giovedì 25 agosto 2022

Johannesburg

 Devo ammettere che non me la aspettavo così. Come sempre, prima di andare da qualche parte, cerco, seppur sommariamente, di informarmi circa la città, i suoi quartieri, la sua storia, e l'immagine che mi ero fatto è risultata completamente sbagliata. Molto probabilmente la causa di questa mia distorta aspettativa va ricercata nei miei precedenti incontri con alcune grandi capitali africane come Kinshasa, Kampala, Yaounde, Douala, Luanda, con le quali Jo'burg, come viene "confidenzialmente" chiamata, ha poco da spartire; qui infatti si incontrano grandi strade a 4 corsie, cavalcavia (cacchio, la strada che percorriamo per andare al centro tecnico federale sembra una highway americana), marciapiedi (adesso, è da un po' che non torno a Kinshasa e potrei sbagliarmi, ma i marciapiedi me li ricordo come merce rara da quelle parti, se non nel quartiere vicino al fiume congo), semafori...ok, non voglio ridicolizzare le altre città, anche loro hanno i semafori, ma qui mi sembra di essere negli stati uniti se guardo il quartiere dove abbiamo l'hotel o la strada che maciniamo quotidianamente. Certo, se poi riesco con lo sguardo ad andare oltre questa apparenza, riesco a scorgere la rossa, rossissima, terra africana, a intravedere la natura selvaggia che preme alle spalle del cemento per riappropriarsi dei propri spazi non appena l'invasore umano distoglie lo sguardo, però a prima vista la città è decisamente diversa. 

Con il muso appiccicato al finestrino durante i nostri spostamenti verso il centro tecnico federale, due sono le cose che più sto notando e che più mi stanno impressionando: l'evidente alto tasso di criminalità e la povertà diffusa. Non c'è casa, magazzino, fabbrica, che non sia circondata da filo spinato, adornata da telecamere di sorveglianza e, in alcuni ricchi casi, con il presidio fisso di qualche guardia di sicurezza; così come non c'è ponte, angolo nascosto, semaforo, che non accolga mendicanti, senza tetto, case improvvisate fatte di cartone o lamiera. Veramente impressionante. Parlando con gli allenatori ho scoperto che questa gente che vive per strade e che per lo più vive di furti, spaccio, o comunque nell'illegalità, sono quasi tutti (hanno azzardato un 80%) immigrati clandestini, irregolari, provenienti da altri paesi africani, capitati da queste parti in cerca di fortuna, scappando dalla loro terra natia che può essere Ghana, Nigeria, piuttosto che Botswana o chissà cos'altro. Anche questa cosa, la ignoravo completamente. Spero nei prossimi giorni di riuscire ad approfondire il mio fin qui veloce, rapido, superficiale, incontro con il sud africa e di non ridurmi come spesso mi è successo nelle ultime missioni, a vivere il Paese che mi ospita...dal finestrino del pulmino che dall'hotel mi porta al centro tecnico federale e dal centro tecnico mi porta all'hotel.

mercoledì 24 agosto 2022

Ritorno in Africa

 Dunque, proviamo a riavvolgere il nastro: giovedì scorso ho dormito a Houston, venerdì in aereo, di ritorno verso l'Europa, sabato ero a Velturno da Silvia e le bimbe, domenica nel mio letto a casa, lunedì nuovamente in aereo e ora, martedì, eccomi a Johannesburg. Che casino! Meno male che fino a oggi non ho mai sofferto delle conseguenze del jet leg e soprattutto meno male che ho ereditato dai miei genitori la capacità di addormentarmi in qualunque luogo, su qualunque letto, o comunque qualunque cosa mi permetta di chiudere gli occhi (dallo zerbino di casa, sul quale ho dormito da "giovane", all'amaca dove ho trascorso un mese super), perché altrimenti sarei ora in seria difficoltà. Invece mi sento bene, carico, pronto, per questa nuova missione a distanza di due giorni da quella Beliziana e son contento, contentissimo, di tornare in Africa: più che ogni altro continente, da queste parti mi sento...a casa, a mio agio. La terra rossa, il cielo blu come da nessun'altra parte, la luce unica dei tramonti: son proprio felice di rivedere tutto questo. Certo, lo ammetto: la mia è una enorme semplificazione. Conosco 10 paesi soltanto di questo enorme continente, quindi magari non da tutte le parti potrò ritrovare questi "ingredienti", ma oggi quando ho messo piede fuori dall'aeroporto, quando ho preso la prima boccata d'aria per me è stato un piacevole "ritorno". Speriamo anche questa missione vada come tutte le mie precedenti in terra africana. Let the show begin

lunedì 22 agosto 2022

Houston, abbiamo un problema

Il risveglio violento, causato da un terribile tuono, che mi ha scaraventato giù dal letto, lasciava presagire una giornata intensa, ma nulla poteva portarmi a presagire un incubo come quello forse solo ora posso dire concluso. Ma andiamo per ordine: il suddetto tuono mi catapulta nel mondo dei desti, strappandomi dal dolce abbraccio di Morfeo, che non sono ancora le 6 del mattino. Provo a riaddormentarmi, ma le raffiche di vento, la pioggia battente sulla finestra e i continui tuoni, mi convincono che sia ora di alzarsi e andare ad allenarsi, solo che...la strada è allagata! Completamente. Non c'è modo di correre. Le strade sono scomparse, coperte da uno strato di acqua alto fino alle mie caviglie. Amen, vado in palestra, dove incontro il redivivo Juan Pablo Angel: l'ex calciatore dell'aston villa è stato colpito dalla maledizione di montezuma (che poi ha colpito in successione anche tutti gli altri miei compagni di viaggio, evitando solo me) e ha passato due giorni terribili, ma oggi vederlo in palestra è un bel segno. Ci alleniamo insieme, mi invento una seduta di pesi, sfruttando anche la corda e il tappeto, quindi poi colazione e via, verso l'aeroporto tra le strade allagate. E li inizia l'odissea: l'aereo è in ritardo di mezz'ora e noi abbiamo una "very short connection" a Houston. Dove però non arriviamo. Un violento nubifragio sta devastando la città, per cui prima rimaniamo in attesa girando sopra l'aeroporto per quasi due ore, po ci dirottano su san antonio, dove però non possiamo andare perché abbiamo finito il carburante e necessitiamo di un rabbocchino. Eccoci quindi diretti a Mc Allen, un posto che nemmeno chi ci abita conosce. Qui atterriamo e...aspettiamo. Aspettiamo di fare rifornimento, perché nella nostra stessa situazione ci sono altri 10 velivoli e in questo aeroporto hanno solo un tank, che dopo aver riempito un aereo deve a sua volta fare rifornimento. Assurdo! Stati uniti del c....! Dopo tre ore trascorse in aereo (si, chiusi dentro: non si possono nemmeno aprire le porte, perché il nostro è un volto internazionale e se solo si apre la porta è come se si cercasse di entrare nel territorio a stelle e strisce, quindi dovremmo sottoporci ai controlli della dogana), finalmente ripartiamo, consci ormai di aver perso la coincidenza per l'europa. Quando finalmente alle 21 passate atterriamo a Houston (9 ore in giro, per un viaggio previsto della durata di 100 minuti) il delirio ci accoglie: è scoppiato l'armageddon! Centinaia e centinaia di passeggeri nella nostra stessa situazione, provenienti da chissà quali altri paesi del mondo, deve entrare in sto paese di scemi e al controllo passaporti funzionano 8 banchi su 32 (in fila non sapevo che cazzo fare e ho studiato tutto quello che avevo intorno). Altre due ore buttate nel cesso. Ma non è finita. Ora dobbiamo trovare il banco united per farci mettere sul primo aereo per l'europa di domani, ma, ancora una volta, non siamo gli unici e il banco è uno solo. Ci attende una fila che non esagero nel definirla chilometrica! Il mio compagno di viaggio si lascia andare ad una serie di imprecazioni nella sua lingua madre, mentre io provo a trovare una alternativa e la scorgo in una panzona degna di "vite al limite", che mi porge una specie di bigliettino da visita con un qr code da scansionare per ottenere assistenza. Io con uno e alex con l'altro bigliettino in mano riusciamo a metterci in contatto con un agente della compagnia aerea e trovare una soluzione per il nostro ritorno: lui andrà direttamente a zurigo (la svizzera ha voli diretti e l'italia no!), io verrò rimesso sullo stesso aereo che avrei dovuto prendere oggi, ma 24 ore dopo. 

Ok, volo a posto. Ora dove dormiamo? Già, perché questa compagnia di mer.. non ci mette a disposizione l'hotel, perché la causa del ritardo è fuori dalle loro responsabilità: non è mica colpa loro se piove. Dobbiamo quindi ingegnarci, ma, ca va sans dire, come noi ci sono altre centinaia di persone a caccia di una sistemazione. La solita panzona mi fornisce una lista di venti hotel nelle vicinanze dell'aeroporto e ripartiamo con la caccia. 8 chiamate dopo, troviamo quello che stiamo cercando: una stanza da condividere, o meglio, l'ultima stanza. Via, allora, usciamo da questa enorme gabbia di matti, prendiamo un taxi...niente taxi. Son tutti per strada. Non ce ne sono più. Aaaaaargh!!! Fortunatamente qui Uber impera, quindi troviamo abbastanza velocemente una soluzione alternativa, per, finalmente, andare a dormire! Certo, non prima di spararci un'altra bella fila al check in dell'hotel, sempre perché siamo accompagnati da altri sfigati in questa disavventura. Ore 2 del mattino, passo e chiudo. Domani è un altro giorno. Speriamo migliore di quello appena trascorso

venerdì 19 agosto 2022

Piove...

Pioggia. Cazzo, pioggia. Un sole “pallato” fino a oggi, un cielo blu cobalto come in pochi altri posti ricordo di aver visto fino a ieri, e oggi, giorno del “festival” per i bambini, giorno di chiusura delle attività con tutti e 126 i “calciatori e le calciatrici” in campo per giocare per circa 90 minuti, piove. E che cazzo. C’è da dire che per lo meno il caldo è un po’ scemato per via dell’acqua, quindi, per lo meno a me e hai bambini, l’atmosfera risulta piacevole e gradevole. Anche gli allenatori non sono disturbati dall’acqua che scende dal cielo, per cui i giochi iniziano alla grande, tra urla di gioia per gol fatti, e richiami da parte dei mister per dare consigli e accorgimenti. Purtroppo, però, i grandi capi non la pensano come noi, per cui dopo poco più di venti minuti di gioco “ordinano” la sospensione delle attività e la ricerca del riparo da parte di tutti. La cosa mi fa incacchiare non poco, ma inizialmente abbasso il capo e sto al gioco. Giro, però, tra i gruppi e ovunque i bambini mi chiedono di tornare a giocare, così come gli allenatori. “Alberto, perché siamo fermi?”, “Alberto, noi giochiamo sempre sotto la pioggia”, “Alberto, digli che sei tu il responsabile del campo, facci giocare”. Mi fiondo, allora, dal segretario generale e dal presidente della federazione. “Signori,  bambini vogliono giocare e anche noi siamo venuti fin qui per stare in campo. Lasciateci giocare”. “No, non possiamo. Dobbiamo evitare che si ammalino”. “Ma se stanno fermi, bagnati come sono, sicuramente si ammalano”, ribatto. Uno scambio di opinioni che dura un paio di minuti, con la super visione della mia nuova capa e l’intervento del mio collega (messo a tacere con un “quanti allenamenti hai gestito nella tua vita? Zero? Allora lascia fare a me”), per poi ottenere un “ok, ma sei tu responsabile della situazione. Se peggiora ferma tutto”. “Ma certo”, e volo via. “Ehi guys, let’s go back to the pitches!”. Un urlo, davvero, un super urlo, segue queste mie parole! E un nugolo di bambini sbuca da sotto le tribune per tornare in campo! Un successo. Alla fine, sarà un successo. I bambini contentissimi per la giornata, i mister che non la smettono di ringraziarmi per averli fatti tornare in campo, e il mio responsabile che ammette che il campo è il mio regno e che devo essere io a decidere. Un successo a tutto tondo. Non tanto mio, ma di quella magica sfera di cuoio, che incredibilmente attrae chiunque e spinge chiunque oltre la pioggia, la neve, il vento.

giovedì 18 agosto 2022

Belize City

 Come sempre mi succede, viaggiando per Fifa Football for school, l'unico modo che ho per vedere qualcosa al di fuori dell'hotel e del centro tecnico federale è allenarmi, correre in giro per il posto dove mi trovo e raccogliere più informazioni possibile macinando chilometri. 

Ricordo in Mauritania le sveglie mattutine e le corse sulla sabbia, evitando mucche stravaccate e carretti selvaggi in corsa qua e la, o a Djibuti, le corse anche li mattutine (se no, poi, il caldo è decisamente eccessivo anche per una lucertola come me e per quanto adori dormire, diventa necessario alzarsi presto) sul lungo mare, con già 30 gradi alle sei del mattino, e certo Belize city non può fare eccezione. 

Corsa dunque sul "malecon" locale (seee, malecon. Gli piacerebbe. Un povero, poverissimo, tentativo di imitazione) col vento contrario all'andata e a favore al ritorno, ma soprattutto col 200% di umidità!!! Incredibile quanto sudore sia capace di produrre! Al sesto chilometro gocciolavo dai pantaloncini! Che schifezza. Ma l'acqua espulsa dal mio corpo non mi ha comunque impedito di guardarmi intorno e scorgere affinità con la già citate isola ribelle, e anche con la mia tanto amata africa. In alcuni punti mi sembrava di essere in Camerun! Una zona in particolare, dove un vecchio, vecchissimo hotel decadente, con la sua fatiscente insegna luminosa, ha attratto la mia attenzione: il suo colore azzurro acceso, il suo porticato antecedente l'ingresso, mi ha richiamato alla mente uno dei tanti "postacci" dove alloggiavamo ai tempi di inter campus. Quegli hotel che negli anni sessanta, post decolonizzazione, dovevano essere stati pensati per essere di super lusso, e che ora faticano a stare in piedi, assaliti da dietro dalla natura, che con le sue "fresche frasche" cerca di riprendersi lo spazio rubatole dall'uomo per le sue costruzioni, e da davanti sono abbrustoliti dal calore del sole e dalla feroce, come direbbe Max, umidità. Anche il colore della gente che incrocio lungo il mio allenamento mi riporta alle strade africane, così come gli improvvisati banchetti di frutta colta dall'albero retrostante e apparentemente abbandonati a se stessi. 

So, o almeno, credo di sapere, che è sciocco fare paragoni tra paesi del mondo, ognuno ha le sue peculiarità, ognuno è unico, a modo suo, ma mi piace ricercare famigliarità in ambienti sconosciuti, appena incontrati e che magari mai più rivedrò. 

Rispetto, infatti, alla mia precedente "vita" di allenatore-viaggiatore, ora difficilmente avrò l'opportunità di tornare negli stessi posti, quindi è quasi impossibile che possa rendere a me conosciuti, famigliari, appunto, questi luoghi, per cui la costruzione mentale di ponti tra ciò che conosco bene e il qui, è una cosa che mi accompagna quasi involontariamente. 

Nel mio girovagare pomeridiano (si, non mattutino: sono da solo a dover gestire il tutto, accompagnato dal responsabile del progetto e dalla "capa suprema", per cui mi sento un po' sotto pressione e dormo malino, per cui preferisco tuffarmi sulla strada alla fine della giornata, piuttosto che all'inizio) oggi sono arrivato fino a un mega complesso sportivo, un po' abbandonato, non curato, ma comunque tutt'ora funzionate, intitolato a Marion Jones, la super atleta americana, che ho scoperto poi essere stato finanziato proprio da lei, in quanto originaria del Belize, per poi fare dietro front e passare di fianco all'aeroporto cittadino (nel senso stretto del termine, visto che gli aerei decollano praticamente in mezzo alla strada) e tornare sui miei passi, lungo il Malecon, pronto per la cena. 

E domani si vedrà

Eccomi!

 Visto che non dicevo cazzate? Dopo il primo giorno, appena arrivato, in cui ho avuto del tempo da dedicare al mio personale diario virtuale di viaggio, in quelli seguenti fino a oggi son stato completamente risucchiato dal frullatore FIFA Football for school e non c'è stato più modo di aggiornarlo. Ora mi sono ritagliato del tempo, ma con la sveglia puntata, perché tra pochissimo ci vengono a prendere per andare alla festa di consegna dei diplomi per il corso. Tutto di corsa, ma non voglio perdere questo breve attimo per appuntarmi per lo meno due cose: la prima riguarda la gente che ho incontrato qui a Belize City. Gente di tutto dal paese, mossa da tutte le regioni per pura volontà di apprendere e migliorarsi, tutte con uno spirito...molto caraibico! Positive, sorridenti, aperte, fiere del proprio paese e desiderose di condividerlo con lo straniero, accoglienti e sempre pronte allo scherzo, alla battuta. Mi ricordano un sacco i cubani, così come la città mi ricorda molto Las Tunas, sempre a Cuba (poi magari mi segno il perché). Veramente bellissimi incontri, fin qui. Naturale, però, di fronte a tanta positività, mi sorge una domanda: quanto pesa il marchio che porto sul petto? Fossi stato un gringo qualunque sarebbero state ugualmente ben disposte nei miei confronti? Non è dato saperlo. Vero è che nei momenti di pausa, durante il pranzo, mi son seduto tra loro (io che faccio il socialone, incredibile) a parlare usando il nostro comune spanglish, e mi son sempre trovato incluso, coinvolto, ben voluto. Anzi, son sempre stati loro a chiamarmi e a iniziare a parlarmi della loro esperienza a scuola, con le loro squadre, del mondo calcio beliziano...Bello, veramente bello, fin qui. La seconda cosa riguarda il campo: ogni volta mi affascino, quasi mi stupisco, nel rendermi conto di quanto sia casa mia. Una volta che metto piede in un campo da calcio, con dei cinesini in mano, dei palloni a disposizione e delle pettorine, tutto scompare; ogni cattivo pensiero, ogni difficoltà, sparisce e vengo risucchiato dalla bellezza della seduta, dell'insegnamento, della condivisione di esercitazioni, metodologie e approcci al bambino attraverso la palla, e per 90/100/120 minuti non esiste nulla per me, al di fuori dei miei giocatori. Chiunque essi siano. Rido ancora a pensare a quel pirla del direttore sportivo della calva che una volta si offese perché entrando in campo durante un mio allenamento io non lo degnai di uno sguardo, non lo salutai. Ma chi cazzo ti ha visto? In Calva, in Vibe, in Uganda o in Belize: quando sono in campo vivo un'altra dimensione. Poi il pallone si ferma, riunisco i ragazzi, li saluto, raccolgo i palloni e...puff, rieccomi coi piedi sulla terra. Almeno fino a domani, per il prossimo allenamento. 

domenica 14 agosto 2022

Destinazione, Belize.

 Cazzarola, non riesco più, o quasi più, ad aggiornare questo mio diario di viaggio! Dall'ultimo post sono trascorsi due mesi e due viaggi, di cui inspiegabilmente non ho fatto alcuna menzione. Inspiegabilmente...in realtà la spiegazione c'è ed è abbastanza semplice: l'unico momento in cui posso mettermi a scrivere quando sono in viaggio è la sera, ma le giornate sono talmente fitte, dense, che non appena entro in camera devo già uscirne per andare a cena e una volta tornato dopo aver mangiato collasso irrimediabilmente senza nemmeno riuscire a provare ad accendere il pc. Con Inter campus le giornate erano intense, ma, va ammesso, più...umane, con anche del tempo libero che potevo gestirmi come meglio volevo. Qui invece da quando atterro nel paese a quando saluto sono rapito dalle mille attività e di tempo per scrivere ne ho sempre pochissimo. Mi ritaglio giusto degli attimi per allenarmi quotidianamente, altrimenti impazzirei, ma di altro tempo non ce ne è.

Oggi ne approfitto perché sono appena arrivato: partito questa mattina alle 6 da Milano, scalo a Bruxelles, volo infinito verso Chicago e quindi ultima tratta di quattro ore (giuro, ho avuto una crisi in volo: volevo scendere! E non potevo nemmeno alzarmi, perché è stato tutto un ballo il volo)  per giungere a destinazione, Belize, alle ore 17:25 ora locale, non ho capito se mezzanotte e venticinque in Italia o l'una e venticinque. Insomma, quasi 24 ore dopo essermi svegliato. Ora sono le 19, sono distrutto, ma voglio aspettare a svenire nel letto, per evitare improvvisi e antipatici risvegli notturni da jet leg, per cui mi diletto con la tastiera. Dicevamo, Belize...pensare che ero convinto fosse uno stato del Messico e non uno stato indipendente, prima che mi chiedessero di organizzarmi per partecipare alla missione. Quanta ignoranza. 

Invece è uno stato sovrano, piccolissimo, il più piccolo del centro america, il meno abitato e quello con la densità di popolazione più bassa di tutta la zona, ma pur sempre uno stato membro della FIFA, per cui, eccomi qui. 

Devo ammettere che se già sono nostalgico normalmente quando sono costretto a lasciare le bimbe per i miei viaggi, salutarle dopo quasi venti giorni in vacanza, 24 su 24 insieme, dal risveglio all'addormentamento (cazzo, come dovrebbe sempre essere!), è stato complicatissimo. E ancora più complicato sarà ora gestire questa settimana senza le smorfie di Maggie e gli abbracci di Anna, ma soprattutto il conseguente rientro a casa. Non ho nessuna voglia di tornare alla routine quotidiana causa fine ferie: sveglia, mezz'ora con loro, le accompagno a scuola e poi ciao, fino alla sera e così fino all'agognato week end, quando finalmente tornano a essere tutte per noi. Naaa, non è mica giusto. In questo modo i nostri figli sono cresciuti dagli educatori, dalle maestre, dagli allenatori dei corsi sportivi che frequentano, mica dai genitori. Cazzo, su 15/16 ore della nostra giornata, ne trascorriamo insieme non più di tre! Non vorrete farmi credere che è giusto così? Certo, funziona così il mondo, ma questo non significa che sia corretto così. Ma ancora una soluzione non l'ho trovata. Chissà, magari qui in Belize sanno consigliarmi...