lunedì 5 novembre 2018
sabato 3 novembre 2018
Children of promise
BROOKLYN BUSHWICK
Dai che ci siamo! Lo dicevo proprio ieri, anzi lo scrivevo e l’incontro di oggi mi ha dato ancor più fiducia. Children of promise si chiama l’ONG e lavora in questo quartiere afroamericano di Brooklyn con bambini figli di genitori in carcere. Bambini dai 6 ai 13 anni, esattamente come noi, che a causa dell’incarcerazione della mamma, del papà o di entrambi, vivono sballottati da un parente all’altro, senza guida, riferimento, senza controllo e sostegno, senza…nulla e nessuno. L’ong però cerca di provvedere e da’ loro un luogo dove studiare finita la scuola, dove fare sessioni di arte terapia, dove essere seguiti da psicologi e dove poter videochiamare i propri genitori! Questa è la cosa più forte tra tutte: alcuni di questi bimbetti non vedono, non vedevano, mai la propria mamma o il proprio papà, per via o di una loro carcerazione restrittiva oppure per l’ impossibilità di raggiungerli in prigione e così alcuni hanno passato anche due anni senza mai vedersi, salutarsi, toccarsi, annusarsi (si, annusarsi: sentire l’odore di Anna è una delle cose che più mi riempie al mondo, quindi pensare di non sentirne l’odore per due anni…madonnina!!!), parlarsi. Fortunatamente i social, le nuove tecnologie non fanno danni e in questo caso anzi tornano super utili, aiutando queste persone seppur per breve tempo. Children of promise organizza inoltre altre mille attività bellissime dedicate a questi bimbi, ma, eureka, non propone nessun programma di calcio! E nella chiacchierata di stamane si sono dimostrate interessate e felici di inserire inter campus. Calma però, aspettiamo ad esultare. La mia pragmaticità e concretezza, unite all’esperienza e alla assoluta praticità della ragazza responsabile delle attività dei bambini con cui abbiamo parlato, mi hanno infatti portato a chiedere, in accordo con Paolo, di fare un sondaggio tra i possibili futuri intercampisti, per capire quanti tra i 175 che fanno parte dell’associazione sarebbero disposti a giocare con noi e soprattutto di presentarci entro un paio di settimane almeno un paio di possibili alleducatori, spiegando loro nel dettaglio ciò che cerchiamo. Insomma: ok, forse ci siamo, ma non precipitiamo, facciamo le cose per bene. Buone le sensazioni, buone le premesse, ora vediamo di concretizzare il tutto. Usciamo dalla loro sede piuttosto soddisfatti e accompagnati dall’ormai quasi costante odore di marijuana che da quando son qui si palesa in almeno in un paio di occasioni quotidiane, e a piedi ci incamminiamo verso…verso niente. Camminiamo parlando e discutendo un po’ della situazione, passando per Williamsburg, quartiere ebreo ortodosso di Brooklyn, e Green point, dove Paolo ha vissuto per cinque mesi e culla della moda hipster, un quartiere giovane, molto “trendy”, ma nonostante tutto carinissimo. Oggi è il 31, quindi ovunque ci sono nani mascherati (nani=bambini piccoli) a caccia di dolci, accompagnati da adulti, anch’essi travestiti (il più figo era mr duff man! Uguale) e tutto ciò rende il tutto ancora più caratteristico, più americano. E questa sera saremo a Greenwich village a cena: chissà che cinema, visto che li fanno anche la mega parata con le maschere. Sono pazzi questi americani.
venerdì 2 novembre 2018
Second day in New York
SI RICOMINICA
Devo ammettere che della super intensa giornata di ieri, la cosa che più mi ha messo in difficoltà è stata l’impossibilità di allenarmi: uscendo alle 7 dall’hotel e rientrando alle 21, non ho avuto modo di fare la mia quotidiana sgambata (vero, potevo alzarmi prima, ma avendo 9 ore di volo nelle gambe e 5 ore di differenza sull’ora italiana, ho pensato fosse meglio riposare un po’ di più) e la cosa si è fatta sentire. Per lo meno nella mia testa. Oggi essendoci alzati alle 6 per prendere il treno alle 6:40 la cosa mi risultava ancora meno realizzabile, ma fortunatamente il programma si è concentrato nella sola mattinata, quindi saltando a pie pari il pranzo, il nostro ritorno in hotel si è concretizzato alle 14, permettendomi prima dell’incontro delle 16 con Pirelli di uscire e tuffarmi in central park per tagliare il traguardo della maratona durante il primo mille, maratona che si svolgerà domenica e che ha già tutti gli striscioni e le bandiere varie pronte…per i pirla come me, che non potranno partecipare domenica, ma che vogliono alimentare il proprio sogno. Corsa a parte, mattinata interessante anche oggi, con diversi incontri tra scuole e progetti di pre e post scuola dedicati ai bambini. In tutti, però, è emerso ciò che descrivevo ieri: soccer come strumento sociale = partite libere sotto la supervisione dell’educatore. Nulla più. Se si parla di allenamento, si parla di competizione, di vittoria o sconfitta e non è ciò che questi programmi ricercano. E spiegarglielo è difficile, difficilissimo. Forse inutile mettercisi. Lo dico per esperienza, visto che vengo su questi campi del mondo a provare a far giocare i bambini con il metodo inter campus dal lontano ottobre 2013. Ma…anyway, si può riprovare. Ciò che cerco però è un programma che lavora con bambini, ma che non ha tra le sue “frecce” quella dello sport, così da poter partire da zero e introdurre senza alcun “rischio di fraintendimento” il nostro modello, il nostro metodo di lavoro. E tutto ciò che ho visto fin qui non risponde a questa mia fondamentale necessità. Ma, ancora una volta: vediamo. Inter campus si adatta in ogni dove, quindi qualcosa di valido (finalmente oserei dire) riusciremo sicuramente a mettere in piedi io e Paolo. Si sta lavorando bene insieme, ci si diverte, sempre però puntando all’obiettivo: son fiducioso (o speranzoso?). Danny poi mi piace, quindi non vedo perchè non dovremmo trovar qualcosa. Avanti tutta.
giovedì 1 novembre 2018
Mont Vernon
FIRST DAY IN NEW YORK
Inizio col botto nella grande mela: obiettivo della visita è trovare un nuovo partner con cui ricominciare i lavori, dopo il divorzio consensuale con uptown soccer, siamo a caccia di nuove opportunità, ben consci del fatto che qui il calcio non è proprio il primo sport in assoluto e soprattutto quando è associato alla parola “sociale” viene visto solo come “palla per aria e giocate liberi, of course in uno spazio sicuro (perché qui la sicurezza per i bambini è una vera ossessione). Si parte quindi alle 7 del mattino da central station (sempre affascinante questa stazione, vista e rivista in mille film, da Carlito’s way, fino a Madagascar; è sempre un rivedere, non uno scoprire questi posti), direzione mount vermont, oltre il Bronx, per incontrare Danny, presidente e fondatore di Backayard sport center, una ong che lavora in quella zona portando il calcio nelle scuole, o in supporto a progetti con bambini. La giornata è intensa, intensissima, senza un attimo di pausa, ma anche positiva e interessante; incontriamo un sacco di gente interessante e impegnata per costruire un mondo migliore, per lo meno per i bambini, e veniamo in contatto con un sacco di progetti bellissimi, tra cui spicca uno chiamato “shelter mont vernon” dedicato a ragazzini che sono appena usciti dal carcere. Li prendono in custodia, li portano nella loro struttura dove dormono e vivono insieme dovendo tenere pulita e in ordine la “casa”, facendo da mangiare, aiutati ovviamente da un cuoco vero, facendo le faccende, andando a scuola, una scuola speciale solo per loro, seguiti da mentor e educatori che li aiutano a studiare e a fare i compiti. Finiti tutti i doveri, il piacere è dato da Danny: un’ora di calcio, due volte la settimana, seguiti da un allenatore cileno. L’allenamento è un mischione, è un gran miscuglio di obiettivi e proposte anche non adatte al gruppo, ma poco importa: i ragazzi corrono, si divertono, non c’è nessun conflitto, nessun episodio di violenza, nemmeno verbale. Un momento veramente bello, pensando alla storia di questi ragazzini, a ciò che hanno fatto (impossibile davvero pensarli “criminali” mentre li vedo ruzzolare per terra sorridendo quando scoordinati e goffi provano a calciare la palla con i loro piedoni lunghi, “fasciati” da scarpe enormi da basket) e a ciò che potranno fare in futuro. Già, perché una volta che sei stato dentro il tuo futuro è piuttosto segnato: non puoi accedere quasi totalmente al mondo del lavoro, perchè la maggior parte degli impieghi ti sono vietati; sei senza famiglia, perchè per lo più questi ragazzini vivono in contesti famigliari in cui il padre normalmente è in carcere, o è alcolizzato o drogato, quando c’è, mentre la madre…più o meno vive allo stesso modo; sei senza amici, se non quelli della gang che ti ha fatto sbattere in carcere “per farti le ossa”, per formarti e farti crescere. Insomma, non hai nessuna altra opzione che non sia tornare a delinquere. O se no entrare in questi programmi e…provarci. È un vero peccato non poter collaborare con loro per via delle età, perchè qui il calcio farebbe davvero la differenza. Ma quell’uragano di Danny ha in serbo per noi altre mille proposte, quindi anche domani levataccia, ma sicuramente proficua, per lo meno per conoscere qualcosa di nuovo e crescere un pochino anche domani.
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