venerdì 23 gennaio 2015

Special Guest, Lore!!!

ciao a tutti cari lettori,

Sono il "Lore" che a volte compare nei racconti di viaggio di questo blog. Da ormai 5 anni viaggio nel mondo con la maglia neroazzurra ... Sono qui per raccontarvi le  mie impressione per quanto riguarda il viaggio in Angola.

Per fare ciò vi racconto dell'angola assegnando ad ogni lettera del paese Angola un aggettivo/sostantivo che rievoca quella magica terra africana:

A come: "Ammaliato", dagli splendidi paesaggi che ho potuto ammirare attraverso i 1000 km che abbiamo solcato sulla jeep. di Padre Stefano, abbiamo incontrato oceano, montagne, colline... come spesso accade la natura richiama ad una bellezza enorme. 

N come: " Nuvole", come spesso accade i cieli d'Africa sono qualcosa di particolare e di immensamente bello, ricordo quelli di Angal (Uganda), quelli di Lubumbashi (Congo) e quelli tunisini a picco sul mare, ma i banchi di nuvole mischiati al cielo terso che ho potuto ammirare sopra di cieli  dell'Angola ti regalano uno spettacolo a cui è impossibile rimanere indifferente ...

G come: " Goveia", non è una parolaccia angolana, ma è il nome del responsabile tecnico e organizzativo che segue con dedizione tutti i nuclei di inter campus, autentico braccio destro di padre Stefano, è soprendente la dedizione che mette nel gestire i nuclei e seguire nostri bimbi con la maglia neroazzurra.

O come: " Ovale", perchè come raccontava Alberto, camminando nella Favela abbiamo incontrato differenti partite di calcio giocate dai piccoli Angolani, queste partite erano rigorosamente giocate con palloni ovali (per lo più messi insieme con 4 pezze) e di altre forme che solo lontanamente richiamavano la forma sferica del pallone ... questo però non limitava la voglia di divertirsi anche attraverso quei palloni "ovali"...

L come: "Luanda", Luanda capitale dello stato Angolano, città della contraddizione, caratterizzata da zone multimiliardarie a zone di povertà estrema ed è in queste zone che con dedizione operano i Padri Salesiani. Colpisce sempre molto vedere all'opera Padre Stefano e i suoi confratelli, perchè attraverso i loro progetti educativi che vanno dall'agricoltura, alla scuola, allo sport come nel nostro caso: aiutano e provano a dare speranza ai giovani Angolani.

A come: " Africa", perchè è il paese africano che più mi colpisce, per la dedizione di padri salesiani nel seguire il nostro progetto, per i paesaggi che sa regalare l'Angola, per la contraddizione che porta, insomma questo paese racchiude molto di quello che in Africa si può trovare.

Per concludere non  posso che essere contento di essere tornato in Angola, e sempre di più posso affermare la forza del nostro progetto e di come attraverso il campo e il gioco riusciamo a portare un po' di felicità, speranza in queste terre cosi contraddittorie e disastrate ... quindi ancora una volta FORZA INTER E FORZA INTER CAMPUS.

Lore

martedì 20 gennaio 2015

Due passi in favela

DUE PASSI IN FAVELA

“Noè non viene”, mi dice Goveia. “Ha bucato e non riesce a venire a prenderci. Come torniamo in Lixeira”? Chiede il nostro amico angolano. “A piedi”, suggerisco io. “Tanto non è lontano”. Annuisce. “Ta bom. Vamo”. E così, finalmente, dopo 7 anni di Angola riesco a camminare per la Favela senza essere costretto in macchina a saltare sul sedile a causa delle buche della strada, o scortato da mille ragazzi mandati da Ste, super prudente, quando non si tratta di guidare. 
Finalmente, perché così riesco a vedere, vivere un po’ meglio la realtà dentro la quale lavoro e soprattutto la realtà da cui provengono i nostri bambini e i nostri allenatori. 
“La vita è un viaggio da fare a piedi”, per poter avere il tempo di vedere, capire, toccare con mano, per poter avere il tempo di osservare e riflettere, senza essere vittime della velocità della macchina, utile, se non fondamentale per gli spostamenti, ma anche nemica dello sguardo indagatore del viaggiatore. Ecco perché finalmente. Perché fino ad oggi sono passato attraverso la favela, è stata lei a venire da me, in questo o in quel campo, è stata lei a farsi conoscere attraverso questo o quel bambino, questo o quell’allenatore e attraverso la sua storia, il suo comportamento, il suo modo d’essere. Oggi invece posso andare io da lei, passarle attraverso e osservare qualcosa in più. Non che mi aspetti chissà quale scoperta, chissà quale realtà inimmaginabile, non che voglia camminare in favela come volevo correre sul Golden Gate, per il gusto dell’archiviazione di un nuovo ricordo; niente di tutto questo. Voglio conoscerla. Cacchio, son sette anni che vengo qui e ancora non riesco ad orientarmi! È come se a Villasanta non fossi mai passato a piedi da San Fiorano! E allora “vamo Goveia, vamo Lore”! Usciamo dal campo e torniamo a “casa”. L’odore dei bagni di San Siro dopo il derby domina l’aria della strada, sconnessa, polverosa, piena di buche senza fondo e fatta di rifiuti; chiusa a destra e a sinistra da case di pietra mezze diroccate, col tetto in lamiera, polverose e sporche, ma soprattutto troppo piccole per poter accogliere un nucleo famigliare angolano, ossia almeno 5 persone. Eppure, nonostante tutta questa fatiscenza, queste strade sono invase da bambini, ragazzi, adulti e anziani: la vita si svolge li, lungo le sue diramazioni, sui suoi rifiuti. I più giocano a calcio (e come cacchio facciano mi rimane oscuro! La palla, se tale può essere considerata, non può fare la sua normale corsa sul terreno a causa delle sue infinite sconnessioni; bottiglie di vetro o plastica, tubi e carta e plastica di ogni provenienza colonizzano ogni suo spazio, macchine, motorini e gente varia in continuo passaggio invadono il “campo” in ogni momento…come cacchio fate a giocare???), generalmente fin quando il sole è alto sono i più piccoli i protagonisti, per poi, per una legge non scritta, man mano che la nostra stella inizia la sua discesa, lasciare spazio ai più grandi, e insieme a loro c’è gente che fa da pubblico, gente che ha il suo “negozio” e altra che…è li. Non so a far cosa, ma è li, seduta, che…vive la strada. Gira di qui, entra in questo beco (che non so se si scrive così, ma so che è un viocoletto, una stradina particolarmente piccola), svolta di la’, il mio tentativo di orientarmi svanisce dopo poche centinaia di metri, fatto sta che dopo poco più di venti minuti scorgo l’enorme struttura della scuola di Dom Bosco in lontananza, con alle spalle quella che è oggi una spianata e che un tempo era il Roque Santeiro. Il tempo di incrociare Dunga fuori da casa sua e portargli le nostre condoglianze per la morte della madre (scopro che qui “obito”, ossia il funerale, è un’occasione di festa che può durare anche un mese, durante il quale gente da ogni dove viene a rendere omaggio al defunto e canta, balla, mangia e soprattutto beve in compagnia) ed eccoci arrivati, pronti per il pranzo con i nostri preti e con tutta la comunità e pieni anche di questa esperienza. 

lunedì 19 gennaio 2015

Lunga e diritta, può o meno, correva la strada...

IL VIAGGIO…

6 ore lungo una strada a due corsie, piena di buche, ricca di saliscendi, con camion, macchine, villaggi da attraversare, la macchina piena, ma con il piede costantemente schiacciato sull’acceleratore! 
Che paura! 
Davvero, raramente ho avuto così fifa come oggi, in macchina con Ste! 
Il prete moderno per eccellenza guida prendendo curve a 120 km orari, chattando su Facebook o pubblicando foto, parlando al telefono o arrabbiandosi con il padre, seduto davanti con lui (tollu senior…che personaggio!!! Accento marcatamente romano, lingua lunghissima, contento e felice di essere da due mesi a casa del figlio prete per avviare un progetto di coltivazione fiore, essendo un vivaista, ma totalmente inesperto di lingua portoghese, quindi incomprensibile ai più...fortissimo!), insomma facendo di tutto e di più per distrarsi e mettere a repentaglio la nostra sicurezza. Un pazzo, altro che prete! Farsi con lui 1200km in due giorni è stata una vera e propria prova di Fede!!! Anche se con tutte le smadonnate che ho tirato ogni qual volta Ste si è messo in corsia di sorpasso in salita, con macchine in arrivo frontalmente, ogni qualvolta per evitare una mega buca ha frenato e ha scartato improvvisamente, ogni qualvolta si è messo “in scia” all’ignaro guidatore malauguratamente, per lui, trovatosi nella stessa corsia di questo fra Tuck di Carsoli, ogni qualvolta…insomma, per tutte le saracche che ho lanciato in ognuna delle 7 ore trascorse in macchina, non so se si possa realmente parlare di prova di Fede!

domenica 18 gennaio 2015

Post Benguela

NOTTATA, ALLENAMENTO E RIPARTENZA.

Alla fine è andata meno peggio del previsto: finito di lamentarmi mi sono buttato puzzolente sul materasso polveroso, ho aperto una finestra e dopo essermi avvolto nella zanzariera mi sono lasciato andare al sonno, conciliato dai latrati continui dei cani randagi, i rumori della strada e dal “conciliante" sibilo dell’esercito di insetti che sembrava aspettasse solo una presenza umana per tornare a vivere.  Tutto questo mantenendo una posizione da mummia, fissa, per evitare di disperdere energie e sudare ancor più di quanto non stia già facendo immobile. Una volta di più ho avuto la conferma della mia grande capacità di addormentarmi in ogni dove e con ogni condizione! Crescere e dormire con sei fratelli, in una casa che di notte era tutto fuorché silenziosa, tra fratelli che russavano e altri che parlavano nel sonno mi ha adeguatamente preparato per Inter Campus! Sveglia dunque poco prima delle 7 per il solito giro di potenziamento e per testare il mio polpaccio infortunato, ma dopo poco più di un chilometro sono costretto a rientrare mesto, mesto alla base: non sono ancora a posto e appena ho sentito un piccolo segnale ho preferito fermarmi per non cadere nell’ennesima ricaduta e dovermi fermare per altro tempo ancora. Cazzarola, è dal 28 che non riesco a correre e riesco solo a nuotare: che palle! Con le pive nel sacco, quindi, rientro, e mi doccio…incredibile, c’è acqua? Naaaa: Stefano ha trovato un rubinetto che sputa acqua inspiegabilmente e io ho con me una bottiglia, quindi pur senza l’ausilio di Silvia (in campeggio un sacco di volte mi sono lavato “a bottigliate”, con Silvia a farmi sa supporto per “il getto”) riesco a darmi una sana insaponata prima dell’allenamento, per la gioia di coloro che mi stanno intorno! Fresco e profumato mi tuffo in breve con Lore sul campo: qui a Benguela i gruppi sono sei con altrettanti allenatori, che si dimostrano tutti molto abili, capaci nel gestire i bambini e nel curare la parte educativa attraverso l’allenamento. Mancano un po’ di contenuti strettamente tecnici, ma…grandi! Il sole picchia alto già alle 9 e le 3 ore sul campo segnano un po’ i nostri volti, ma soprattutto i nostri coppini, rossi e lucenti, visibili da ben lontano. 
Pranzo in comunità con tutti i confratelli, padre Filiberto, padre Santiago in testa e poi…si riparte. Altri 600 km ci aspettano per tornare a Luanda. Vi allora, con quel pazzo di Stefano alla guida e il terrore nei nostri occhi ad ogni metro percorso!!!

sabato 17 gennaio 2015

Viaggio infinito!!!

Viaggio infinito

Questa volta ho esagerato.
Questa volta è troppo anche per me. Certo che non potevo immaginarmi che dopo un viaggio infinito come quello di oggi quel pretaccio della malora ci facesse alloggiare in un postaccio come questo! Cacchio, no che non potevo immaginarmelo: speravo che un po’ di sale in zucca fosse rimasto a Padre Stefano e che si rendesse conto che dopo aver programmato la partenza alle 5:30 della mattina (consideriamo che siamo arrivati ieri alle 6, alle 14:30 eravamo in campo a Palanca per fare allenamento e solo alle 20 siamo riusciti a tornare a casa, in Lixeira) per andare a Dondo (100 Km più o meno), aver fatto allenamento, essere ripartiti velocemente alla volta di Benguela, aver coperto in quasi 7 ore i 600 km necessari, un letto pulito, un bagno con dell’acqua corrente fossero condizioni non necessarie, ma fondamentali per la nostra notte! Invece…invece siamo in una casa che sembra reduce da un terremoto sporca, con scarafaggi giganti che scorrazzano per i pavimenti, senza acqua corrente e con un caldo atroce che ti fa sudare da seduto! Ste, sarai un prete, ma vaffanculo!!! Fortunatamente fino a quando non ho messo piede in questa cosa (e non ho sbagliato vocale), tutta la giornata è scivolata via positivamente: la sveglia è arrivata presto, ma in maniera non traumatica, anzi mi sono anche svegliato un po’ prima per fare il mio solito lavoro con l’elastico; il viaggio per Dondo è volato via leggero, l’allenamento e il successivo incontro con gli allenatori sono andati alla grande e mi sono serviti per fare un po’ il punto della situazione e correggere direttamente sul campo i nostri mister; rivedere padre Gino, appena trasferito qui dalla visitatoria e parlare un po’ con lui mi ha fatto grande piacere (peccato sia gobbo, perché mi piace un sacco questo anziano salesiano veneto, da 22 anni in Angola, che ha passato i precedenti 28 in Brasile, nel Mato Grosso, con gli Indios); il viaggio infinito di 7 ore, per quanto massacrante, è andato bene, grazie anche ai paesaggi incredibili di questo paese e alla compagnia, ma poi…ma poi, cazzo, arrivare stanco morto e non potersi far la doccia è una cosa che ti segna in negativo!!! Se poi oltre a questo fa caldissimo, quindi sudo come una bestia, la stanza è sporca e piena di zanzare e devo stare attento a non disturbare baratte grandi come me, vere proprietarie della casa, per non dover fare a botte, allora forse un po’ ci si incacchia anche! Meno male  che domani mattina mi attendono solo 100 bambini…

venerdì 16 gennaio 2015

Angola!!!

Ancora una volta, Angola.

Quando esci dall’aereo e l’aria umida ti investe, ti si appiccica addosso come un adesivo, regalandoti quella stessa sensazione che provi dopo una doccia in un caldo, caldissimo pomeriggio estivo, capisci di esserci di nuovo: Luanda. E quando poi impieghi un’ora per uscire dall’aeroporto e trovi ad attenderti non Padre Stefano, bensì uno dei suoi ragazzi, in questo caso Goveia, a fare le sue veci, essendo lui troppo impegnato già alle 6 del mattino per venirci a prendere, e con lui ti ritrovi ingaraffado, ossia imbottigliato, lungo accidentate, sconnesse e polverosissime strade, conquisti la certezza assoluta: Luanda. Luanda la mutevole, come disse Max un anno dopo che gli chiesi di definire con un aggettivo le più grandi città africane, colei che non è mai la stessa nel corso delle nostre classiche due visite annuali: sempre coinvolta in lavori, ristrutturazioni, cambiamenti che la stravolgono, la rinnovano, la rendono nuova ogni volta. Io sarei banalmente ricorso a un "la caotica” per descriverla, visto il traffico perenne ad ogni sua “rua”, la gente che corre, va e viene in e da ogni dove, le difficoltà esagerate che ti presente come conto per ogni cosa, ma riconosco che anche Max con una sola parola è riuscito a cogliere sufficientemente l’essenza della capitale Angolana. 
Rieccoci qui, dunque, pronti per una settimana di fuoco, dopo una lunga sosta, necessaria, dovuta alle vacanze di Natale; dopo un mese, rieccomi in marcia in Africa, per il progetto più complicato, ma che sicuramente più è cresciuto, tra quelli del continente nero. Qui siamo presenti dal 2007 e da quel lontano novembre abbiamo dato forma a diverse “cellule”, centri Inter Campus, sia a Luanda che in alcuni posti vicini e meno vicini, accompagnando i progetti educativi dei salesiani di Don Bosco con la parte sportiva, con il calcio, coinvolgendo sessanta allenatori in tutto e conseguentemente più di mille bambini, allontanati dalla strada e avvicinati ad una realtà educativa quale quella salesiana, pronta a lavorare per loro e con loro per costruire un futuro anche per coloro per i quali non era previsto. Da queste parti, infatti, le ricchezze sono enormi, legate al petrolio soprattutto, ma anche allo sfruttamento dei giacimenti minerari del paese, ma è limitata alle fameliche e avide mani di pochi, che relegano la maggioranza degli angolani ai margini della società, lontani da istruzione e condizioni di vita privilegiate che tengono gelosamente per se’. E questa cosa è maledettamente evidente, partendo già dall’aereo: è fastidioso vedere che intorno a te, su quel boeing proveniente dall’Europa, il 90% dei passeggeri sono bianchi di questa o quella azienda multinazionale, diretti in questo posto devastato fino al 2001 da una spaventosa guerra civile per rubare ciò che dovrebbe essere loro di diritto. E quei pochi neri che ci sono sono quegli stessi che insieme ai bianchi si spartiscono la torta, incuranti del resto della popolazione, ma anzi ancor più avidi e famelici dei fratelli scoloriti. E ogni volta che torno mi sembra peggio. Proviamo, allora, a dare noi una mano, seppur piccola, a questa parte di realtà, altrimenti dimenticata: coloriamola di nero e azzurro e facciamola crescere e divertire. Via allora!!! Si comincia!