giovedì 27 giugno 2013

Israele: giugno 2013

Giorno 2

L'allenamento in un kibbutz mi mancava ancora, ma oggi ho colmato questa grave lacuna! Allenamento a 2000 metri, nel deserto, sulla spiaggia di Copacabana, nel nulla eterno in Marocco (ricordi Ciccio?), nella discarica di Cateura e da oggi anche in un Kibbutz. Per la precisione nel Kibbutz Shefaym.
Certo nulla, o poco a che vedere con l'idea romantica, puramente socialista di luogo della condivisione e dell'uguaglianza totale e assoluta che questo luogo ha inseguito e per un po' rappresentato, nell'immaginario collettivo, negli anni passati; vero punto di riferimento, modello per gli idealisti sognatori del secolo scorso (se non erro il primo ha visto la luce nel 1909), il Kibbutz è oggi per lo più una realtà legata all'industria, che raccoglie in una stessa zona i lavoratori di questa o di quella azienda, cercando di rimanere fedele agli ideali che rappresenta, ma cadendo spesso nello scimmiottamento. Mi spiego meglio: l'industria del latte acquista una grande fattoria per produrre latte, ad esempio, in quello che era un Kibbutz e tutti i lavoratori sono parte di questa “realtà alternativa”, vivono e lavorano insieme, collaborano su tutto, ma...producono per l'industria, col fine del profitto. Insomma, si è un po' persa la vena romantica, a mio modo di vedere, pur rimanendo comunque un po' al di fuori degli schemi classici, ma il solo fatto di esserci dentro un po' mi ha emozionato, visto anche il fascino che ha sempre esercitato su di me questa filosofia di vita. Ma cosa ci faccio da queste parti? Be', sembra che uno dei possibili partecipanti a Inter Campus Israele/Palestina sia proprio questo Kibbutz, o meglio i suoi bambini, da coinvolgere sul campo insieme ai bambini del villaggio palestinese al di la del muro incontrati questa mattina. Possibili, non tanto per loro: qui i bambini sono carichi di entusiasmo e non vedono l'ora di incontrare i loro vicini, parole loro queste; il problema sono le autorità sia dell'una che dell'altra parte, che non vedono tanto di buon occhio l'integrazione, la collaborazione tra le due parti e cercano, e riescono, di mettere i bastoni tra le ruote a qualsiasi progetto con questo obiettivo, per cui ci vogliono autorizzazioni, permessi, garanzie da parte di questo o quel ministero...un rebelot, che limita il potenziale della palla. Limita, non cancella: piano, piano, facendo iniziare le cose prima dall'una, poi dall'altra parte, facendole incontrare solo in nostra presenza, forse l'obiettivo potrà essere raggiunto, per cui...iniziamo così. Kibbutz, bambini del villaggio palestinese e bambini di un villaggio arabo israeliano (se solo mi ricordassi un nome una volta...), tutti insieme, sotto l'ombrello neroazzurro, inizialmente amici “segreti”, che si incontrano “di nascosto” e poi, chissà, se i grandi inizieranno a ragionare, in campo insieme!!!
Giornata proficua, dunque, intensissima, ma bella e divertente. Ora si collassa nel letto. Domani prestissimo si riparte e prima voglio allenarmi.

mercoledì 26 giugno 2013

Israele, Giugno 2013

Israele 2013- Seconda missione

Devo ammetterlo: ora come ora sono un po' in low battery. Sarà il fatto che dopo nemmeno una settimana son di nuovo in viaggio, sarà che in meno di un anno sono arrivato a 17 viaggi (nemmeno Colombo alla ricerca delle Indie è stato così tanto in giro!!!), sarà che siamo a fine stagione e le energie residue son sempre meno...sarà quel che sarà, ma devo proprio ammetterlo: sono un po' stanchino.
Niente di importante, per carità: faccio il lavoro più bello del mondo e non ho la benché minima idea o intenzione di lamentarmi, altri lavoratori, quelli veri, hanno ben più importanti diritti, se non doveri, di lamentela, semplicemente esprimo una mia condizione, più mentale che fisica. Per questo motivo il viaggio israeliano che sto affrontando me lo sarei onestamente risparmiato: non per disinteresse, non per superficialità, non per scarsa voglia di lavorare; solo perché tra altri sette giorni sarò di nuovo via, in Camerun per l'esattezza, e avrei bisogno di una minima ricarica. Un po' come quando hai il garmin a terra di batteria (vero prof?) e poco prima di un'uscita lo attacchi alla presa sperando “assorba” l'energia necessaria per coprire tutta la durata della seduta, senza che ti abbandoni a metà corsa. Ecco, allo stesso modo avrei bisogno di attaccarmi alla presa anch'io in questo momento, per evitare di non coprire degnamente il mio ruolo, di non svolgere adeguatamente il mio compito e deludere, soprattutto me stesso, su questi campi del mondo.
E' la testa che conta più di tutto, dico sempre, e allora basta lamentarmi, non ne ho diritto: sgombra la testa e concentrati su questa nuova missione: Israele, questa volta lontano da Nazareth, da Raz e da quel progetto di unione che ancora stenta a decollare; questa volta siamo in visita di check, per conoscere nuovi partner locali con cui finalmente, forse, riuscire a lavorare sui campi delle due parti del muro, al di qua e al di la, con bimbi Ebrei e Palestinesi allo stesso tempo. Magari non sullo stesso campo, inizialmente, ma sicuramente con la stessa maglia. Yasha, il ragazzo che ci “ha chiamati” da queste parti mi ha fatto una bella impressione: ci siam conosciuti ieri e mi è piaciuto; certo, bisogna frenare, anzi meglio contenere, il suo entusiasmo iniziale per muoverci nel migliore dei modi e porre delle solide basi su cui poggiare le fondamenta del progetto, senza voler fare passi più lunghi di quanto le nostre corte gambe possano permetterci, ma il suo approccio a Inter Campus mi sembra molto positivo e mi piace la sua voglia di fare. E' in gamba, ha una bella testa ed è interista: i pre-requisiti sono tutti positivi. Vedremo. Domani mattina si inizia: kibbutz e villaggi alle porte di Betlemme, per incontrare eventuali allenatori da “accogliere” sotto la nostra bandiera e bambini con cui giocare. Di nuovo in viaggio, di nuovo con Max, io e lui soli, come i primi anni di Africa.  

giovedì 20 giugno 2013

Poche foto brasiliane in attesa di wetransfer...


PRIMA DELLA PARTENZA...

 ...AL RIENTRO IN ITALIA...SENZA STANCHITA', COME DIREBBE MARIO
LAPA

Regressando do Brasil

E' sempre strano, stranissimo, ritrovarmi la mattina dentro una favela di Rio de Janeiro e nemmeno 24 ore dopo sul "mio" campo in via Vismara, giocando da una parte con bambini inseriti in un contesto per così dire "particolare" e dall'altra con i nostri "normali".
La stessa cosa mi, ci, succede da sempre, da quando viaggiamo, ogni qual volta si rientra da uno qualsiasi dei paesi inter campus: la mattina sei nella savana di Aber, il giorno seguente sei in campo in Italia; la mattina sei sul campo del Bom Pastor a Luanda, quella seguente sei sul morbido sintetico della Calva; e così via, per tutti gli altri campi del nostro mondo neroazzurro.
E' strano, stranissimo e ancora non riesco ad abituarmi a questo stravolgimento, perché di stravolgimento si tratta, perché non è tanto il campo sul quale vado a giocare, a far giocare, a cambiare, ma le differenti, diametralmente opposte, esigenze, caratteristiche che emergono dai bambini di questi mondi così lontani, così diversi, e con esse le peculiarità di queste realtà, che mi destabilizzano ogni volta completamente. Non voglio scaricare il solito, banalissimo, camion di retorica parlando del solito bambino milanese viziato a confronto con l'africanino nulla tenente, sorridente ed entusiasta della vita e della palla di stracci con la quale gioca, ma semplicemente buttare su carta, anzi ormai su web, alcune osservazioni, riflessioni che emergono costantemente in me di ritorno dalle trasferte e che mi lasciano in questo stato di malinconica euforia per i primi giorni italiani. Rilessioni legate solo alle diverse realtà in cui vivono questi nani, che plasmano caratteri, comportamenti, rapporti con l'adulto sempre differenti e particolari, che però non corrispondono a ciò che mi aspetto, a ciò che immagino a priori. Qui a Rio, per esempio, i nani sono "favelati", bambini che vivono in una realtà in cui le armi sono come i semafori per i nostri, in cui il traffico di droga è evidente, sotto gli occhi di tutti, in cui la legge che domina è quella delle bande, dei banditi e questi bambini...sempre attenti, con grande entusiasmo a ogni seduta, motivatissimi e, la cosa che più mi colpisce sempre, con un bisogno esagerato di conoscermi, di sorridermi, di ricerca del contatto fisico: cercano sempre l'abbraccio, il contattato appunto, la carezza, mettendomi, non lo nascondo, un po' in difficoltà perché non son propriamente un socialone considerando che gli unici veri abbracci che concedo son sempre destinati a Si e mia mamma, e quindi spingendomi sempre a superare questa mia barriera un po'...rigidamente.
Nani che dispensano sorrisi, sembrano spensierati e contenti, ma cacchio...sono "favelati"!!! Come è possibile? E perché invece i miei sono imbronciati, chiusi nelle loro braccia conserte, pronti alla lamentela e a non ascoltare? Cacchio, le proposte son quelle, il gioco è quello, io sono quello! Cosa porta un bambino che cresce in un contesto oggettivamente difficile, pericoloso, a entrare in campo con un approccio che dovrebbe essere proprio di quello che ha tutto e vive comodo e agiato nella sua sicura casa nel primo mondo? Ripeto, non voglio cadere nelle retorica: voglio solo interrogarmi, cercare di capire qualcosa in più.
Un aiuto per accendere una lucina in più nella mia mente me lo danno i genitori di questi nani: già, perché gli unici contatti che ho con padri e madri dalle nostre parti riguardano lamentele legate ai minuti giocati nel corso del campionato...si, si, i minuti: genitori che mi si son presentati con un foglio con il minutaggio di tutto l'anno sportivo; o un altro che ha cercato un colloquio con me per farmi vedere come il suo figliolo, nonostante il numero delle presenze agli allenamenti, avesse giocato meno rispetto a un altro che invece si era allenato meno; o un altro, che si è lamentato con me perché suo figlio non è stato chiamato per un provino, come un suo compagno, nonostante avesse fatto il doppio degli allenamenti di quest'ultimo; o una mamma che nonostante faccia la parruchiera (e il problema non è il lavoro, ma il fatto che è esperta di un'altra cosa che non è il calcio), mi ha chiesto di modificare alcune proposte, perché poco utili, per lei, per la crescita del suo figliolo. Insomma, una serie infinita di stupidaggini, che mi fan passare la voglia di fare il responsabile tecnico e di avere contatti con gli adulti, soprattutto quando vedo poi adulti nel mondo con altri "bisogni", altre richieste a me destinate, non sempre così stupide e banali.
Allora la "causa", il motivo fondamentale sono i genitori? Già, si dice che il "pesce puzza dalla testa" e "da un pero non nasce un melo", in fin dei conti...Proseguo la mia ricerca. Tra nemmeno una settimana son di nuovo in viaggio. Vedremo.

domenica 16 giugno 2013

Brasile: Rio de Janeiro


Ore 6.15 suona la sveglia: si parte, la giornata è lunga e complicata, ci sono un sacco di cose da fare e conoscendo la capacità organizzativa brasiliana ci saranno un sacco di problemi da risolvere. Via, allora, in piedi, finestra apert...cazzo, piove!!! Una settimana di sole e caldo splendidamente brasiliano e oggi piove: che sfiga!  Se il buon giorno si vede dal mattino...infatti, mai detto fu più azzeccato. Giornata non proprio positiva quella di oggi, che mi ha lasciato ora, seduto sul letto in attesa di uscire a cena, con una certa amarezza in bocca. Mille corse per riuscire a "costruire" i campi con materiale improvvisato, visto che gli allenatori favelati si sono dimenticati i cinesini per delimitare i campi a casa, mille pensieri per trovare il torneo ideale per coinvolgere tutti i bambini più tempo possibile, limitando le loro attese fuori dal campo, l'acquisto di 140 casacche per distinguere le squadre e poi...e poi nulla, non si è giocato nemmeno un minuto su nessuno dei nove campi che abbiam messo in piedi! Nessuno dei 300 bambini presenti è riuscito a tirare un solo calcio alla magica sfera oggi, perché tutto il cerimoniale pensato per la consegna del materiale e l'attesa dell'ambasciatore hanno ritardato tutta la mattinata, liberando i nostri nani vestiti finalmente di neroazzurro solo alle 12.15, quando gli omnibus noleggiati sarebbero dovuti ripartire alle 13: impossibile quindi riuscire a giocare, considerando anche che avrebbero dovuto pranzare. Che spreco: 300 bambini affamati di calcio e nemmeno un gol siglato. Anche i vari ex calciatori coinvolti per l'evento (spettacolo quando due bambini son venuti con la macchinetta fotografica a chiedere a noi tre  una foto, quando al nostro fianco c'erano Pagliuca, Ferrara e Di Livio!) ci hanno chiesto più volte quando saremmo andati a giocare (quello che ha insistito di più è stato Carbone, un altro malato di calcio mi è sembrato), considerando anche loro il campo come vero momento clou per ogni bambino che si rispetti, ma purtroppo non ce l'abbiamo fatta; troppi eventi avversi ci hanno impedito oggi di giocare. Per lo meno erano tutti in neroazzurro e devo ammettere che è sempre un bel vedere.
Archiviata l'amarezza, smontati i campi, rientriamo a Copacabana e scatta l'ultimo allenamento di gran qualità per tutti e tre: si, incredibile ma vero, anche Mario Rossi/Raspelli anche oggi viene con noi a correre, staccandosi almeno per un'oretta dal cellulare, ormai prolungamento del suo braccio. Molto bene. Ora ultima serata brasiliana e poi si rientra: bello sempre viaggiare e giocare sui campi del mondo, ma bello anche rientrare da Si! 

sabato 15 giugno 2013

Brasile: Rio de Janeiro

14 giugno

In cima alla mia personale classifica delle città che più odio a causa del traffico rimane sempre Luanda, ma Rio si avvicina prepotentemente dopo la maledettissima giornata odierna! Più di un'ora trascorsa in macchina dalla favela Madureira dove abbiam fatto il terzo allenamento della giornata, al nostro albergo di Copacabana! Certo, siam passati dal Maracana nel tentativo di evitare l'ingaraffamento e vedere anche solo da fuori questo tempio storico dona un minimo senso a tutto questo tempo perduto dentro la macchina, ma cazzo che palle! E che stanchezza: dopo aver gestito 65 bambini alla mattina, quando ce ne aspettavamo 30 come da programma, una buona parte delle mie riserve energetiche si è esaurita, andando via via affievolendosi nel corso della giornata grazie anche alla seduta coi più grandi, sempre nella favela do pineiro, e a quella pomeridiana nella favela do madureira, con una delle squadre di Campeao! Il grande Campeao! 80, si, proprio 80 anni di uomo, tutti vissuti in campo, prima da giocatore di valore sconosciuto, o meglio non appurato, perché stando ai ricordi deve essere stato una specie di alternativa a Pelé, e poi da allenatore, magari discutibile nei modi e nelle maniere sul campo, ma sicuramente apprezzabile per impegno e dedizione. Grandissimo! Tutto bene, tutto bello, almeno fino alla fine degli allenamenti: poi e' iniziata l'odissea e la stanchezza mi e' crollata addosso. Per fortuna arrivati in hotel siam riusciti a uscire per allenarci (grande Gabri che anche oggi e' venuto a correre!), altrimenti in meno di due minuti mi sarei addormentato, riprendendo conoscenza forse solo l'indomani. Indomani...massacrante! Già, perché domani ci attendono 300 bambini per una festa, con consegna della maglia e mega torneo finale, alla presenza di varie autorità, con conseguente cinema e delirio generale. Se tutto va bene, sarà un massacro.

venerdì 14 giugno 2013

Brasile: Rio del Janeiro

13 giugno

Si entra in favela, si ride come sempre con Alex, intanto si sgranano gli occhi verso il mondo la fuori e all'angolo una lunga fila di gente attira la mia attenzione; gente in fila, anche piuttosto ordinata, ad aspettare...che cosa? Il venditore ritira soldi e li infila in una busta trasparente e in cambio cede un pacchettino di carta stagnola...be', non sono un genio, ma ci vuole poco a intuire che non sono galatine quelle che vengono smerciate. Alex fuga ogni dubbio: " sim. es droga. Aqui es normal. Voce es em una favela"! eh, già, che sciocco. 
Rispetto alle altre volte, in questi giorni la tensione, la differenza tra il mondo la fuori e quello dentro e' evidente, e' papabile; anche le altre volte si incrociavano sentinelle armate e gente non proprio di stampo salesiano agli angoli delle strade, ma questa volta si avverte proprio un'aria diversa, mi sento meno sicuro, meno tranquillo, più estraneo, osservato e studiato da lontano, da occhi interlocutori. Certo, essendo questa una delle ultime favela non pacificata i suoi abitanti si sentono circondati, avvertono la pressione della policia alle porte, quindi questa tensione generale non può non propagarsi nell'aria, tra le persone; in più le bande delle altre favela da poco pacificate, fuggite alla "pulizia" delle forze dell'ordine, si son riversate in questi ultimi luoghi fuori controllo centrale, fuori dal controllo della città, entrando in contrasto con chi già governa la zona, con chi da tempo vive entro questo ghetto di povertà, generando ulteriore tensione, per cui e' abbastanza normale avvertire questa elettricità vibrante nell'aria. Però mi rimane comunque strano vivere questa sensazione, almeno fin quando non scendo in campo: li sono tranquillo, li sono a casa, a Rio, come a Kinshasa o Luanda, o Villasanta. Li non c'è tensione che tenga. 
Anche quando in campo inizi con 16 bambini e nel corso della prima esercitazione ti accorgi che il numero continua a crescere, a crescere, a crescere, fino a trovarti all'inizio del situazionale con 22 bambini e poco prima della partitella finale con 27! Ma la cosa più bella e' trovarsi in tre allenatori contemporaneamente in campo, io, Juri e Gabri, 7 cinesini, 5 palloni e un numero risicatissimo di casacche a disposizione per ciascuno. No, be', un po' di tensione li la si avverte...

giovedì 13 giugno 2013

Brasile: Rio de Janeiro


12 giugno

Via! E questa volta per davvero! Partenza con Petronio (madonnina ma che nomi hanno alcuni da queste parti) il taxista appena conosciuto,  alle 8 dal nostro hotel in copacabana e dopo "soli" 60 minuti di ingaraffamento eccoci in favela, la Salsa e merengue, una delle poche ancora non pacificata, quindi ancora in mano alle bande, accolti da un ragazzino armato di pistola all'angolo, al quale dobbiamo mostrare le nostre facce, rallentando, abbassando i finestrini e facendoci vedere con Del e compagnia, giusto per evitare errori. Già, perché proprio a quest'angolo ieri, ci raccontano, è stato ammazzato un uomo, che al segnale di alt della sentinella invece di fermarsi e abbassare il finestrino ha accelerato, con i vetri oscurati belli alti, segnando con le proprie mani la sua fine. Mostriamo quindi ben, bene, con calma le nostre facce, prima di scendere in campo!!! Campo che si trova a margine di un fiume putrido, nero e puzzolente, discarica di un po' tutto il complesso della Mare, che dona alla zona un olezzo nauseabondo, tipo calzettone al termine di una partita giocata alle due del pomeriggio di Luglio: da sbocco! Davvero da sbocco. Non sono in grado di rendere a parole quella sensazione, ma credo comunque che nel mio cervello rimarrà intatta ancora a lungo. Puzza a parte, arrivati al campo capiamo ben presto che  l'allenamento preparato in mattinata in vista di un gruppo di 60 bambini, con un campo regolamentare a disposizone va cestinato e rivisto da capo: ci troviamo infatti su di un campo a sette piccolo, con 71 bambini, di età variegate e grande entusiasmo da governare. Insomma, grande, solito, casino in puro stile inter campus. Nessun problema, due parole con Gabri e Juri e si parte: gruppi da 17/16 bambini, obiettivo guida della palla, esercitazioni elementari e tutto si volge al meglio. I bambini sono bravi, non a giocare, li son proprio pippe, ma come bimbi, nel senso che ascoltano molto, non son mai sopra le righe, sono attenti e motivati e ci mettono così nelle condizioni migliori per lavorare e cercare di divertirli e divertirci il più possibile e infatti le due ore diventano due ore e mezza e volano via con grande semplicità. Soliti saluti, solite foto ed eccoci a pranzo in un ristorante delle favela, luogo di incontro di banditi e lavoratori classici, di uomini e donne che vivono in questo mondo parallelo, dentro il mondo detto reale. Che microcosmo incredibile: vere città dentro le città, alternative ad esse. Nemmeno il tempo di finire il pranzo e rieccoci in campo: altro nucleo, vila olompica de caju, altri 40 bambini, altro super allenamento; altri sorrisi, altri bimbi, altre foto, altre esperienze. Bellissimo. Non contenti dell'intensa giornata, rientrati in hotel con Alex e il suo fiume infinito di parole, garmin, maglia da allenamento e via, sul lungo mare di Copacabana per un grandioso allenamento aerobico, insieme a Juri e Gabri: ognuno col suo passo, col suo obiettivo, ma tutti insieme nell'intento di allenarci! Grandi. Con una Silvia in più sarebbe perfetto tutto...

mercoledì 12 giugno 2013

Brasile: Rio de Janeiro 2013

Brasile 2013: Rio de Janeiro!

3,2,1... vamo a descobrir Rio!!! Rieccoci in marcia, con la piacevole sorpresa in questo viaggio di essere tre allenatori, diversamente dal solito che siamo sempre in due: io, Juri e Gabri, per cercare di allenare più bambini possibile in questi sette giorni a nostra disposizione. Che trio! Ovviamente accompagnati da Aldo, carichi di entusiasmo siam partiti ieri sera da Milano, per ritrovarci ora, sono le 8 del mattino, un po' in coma a riposarci in hotel, prima di andare ad allenarci, almeno io e bimbo juri, e aspettare a mezzogiorno Del per iniziare la sequenza di visite nelle varie favelas di Rio dove siamo attivi con i relativi allenamenti. Bene, bene: son contento! Il Brasile esercita sempre un fascino particolare su di me: sarà il sangue della nonna, sarà la grandiosa esperienza vissuta nella foresta, sarà la simbiosi unica del Paese con il calcio, sarà per chissà quale motivo, ma qui mi piace da matti venire a giocare/lavorare, un po' come nella "mia" Africa. Vamo, allora. Che il Brasile abbia inizio.

p.s. nota postuma: Gabri invece e' venuto a correre e ha anche fatto un bel lavoro. Avanti così ora, ciccio!

11 giugno

Pronti? Via...no. Niente via. Partenza falsa. Primo allenamento annullato, causa mancanza di sicurezza in favela. Nel nucleo dove saremmo dovuti andare oggi, infatti, Baixo do Zapateiro, c'è stata una sparatoria ieri e una persona è stata uccisa, per cui nella giornata odierna tutta la favela è stata presidiata dalla Policia che ha ristabilito la calma, ma ha portato con essa una situazione di forte tensione, che poco si sposa con il nostro intervento, per cui si è deciso di sospendere tutto. "Todo tranquilo. Muito tranquilo..." dice Del "ninguem en la rua. Nao es normal" per farci capire che pur tranquillo, l'ambiente è lontano da quello classico con cui entriamo normalmente in contatto. Ambiente classico cioè sentinelle armate agli angoli degli ingressi alla favela, giovani che perlustrano le strade a bordo di moto armati di fucili più grandi di loro, guardie che comunicano tra loro per mezzo di walkie talkie per avere sempre tutto sotto controllo e un sacco di altra gente in giro a far pulsare di vita la favela, a riempire le strade a render...normale la giornata. Ecco, oggi questa normalità è stata spazzata via dall'insediamento della policia, che ha impedito il normale trascorrere del giorno, tenendoci fuori dal nostro campo, lontani dai nostri bambini, costretti a casa, asserragliati, nascosti, piuttosto che per strada. Peccato. Domani spero si possa recuperare. 
Nel frattempo, con tutta la giornata davanti e la fortuita coincidenza della nazionale italiana presente a Rio per un'amichevole contro Haiti in vista dell'imminente confederation cup, decidiamo di andare allo stadio San Jenuario, lo stadio del Vasco, per assistere a quella che pensiamo essere una scampagnata allenante e per noi istruttiva e che invece si rivela al termine dei 90 minuti una figuraccia inimmaginabile:2-2 con la squadra azzurra incapace di una benché minima trama di gioco, lenta, imprecisa, indolente, fastidiosa, al punto che al pareggio Haitiano abbiamo esultato! Se quei 22 pirla devono rappresentare il nostro calcio nel mondo, il nostro modo di intendere, vivere, essere il calcio, preferisco associarmi ad altre idee calcistiche più povere, umili, ma sicuramente più pure e sincere. Grande Haiti!
Ora coma nel letto, con i due bimbi cellulare dipendenti (incredibile la frequenza con cui osservano quello schermo, toccano quei pulsanti, ricercano la rete o fanno foto; Gabri, o Mario Rossi, poi è dipendente totalmente da quella roba! Per me deve disintossicarsi come un eroinomane. Spaventoso) intenti a smanettare sul loro aggeggio in attesa dell'arrivo di Del. Io quasi quasi declino e dormo fino a domani saltando cena...son troppo stanco!!!