lunedì 30 aprile 2018

Voronezh

PRIMO GIORNO RUSSO
E così giusto il tempo di scendere dal treno, prendere possesso della camera e siamo già fuori per una corsa rigenerante, in vista dell’attività che prenderà subito il via a mezzogiorno. Juri mi guida in quella che sta diventando la “sua” città tra i marciapiedi colmi di gente e i palazzoni tipici dei paesi dell’est, giù, fino al lungo fiume (comodi, comodi tre chilometri a bordo strada, tra Lada degli anni 80 e altri tubi di scappamento puzzolenti), bello, enorme, ma ahimè anch’esso accompagnato dal traffico cittadino costante e dai suoi fumi. Peccato non avere uno spazio ove correre tranquilli, lontani da auto, camion e altri trabiccoli inquinanti, ma…piutos che nigot, l’è mei, piutost, quindi via, sotto con la nostra corsetta, in lungo e in largo per Voronezh, passando sul ponte che unisce i due lati della città attraversata dal Don, sfiorando diversi solenni monumenti che adornano qua e la le strade, girando intorno a Admiralteyskaya Ploshacad (quest’ultima, impronunciabile parola, suggerisce Juri, significa piazza), col suo veliero ancorato del ‘700, Goto Predestinazia il suo nome, suggerisce sempre il mio compagno di viaggio (credo sia una riproduzione), la sua chiesa “meringata” (le cupole delle chiese ortodosse non ditemi che non vi ricordano delle meringhe, dai) e i suoi enormi spazi, tipici di questo Mondo. Un bel tour panoramico concluso con una mega salita che ci porta a passare davanti all’università e quindi, finalmente, all’hotel, dopo aver coperto dodici chilometri. Bello. È sempre bello correre nelle città: è dal primo viaggio, nell’ormai lontano 2005, che mi son posto l’obiettivo di correre ovunque, in ogni città dove inter campus mi manda, cercando, dove possibile, di girare e fare “il turista di corsa” (voglio vederti a fare il turista ad Angal…).
Doccia rapida e si riparte, direzione scuola, per incontrare Alexei, allenatore locale, e vedere prima lui all’opera coi bimbi e quindi tuffarci noi in campo per far giocare un gruppetto di bambini, come sempre ansiosi di vederci, soprattutto di rivedere Juri. Vediamo un po’ che succede.


sabato 28 aprile 2018

Toccata e fuga in Italia

NELLA GRANDE RUSSIA
Giusto il tempo di svuotare lo zaino, lavare il materiale da campo, rivedere Annina e Si ed ecco che il mio fedele compagno di viaggio si ritrova nuovamente pieno, colmo di vestiti, chiuso e trasportato a Malpensa per una nuova missione. Russia, la meta questa volta è la Russia, nuovo Paese per me, penultimo del progetto inter campus che ancora mi manca; con la Cambogia del prossimo mese completerò il quadro dei Paesi e chiuderò il cerchio. È tempo di aprirne di nuovi, giusto per non ripetermi…
Russia, si diceva, progetto da sistemare, da rimettere bene in piedi, progetto che da sempre ci porta difficoltà, che stenta a partire, ma che proprio per questo mi interessa, mi intriga, accende il mio interesse. Insomma, le cose semplici le sanno fare tutti: meglio mettersi in gioco con qualcosa di diverso, con qualcosa di stimolante, qualcosa che richieda il 150% e non più solo il 110% del mio impegno, come gli altri. E allora via, si parte: tre ore scarse di aereo ed eccomi a Mosca, dove però transitiamo solo, perché la sera stessa abbiamo il treno che ci porta alla meta finale, Voronez. Si torna a viaggiare in treno! Che bello. Davvero, mi piace un sacco viaggiare in treno. Sia chiaro, questo tipo di viaggio in treno mi piace un sacco, non l’esperienza da carro bestiame che vivo tutti i giorni quando solo in Italia per muovermi da Arcore a Milano su quei maledetti trabiccoli di trenord, sempre colmi oltre ogni limite umano, perennemente in ritardo, se non addirittura soppressi o in sciopero. No, non è quella l’esperienza su rotaie che mi garba, ma questa “da viaggio”, questa “esotica”, come quando siamo andati a Garoua da Yaounde con Silvia, su quel treno camerunese, lungo quella ferrovia buissima che attraversava e attraversa tutt’oggi, da sud a nord il paese dei leoni d’africa. Questa volta fuori dal finestrino non scorgo la foresta pluviale fittissima che qua e la lascia spazio a villaggi in paglia e fango, con venditrici di ogni genere di prodotto sparse lungo i suoi binari; no, questa volta fa freddo, il vento è tagliente e fuori scorre la taiga, scorrono betulle e conifere interrotte qua e la’ da città vere e proprie, o, nelle zone più remote del viaggio, da qualche sporadica dacia, fin quando non  arriviamo lungo il fiume Don, fin quando non arriviamo Voronez. Essendo un treno notturno, abbiamo preso lo scompartimento con le cuccette, quindi si è anche dormito alla grande, per cui ora sono abbastanza fresco e riposato, nonostante sia in viaggio da 24 ore esatte, quindi…si esce, col boiola si va a correre lungo il fiume, prima di iniziare l’attività già questa mattina. Via allora, copriamoci bene (madonnina, 4 gradi!!!) e andiamo!


mercoledì 18 aprile 2018

LA TRUFFA DEL THE

LA TRUFFA DEL THE
La racconto, va bene, la racconto, ma non perché ci sia capitata, figurarsi. La racconto perché…un mio amico, anzi un amico di Gabri, poverino, ci è cascato ed è stato truffato, proprio qui a Shanghai, quindi per evitare che altri ci caschino, poveri sprovveduti, ritengo utile scriverne. Dunque, per quel che mi ha raccontato nel suo pomeriggio libero era in giro per Shanghai con altri due nella zona turistica lungo il fiume, di fronte alla grande antenna, in fin dei conti simbolo della città, e a tutto lo sky line cinese, quando tre giovani studenti li hanno approcciati con la più classica delle scuse: una foto. Da li le domande di routine di chi ti vuol attirare nella sua trappola: da dove vieni? ah, Italia, bellissima, sono stato qui, sono stato li, vorrei andare li, vorrei andare la. Insomma, una serie di cazzate per farsi benvolere dall’amico di Gabri, ovviamente, e iniziare così a passeggiare insieme, con l’ulteriore scusa del voler praticare l’inglese. Dopo un po’ il clima è disteso, si ride e si scherza insieme a questi cinesi così apparentemente gentili, mi racconta l’amico di Gabri, fin quando, passeggiando per l’antico quartiere della città i tre “indigeni” propongono di entrare nella più antica theroom ancora esistente nella zona, per partecipare al rituale antico del the. Be’, cacchio, sei in Cina, sei in questo contesto a suo dire emozionante…si, va bene e cosi decidono di entrare nella sala da the più antica ( in realtà, a suo dire, un buco puzzolente, per nulla antico). Menù alla mano, ordinano un assaggio di sei tipi differenti di queste foglie tanto diffuse nel mondo, senza però ben leggere quel che c’è scritto su quel confuso pezzo di carta e tale disattenzione peserà molto sulle loro economie. Tipo di the dopo tipo di the, la ragazza fornisce affascinanti spiegazioni sull’origine e sui benefici della bevanda, invitando i poveri ancora inconsapevoli ad annusare, assaporare e lasciarsi prendere da quella artefatta atmosfera. Tutto bello, divertente, scattano i selfie, le foto di gruppo, i regali (il gruppo di truffatori “regala” del the alle prede, con cerimonie di contorno degne del miglior meridionale italiano), fin quando non arriva il conto. Li’ per li’ non ci fanno caso, i truffatori fanno mille conti, il cambio non è chiaro e in più i tre figli di putto…sfoderano le loro carte di credito perchè, visto l’inaspettato prezzo così elevato, dicono di voler pagare per gli italiani questa o quella parte in più, corrispondente ad una cifra assurda per del the, per lo spettacolo e i regali vari (si parla di 200-250 euro, “pagati” dai truffatori), lasciando agli inconsapevoli e ingenui solo le “briciole”, ossia 120 euro. Per del cazzo di the! I ragazzi escono un po’ confusi e non propriamente soddisfatti, ma il trio di farabutti continua a rintontirli con domande, storielle, risate varie, accompagnandoli alla metropolitano, dove, per farsi perdonare per la spese elevata del pomeriggio, si offrono di pagare i biglietti. Saluti, baci, i nostri amici si allontanano, salgono sul treno, fanno una fermata e…tornano indietro. “È una truffa, ci hanno inculato”. Parlando tra loro hanno messo insieme i pezzi del puzzle, hanno ricostruito la situazione senza disturbatori esterni e hanno osservato con lucidità la situazione, i comportamenti dei tre, le loro parole, giungendo ad una sola, comune, conclusione: torniamo alla sala e facciamoci ridare i soldi! Chi incacchiato, chi deluso dalla triste condizione umana che spinge gli uni contro gli altri in nome del guadagno personale, chi quasi divertito dallo scherzo, il gruppo di amici di Gabri fa ritorno al locale, ma come avevano previsto la trovano chiusa. Al piano di sopra però una signora si sporge di nascosto per provare a vedere cosa stanno facendo e i tre la braccano: a gesti, un po’ in inglese, un po’ in italiano, spingono la sciura a scendere e da subito appare chiaro a tutti che sappia tutto ciò che è successo e che sia scesa per mediare, per evitare problemi e calmare il più velocemente possibile le acque. Infatti se in principio si presenta come “la signora del piano di sopra che non sa nulla di ciò che succede sotto” alla richiesta esplicita “i want my money back” magicamente fa’ comparire un telefono con la proprietaria, quella che illustrava il rituale, all’altro capo. Scattano le contrattazioni “mi ridai tutto…no, c’è stato un fraintendimento, siamo amici, vi ridò una parte…ti attacchi, ci ridai tutta, o chiamiamo la polizia…no, vi ridò l’eccedenza, tutto ciò che non avreste dovuto pagare, il resto è tutto scritto sul menù”, insomma, con questa al telefono che parla malissimo l’inglese, l’amico di Gabri dopo un estenuante dialogo ottiene di riavere indietro la metà di quanto pagato, essendo l’altra metà una cifra spropositata, però segnata sul menù, per i the bevuti, ossia 20 euro a testa per sei the diversi. Non male per delle foglie e dell’acqua calda. La signora del piano di sopra, quindi, esce a prelevare i soldi e li rende ai tre italiani, i quali ormai diffidenti per tutto, controllano controluce l’effettiva validità del pezzo di carta (non so che cacchio abbiano guardato, perchè io nemmeno gli euro falsi saprei riconoscere)e firmano una specie di ricevuta all’anziana firmandosi Alvaro, Oronzo e Giovanni (truffatori per truffatori).
Poverini, che polli, come si son fatti fregare. E meno male che sono tornati, perchè così per lo meno son riusciti a riprendersi i soldi estorti con l’inganno, pagando “solo” quanto scritto sul menù, però…però, come immaginarlo, come si fa ad essere sempre diffidenti, a non dar retta a nessuno, a non credere a nessuno, a rifuggire ogni contatto dal prossimo? Che schifosi esseri popolano questo mondo, a tutte le latitudini. e sono quasi sette miliardi…


martedì 17 aprile 2018

In campo


IN CAMPO Ad un certo punto, nel pieno dell’esercitazione e proprio quando avevo ormai catturato l’attenzione di tutti i bambini e, nonostante il gigantesco ostacolo della lingua, stavo ormai “facilmente” guidandoli nelle varianti pensate, una leggera pioggia è iniziata a cadere, scatenando il panico tra i professori. I miei “giocatori” non sembra nemmeno che se ne siano accorti, ma tutto intorno gli sguardi e il vociare confuso, seppur incomprensibile, mi fa immediatamente capire cosa sta per succedere. E infatti ecco Jhon muoversi verso di me e nel suo inglese cinesizzato farmi capire che devo finire. Faccio finta di nulla. “Ok, ok, I’m going to stop them”, gli dico, ma continuo a chiamare i gruppi in quadrato, correggendoli e motivandoli, viste anche le loro risposte positive. La fortuna volge velocemente dalla mia e dopo uno scroscio piuttosto violento, il cielo grigio decide di lasciarci stare, permettendoci così di portare a compimento l’allenamento, perchè se avesse continuato, pur leggermente, avremmo sicuramente dovuto chiudere il tutto. Con rabbia e rammarico, aggiungo io. Perchè, cacchio, non si può sospendere la seduta per due gocce! Ma qui è così: la scuola non ha spogliatoio, i bambini non possono farsi la doccia e per alcuni di loro l’orario della giornata non si conclude con la lezione di calcio, ma prosegue con altre ore di lezione, per cui se si dovessero bagnare sarebbe un problema. Non so bene quale possa essere questo problema, visto che non fa per nulla freddo, ma annuisco alla spiegazione del preside e ringrazio il cielo per avermi concesso di finire più o meno tranquillamente l’allenamento. Perché qui ogni secondo in campo è fondamentale, ogni esercizio, ogni correzione, ogni spiegazione è necessaria, anche qualcosina in più di necessaria, per provare a far crescere questo progetto, a far ingranare il nostro intervento su questo campo del mondo, che missione dopo missione, mi ricorda per tanti versi sempre più quello cubano. Sotto allora con l’incontro coi mister subito dopo, per lasciar loro qualche nuova indicazione, qualche ulteriore consiglio, sperando che questa sia la volta buona.



lunedì 16 aprile 2018

A spasso tra le scuole

A SPASSO TRA LE SCUOLE
Sveglia presto, corsa sul lungo fiume e si inizia la giornata. Questo era il programma. Il problema è che non sento la sveglia e solo grazie ad un bisogno fisiologico che mi riporta nel mondo dei vivi poco prima dell’ora dell’appuntamento per la colazione riesco a non passare il resto delle ore di sole a dormire. Che coma! E per fortuna mi ridesto, perché poi l’intensissima giornata in giro per scuole si rivela positiva, oltre che bella intensa. Giro per le scuole perché l’obiettivo di questa prima parte di missione è provare a capire dove iniziare il nostro progetto anche in questa città, chiamati qui e accompagnati nel nostro check dai ragazzi di Amity foundation, organizzazione locale che si occupa di bambini. In questi giorni, quindi, visiteremo un paio di realtà dove loro già sono attivi e dove il nostro intervento sarebbe utile, oltreché gradito. Realtà ossia scuole, perché da queste parti l’intervento sociale passa per forza di cose da questa istituzione e altre possibilità di intervento sul territorio non ve n’è, per cui rieccoci a girare per cercare dove meglio iniziare le nostre attività. Saliamo così su di un pulmino e dopo poco meno di mezz’ora ci troviamo in un altro mondo rispetto a quello della città da dove arriviamo (Fuyang): campagna fuori dal finestrino, risaie, case basse, per lo più in muratura, ma mezze sgangherate, carrettini trainati da cavalli, strade polverose e chioschi in legno sparsi in ogni dove, con mercanzia di ogni genere. Sembra incredibile aver percorso così pochi chilometri e trovarsi in una realtà così diversa, anche se la vista della scuola dal finestrino ci riporta alla normalità: anch’essa, infatti, come tutte le altre fin qui visitate, oltre che le due di Shanghai dove siamo già attivi, rispetta i canoni di tutte le altre, dalla struttura degli edifici, fino al posizionamento dei campi da calcio, o comunque degli spazi di gioco. Tutte uguali. Shanghai, Nanjing, Fuyang, città diverse tra loro, accumunate…dalla struttura delle scuole! Scendendo dal bus siamo accolti, come è consuetudine, dal preside e da una delegazione di professori, che, dopo le immancabili foto di rito (qui per qualunque cosa si fanno cento foto) ci chiedono di assistere alla ricreazione. Incuriosito accetto, pensando a chissà cosa di particolare si potrà vedere nella mezz’ora di break prevista per i circa 1000 bambini che vanno dai 6 ai 13 anni dell’istituto, ovviamente statale. Per me la ricreazione alle elementari e alle medie era la partita di calcio, ma qui? Ma qui di ricreativo c’è ben poco!!! I bambini scendono dalle classi in file perfette, allineati alle spalle del capofila, armato di bandierina indicante la classe, tutti con lo stesso passo e in ordine perfetto. Dagli altoparlanti inizia una musica allegra che scopro poi incitare i ragazzi con dei continui “uno, due, tre” e i bimbi di tutte le classi, di tutte le età, sempre in fila perfetta, iniziano a correre in tondo, ogni classe nel suo spazio, senza mai rallentare o accelerare, ma rimanendo sempre ordinatissimi, fino a quando un fischietto non segnala la fine di questa prima parte di “ricreazione”. Rapidissimi, compaiono dei palloni e le varie classi, a seconda delle età, iniziano degli esercizi più o meno legati al gioco del calcio. Chi si passa la palla a coppie, chi la tocca con le suole alternando i due piedi, chi addirittura fa’ una partitella 5<5 (in un campo da 3<3 senza profondità), insieme a chi salta la corda e chi fa stretching. Passano più o meno altri dieci minuti e una sirena segnala la fine dello spasso: si torna in classe! Tutti in ordine, riecco i nostri bimbi, “visibilmente divertiti”, rientrare nelle aule…Basito, rimango semplicemente basito. Se questa è la ricreazione, la punizione in cosa consiste???


sabato 14 aprile 2018

Back to China

Back to China
Niente da fare, non mi ci abituerò mai: i viaggi infiniti, con scali interminabili e fusi orari assurdi sono una cosa alla quale non riuscirò mai ad abituarmi. Partire alle 22:40 del sabato da Milano e arrivare alla meta, la città di Fuyang dopo 30 ore (precisamente riesco a docciarmi in camera in  hotel alle 10:30 di lunedì), è una cosa che risulta difficile da comprendere per la mia testolina e da accettare per il mio corpo. Tant’è che dopo la doccia, decidendo di allenarmi, mi sento svuotato, mollo di gambe e assolutamente senza forze. Per fortuna la sera, dopo i vari meeting del giorno, trovo uno spazio molto bello e suggestivo per correre e ridare un po’ di energia, un po’ di vita, alle mie gambe, ai miei polmoni, al mio corpo in generale, con una bella e sciolta sgambata di dieci chilometri. Per essere in Cina, pur cosciente di essere in una piccola città di “soli” 7 milioni di abitanti, rimango sbalordito nell’imbattermi in una zona pedonale lungo l’argine del fiume Ying che attraversa la città, zona pedonale che dopo circa due chilometri rispetto a dove l’ho imboccata diventa strada sterrata che si inoltra dentro un bosco, accompagnando lo scorrere dell’acqua su di un lato. Mi sembra incredibile correre nel verde, senza macchine, senza caos, traffico, clacson e con l’illusione di respirare aria “pulita”. Bellissimo. Peccato che tornato in albergo mi attenda una cena a base delle stesse pietanze del pranzo, ossia piatti rigorosamente cinesi: verdure stufate, carne bollita, pesce fatto in chissà che modo e…cazzo, un serpente! Quella cosa che aveva in mano una delle commensali era proprio la testa di un serpente! Madonnina. Non ho mai difficoltà a mangiare in qualunque paese del mondo, in qualunque contesto, situazione in cui mi trovo, eccetto…in cina. Qui soffro il cibo, non tanto gli ingredienti, quanto il modo di cucinarli, e soffro gli odori. Oltre a patire un po’ il loro modo di stare a tavola, di succhiare rumorosamente i vari bordini che si ingurgitano, di scaracchiare rumorosamente tipo anziano in ospizio. Insomma, qui un po’ soffro. Ma ora crollo comunque