martedì 31 luglio 2018

Il campo di Mbalmayo

IN CAMPO A MBALMAYO
Il nostro campo di allenamento è un po’ peggiorato (ancora???) rispetto all’ultima volta che sono stato qui: qualche buca in più, erba cresciuta qua e la in maniera selvaggia e le porte in legno (proprio di legno: sono tre lunghi rami legati insieme) ormai marcite e cadenti. Ma chi se ne frega: lo spazio a nostra disposizione è questo, i palloni li abbiamo, qualche cinesino anche, quindi sotto con gli allenamenti. Anno dopo anno (è vero, inizio a parlare come un vecchio. Tra poco inizierò con i vari “ai miei tempi saltavamo i fossi per il lungo a gambe unite”) mi rendo sempre più conto che la cosa che più mi piace, mi emoziona e mi rende veramente felice è l’ora e mezza di allenamento, ovunque questo si riesca a realizzare. I miei “gusti” sono un po’ cambiati nel corso del tempo, nel senso che ora mi diverte di più guidare gruppi di grandi, ossia 12-14 enni, ai quali iniziare a proporre esercitazioni più collettive,  più…tattiche (o mamma, che parolone!), lavorando sempre sul gesto tecnico, ma in forma più complessa, rispetto a qualche anno fa, quando il mio focus erano i super nani, ai quali dedicare giochi più legati alla propedeutica al calcio, piuttosto che propriamente al gesto tecnico in senso stretto. Si cambia, si “cresce”, ma al centro del mio interesse rimane sempre la stessa cosa: il campo. E così eccomi oggi con il gruppo dei grandi, dei colossi di, dicono loro, tredici anni, con i quali inizio con una progressione legata all’occupazione degli spazi e allo smarcamento, obbligandoli a pensare, a leggere la situazione e a muoversi in maniera razionale e non più istintiva come normalmente fanno. Il tutto mantenendo alta l’intensità e, ovviamente, il divertimento. Quando poi propongo una esercitazione che parte dall’uno contro zero e termina con un 5<5 col jolly, sempre con i medesimi obiettivi principali, la seduta raggiunge il suo apice, sia per i ragazzi che per me, sfociando poi in una super partitella finale inizialmente vincolata e poi completamente libera. Bello, bell’allenamento. Mi piace uscire dal campo soddisfatto del lavoro, sentendo che i ragazzi hanno fatto un cammino durante l’ora e mezza che mi hanno dedicato, passando attraverso le mie proposte per arrivare ad un miglioramento finale, tutto col sorriso, con grande attenzione, con grande coinvolgimento, collaborando e…correndo come matti. Grandi ragazzi. Merci.


domenica 29 luglio 2018

Pregi e difetti

PREGI E DIFETTI
Tutte le volte che racconto a qualcuno ciò che faccio, del mio lavoro in giro per il mondo, la reazione è sempre (magari non sempre, ma comunque troppo spesso per i miei gusti) noiosamente la stessa: “bella vita che fai”, sottintendendo che il lavoro vero non è certo il mio “sui campi del mondo". E tutte le volte che il pirla che ho di fronte si esprime in questo modo la mia mente non può che volare nella stanza d’albergo da dove sto scrivendo, con i suoi scarafaggi giganti incontrati questa notte durante una mia tappa al bagno, con i suoi mille ragnetti (ne ho contati 6, uno diverso dall’altro), con la sua puzza di umido e le sue lenzuoline umidicce e poco accoglienti (vero Max? Vero Lore?). Oppure il mio pensiero non può che andare alla tavola apparecchiata dove, insieme ai nostri allenatori, facciamo ogni giorno colazione, pranzo e cena (Mbalmayo non è propriamente una città turistica, attrezzata con strutture per accogliere viziati visi pallidi) con le mille e più macchie che colorano la “tovaglia”, con i suoi invadenti moscerini che accompagnano ogni nostro boccone, con le sue affettuose mosche che ci stanno vicine per tutta la durata del pasto nonostante i nostri maldestri tentativi di allontanarle, con, con e ancora con vari optional non richiesti a rendere "diverso dal solito" ogni nostro pasto. O ancora non mi viene complicato pensare di fronte al fenomeno di turno (e son tutti così) ad Anna a casa, lontana migliaia di chilometri che mi chiede di tornare subito, di fare in fretta a rientrare (come ha fatto questa sera), perché se no si arrabbia, e con lei Si, forse più arrabbiata ancora della nana per la mia lontananza, nonostante l’allenamento decennale ai miei viaggi, alle mie partenze continue. Bello, bellissimo quello che faccio. Bello, bellissimo entrare in rapporto così stretto, così vero, con i nostri mister, con i nostri amici nel mondo, con la loro reale condizione, con la loro vera realtà. Bello, bellissimo rendermi conto ogni volta della potenza che ha il calcio, del fatto che questo sport rimane sempre e comunque uno strumento educativo, forse LO strumento educativo, unico e insostituibile per tutti i bambini del mondo e che non posso, non devo, non voglio ancora mollare questa mia "missione" nonostante tutto. Bello, bellissimo viaggiare e scoprire sempre cose nuove, crescere costantemente, missione dopo missione, viaggio dopo viaggio. Bello, bellissimo tutto, ve lo posso assicurare, ma basta sottovalutare, non accorgersi di ciò che si fa per arrivare a questo “bello, bellissimo”, non riuscire ad immaginare la complessità e le difficoltà che naturalmente esistono anche in questo lavoro, come in tutti i mestieri del mondo. Dai, su, pirla di turno, togliti dai piedi e lasciami godere anche questo viaggio fino in fondo, con i suoi pregi e i suoi difetti.


sabato 28 luglio 2018

Inter Campus 2.0

INTER CAMPUS 2.0 CAMERUN
La strada scelta per l’evoluzione, la crescita, di Inter campus in Camerun ci sta portando a diminuire un po’ i numeri degli allenatori, e quindi dei bambini coinvolti direttamente nel progetto, per riuscire ad avere maggior controllo, maggior cura delle nostre “squadre”, con lo scopo unico di alzare la qualità dei nostri mister e del loro intervento educativo sui bambini, fedeli come sempre a quello che ritengo essere un mio imprescindibile principio, ossia più qualità, anche a discapito della quantità. Un’evoluzione, un inter campus Camerun 2.0 questo che era da tempo che cercavo di realizzare e che ora, lentamente, sta prendendo forma, si sta definendo, tanto che siamo già riusciti a portare in questi giorni qui a Mbalmayo, in questa cittadina sulle colline (siamo a quasi settecento metri di altitudine) a circa quaranta chilometri da Yaoundè "solo" 20 allenatori pre-selezionati con un test, rappresentanti delle venti cellule che insieme con Francis abbiamo deciso diverranno le venti cellule “ufficiali” inter campus. Passare quindi da aule con minimo quaranta allenatori provenienti da tutta la petite afrique come mi succedeva gli anni passati, a questa situazione quasi famigliare non nascondo mi abbia lasciato un po’ stupito inizialmente, ma non appena ho iniziato a parlare e ho potuto osservare tutti i “miei” coach negli occhi, ho potuto avere da tutti riscontri su ciò che stavo illustrando, domande pertinenti e intelligenti, osservazioni altrettanto intelligenti, ho capito che la strada imboccata è quella giusta. Qui abbiamo bisogno di stare addosso agli allenatori, controllarli, indirizzarli, quasi guidarli, per essere sicuri che tutto stia andando nel verso giusto; come ben mi insegna Francis, se non sei sempre presente, se non dai continuamente indicazioni su ciò che deve essere fatto, se non lanci loro continui stimoli per smuoverli da quella apparentemente naturale condizione di apatia diffusa, le cose non andranno mai come vuoi tu. E se me lo dice un camerunese, c’è da credergli. Quindi ben venga la riduzione dei numeri, senza per questo escludere che anno dopo anno le cellule possano tornare ad essere le quasi duecento di prima. Ci vorrà del tempo, ma tanto non abbiamo fretta


venerdì 27 luglio 2018

PICCINI E INTER CAMPUS

PICCINI E INTER CAMPUS
La mattina inizia presto e commetto subito un errore di cui mi pentirò amaramente al termine della giornata: decido di dormire un po’ di più e di non svegliarmi per uscire a correre, fidandomi del programma della giornata, che prevede il nostro ritorno a Mbalmayo nel primo pomeriggio. Ma le giornate Inter Campus, dovrei saperlo, sono sempre una sorpresa, piene di incontri, di inviti, di persone che si rivedono dopo anni e che vogliono star con te, parlare, ricordare, offrirti un caffè e così, incontro dopo incontro, il rientro in quella stamberga classificata come hotel slitta fino alle 19 e addio alla mia corsa. Così imparo a farmi vincere dalla pigrizia. Escludendo la delusione della mia scimmia dell’allenamento per l’andamento del giorno, io posso dirmi piuttosto soddisfatto di questo inizio di missione: a Yaoundè ho conosciuto i responsabili della Piccini, nostro sponsor locale, impegnati nella costruzione del grande complesso sportivo che comprenderà anche lo stadio che ospiterà la gara inaugurale e la finale della CAN 2019 e discutendo con loro è emersa la loro volontà di aiutarci economicamente per organizzare una coppa d’africa tra le squadre inter campus, sfruttando i campi che stanno costruendo. Spettacolo! Dopo la coppa del mondo del 2009 erano anni che pensavamo ad un evento del genere, ma son sempre mancati quei maledetti soldi che tanto condizionano le nostre vite, ma ora sembra che questo aspetto essenziale sia stato risolto, quindi…sotto con l’organizzazione del torneo. E non sarà una passeggiata trovare i 12 bambini da portare, far loro i documenti, ottenere i visti, compare i biglietti aerei, organizzare gli alloggi, pensare ai momenti extra campo…di carne al fuoco ne dobbiamo mettere parecchia, ma l’occasione, l’esperienza è unica e certo non possiamo, non dobbiamo, farcela scappare! Portare i nostri bambini della favela di Luanda a Yaoundè per un torneo; portare i nostri bambini di Lubumbashi, gli orfani di Bumi o i dimenticati di Chwama, fuori dalla loro realtà e farli incontrare con altri bimbi, anch’essi in neroazzurro; portare una nostra squadra della St.Joseph Primary School di Nagallama in un contesto apparentemente simile, eppure tanto diverso come quello di Yaoundè…tutto questo sarà stupendo. E per me, vederli tutti in nero blu, sapendo che siamo noi gli unici a regalare queste magie, lo sarà ancora di più.


giovedì 26 luglio 2018

Ma petite afrique

MA PETITE AFRIQUE
Un viaggio meno complicato del solito mi riporta nella “mia” Africa, in quello che è stato il mio primo paese di questo splendido e martoriato continente: il Camerun. Incredibilmente anche l’ingresso nel Paese risulta meno complesso del solito, poiché dopo la solita, canonica, fila al controllo passaporti, con i soliti, canonici furbi che si infilano fischiettando, fingendo di essere con questa o con quella persona proprio davanti a te, il ritiro bagagli (degli altri, non miei, visto che io viaggio da sempre e solo col mio zaino) scorre liscio come l’olio, tanto da farmi dubitare di essere veramente nella terra dei leoni indomabili. Dove sono i portatori che ti strattonano per convincerti a lasciar loro la tua valigia? Dove sono i vari faccendieri dell’aeroporto che ti propongono il cambio della valuta “brevi mano”? Dove sono le masse di persone accalcate ansiosamente attorno al nastro porta bagagli, timorose tutte di perdere il passaggio della propria amata valigia, convinte che, una volta passata sotto i loro ignari occhi, sia essa destinata a smaterializzarsi o a cadere in chissà quale buca infuocata? Niente di tutto questo mi si palesa d’innanzi, ma una strana calma, un insolito ordine, ci permette di uscire dall’aeroporto trascorsi nemmeno quaranta minuti dall’atterraggio! Record. Anche Francis rimane un po’ sorpreso di vederci così presto, memore dell’esperienza delle ultime due nostre visite, quando ha dovuto aspettare per ore la nostra “liberazione”, ma ben contento dell’insolito evento, parte subito a spron battuto e ci propone di muoverci subito verso Mbalmayo, per arrivare subito a destinazione ed evitare domani mattina il traffico della città per andare in hotel. Mi spiace rompere le tradizioni, non dormire a maison Italia come d’abitudine, non mangiare il suo super poule dg e non correre domani mattina al risveglio nel suo quartiere, tra salite polverose e discese stile montagne russe, ma effettivamente andare subito “a casa” è un bel vantaggio, quindi…via, si riparte, questa volta in macchina, destinazione Mbalmayo.
Dall’aeroporto la strada è ancora più breve di quanto ricordassi, tanto che in poco più di mezz’ora siamo già arrivati allo “splendido” hotel departement…splendido…una volta, magari. Ma nemmeno tanto. Il solito hotel camerunese, con mille stanze e nemmeno una che funzioni al cento per cento; con mille animaletti, insetti, rane e scarafaggi vari a tenerti compagni per la notte e vaghi segni di pulizia qua e la; con i suoi mille e più inservienti, tra camerieri e lavoratori vari, stravaccati qua e la, per nulla interessati ad aiutarti o a renderti il soggiorno presso la loro struttura un po’ più accettabile; con le sue vasche da bagno enormi e i suoi buchi sul soffitto; con la sua polvere e il suo arredamento “minimal”. Insomma…bienvenue en camerun.