giovedì 26 marzo 2015

Immagini


L'unico modo per tenerli fermi nel casino di Tel Aviv...osservare la mescolanza!


La mitica Lyell!


Aaron e papà Yasha! Spettacolo!


Coi nastri in West Bank...a volte andiamo a cercarcele!


Apertura a Gerusalemme est.

mercoledì 25 marzo 2015

L'angolo dell'allenatore

L’ANGOLO DELL’ALLENATORE

Forse qui non è il caso…ma in fin dei conti, perché no. Nessuno nasce "imparato" e in fin dei conti il livello degli allenatori che ci siamo trovati di fronte non è ne' più basso, ne' più preoccupante di tanti altri incontrati in giro per il mondo, quindi questa non sarà altro che l'ennesima, affascinante sfida da raccogliere, sperando di riuscire, cosa rara qui almeno fino ad oggi, a dare continuità nelle presenze, non tanto nostre, quanto piuttosto loro. Forse perché le aspettative erano alte, in fin dei conti siamo in Israele, ho riscontrato più problemi di quanto magari non se ne palesassero. Ma va bene così. 
Su questi campi del mondo ancora non si può parlare di allenatori, ma di volontari, che dedicano generosamente parte del loro tempo libero ai bambini delle diverse cellule, mettendoli in campo e facendoli giocare (come in tanti campi di casa nostra, a ben vedere, dove il fruttivendolo del quartiere si improvvisa allenatore). Tutto qui. Area emotiva, cognitiva, motoria e sviluppo della personalità per mezzo dell’allenamento sono concetti non solo oscuri, ma totalmente ignorati. L’unico che per lo meno gestisce un allenamento con autorevolezza, organizzando i suoi bambini e dando dei contenuti, seppur esclusivamente tecnici, alle sue sedute è il mister di Dar Istia, del quale non riesco a scrivere il nome (Yasha, se leggi questo post mi suggerisci la scrittura del nome?), il signore più anziano del nostro staff. Lui allena, quando è in campo lascia qualcosa ai suoi giocatori. Urla, usa il fischietto, non si muove molto, parte sempre con una esercitazione analitica dedicata a un gesto tecnico per poi proporre altre due esercitazioni dedicate ad altri gesti, ma se non altro…usa i cinesini, organizza in file i ragazzi per le varie esercitazioni, corregge, a volte dimostra anche. Insomma, fa l’allenatore. Il resto della truppa…latita. Non ho visto Emanuele all’opera questo giro, che magari è migliorato (sinceramente ci credo!), ma Omer e il capo ultrà di Tel Aviv…prossima volta. Poi c'è Yasha...per me è già un grande così! Si è messo in gioco, si è buttato in campo così, all'improvviso, per fornire un ulteriore sostegno a questo progetto che sta prendendo forma da queste parti solo grazie a lui e alla sua perseveranza, ha iniziato a "studiare" il materiale che gli mandavo per dedicarsi ai bambini con delle competenze, prova a mettere in piedi degli allenamenti, a gestire dei bambini poco abituati al rispetto delle regole e delle norme di comportamento, insomma, ha intrapreso un'avventura complicatissima, per semplice amore. Amore per il progetto e per quello che cerchiamo di fare. Grande Yasha. E grande la sua famiglia, Jas, la moglie, parte operativa insieme a lui, più "moccio gigante e costante" Aaron, il figlio piccolo che ha fatto anche mezzo allenamento con me e la mitica Lyell, la figliola con la quale ho giocato tutta settimana. Spettacolo! C'è un sacco di lavoro da fare, ma...avanti così!

domenica 15 marzo 2015

Foto dalla mezza



Non ci interessa il tempo...



Una delle prime salite...una delle tante!


Dentro le mura della città vecchia!!!

Non di sola corsa...

NON DI SOLA CORSA VIVE L’UOMO…ANCHE DI ALLENAMENTI!
C’è sempre un po’ troppo casino sui campi di questa parte di mondo, con bambini israeliani e arabi che si riescono difficilmente a contenere, a organizzare, a mettere insieme per dar forma ad un vero allenamento. Gli uni per un motivo, gli altri per un altro, ma il risultato è sempre lo stesso: alla fine della seduta sono più stanco io di loro! Così è stato a Dar Istia, con 24 bambini palestinesi…in aumento incontrollato durante la seduta, ma così anche a Gerusalemme, sul campo di confine nella parte Est della città, quartiere Beet Safa’fa, dove 20 di una parte e 20 dell’altra…l’han fat su un rebelot!!! Con tutta la gente intorno che certo non ci aiutava, con le loro belle macchine fotografiche, le loro telecamere, il loro scarso interesse nei confronti dell’allenamento in se', ultra concentrati nel voler riprendere, immortalare quel momento, passando in mezzo al campo, fermando i bambini, calciando i palloni alle spalle del nostro spazio! Insomma, un gran macello. Di quelli che piacciono a me...E per riuscire a mantenere alta l’attenzione dei bambini in un simile contesto caotico abbiamo dovuto fare i salti mortali, abbiamo dovuto dar fondo a tutte le nostre energie, mentali e fisiche, ma alla fine…ce l’abbiamo fatta! Con anche i 21km della mattina sul groppone! Grandissimi. Noi sicuramente, però certo questa cosa deve cambiare, da tutte le parti in Israele/Palestina, in ognuno dei 4 campi coinvolti nel progetto (Dar Istia, Jaljulia, sud Tel Aviv e ora Gerusalemme): ci vorrà tempo, ci vorrà continuità nelle presenze dei bambini alle sedute, così come continuità degli allenatori, ma certo questo caos diffuso va ridotto fino a farlo sparire! Se no non serviamo a nulla. Con tutte le spiegazioni, le motivazioni del caso validissime, verissime, ma dalla prossima visita spero di riuscire a toccare con mano dei miglioramenti. Basta bimbi israeliani viziati che non rispondono ai tuoi richiami, o arabi che si inseguono per il campo per menarsi, fino a quando non intervieni; basta con i bambini sud sudanesi o filippini o cileni che siano che entrano in campo e iniziano a sparare per aria palloni, per poi inseguirli, prenderli al volo e picchiarsi per contendersi il turno successivo; basta con bimbi di Gerusalemme che prima piangono perché non li metti in porta, poi piangono perché giocano in una squadra che non è quella che vorrebbero e poi piangono ancora perché perdono. Basta. Anche il torneo questa volta è stato il regno del caos, cacchio: c’erano tutti, l’ambasciatore italiano in Israele, Noa, la televisione, giornalisti locali…non mancava nessuno sul campo di Jaljulia per il nostro torneo, che unisce sullo stesso campo bambini israeliani, bambini arabo-israeliani, bambini palestinesi e bambini figli di immigrati dei quartieri poveri di Tel-Aviv. Non mancava nessuno, se non…un po’ di collaborazione, per controllare i bambini e mettere un po’ di ordine in campo, o meglio fuori, dove stavano le squadre in attesa!!! Per la prima volta da quando diamo forma a questa giornata, anche su questo campo c’è stato un gran casino. Certo, non che le altre volte sembrasse Wembley, ma questa volta abbiamo proprio toppato. Tutto è filato via liscio, i bambini si sono divertiti, chi doveva far foto ha avuto a disposizione materiale penso unico, così come chi voleva filmare, però noi, gli allenatori, non siamo molto soddisfatti. Vero che gestire in due 100 bambini su tre campi era dura, ma non mi piacciono le scuse e la realtà è che c’era troppa confusione.
E perché tutto questo? Perché nel progetto in Israele-Palestina è sempre tutto così complicato? Semplice, perché…siamo sempre all’inizio da queste parti. Inizi, proponi un mini corso, lasci agli allenatori importanti indicazioni per le loro sedute e dopo una settimana questi smettono di allenare perché accusati di essere collaborazionisti, o perché vorrebbero essere pagati, o perché non vogliono più far parte di un progetto con “l’altra parte” coinvolta. E allora si cambia, si torna, si riparte, fino al prossimo cambiamento. Se a questa situazione di continua precarietà si aggiunge il fatto che gli allenatori scelti non solo non sono allenatori, ma non hanno essi stessi idea di cosa voglia dire organizzare, educare attraverso uno sport, dare delle regole di comportamento, mettere dei paletti, farsi valere, rispettare, le somme sono presto tirate. E allora li vedi calciare il pallone in aria a caso, farsi rincorrere senza senso, li osservi mentre guardano un conflitto in atto sotto i propri occhi sperando in un loro intervento che non arriverà mai…insomma, c’è da lavorare. Le realtà da unire in campo ci sono, il progetto di integrazione attraverso il calcio può realizzarsi, ma ora bisogna capire che non siamo solo “partitelle dell’amicizia” cui dar forma una volta ogni tanto, incontri sporadici su di un campo (certo, da queste parti è già tanto, ma cazzo si può far meglio!!!), ma andiamo ben oltre. Yasha, il nostro amico-referente locale, lo sa, lo ha capito e si è buttato in campo apposta per cercare di portare avanti le nostre idee in nostra assenza, ma ora deve circondarsi di gente che sia in grado di seguirlo, di seguirci. E allora, cacchio, ci sarebbe bisogno di fermarsi qui un mese per dare il via per bene a tutto!!! Ma come si fa? Ci sono altri 28 Paesi, ci sono altri 28 campi nel mondo Inter Campus…

venerdì 13 marzo 2015

JEM 2015

JEM 2015


Quante emozioni in questa infinita giornata!!! Difficile riportare tutto su “carta”, ora: tutto si sovrappone, si accavalla nella mia mente e non riesce a trovare il pertugio per confluire verso la mia mano e scivolare attraverso essa su questa tastiera, per fissarsi su questo schermo. Ma ci proverò…Tutto inizia alle 5:45, ora fissata per la sveglia: alle 6:45 si parte per la mezza maratona di Gerusalemme e, pur non facendo colazione e quindi guadagnando del tempo, dobbiamo raggiungere il punto di partenza, vicino al museo della shoà, a circa tre km da noi; in taxi non è possibile perché dalle 5:30 tutte le strade verranno bloccate, in vista appunto della gara, quindi…faremo riscaldamento! Nonostante le poche ore di sonno, l’emozione per la corsa che ci aspetta, attraverso questa magica città, fa si che in meno di un quarto d’ora siamo pronti, svegli e carichi, diretti alla nostra meta, dove ci attende una folla verde, blu e nera (i colori delle maglie dei partecipanti, per le diverse categorie): chi fa stretching, chi fa allunghi, chi corre avanti e indietro sulla strada della partenza. Siamo tutti sulla stessa barca: 20000 persone da tutto il mondo, riunite oggi nella città santa per eccellenza, con lo stesso fine, ossia correre. E godersi una visione diversa di questo posto mistico. O almeno questo è il nostro scopo: siamo entrambi venuti più volte a Gerusalemme ed entrambi, lui di più, la conosciamo abbastanza bene e riusciamo a muoverci tra le sue vie, soprattutto nella parte vecchia, ma il punto di vista che ti da la corsa nessuno di noi l’ha ancora sperimentato. E soprattutto nessuno dei due si era mai accorto così “violentemente” delle salite spezza gambe che caratterizzano questo posto!!! A piedi, camminando, non mi sono mai apparse in tutta la loro “cattiveria” come oggi, durante la gara. Subito, dopo un km capiamo che i 21 km di oggi non saranno di facile percorrenza e passando fuori dalle mura della città antica, dentro queste pietre centenarie bianchissime, allontanandoci a tal punto pur tenendola ben sotto controllo, grazie a quella cupola d’oro che tutti riconoscerebbero e che scorgiamo sempre, quell’intuizione diventa dura realtà! È tutto un continuo sali-scendi, sull’asfalto, sui sassi della città antica, lungo le antiche rotaie della vecchia ferrovia, fino alla sadica scoperta finale: al 19 esimo chilometro inizia una salita che parte dalla casa del presidente e…non finisce mai, ripida e durissima da percorrere! Che fatica!!! Nonostante le gambe di cemento e i polpacci di Passarella, devo però ammettere che oggi mi sentivo bene, le gambe andavano abbastanza e grazie sicuramente al contesto, all’emozione di correre in questo lato del mondo, i chilometri sono passati sotto i miei piedi piuttosto velocemente e l’ora, i trentotto minuti e i cinquantadue secondi sono trascorsi velocemente e con mia grande gioia. Tutti col prof al mio fianco, con dei tratti con me a fare da lepre e altri con lui davanti, ma sempre insieme, fino alla fine, all’arrivo, anch’esso in salita, ma…che goduria!!!

E poi? Arrivati alla fine? Be’, c’è da lavorare: siamo qui per questo! Via allora in hotel, doccia, recuperiamo gli altri e alle 14 siamo in campo, per aprire la nuova cellula a Gerusalemme est. Ma questa è un’altra emozione: la riporto più tardi!

giovedì 12 marzo 2015

Jaljulia

GIORNO II: Jaljulia

Allenarsi con il sole caldo delle 8, il venticello fresco del mare e la pedonale che corre sotto i nostri piedi lungo il mar mediterraneo è un vero spettacolo!!! Tutte le volte mi riinnamoro di questa città e tutte le volte mi accorgo che correre con queste condizioni favorevoli è uno stimolo unico che mi permette di trovare energie nascoste da impiegare nella corsa per migliorarmi ogni volta. Be’, certo, il prof è un super stimolo allenante, quindi alla fine di ogni allenamento svolto a Tel Aviv, il risultato è sempre più che soddisfacente. Oggi un bel 4km di riscaldamento, più altri 12 km correndo a ritmo alternato per iniziare alla grande la nostra giornata, prima cioè di trasferirci a Jaljulia, cittadina arabo-israeliana, per incontrare l’amico Ehab, amico e sostenitore di Inter Campus, e dar vita poi all’allenamento sul campo della città con i “nostri” bambini, che da queste parti sono 40. Oggi però ci dedichiamo solo ai più piccoli, 6/8 anni, 16 in tutto, che dopo un inizio tentennante entrano presto in sintonia con noi e arrivano a svolgere esercitazioni molto complicate, con altissimo carico cognitivo, fornendoci grandi risposte e svolgendo il tutto con buone intensità. Ma la cosa più incredibile è che tutto si è svolto senza che avessimo in comune una sola parola del nostro vocabolario: loro che si esprimevano in arabo, noi in italiano con qualche parola araba e molte in dialetto, eppure…we all speak the same language! Come dice il motto di Ghetton, il nostro partner locale di cui noi siamo i fieri testimonial. Il linguaggio universale della palla, che ogni volta mi stupisce. Quando poi esco dal campo e sento i bambini che parlano usando un po’ delle mie parole, l’emozione è ancora più grande. Ci muoviamo quindi dalla cittadina al calar del sole, dopo aver salutato tutti gli amici del posto e non prima di aver loro ricordato l’appuntamento per giovedì, giorno del torneo che riunirà tutte le cellule inter campus israele/palestina, per poter arrivare in tempo per un bel lavoro di forza in camera con l’elastico e soprattutto per prepararci in vista della serata, in vista della cena con Noa. Voi direte, e chi cacchio è Noa??? Già, fino a un anno fa me lo chiedevo anch’io, visto e considerato che le mie orecchie sono avvezze a ben altre sonorità, ma poi ho conosciuto questa cantante israeliana e lentamente ho imparato ad apprezzare anche questo tipo di musica (http://www.noasmusic.com)
, ma soprattutto questo tipo di persone. Lei infatti prova a fare ciò che facciamo noi con il calcio utilizzando la musica, unendo sotto un unico spartito bambini dell’una e dell’altra parte e diffondendo parole di tolleranza e integrazione attraverso la sua arte con alterni successi, però…ci prova. E la cena con lei, suo marito e il suo chitarrista è stata una bella occasione per capire e conoscere quest’altro strumento dalle enormi potenzialità, ma soprattutto per parlare, per confrontarmi con gente con alle spalle grandi esperienze e con sul collo belle teste da cui sgorgano belle idee. Gran bella serata. Ma ora si dorme: domani sarà un’ altra lunga e intensa giornata su questi campi del mondo!

mercoledì 11 marzo 2015

Finalmente Israele

ISRAELE 2015

Alle ore 5 (compleanno dell’Inter, 107 anni), ritorno finalmente a viaggiare, dopo un mese di stop forzato: bello stare a casa, passare del gran tempo con Si, organizzare in modo un po’ diverso le settimane, senza pensare allo zaino da fare o all’aereo da prendere, però…però mi mancava il viaggio! Uscire dall’Italia, non permettere alla routine di prender forma, trovarmi in campi assurdi con bambini sempre nuovi e allenatori improvvisati, eppure nonostante questo riuscire a dar forma ad allenamenti di qualità, con un senso, inseriti in un programma; tutto questo è ciò che mi piace di più fare e quando per un motivo o per l’altro rimango senza questi ingredienti per un periodo, per quanto sia felice e contento comunque dei sostitutivi, la ricetta non è mai uguale, non è mai completamente gustosa e soddisfacente. Quindi riparto, quindi rieccomi in volo, direzione Tel Aviv, direzione i casini legati al progetto in Terra Santa, dove proviamo dal 2001 con diversi partner e con diverse modalità a unire sullo stesso campo, sotto la stessa bandiera, la nostra neroazzurra, arabi e israeliani. Casini che, come voi ben sapete o assidui 15 lettori, vanno ben oltre la nostra magica sfera e che ogni tot tornano a montare, rendendo quasi titanica la nostra impresa, quasi chimera il nostro obiettivo, però…si va avanti! Centro Peres prima, municipalità di Jeriko poi, quindi azienda a Nazareth con dipendenti di entrambi i fronti in conflitto e oggi Ghetton, con cellule attive al di qua e al di la del muro che riusciamo con una certa costanza a unire una volta al mese per un torneo dell’integrazione. Eccoci allora qui, appena atterrati, pronti per la seduta nel quartiere a sud della capitale, con bambini profughi del Sudan, immigrati Filippini, Cileni e bambini ebrei, tutti insieme per…un gran casino!!! Madonnina che indisciplina! E che casino che fanno, senza alcun rispetto delle regole e dell’adulto. Vero che abbiamo iniziato il tutto solo a ottobre e che i nostri allenatori qui sono dei grandi, super ammirevoli per impegno e volontà, ma poco abituati a stare sul campo, però questi esagerano. Conflitti continui che sfociano in botte da orbi, soglia dell’attenzione bassissima, voglia di apprendere rasente lo zero…insomma, un bel rebelot. Facciamo comunque il nostro intervento, con fermezze e grande intensità, bloccando i più indisciplinati con richiami decisi e mettendoli a sedere, ottenendo poi risposte positive alla punizione (una volta rientrati sono stati molto più attenti e rispettosi), andando però un po’ in difficoltà nella seconda parte con i più piccoli, vere e proprie bestie allo stato brado, del tutto non abituate a regole, tempi di gioco e…educazione. Poco male: si alza l’attenzione, non si perde mai di vista nessuno, si richiamano al minimo sgarro, li si ferma e alla fine, seppur con enorme dispendio di energie, si porta a casa il risultato. Certo che però così non va bene: briefing con Yasha e stabiliamo un incontro per fissare dei punti cardine al fine di andare avanti, o meglio di iniziare, le cose al meglio. Si spera...