterno con il loro bel fucile a tracolla, ora si è aggiunto l’esercito, cui fanno seguito le troupe d’élite, alcuni gruppi speciali della polizia e non so chi altro, per dare a tutto l’ambiente quel tono, quell’apparenza di Iraq che non guasta mai! Ma perché tutte queste persone armate? È la “pacificacao”, ossia il processo di pacificazione delle varie favelas di rio de janeiro: le favelas erano, alcune lo sono ancora oggi, in mano, governate, da gruppi criminali, con i quali l’esercito ha intrapreso ormai da quasi due anni una guerra; tale guerra in alcuni casi si è dimostrata vittoriosa, per cui i banditi sono stati cacciati e costretti a riversarsi in altre favela, ove hanno iniziato a loro volta una guerra con i gruppi locali dominanti, per rubar loro il potere e continuare i loro traffici. Quindi guerra tra esercito e banditi, guerra tra banditi e tensione altissima ovunque, con spari, morti e feriti quotidiani. Solo martedì scorso 4 soldati sono morti in uno scontro a fuoco proprio nella Marè, il complesso di favelas dove lavoriamo, e nei giorni seguenti altre piccole sparatorie sono scoppiate per le strade delle varie comunità (un proiettile vagante ha rotto un vetro della palestra di Del, in Cavalcante), generando un po’ il panico…anche tra noi! Io già ho il terrore delle armi, se in più sono accompagnate da militari e tank vari, l’ansia si estremizza! Ma mi fido di Del, Fabinho e dei vari “favelati” nostri compagni di viaggio, per cui se loro mi dicono “tranquilo” ricaccio un po’ le mie paure e mi tuffo in campo. Certo che vedere tutti quei soldati che mi fissano fuori dal campo, o incrociare una mini colonna di carri armati lungo la strada verso quello seguente, ogni tanto fa vacillare la mia fiducia negli amici carioca!


domenica 7 dicembre 2014

La Marè

Complexo de Marè

Con questa storia della pacificazione le favela sono diventate un vero campo di battaglia, una vera e propria trincea enorme, estesa su tutta la zona della Marè, il complesso di favelas dove siamo presenti. L’esercito, la polizia, dopo essere intervenuta nelle altre grandi comunità  dopo aver spazzato via da queste i vari gruppi di trafficanti, di banditi, si sta ora concentrando su questa realtà, quella della Marè appunto, dove si sono riversati tutti i banditi, cacciati dalle altre comunità e in cerca di un nuovo “terreno coltivabile”. E allora eccoli tutti qui, a prender possesso di questa o quella zona per mezzo di sparatorie, conflitti a fuoco vari, con l’esercito e la polizia alle calcagna, pronti a spazzar via tutti. Incredibile oggi arrivare alla Villa do pinheiro la mattina, con i tank ad accoglierci e gli spari ad accompagnare la seduta, o ancora spostarci nel pomeriggio verso la Baixa do Sapateiro, con almeno 20 soldati a bordo campo, armati di tutto punto, con elmetto e mimetica indosso, a fare da tifosi per i nostri bambini durante l’allenamento. Non avevo mai visto tante armi, tanti soldati, insieme. Eppure tutto sembrava normale agli occhi degli altri! La pagliacciata, come me l’hanno descritta loro, fa parte del quotidiano ed è ormai parte della routine quotidiana, così come la morte del soldato o del bandito nel corso dei vari conflitti a fuoco che si scatenano durante il giorno: solo ieri sono morti 4 poliziotti nella Marè! Assurdo! E ancora più assurdo che se non vieni qui, non sai niente di tutto questo: quanti di voi, dopo il Mondiale e le superficiali notizie relative al processo di pacificazione delle favelas in corso, si ricordavano dell’esistenza di queste enormi sacche di povertà, di questi mondi paralleli, precedentemente governati da questo o quel gruppo armato, coi suoi traffici illeciti e le sue attività illegali? Quanti sapevano che ogni giorno, al calar del sole, all’interno delle varie favelas, si scatena una vera e propria guerra? I soldati oggi, sotto il ponte che divide Baixa do Sapateiro da vilha do alemao erano dentro una trincea, con carri armati al fianco!!! Cacchio, pensavo di essere in “band of brothers”!!! Ma da noi di tutto questo non si sa nulla: forse questa cosa è ancora più assurda! 
Va be’, comunque noi si va avanti: oggi allenamenti regolari svolti nelle favela, col solito disordine, la solita malaorganizzazione brasileira, ma allo stesso con la solita passione, allegria, spensieratezza, tipica, unica, di questa gente.
 E finché ce lo permetteranno sarà sempre utile tornare da queste parti e togliere, per un attimo, dalla strada le nostre centinaia di bambini, per cancellare dai loro occhi l’immagine di fucili, carri armati, soldati e dalla loro testa la tensione, la paura, il timore che tutto questo porta con se’. Potere di una palla e di una maglia, la nostra!

sabato 6 dicembre 2014

Di corsa verso Rio, senza passare dal via

Rio de Janeiro

Rieccoci qui, Rio de Janeiro, dove il progetto prende forma nel complesso denominato Marè, costituito da 14 comunità, 14 favelas, una sorta di quartieri...diciamo particolari! Qui interveniamo per attirare i bambini in campo e allontanarli così dalla strada e da tutto quello che essa offre in una realtà complicata e povera come quella della favela, appunto, qui giochiamo quindi con bambini "favelati", bambini che vivono quotidianamente a contatto con la violenza, con adulti non esattamente di matrice oxfordiana, con armi di vario genere e dimensione sotto gli occhi, se non sotto mano, insomma, qui giochiamo con bambini di difficile gestione, di difficile controllo, pur tutti innamorati perdutamente come me della palla! È da un po' che calco i campi di questo mondo e mi sento ormai carioca dentro: viaggio dopo viaggio questa città, questo progetto, questa gente, tutto esercita su di me un fascino suo, particolare, che mi strega. Sarà lo svegliarsi e l’allenarsi con il Corcovado davanti e il Pão de Açúcar a sinistra, sarà il lungo oceano, sarà il sole, il caldo, che sempre accendono in me risorse energetiche impensabili, sarà la parlata cantilenata, cadenzata, di bimbi e allenatori vari che mi piace da matti, sarà…sarà quel che sarà, ma…voltar a Rio è sempre bellissimo! Anche se…già, perché ci deve pur essere una nota negativa…anche se dal punto di vista strettamente tecnico, da allenatore, questo progetto ha sempre delle falle incredibili, che nemmeno in Chiapas ho trovato: totale disorganizzazione da parte dei mister, materiale praticamente inesistente, alcuna educazione all’allenamento mostrata dai bambini che rispecchia l'assoluta latenza dei mister, insomma un mezzo disastro che si prolunga nel tempo e non da’ segni di cambiamento, di miglioramento, visita dopo visita. Già, loro sono pentacampeones e non hanno bisogno di saper come strutturare una seduta di allenamento; non hanno bisogno di conoscere metodologie diverse, non per forza migliori, ma differenti dalla loro; non hanno bisogno di vedere come allenare e divertire i bambini, pur con 5 palloni, 5 cinesini e 48 bambini. Loro sono pentacampeones e allora vai con code infinite di bambini per l’esercitazione, vai con una introduzione già analitica, noiosa e per nulla coinvolgente per i bambini, vai con una proposta legata ad un obiettivo e la seguente legata a un altro gesto tecnico. E a nulla, come sempre, sembrano servite le precedenti visite, i precedenti interventi, i precedenti suggerimenti: tutto è rimasto come 5 anni, quando per la prima volta misi piede in questo campo del mondo. Be’, no, dai, tutto, tutto no: qualche allenatore appassionato, umile e volenteroso lo abbiamo incontrato e con lui siamo riusciti a intraprendere un cammino, ma su 12 nuclei attivati nella sola città di Rio, nel solo complesso della Marè, è un po’ poco. Cacchio!!! Ma piuttosto che nigot...e allora si va avanti, si persevera e prima o poi riuscirò anche qui a dar vita ad un intervento teorico, in aula. Ne sono convinto. E magari già questa volta qualche passo in avanti sarà mosso!

giovedì 4 dicembre 2014

L'angolo dell'allenatore...cubano.

L’angolo dell’allenatore

Giocare con gli allenatori è sempre utile, da parte mia, per avere un’idea più completa delle persone con le quali si collabora, non solo dal punto di vista strettamente tecnico, ma anche umano; il campo, la palla da inseguire, la collaborazione richiesta dal gioco, la competizione, sono tutti ingredienti che portano la vera indole, il vero se’, ad uscire, a manifestarsi sinceramente, senza filtri, maschere, mostrate grazie all’intervento della ragione e del pensiero. No, quando si gioca non si pensa a come comportarsi, non si pensa a come apparire di fronte agli altri se si perde la palla se si subisce un gol, se un compagno sbaglia: no, no, quando si gioca il sangue va quasi totalmente ai muscoli e solo limitatamente al cervello, quindi quello che viene fuori è il nostro vero io, è la persona nella forma più vicina alla realtà. Per questo, quindi, punto sempre a organizzare una partita coi mister prima della fine di ogni missione (oltre che per il fatto che stare senza giocare per più di una settimana mi viene molto, ma molto, difficile…), quindi oggi, dopo la mattinata di corso finale, conclusa con il test, dopo il torneo con tutti i nostri bambini coinvolti, tocca a noi, italiani e cubani insieme, inseguire quella palla. E allora eccoci in campo, con Alex, sempre sorridente e organizzatore delle cose in campo, vero leader positivo del gruppo, non a caso referente per quanto riguarda il progetto nella sola Habana; con il solito fenomeno di Granma, intento più alle giocate individuali, a fare il fenomeno, che a giocare con gli altri, così come da allenatore punta più agli aspetti agonistici, che a quelli strettamente educativi; Joanis, la ragazza, diligente e ordinata in campo, con la giocata sempre facile ed efficace a disposizione, come quando da allenatrice organizza metodicamente la seduta e, anche se senza grande “cuore”, riesce a dar forma a sedute ben strutturare e fedeli al nostro metodo, o ancora Lazzaro, onesto gregario, difensore ordinato e diligente, che rispecchia perfettamente il suo ruolo di responsabile di tutto il progetto inter campus sull’isola. Insomma, quello che siamo come allenatori, lo siamo spesso prima come giocatori e quello che si può desumere dopo questi giorni di corso e questa partita è che su questi campi del mondo, i nostri mister sono di buona qualità: hanno tutti una grandissima preparazione teorica, essendo tutti professori di educazione fisica, sono tutti molto interessati all’argomento “allenamento”, mancano un po’ tutti di “passione pura”, di amore sincero per il gioco, interpretato solo come fatica e sudore, ma…ad averne così!!! Bello, son proprio contento della missione cuba, per quanto riguarda il campo, gli aspetti tecnici: siamo sulla strada giusta e stiamo cambiando, poco per volta, l’approccio all’allenamento dei nostri introducendo un metodo nuovo, diametralmente opposto a quello diffuso, su questi campi, quindi…hasta pronto, Cuba!

mercoledì 3 dicembre 2014

Estadio Pedro Marrero

Ok, quello che ho realmente in testa non posso portarlo alle dita per fissarlo su questo schermo, quindi mi limiterò a dire che questo non è stato un viaggio Inter Campus tout court secondo i miei intendimenti...ma va bene così...più o meno.
Estadio Pedro Marrero, giorno 2: dopo aver tritato con il prof il marciapiede del Malecon, eccoci anche oggi di fronte ai nostri allenatori, pronti per portare avanti le cose, per addentrarci nel mondo dell’allenamento. E qui ci si può spingere ben in fondo alle cose, visto il livello di partenza dei nostri mister, anche se…anche se i “profe”, come li chiamano qui, cubani hanno grandissima preparazione teorica, ma molto “cattedratica”, molto universitaria e classica, che non contempla, non inserisce tra i suoi programmi nuovi aspetti, i nuovi studi legati alla metodologia di allenamento. I mister qui sono tutti dei seri e rigidi preparatori atletici, usciti da non si sa bene quale porta spazio temporale che dalla Germania Est degli anni ’80 li ha catapultati su questo paradiso caraibico. Tutti pieni di teorie e studi sullo sviluppo della forza esplosiva, della forza elastica, delle capacità aerobiche, della flessibilità, ma che di fronte a bambini dai 6 ai 12 anni non sanno adattare le proprie competenze, le proprie conoscenze e propongono loro gli stessi allenamenti degli adulti, gli stessi contenuti, per cui…per cui sui campi di Cuba vedi bambini di 8 anni in fila indiana costretti a corse intorno al campo, farcite di esercizi di mobilità articolare; oppure puoi scorgere squadre di “nani” ferme, intente ad allungare questo o quel gruppo muscolare, annoiandosi e pensando a tutto, fuorché al gioco del calcio; o ancora file interminabili di bimbi impegnate in allunghi o ripetute brevi, con sul volto scritto tutto il loro disappunto e la loro voglia di divertimento. Ma qualcosa si sta muovendo, qualcosa inizia a cambiare: a furia di dimostrar loro come anche un riscaldamento divertente e ludico possa raggiunger gli stessi obiettivi di quello classico, includendo aspetti non solo motori, ma anche cognitivi, sociali ed emotivi, qualcosa nelle loro teste sta entrando e la loro rigida, rigidissima, visione delle cose, dell’allenamento, lentamente sta mutando. Certo, poi ti chiedono comunque dopo un gioco iniziale dedicato allo sviluppo della lateralità, al correre, al saltare con stimoli visivi e uditivi, fino a quanti battiti posso arrivare con i miei giocatori (avevano 8 anni…) con tale esercitazione, ma se non altro i bambini sorridevano ed erano coinvolti e divertiti. E comunque la colpa, o meglio la causa di tutto questo non è legata a loro, ma a coloro che li hanno formati, a coloro che hanno loro inculcato questa concezione militaresca dello sport, quale sunto di disciplina estrema e fatica, aliena a qualsiasi forma di divertimento. E questi a loro volta istruiti, formati, da un sistema, da una società, chiusa, rigida e legata ad un’utopia anacronistica, che non permette l’accesso a nessuna delle nuove teorie dell’allenamento e della formazione. E così…tocca a noi! 

martedì 2 dicembre 2014

Primerio dia en L'Habana

Primero dia

Sveglia, corsa sul Malecon e poi via, di corsa, allo stadio Pedro Marrero, per la lezione mattutina e l’allenamento pomeridiano. Tutto d’un fiato, tutto senza sosta, ma tutto positivo, molto positivo. Ora però riprendiamo fiato e qui, sul mio letto, nella casa particular che ci ospita, ripercorriamo a ritroso la giornata, giusto per fissare nella mia mente gli accadimenti, per cercare di rianalizzare ciò che oggi ho solo “fatto”, ma che ora vorrei rendere “vissuto”. 
Dunque, si diceva: sveglia ore 7 e in un quarto d’ora col prof mi ritrovo sul Malecon, questo grande viale che corre lungo la baia della capitale, a doppia corsia per senso di marcia, con un largo marciapiede battezzato anni fa nostra “pista per la corsa”. Le onde alte che si infrangono sugli scogli mi bagnano coi loro schizzi, mascherando così il sudore che copioso adorna il mio volto e il mio busto, un po’ per l’umidità della giornata, un po’ perché il prof va a mille e stargli dietro è super allenante!!! ‘Azz, che treno: la corsa rigenerante di oggi, strutturata per riattivare il nostro corpo dopo le 11 e più ore di viaggio di ieri con lui a dettare il passo diventa una seduta aerobica ad alta intensità, ma son contento così. Mi piace veramente da matti correre con il mio prof preferito! Sudati, anzi bagnati dalle onde alte dell’oceano, rientriamo a casa, doccia e caffè del nostro nuovo padrone di casa, Eujenio, un ragazzo di 32 anni che sembra mio nonno, simpatico e gentilissimo, che insieme alla moglie Olga gestisce questa casa particular sita in Calle Industria, a due passi dal Campitolio. Docciati e rifocillati, si parte: io e Silvio da soli, condizione costante di tutto il resto della missione capirò più tardi (nota aggiunta in seguito, rileggendo n.d.a) ci muoviamo verso l’estadio Pedro Marrero, dove ad addenderci ci sono 14 allenatori che saranno la nostra classe per i prossimi tre giorni. Alcuni, molti, li ho già visti, li ho già incontrati, per cui mi sento subito a mio agio, sono subito “a casa” anche in questo lato di mondo e in breve iniziamo a introdurre il nostro corso, che, dopo le prime domande da me poste ai mister, per capire i livelli di conoscenze degli stessi, capiamo subito dovrà essere stravolto! La nostra idea di proporre un approfondimento legato all’insegnamento dei principi della tecnica applicata, attraverso i quali continuare il lavoro di stimolo dello sviluppo positivo di tutte le aree che concorrono alla definizione della personalità di un bambino, si rivela presto inadatto, prematuro, per questo gruppo: bisogna fare non uno, ma tre passi indietro, per proporre loro qualcosa di utile, di fruibile, di adatto. Uno sguardo col prof, due parole in italiano per non farci capire e…via, si cambia! Partiamo da loro, sentiamo le loro esigenze, sentiamo i loro problemi reali sul campo e attraverso le risposte che saremo chiamati a fornire cerchiamo di affrontare le quattro aree! Questa la nostra decisione e…alla grande! La lezione scorre veloce, intensa e con grande partecipazione da parte di tutti, ma il bello deve ancora venire ed è, come sempre, il campo: 30 bambini, di età differenti, dagli 8 agli 11 anni, sono il “materiale umano” che ci mettono a disposizione i mister locali; 10 palloni, una trentina di coni, il “materiale a nostra disposizione e con questi bambini riusciamo a dar vita ad una splendida seduta di allenamento sulla guida della palla, coinvolgendoli tutti in un gruppo solo, tenendo alta l’attenzione di tutti e ricercando, in ogni fase, il miglioramento del gesto tecnico della guida e di tutte le aree. Insomma,uno spettacolo e questa cosa mi fa capire quanto sia importante per me allenatore avere un Silvio come assistente in campo: fundamental!!!