venerdì 19 dicembre 2014

Immagini brasiliane


Juri in porta...non il nostro Juri...anche se...


in campo col gioco dei colori...


Vedute carioca!

Si ringrazia il fotografo della missione, Stefano Capellini.

martedì 16 dicembre 2014

Special guest: Juri "boiola" Monzani!!!

Nuovo viaggio con il blogger ufficiale di InterCampus, il Mister Alberto Giacomini… Ed eccomi qua, nella mia consueta (si fa per dire) rubrica: “Sei stato a Rio con Alberto se…”

-    Sei stato a Rio con Alberto se anche tu hai arato il lungomare di Flamengo con ripetute ed esercizi di forza ad andature mai viste prima

-    Sei stato a Rio con Alberto se più di una volta hai, tristemente, creduto di essere al fronte, anziché in una favela

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai imparato a memoria la canzone “Carro” di Elio e non potevi fare a meno di cantarla a tutte le ore del giorno (e della notte)

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai ricevuto una media di 873 domande in portoghese dei bambini delle comunità, a cui dovevi dare una risposta, spesse volte la stessa… Il bello di Intercampus è anche questo!

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai fatto i conti della giornata di Fantacalcio sulla tazza del cesso, sperando invano di vincere, insultando i tuoi avversari

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai scoperto che esiste il vagone metro dedicato alle donne

-    Sei stato a Rio con Alberto se ti sei ustionato testa, braccia e faccia grazie ai 42 gradi all’ombra dell’estate Carioca

-    Sei stato a Rio con Alberto se hai ripercorso tutti gli attimi de “L’allenatore nel pallone” percorrendo le strade della città

Per concludere ne approfitto per fare tanti auguri di buon compleanno al vecchio Giacomini che oggi compie la bellezza di 36 anni (anche se lui dice 26...)!!!

lunedì 15 dicembre 2014

L'angolo dell'allenatore carioca

L’angolo dell’allenatore
Parlare di “allenatore" in questa parte del mondo mi viene difficile, per lo meno considerando i miei canoni, il mio modo di intendere questa “attività”, per alcuni fortunati, questo mestiere. Ma…in questa parte del mondo? Scusa, mister, ma che differenza c’è tra Jardel e l’anziano signore che a Milano guida la squadra piccoli amici del quartiere dove è cresciuto e dove ha la sua attività di pescivendolo? O tra Veloso e l’ex calciatore di serie c che conclusa la carriera per il solito, gravissimo e “stronca carriera” infortunio, riversa le sue “conoscenze” e competenze ultraterrene sul campo dove ha calciato i primi palloni, allenando la squadra allievi, tra bestemmie, corse attorno al campo, stretching in qualunque forma e ricordi sbiaditi di quando giocava? Poche, pochissime differenze, in effetti: entrambi presuntuosi, entrambi impreparati, entrambi abili a ridar vita sul campo ora con i giovani agli allenamenti in bianco e nero di gioventù calciatrice, ma entrambi appassionatissimi e disposti a dedicare il proprio poco tempo libero a bambini, giovani, adulti, in forma del tutto gratuita (anche se qualcuno qualcosa riceve), nonostante mogli per nulla accondiscendenti, condizioni proibitive e difficoltà ogni giorno crescenti. Quindi? Ci si accontenta e si ringrazia, chiudendo non uno, ma entrambi gli occhi di fronte all’ennesima seduta strutturata con un maledetto riscaldamento classico, o con una serie di esercitazioni miste, con diversi obiettivi, senza progressione didattica, senza logica, messa in atto giusto per non limitarsi alla sola partitella? No, non ci sto, cacchio! Ringrazierò sempre queste persone, così innamorate della palla e così ben disposte nei confronti dei propri ragazzi, per la loro dedizione, per il loro impegno, ma la loro responsabilità è troppo grande, il loro ruolo nei confronti dei giovani è troppo importante per poter lasciar correre e far finta di niente e allora, tutte le volte, ci riprovo, riproviamo: un passo alla volta, concetto dopo concetto, esercitazione dopo esercitazione, incontro dopo incontro, proviamo a cambiare qualcosa nel loro modo di concepire, di vivere l’allenamento e…chissà, prima o poi riusciremo anche a mettere in piedi anche a Rio un vero e proprio corso di formazione come in tutto il resto del mondo inter campus. E dopo questa visita sono ancora più speranzoso: già, perché questa volta ho intravisto “una luce in fondo al tunnel”, ossia ho visto più attenzione, più interesse, miglior predisposizione da parte di alcuni nei confronti delle nostre proposte, delle nostre richieste, quindi…shhhh!!! Diciamolo sotto voce…Quindi magari qualcosa sta cambiando…shhhh!!! Parla piano, mister...

venerdì 12 dicembre 2014

Pelada final

Pelada final!

“Voce gioga muito!!!”, “Quel craque! direttamente da Italia”, “voce corre muito”…alcuni dei commenti dopo partita!!! E godo. Cazzo se godo! Qui in Brasile il calcio è una religione e il mio non è un modo di dire: più giochi, più sai giocare, più sei considerato, sei ascoltato, sei rispettato e per cercare di far entrare nelle teste dure e presuntuose dei nostri allenatori “pentacampeones” queste partite in cui sfogo la mia passione mi servono. E a prescindere dagli aspetti legati al mio lavoro… godo comunque! La peladinha finale, ossia la partita con tutti gli allenatori, è sempre utile e necessaria, come già detto più volte, ma soprattutto è divertente: è bellissimo giocare a calcio! Ed è da tutta la mia vita che vivo questa magia, come tanti altri tra noi: ore e ore  passate da piccolo a giocare in ogni dove e ad ogni ora: il Giambe che passava a chiamarmi alle 14, palla in mano, Alone in porta e via, tutto il pomeriggio ad inventarci sfide in 1<1 (li si che si lavorava su tecnica di base, tecnica applicata e tattica individuale!!! Mille occasioni per ricevere, condurre, calciare, per dribblare, tirare in porta, prender posizione, difendere la porta…e partendo da quei ricordi ho ripensato ora, da allenatore, a strutturare esercitazioni di ogni tipo!) monopolizzando una porta del campo dell’oratorio, ceduta solo quando si doveva, voleva, andare al campo per gli allenamenti. Crescevo, ma le cose cambiavano poco per me, pur cambiando i “compagni di giochi”: loro, infatti, man mano perdevano questa magica passione, sostituendola con altri interessi, ma in me, invece, questo fuoco cresceva di intensità, anno dopo anno! E così eccomi al liceo, guarnito di fughe dalla classe per andare a Monzello agli allenamenti, con la prof di chimica attaccata allo zaino per cercare di non farmi uscire, incurante delle mille note e richiami subiti per il mio menefreghismo di fronte a tutto ciò che non era sferico e cuoiuto: io voglio giocare! Non mi interessava dove, a che livello, con chi: allora come adesso, a me interessava inseguire la palla e calciarla, forte, precisa, col giro o pulita. A me interessava la palla!!! Mi parlavano di rinunce, di sacrifici…mai vissute come tali le mie scelte, prese per giocare:  sabato a casa, ritiri, vacanze interrotte due settimane dopo la fine della scuola, capodanno ridotto, una volta con ripresa degli allenamenti l’1 gennaio alle 10… Nulla mi interessava: volevo, voglio, giocare, quindi…Già, voglio giocare, anche ora, perché pur ormai cresciutello, rimango sempre ammaliato da quell’oggetto sferico, oggi causa di liti a ripetizione con Silvia, come prima punto di scontro con mamma (papà meno, assecondava molto di più la mia passione), poiché fonte di distrazione dalla scuola (e aveva ragione, cacchio se aveva ragione, poverina!!!): c’è un amico da vedere, ma c’è una partita da giocare a meno tre gradi, su un campo nel mezzo della steppa, la mia scelta è sempre la stessa: si gioca! C’è un film da vedere tranquillamente a casa, al caldo, con lei, come ci succede raramente vista la mole di viaggi, ma qualcuno mi chiama per un torneo da qualche parte, be’…mi piace da matti star con lei, altrimenti non l’avrei sposata, ma quella palla…cazzarola! Che casini che combino sempre per colpa sua!!!
E questa cosa non la si capisce, non la si può capire, se non si è rimasti folgorati da piccoli dall’incontro con quell’affare rotolante e questa dipendenza accomuna me a tanti altri calciofili del mondo: penso ai colombiani con cui ho giocato alle 6 del mattino, prima di lavorare, ai prof ugandesi, di ogni età e stazza, che nonostante tutto giocano e amano giocare, o a questi brasiliani, ex giocatori ancor oggi impegnati in questo o quel torneo tra favelas, o ai miei compagni di gioco italiani, alle 23 sui campi di Vedano o Milano, con la neve, la pioggia, la grandine, pur di colpire il pallone! Marco, mio fratello, Lillipuz, Galbio, Roby Monzani, Dado Manfre, Il Dilly…siamo in tanti, colpiti dalla stessa malattia!!!

 Non so donare la felicità ad un bambino, ma posso sempre regalargli un pallone!!!

mercoledì 10 dicembre 2014

Favela, la città nella città.

Guerra in favela!


Il rituale è sempre lo stesso: entri in favela, quindi abbassi i finestrini per farti vedere, accendi la luce interna nel caso in cui sia buio e avanzi lentamente tra le sue intricate vie per farti ben vedere dalle varie sentinelle e salutarle una ad una, come se le si ossequiasse. Bip, un colpo di clacson, “vale Del”, la loro risposta; e via, verso la prossima. Così è da sempre, da quando abbiamo messo piede per la prima volta in questo micromondo parallelo che caratterizza Inter Campus Rio de Janeiro, ma questa volta qualcosa di diverso c’è, si scorge ed è difficile non vederlo: carri armati ad ogni ingresso, trincee, soldati in mimetica col casco e il fucile sempre puntato! Difficile non rendersi conto della novità! Se prima le armi erano “solo” in mano ai banditi delle varie fazioni che governavano le favela, con bambini vari che ci seguivano durante i nostri allenamenti dall’esterno con il loro bel fucile a tracolla, ora si è aggiunto l’esercito, cui fanno seguito le troupe d’élite, alcuni gruppi speciali della polizia e non so chi altro, per dare a tutto l’ambiente quel tono, quell’apparenza di Iraq che non guasta mai! Ma perché tutte queste persone armate? È la “pacificacao”, ossia il processo di pacificazione delle varie favelas di rio de janeiro: le favelas erano, alcune lo sono ancora oggi, in mano, governate, da gruppi criminali, con i quali l’esercito ha intrapreso ormai da quasi due anni una guerra; tale guerra in alcuni casi si è dimostrata vittoriosa, per cui i banditi sono stati cacciati e costretti a riversarsi in altre favela, ove hanno iniziato a loro volta una guerra con i gruppi locali dominanti, per rubar loro il potere e continuare i loro traffici. Quindi guerra tra esercito e banditi, guerra tra banditi e tensione altissima ovunque, con spari, morti e feriti quotidiani. Solo martedì scorso 4 soldati sono morti in uno scontro a fuoco proprio nella Marè, il complesso di favelas dove lavoriamo, e nei giorni seguenti altre piccole sparatorie sono scoppiate per le strade delle varie comunità (un proiettile vagante ha rotto un vetro della palestra di Del, in Cavalcante), generando un po’ il panico…anche tra noi! Io già ho il terrore delle armi, se in più sono accompagnate da militari e tank vari, l’ansia si estremizza! Ma mi fido di Del, Fabinho e dei vari “favelati” nostri compagni di viaggio, per cui se loro mi dicono “tranquilo” ricaccio un po’ le mie paure e mi tuffo in campo. Certo che vedere tutti quei soldati che mi fissano fuori dal campo, o incrociare una mini colonna di carri armati lungo la strada verso quello seguente, ogni tanto fa vacillare la mia fiducia negli amici carioca!


domenica 7 dicembre 2014

La Marè

Complexo de Marè

Con questa storia della pacificazione le favela sono diventate un vero campo di battaglia, una vera e propria trincea enorme, estesa su tutta la zona della Marè, il complesso di favelas dove siamo presenti. L’esercito, la polizia, dopo essere intervenuta nelle altre grandi comunità  dopo aver spazzato via da queste i vari gruppi di trafficanti, di banditi, si sta ora concentrando su questa realtà, quella della Marè appunto, dove si sono riversati tutti i banditi, cacciati dalle altre comunità e in cerca di un nuovo “terreno coltivabile”. E allora eccoli tutti qui, a prender possesso di questa o quella zona per mezzo di sparatorie, conflitti a fuoco vari, con l’esercito e la polizia alle calcagna, pronti a spazzar via tutti. Incredibile oggi arrivare alla Villa do pinheiro la mattina, con i tank ad accoglierci e gli spari ad accompagnare la seduta, o ancora spostarci nel pomeriggio verso la Baixa do Sapateiro, con almeno 20 soldati a bordo campo, armati di tutto punto, con elmetto e mimetica indosso, a fare da tifosi per i nostri bambini durante l’allenamento. Non avevo mai visto tante armi, tanti soldati, insieme. Eppure tutto sembrava normale agli occhi degli altri! La pagliacciata, come me l’hanno descritta loro, fa parte del quotidiano ed è ormai parte della routine quotidiana, così come la morte del soldato o del bandito nel corso dei vari conflitti a fuoco che si scatenano durante il giorno: solo ieri sono morti 4 poliziotti nella Marè! Assurdo! E ancora più assurdo che se non vieni qui, non sai niente di tutto questo: quanti di voi, dopo il Mondiale e le superficiali notizie relative al processo di pacificazione delle favelas in corso, si ricordavano dell’esistenza di queste enormi sacche di povertà, di questi mondi paralleli, precedentemente governati da questo o quel gruppo armato, coi suoi traffici illeciti e le sue attività illegali? Quanti sapevano che ogni giorno, al calar del sole, all’interno delle varie favelas, si scatena una vera e propria guerra? I soldati oggi, sotto il ponte che divide Baixa do Sapateiro da vilha do alemao erano dentro una trincea, con carri armati al fianco!!! Cacchio, pensavo di essere in “band of brothers”!!! Ma da noi di tutto questo non si sa nulla: forse questa cosa è ancora più assurda! 
Va be’, comunque noi si va avanti: oggi allenamenti regolari svolti nelle favela, col solito disordine, la solita malaorganizzazione brasileira, ma allo stesso con la solita passione, allegria, spensieratezza, tipica, unica, di questa gente.
 E finché ce lo permetteranno sarà sempre utile tornare da queste parti e togliere, per un attimo, dalla strada le nostre centinaia di bambini, per cancellare dai loro occhi l’immagine di fucili, carri armati, soldati e dalla loro testa la tensione, la paura, il timore che tutto questo porta con se’. Potere di una palla e di una maglia, la nostra!

sabato 6 dicembre 2014

Di corsa verso Rio, senza passare dal via

Rio de Janeiro

Rieccoci qui, Rio de Janeiro, dove il progetto prende forma nel complesso denominato Marè, costituito da 14 comunità, 14 favelas, una sorta di quartieri...diciamo particolari! Qui interveniamo per attirare i bambini in campo e allontanarli così dalla strada e da tutto quello che essa offre in una realtà complicata e povera come quella della favela, appunto, qui giochiamo quindi con bambini "favelati", bambini che vivono quotidianamente a contatto con la violenza, con adulti non esattamente di matrice oxfordiana, con armi di vario genere e dimensione sotto gli occhi, se non sotto mano, insomma, qui giochiamo con bambini di difficile gestione, di difficile controllo, pur tutti innamorati perdutamente come me della palla! È da un po' che calco i campi di questo mondo e mi sento ormai carioca dentro: viaggio dopo viaggio questa città, questo progetto, questa gente, tutto esercita su di me un fascino suo, particolare, che mi strega. Sarà lo svegliarsi e l’allenarsi con il Corcovado davanti e il Pão de Açúcar a sinistra, sarà il lungo oceano, sarà il sole, il caldo, che sempre accendono in me risorse energetiche impensabili, sarà la parlata cantilenata, cadenzata, di bimbi e allenatori vari che mi piace da matti, sarà…sarà quel che sarà, ma…voltar a Rio è sempre bellissimo! Anche se…già, perché ci deve pur essere una nota negativa…anche se dal punto di vista strettamente tecnico, da allenatore, questo progetto ha sempre delle falle incredibili, che nemmeno in Chiapas ho trovato: totale disorganizzazione da parte dei mister, materiale praticamente inesistente, alcuna educazione all’allenamento mostrata dai bambini che rispecchia l'assoluta latenza dei mister, insomma un mezzo disastro che si prolunga nel tempo e non da’ segni di cambiamento, di miglioramento, visita dopo visita. Già, loro sono pentacampeones e non hanno bisogno di saper come strutturare una seduta di allenamento; non hanno bisogno di conoscere metodologie diverse, non per forza migliori, ma differenti dalla loro; non hanno bisogno di vedere come allenare e divertire i bambini, pur con 5 palloni, 5 cinesini e 48 bambini. Loro sono pentacampeones e allora vai con code infinite di bambini per l’esercitazione, vai con una introduzione già analitica, noiosa e per nulla coinvolgente per i bambini, vai con una proposta legata ad un obiettivo e la seguente legata a un altro gesto tecnico. E a nulla, come sempre, sembrano servite le precedenti visite, i precedenti interventi, i precedenti suggerimenti: tutto è rimasto come 5 anni, quando per la prima volta misi piede in questo campo del mondo. Be’, no, dai, tutto, tutto no: qualche allenatore appassionato, umile e volenteroso lo abbiamo incontrato e con lui siamo riusciti a intraprendere un cammino, ma su 12 nuclei attivati nella sola città di Rio, nel solo complesso della Marè, è un po’ poco. Cacchio!!! Ma piuttosto che nigot...e allora si va avanti, si persevera e prima o poi riuscirò anche qui a dar vita ad un intervento teorico, in aula. Ne sono convinto. E magari già questa volta qualche passo in avanti sarà mosso!

giovedì 4 dicembre 2014

L'angolo dell'allenatore...cubano.

L’angolo dell’allenatore

Giocare con gli allenatori è sempre utile, da parte mia, per avere un’idea più completa delle persone con le quali si collabora, non solo dal punto di vista strettamente tecnico, ma anche umano; il campo, la palla da inseguire, la collaborazione richiesta dal gioco, la competizione, sono tutti ingredienti che portano la vera indole, il vero se’, ad uscire, a manifestarsi sinceramente, senza filtri, maschere, mostrate grazie all’intervento della ragione e del pensiero. No, quando si gioca non si pensa a come comportarsi, non si pensa a come apparire di fronte agli altri se si perde la palla se si subisce un gol, se un compagno sbaglia: no, no, quando si gioca il sangue va quasi totalmente ai muscoli e solo limitatamente al cervello, quindi quello che viene fuori è il nostro vero io, è la persona nella forma più vicina alla realtà. Per questo, quindi, punto sempre a organizzare una partita coi mister prima della fine di ogni missione (oltre che per il fatto che stare senza giocare per più di una settimana mi viene molto, ma molto, difficile…), quindi oggi, dopo la mattinata di corso finale, conclusa con il test, dopo il torneo con tutti i nostri bambini coinvolti, tocca a noi, italiani e cubani insieme, inseguire quella palla. E allora eccoci in campo, con Alex, sempre sorridente e organizzatore delle cose in campo, vero leader positivo del gruppo, non a caso referente per quanto riguarda il progetto nella sola Habana; con il solito fenomeno di Granma, intento più alle giocate individuali, a fare il fenomeno, che a giocare con gli altri, così come da allenatore punta più agli aspetti agonistici, che a quelli strettamente educativi; Joanis, la ragazza, diligente e ordinata in campo, con la giocata sempre facile ed efficace a disposizione, come quando da allenatrice organizza metodicamente la seduta e, anche se senza grande “cuore”, riesce a dar forma a sedute ben strutturare e fedeli al nostro metodo, o ancora Lazzaro, onesto gregario, difensore ordinato e diligente, che rispecchia perfettamente il suo ruolo di responsabile di tutto il progetto inter campus sull’isola. Insomma, quello che siamo come allenatori, lo siamo spesso prima come giocatori e quello che si può desumere dopo questi giorni di corso e questa partita è che su questi campi del mondo, i nostri mister sono di buona qualità: hanno tutti una grandissima preparazione teorica, essendo tutti professori di educazione fisica, sono tutti molto interessati all’argomento “allenamento”, mancano un po’ tutti di “passione pura”, di amore sincero per il gioco, interpretato solo come fatica e sudore, ma…ad averne così!!! Bello, son proprio contento della missione cuba, per quanto riguarda il campo, gli aspetti tecnici: siamo sulla strada giusta e stiamo cambiando, poco per volta, l’approccio all’allenamento dei nostri introducendo un metodo nuovo, diametralmente opposto a quello diffuso, su questi campi, quindi…hasta pronto, Cuba!

mercoledì 3 dicembre 2014

Estadio Pedro Marrero

Ok, quello che ho realmente in testa non posso portarlo alle dita per fissarlo su questo schermo, quindi mi limiterò a dire che questo non è stato un viaggio Inter Campus tout court secondo i miei intendimenti...ma va bene così...più o meno.
Estadio Pedro Marrero, giorno 2: dopo aver tritato con il prof il marciapiede del Malecon, eccoci anche oggi di fronte ai nostri allenatori, pronti per portare avanti le cose, per addentrarci nel mondo dell’allenamento. E qui ci si può spingere ben in fondo alle cose, visto il livello di partenza dei nostri mister, anche se…anche se i “profe”, come li chiamano qui, cubani hanno grandissima preparazione teorica, ma molto “cattedratica”, molto universitaria e classica, che non contempla, non inserisce tra i suoi programmi nuovi aspetti, i nuovi studi legati alla metodologia di allenamento. I mister qui sono tutti dei seri e rigidi preparatori atletici, usciti da non si sa bene quale porta spazio temporale che dalla Germania Est degli anni ’80 li ha catapultati su questo paradiso caraibico. Tutti pieni di teorie e studi sullo sviluppo della forza esplosiva, della forza elastica, delle capacità aerobiche, della flessibilità, ma che di fronte a bambini dai 6 ai 12 anni non sanno adattare le proprie competenze, le proprie conoscenze e propongono loro gli stessi allenamenti degli adulti, gli stessi contenuti, per cui…per cui sui campi di Cuba vedi bambini di 8 anni in fila indiana costretti a corse intorno al campo, farcite di esercizi di mobilità articolare; oppure puoi scorgere squadre di “nani” ferme, intente ad allungare questo o quel gruppo muscolare, annoiandosi e pensando a tutto, fuorché al gioco del calcio; o ancora file interminabili di bimbi impegnate in allunghi o ripetute brevi, con sul volto scritto tutto il loro disappunto e la loro voglia di divertimento. Ma qualcosa si sta muovendo, qualcosa inizia a cambiare: a furia di dimostrar loro come anche un riscaldamento divertente e ludico possa raggiunger gli stessi obiettivi di quello classico, includendo aspetti non solo motori, ma anche cognitivi, sociali ed emotivi, qualcosa nelle loro teste sta entrando e la loro rigida, rigidissima, visione delle cose, dell’allenamento, lentamente sta mutando. Certo, poi ti chiedono comunque dopo un gioco iniziale dedicato allo sviluppo della lateralità, al correre, al saltare con stimoli visivi e uditivi, fino a quanti battiti posso arrivare con i miei giocatori (avevano 8 anni…) con tale esercitazione, ma se non altro i bambini sorridevano ed erano coinvolti e divertiti. E comunque la colpa, o meglio la causa di tutto questo non è legata a loro, ma a coloro che li hanno formati, a coloro che hanno loro inculcato questa concezione militaresca dello sport, quale sunto di disciplina estrema e fatica, aliena a qualsiasi forma di divertimento. E questi a loro volta istruiti, formati, da un sistema, da una società, chiusa, rigida e legata ad un’utopia anacronistica, che non permette l’accesso a nessuna delle nuove teorie dell’allenamento e della formazione. E così…tocca a noi! 

martedì 2 dicembre 2014

Primerio dia en L'Habana

Primero dia

Sveglia, corsa sul Malecon e poi via, di corsa, allo stadio Pedro Marrero, per la lezione mattutina e l’allenamento pomeridiano. Tutto d’un fiato, tutto senza sosta, ma tutto positivo, molto positivo. Ora però riprendiamo fiato e qui, sul mio letto, nella casa particular che ci ospita, ripercorriamo a ritroso la giornata, giusto per fissare nella mia mente gli accadimenti, per cercare di rianalizzare ciò che oggi ho solo “fatto”, ma che ora vorrei rendere “vissuto”. 
Dunque, si diceva: sveglia ore 7 e in un quarto d’ora col prof mi ritrovo sul Malecon, questo grande viale che corre lungo la baia della capitale, a doppia corsia per senso di marcia, con un largo marciapiede battezzato anni fa nostra “pista per la corsa”. Le onde alte che si infrangono sugli scogli mi bagnano coi loro schizzi, mascherando così il sudore che copioso adorna il mio volto e il mio busto, un po’ per l’umidità della giornata, un po’ perché il prof va a mille e stargli dietro è super allenante!!! ‘Azz, che treno: la corsa rigenerante di oggi, strutturata per riattivare il nostro corpo dopo le 11 e più ore di viaggio di ieri con lui a dettare il passo diventa una seduta aerobica ad alta intensità, ma son contento così. Mi piace veramente da matti correre con il mio prof preferito! Sudati, anzi bagnati dalle onde alte dell’oceano, rientriamo a casa, doccia e caffè del nostro nuovo padrone di casa, Eujenio, un ragazzo di 32 anni che sembra mio nonno, simpatico e gentilissimo, che insieme alla moglie Olga gestisce questa casa particular sita in Calle Industria, a due passi dal Campitolio. Docciati e rifocillati, si parte: io e Silvio da soli, condizione costante di tutto il resto della missione capirò più tardi (nota aggiunta in seguito, rileggendo n.d.a) ci muoviamo verso l’estadio Pedro Marrero, dove ad addenderci ci sono 14 allenatori che saranno la nostra classe per i prossimi tre giorni. Alcuni, molti, li ho già visti, li ho già incontrati, per cui mi sento subito a mio agio, sono subito “a casa” anche in questo lato di mondo e in breve iniziamo a introdurre il nostro corso, che, dopo le prime domande da me poste ai mister, per capire i livelli di conoscenze degli stessi, capiamo subito dovrà essere stravolto! La nostra idea di proporre un approfondimento legato all’insegnamento dei principi della tecnica applicata, attraverso i quali continuare il lavoro di stimolo dello sviluppo positivo di tutte le aree che concorrono alla definizione della personalità di un bambino, si rivela presto inadatto, prematuro, per questo gruppo: bisogna fare non uno, ma tre passi indietro, per proporre loro qualcosa di utile, di fruibile, di adatto. Uno sguardo col prof, due parole in italiano per non farci capire e…via, si cambia! Partiamo da loro, sentiamo le loro esigenze, sentiamo i loro problemi reali sul campo e attraverso le risposte che saremo chiamati a fornire cerchiamo di affrontare le quattro aree! Questa la nostra decisione e…alla grande! La lezione scorre veloce, intensa e con grande partecipazione da parte di tutti, ma il bello deve ancora venire ed è, come sempre, il campo: 30 bambini, di età differenti, dagli 8 agli 11 anni, sono il “materiale umano” che ci mettono a disposizione i mister locali; 10 palloni, una trentina di coni, il “materiale a nostra disposizione e con questi bambini riusciamo a dar vita ad una splendida seduta di allenamento sulla guida della palla, coinvolgendoli tutti in un gruppo solo, tenendo alta l’attenzione di tutti e ricercando, in ogni fase, il miglioramento del gesto tecnico della guida e di tutte le aree. Insomma,uno spettacolo e questa cosa mi fa capire quanto sia importante per me allenatore avere un Silvio come assistente in campo: fundamental!!!

domenica 30 novembre 2014

L'Habana!!!

Hasta Inter Campus, siempre.

Due viaggi in uno hanno inizio: Cuba prima e Brasile poi, per chiudere al meglio questo primo semestre di viaggi, di corsi, di allenamenti e di maglie neroazzurre distribuite…sui campi del mondo. 
Come sempre negli ultimi anni arrivo a fine semestre a pezzi, stanchissimo fisicamente e mentalmente, ma in più a questo giro al normale cumulo di “acido lattico” va sommata la situazione non proprio chiarissima al nostro interno, che riguarda il nostro futuro, che porta altre forme di stanchezza, altri "carichi di lattato” che si aggiungono, si accumulano e mi portano ora come ora a sentirmi veramente in overtraining!!! Per fortuna sono gli ultimi due: dal 5 dicembre mi fermerò a casa e potrò così scaricare un po’, anzi ricaricare un po’ le batterie, in vista del prossimo altrettanto intenso e impegnativo anno. 
Ora però corpo e testa alla missione: Cuba, L’Habana per iniziare, corso dedicato ai nostri allenatori la mattina e allenamenti pomeridiani; le mattine dedicate allo sviluppo delle quattro aree attraverso il “normale” allenamento e i pomeriggi per dimostrare in campo ciò che abbiamo teorizzato la mattina. Come al solito, dunque, menù completo e alte aspettative dei misters da soddisfare, i quali qui come da nessun’altra parte, si dimostrano sempre preparati e competenti…per lo meno in teoria, rendendo così ai miei occhi particolarmente piacevole il progetto su quest’isola, nostalgica rappresentante di un sistema ormai ridotto a semplice e, perché no, lontana utopia.
Si parte, quindi: hasta inter campus sigue!

giovedì 20 novembre 2014

Pictures...


La consegna della maglia è sempre speciale! Quando poi è neroazzurra...


Minchia, Jennifer!!!


Due tiri con DJ!!! 



Ciccio bombo cannoniere!!! Segna ed esulta alla grande! Mitica!


martedì 11 novembre 2014

L'angolo del mister...newyorker

Suggeriamo musica anche sto giro: "Kronologik", cypress hill

Ne abbiamo di strada da fare!
Caspita se ne abbiamo.
I nostri allenatori in questo angolo di mondo sono più animatori da oratorio che altro, abituati a preparare un campo di gioco, accogliere i bambini e lasciarli giocare, senza obiettivi, senza percorsi da seguire, senza insegnamenti da lasciare. Gioco, gioco puro, libero e incondizionato, come se fossero al parchetto in compagnia solo degli amici, ma con la supervisione dell'adulto, pronto a intervenire in caso di bisogno e, soprattutto, con i palloni e i cinesini a disposizione. E cambiare questo loro approccio alle cose non si sta rivelando semplice: in fin dei conti così facendo, secondo il loro punto di vista, danno comunque un "luogo alternativo" alla strada ai bimbi di Inwood, quindi comunque stanno intervenendo positvamente sulla loro vita, quindi perché complicarsi le cose e iniziare a pensare ad area emotiva o cognitiva, a fase analitica o situazionale, a calciare, ricevere e condurre? Mi viene da dirgli, perché ormai siete inter campus, ma non tutti vogliono ascoltarmi. E allora...e allora la prima visita gli ho presentato una serie di esercitazioni ludiche, utili per dare ai bambini qualcosa in più della semplice palla, la seconda ho iniziato, insieme ad Andrea quella volta, ad introdurre la divisione in gruppi per fasce d'età e la strutturazione dell'allenamento secondo la nostra metodologia e questa volta mi sono concentrato, ero solo, sulla definizione delle squadre, sugli orari di allenamento, sulle modalità attraverso cui dar forma alle sedute. Ora, da qui, martellerò David e Ray per avere report degli allenamenti e capire quindi se i gruppi davvero lavoreranno sul campo, o...giocheranno e basta. Certo è che non mi aspettavo una situazione del genere e così tante difficoltà nel cambiamento.
Situazione, la nostra, unica, perché avendo avuto la possibilità di seguire gli allenamenti del Manatthan soccer accademy, mi son reso conto che il livello non è così pessimo. Anzi. In questa accademy le proposte dei mister sono state valide, intense e ben gestite, anche se...cacchio, senza obiettivi condivisi. Tante belle esercitazioni, ma non legate le une alle altre, non pensate per portare uno sviluppo nelle abilità del bambino: tanti obiettivi insieme, un gran bel rebelot, ma, per me, poco funzionale agli obiettivi di una scuola calcio. Per me, però...e se fossimo noi a sbagliare approccio?

lunedì 10 novembre 2014

The river

The river

Quand’ero più giovane leggevo un sacco di fumetti e uno dei tanti che contribuiva alla mia folle spesa mensile era ESP, la cui particolarità era consigliare della musica da abbinare alla lettura dell’albo. MUSICA, vera, speciale…almeno per me. Prendo spunto da questa reminiscenza per consigliare l’ascolto della canzone che troverete seguendo il link, mentre scorrete le mie parole. 
https://www.youtube.com/watch?v=nAB4vOkL6cE

Fa freddo, cacchio, fa freddissimo e certo essere in questo parco, lungo il fiume Hudson certo non facilita l’avvento di una temperatura più sopportabile. Ma è qui che facciamo allenamento: InWood Park, all’estremo nord di Manatthan, in un parco pubblico che affaccia sul New Jersey, nascosto là dietro, là in fondo, dietro quei coloratissimi boschi, arancioni, gialli e verdi, che fungono da confine tra i due stati. Il fiume in mezzo, enorme, pienissimo in questi giorni, grigio e…freddissimo anche lui! Osservarlo mi raffredda ancora di più, vederlo scorrere lentamente, ma con vigore, mi fa rabbrividire, eppure da quando metto piede nel parco non posso non guardarlo: l’acqua, la corrente…non so che cazzo devo aver assunto oggi, ma il corso d’acqua mi incanta e scatena una tempesta di pensieri nella mia testa.

"We'd go down to the river  
And into the river we'd dive 
Oh down to the river we'd ride " 

Stop Albe! Bisogna rimandare: ora c’è da tornare su questo lato del fiume e preparare la giornata qui, a Inwood, al freddo e al gelo! È qui, infatti, che oggi diamo ufficialmente il via alle attività, con tanto di stampa, sponsor (pirelli) e autorità varie a dare un po’ di “colore” all'evento. Non son propriamente questi i miei momenti preferiti, ma…fermiamoci qui. Sotto con i campi, le maglie, i tavoli.
I bambini arrivano piuttosto puntuali rispetto alle loro abitudini, alla loro sudamericanissima consuetudine, per cui più o meno in orario rispetto alla tabella di marcia diamo inizio alle cose: Youri ringrazia, l’amministratore delegato di Pirelli America parla, il congressman (un personaggio che sembrava uscito dai Robinson!!!), l’ambasciatore italiano alle nazioni unite parla, Franco fotografa, gli operatori riprendono…insomma, tutto perfetto e alla fine, con quel poco di sole presente durante la giornata che ci abbandona del tutto e un vento gelido che ci accompagna, riusciamo a dar vita anche a un mini torneo sul campo “adornato” per l’occasione da centinaia di cacche di oca! È buio, buissimo, ma Ray, su mandato di Youri, dopo che alla fine del primo allenamento della settimana avevo fatto richiesta, ha recuperato due mega luci di quelle che si usano per i lavori stradali, quindi…click! Fiat lux! E anche i bambini possono giocare e finalmente scaldarsi un po’, dopo aver preso un sacco di freddo. Un po’ di casino sui tre campi che ho disegnato, tra fotografi, telecamere e personaggi vari che occupano i già angusti spazi adibiti a terreno di gioco, per cui il torneo si trasforma in partite a raffica, con minime soste per evitare l’assideramento, con l’obiettivo di far divertire e far giocare il più possibile i nostri giocatori. 

venerdì 7 novembre 2014

first day in N.Y.

First day in New York

Non essere riuscito a correre oggi proprio non mi è andata giù! Mi ha segnato la giornata; ma quando è suonata la sveglia alle 5:45, puntata per uscire ad allenarmi, e con estrema fatica mi sono alzato dal letto, per trascinarmi in bagno, dove ho incrociato la mia faccia distrutta riflessa nello specchio, ho deciso in un momento di lasciar stare per oggi e di rituffarmi nel letto per un’altra ora! E ora pago le conseguenze della mia pigrizia, perché il mancato allenamento mi è pesato tutto il giorno sul groppone: umore negativo, stanco fisicamente e poco brillante. Che mi serva di lezione! Per fortuna nel pomeriggio mi catapulto in campo e riesco a rimettere in piedi un po’ le cose: 52 bambini, 6 palloni e non so quanti cinesini, comunque pochi, mi costringono ad attivarmi mentalmente e fisicamente per riuscire a dar forma ad una seduta efficace e divertente, quindi in un’ora e mezza sul campo riesco almeno in parte…ad allenarmi. I bambini sono cresciuti dall’ultima volta e soprattutto i più piccoli, hanno fatto un grande balzo in avanti sotto il profilo dell’educazione all’allenamento: ora sanno muoversi in uno spazio delimitato, rispettano le file, capiscono le progressive difficoltà dell’esercitazione, tanto che con loro son riuscito a spingermi ben oltre il limite che mi ero posto in sede di preparazione della seduta, aumentando notevolmente il carico cognitivo delle proposte rispetto a quanto immaginato. L’allenamento durante l’anno sta dando i suoi frutti, nonostante comunque sia evidente che la seduta proposta normalmente non sia ancora…Inter Campus a tutti gli effetti. Osservando le intensità che riescono a tenere e lo stupore, ripeto soprattutto dei più piccoli, di fronte ad alcune proposte, mi risulta piuttosto evidente che il modello di allenamento non sia proprio il nostro, ma…siamo qui apposta. 
La luce purtroppo svanisce presto e i miei interventi sui vari gruppi devono concludersi troppo presto, per i miei gusti, ma sono costretto a fermarmi perché qui non si vede veramente nulla! In questo parco pubblico nella zona di Inwood non ci sono certo i pali della luce e quindi una volta che il sole cala, le nostre attività devono fermarsi. Sembra poi che domani debba piovere e il campo non è in grado di “reggere” la pioggia, quindi in caso di acqua domani saremo anche costretti a sospendere le attività: sperem de no!!!

Nella grande mela

Nella grande mela!

Rieccomi nella grande mela! Ma perché mela? Si dice che la “colpa” sia di un grande cronista sportivo dei primi anni del novecento, che battezzò in questo modo, big apple appunto, l’ippodromo di New York, perché vincere alle scommesse in questo circuito significava guadagnare molto più che in altri posti, significava cioè aggiudicarsi, mangiarsi, la mela più grossa disponibile. Si dice…ma si dice anche, questa l’ho sentita oggi, che la mela, grande e grossa, era il compenso destinato ai musicisti jazz che si esibivano nel periodo del proibizionismo, nei locali di Manhattan (leggenda riportata anche da wikipedia) e da li, da quel compenso, deriva il nomignolo tutt’ora in uso che designa la città. Ma si dice anche qui: in realtà non so con certezza il perché di tale soprannome; quel che so con certezza è che ora mi ritrovo, a 8 mesi di distanza, nuovamente da queste parti, da queste fredde parti per essere precisi, per proseguire il cammino con i nostri bambini di Inwood, insieme a Djorkaeff e alla sua fondazione.
Sbarcati dall’aereo alle 19 locali, dopo 9 ore di volo, alle 21 siamo già in riunione con Ray per fare il punto della situazione in vista dei prossimi, intensissimi giorni: domani incontro presto, alla mattina, dall’altra parte della città (e non è certo piccola questa città!!!) con i ragazzi di American Scores, un’associazione che lavora con i bambini, unendo calcio e poesia, facendo cioè contemporaneamente giocare a calcio e imparare a scrivere, ma soprattutto a recitare, poesie, a bimbi dagli 8 ai 13 anni, quindi pranzo con Nader, partner di Youri nella fondazione, e allenamento pomeridiano a Inwood; giovedì mattina altro incontro e pomeriggio altro allenamento; venerdì mega evento con centinaia di giornalisti invitati, consegna delle maglie e torneo e sabato mattina altro allenamento, prima di partire per tornare a casa…casa…cazzarola, a ottobre ho fatto 16 giorni a casa e 15 fuori! Per forza settimana scorsa ho litigato di brutto con Silvia: non ci si vede mai, da quando è ricominciata la stagione! Da luglio ad oggi ho già fatto sei viaggi e nell’immediato futuro non sembrano migliorare le cose. ‘azz! Devo preparare un manichino con le mie forme da mettere in casa…

mercoledì 29 ottobre 2014

L'angolo dell'allenatore



Da questa visita vorrei iniziare a concludere le mie “memorie”, i miei racconti di viaggio, con delle brevi riflessioni esclusivamente tecniche, relative al lavoro sul campo, alle proposte realizzate e ai diversi “stili” di calcio che incontro nel mondo.
E qui, in occasione di questa missione, si toccano sempre due mondi diversi, due stili diversi, pur calpestando la stessa terra. Da un lato, quello israeliano, l’allenamento è impostato in maniera molto severa, rigida, quasi militaresca: partono subito con la palla, per quel che abbiamo visto anche nelle esperienza con i professionisti del Maccabi, ma non seguono un solo obiettivo nel corso della seduta, passando spesso da esercitazioni dedicate a un gesto, ad altre dedicate a un altro e prediligono proposte analitiche, senza grande cura degli aspetti ludici, del divertimento puro. Il loro punto di partenza è “il bambino con la palla si diverte a prescindere”, quindi non si curano di proporre gare, sfide, competizioni, non partecipano “emotivamente” all’allenamento, non sono in campo coi bimbi. Propongono, esercitazioni anche belle e interessanti, ma è raro vedere uno dei loro piccoli giocatori sorridere e manifestare quel divertimento dato per scontato per via della presenza della sfera magica. Questo loro “proporre da fuori” rende gli allenamenti un po’ sotto ritmo, con scarse intensità, e il fatto di privilegiare esercitazioni analitiche limita un po’ la capacità dei giocatori di imparare a risolvere situazioni di gioco, problemi con cui si trovano a fare i conti durante la partita.
Dall’altra parte del Paese, invece…è un gran casino! L’allenamento si svolge spesso con più di 20 bambini insieme, senza materiale, palloni che si contano sulla punta delle dita di una mano, e si limita, per quel che abbiamo visto in questi anni, ad un riscaldamento “classico”, ossia delle gran corse intorno al campo, con della gran mobilizzazione stile Valcareggi, seguito da un’esercitazione per lo più analitica poco definita e strutturata per via della carenza di materiale, con file chilometriche, e si conclude con la partita. Anche quando eravamo a Nazareth, la struttura era più o meno questa e anche li la disciplina dei ragazzi lasciava un po’ a desiderare.
In questi due contesti tanto diversi abbiamo quindi cercato nel corso delle missioni di portare da una parte il divertimento, proponendo esercitazioni iniziali molto ludiche, legate al consolidamento degli schemi motori di base o allo sviluppo delle capacità coordinative, e lavorando prevalentemente sui gesti tecnici, mentre dall’altra l’ordine, proponendo in maniera anche piuttosto rigida sedute di allenamento divise nelle nostre classiche quattro fasi, limitando al massimo i tempi morti e cercando sempre il massimo coinvolgimento dei giocatori nel corso dell’ora e mezza loro dedicata. E infatti si esce dal campo distrutti, perché…ci si allena insieme a loro tutte le volte, per raggiungere i nostri obiettivi. Ma ne vale sempre la pena!

martedì 28 ottobre 2014

special guest...

Mi piace far parlare, scrivere, i miei compagni di avventura, far si che anche altri descrivano, raccontino i campi del mondo. Oggi tocca a Gabri! Mi ha pregato di correggere, sistemare il pezzo, in ansia per la sua scrittuta scorreggiuta...io invece ho lasciato tutto così! Dal cuore alla mano, le parole escono in un flusso continuo, senza riflessioni o costruzioni artificiose. Grazie ciccio!

10 anni di amicizia e di Inter Campus

Gli anni passano ma la bellezza di conoscersi sempre più e la voglia di viaggiare insieme ci sono sempre.

Nell'ultimo mese abbiamo trascorso più tempo insieme che con le rispettive compagna , moglie e abbiamo avuto modo di parlare tanto e di confrontarci parecchio.

Come sai non amo scrivere ma alla tua proposta  di scriverti un articolo per il blog ho preso un po' di tempo e poi mi sono spinto nel farlo con molto piacere.

Non voglio soffermarmi nei racconti di viaggio perché i tuoi scritti sono sempre molto esaustivi e chiari quindi mi concentrerò sul raccontare altro!!!

Partiamo dalla Bolivia che come ben sai e' un paese che io adoro per tanti motivi: per le persone che ne fanno parte (Massimo, Veronica e tutti i bimbi che quando ci vedono ci fanno sempre grandi feste),la nuova apertura avvenuta due anni fa con il progetto in carcere e finalmente abbiamo potuto vedere insieme dove siamo arrivati e cosa dobbiamo e possiamo fare per migliorare e crescere.

Le difficoltà in Bolivia come ci siamo sempre detti è trovare persone adatte, nel nostro caso allenatori in grado di far crescere i nostri bimbi sul campo ma per fortuna abbiamo in Massimo una roccia sicura sulla quale contare e del quale fidarci per lo sviluppo del Progetto.

Che sia l'anno buono per partire con uno staff completo e determinato?
Me lo auguro perché è un progetto al quale ci tengo con tutto il cuore!

Durante questo viaggio sono stato un bel po' pigro, come sottolineavi sempre con molto precisione nei tuoi racconti, ma credetemi era troppo dura riprendere a correre in quelle condizioni caldo e cani a spasso per strada.. Il bello è arrivato in seguito...

Si ritorna dopo aver trascorso una settimana positiva e con ottime prospettive....

Il tempo di tornare, riposare,ripartire per un altro viaggio, questa volta divisi e via dopo meno di un mese siamo ancora in viaggio insieme Israele ci aspetta!!

Arriviamo e dire tutt'altra situazione troviamo rispetto al viaggio precedente ma non vi nascondo che io al contrario di Albe avevo un po' di paura prima di partire ma atterrati e iniziato a lavorare tutto è sparito.

Progetto impegnativo e certamente complicato, non è facile mettere insieme due realtà così vicine ma così distanti per mentalità e desideri, ma noi nel nostro piccolo ci proviamo e lo facciamo sul campo grazie ad un pallone e al nostro entusiasmo e a quello dei bimbi che ti da sempre una carica incredibile.
Insieme io e Albe ci sosteniamo sempre un sacco!!

Lezioni di Storia e di Catechismo in questo viaggio sono state spettacolari, Gerusalemme con i racconti e la camminata veloce per la città, in un'ora e mezza siamo riusciti a vedere un sacco di posti; mi è sembrato di tornare indietro ad uno dei primi viaggi insieme a Marrakesch.
Ricordo ancora la visita alla pelletteria, aveva lo stesso odore presente nella nostra camera dopo le corse sul mare...
Si avete capito bene le corse, questo viaggio siamo riusciti ad andare a correre 4 volte su 5 insieme (io al mio ritmo e lui al suo, non scherziamo!)
Volevo precisare che l'ultimo giorno ha avuto la pazienza di farmi da personal trainer.. Potete immaginare la sua faccia quando la gente ci superava..non stava nella pelle ma sono riuscito anche a fargli fare questo....

E comunque sono arrivato ad una conclusione: devo mettermi in forma perché ho un obiettivo da raggiungere!!!

Per concludere vi dico che le esperienze che abbiamo vissuto insieme in Inter Campus, sia in Italia che in giro per il mondo ci hanno dato forza, fatto crescere e ora siamo quello che siamo..
Abbiamo faticato, sofferto ma abbiamo sempre guardato avanti in modo positivo e continueremo sempre a farlo!!

Come avrete capito e letto non adoro scrivere ma è il cuore che scrive quindi spero di non avervi annoiato!!!

lunedì 27 ottobre 2014

Visit Israel!

“Perché siete venuti? Cosa fate qui? Perché andate anche in Tunisia? Avete amici da quelle parti? Anche in Marocco: perché? Mantenete i contatti con qualcuno in questi Paesi?” sempre le stesse domande, sempre le stesse ore buttate vie, sempre lo stesso antipatico atteggiamento inquisitorio dei soliti ragazzini della sicurezza. Tutti elementi questi che rendono ogni nostra visita un vero calvario, giusto per rimanere in tema. Tutte le sante, per forza, volte più di due ore a dire le stesse cose di sempre: “inter campus…progetto sociale…calcio…allenamenti…bambini…ghetton è il partner…” e questa volta mi hanno anche chiesto “da quanto tempo fai l’allenatore”??? Ma che cacchio te ne frega? Quasi vent’anni e allora? Dall’ascot triante ad oggi è passato un po’ di tempo: è valido? Madonnina, che rabbia! Il massimo, oggi, si è manifestato verso la fine dell’interrogazione stile Torquemada cui siamo stati sottoposti: uno di questi scemi ci si è avvicinato e ci ha detto con disprezzo che a lui non piace l’Inter…lui è tifoso, udite, udite, del “grande” Zenith San Pietroburgo!!! Ma va cagher, pirla! Scusa mamma, che si è lamentata del mio scrivere scurrile, ma è difficile non usare parolacce in questa circostanza! Ma soprattutto, che cacchio me ne frega di che squadra sei tifoso??? Avessi poi detto il Real Madrid…no, Zenith!!! Ma fa il bravo! Quando poi ci si è avvicinato un altro di questi scemi e in uno stentato italiano ci ha salutati con un “io odio l’Inter”, stavo per sbroccare! Perché lui è tifoso della Juve, ci dice mostrandoci la sua tuta contraffatta dei bianconeri! Ma che cacchio me ne frega a me!!! Ma per quale motivo mi devi avvicinare per dirmi che non ti piace la mia squadra"? Mi metto a dire in italiano, ridendo con Gabri della situazione surreale in cui ci troviamo. Ma che cacchio volete tutti quanti? Perché dentro questo aeroporto siete tutti così maledettamente antipatici??? Disgrazieto maledetto, come direbbe Canà!
Tutte le volte uscire da questo paese, ma questa volta anche entrare e muoversi al suo interno, visto che al check point di ritorno dalla West Bank ci hanno fermato e interrogato, è un’impresa. Ed è un dispiacere enorme, perché è un posto stupendo. Anche la sola Tel Aviv, tralasciando tutti i luoghi sacri e carichi di storia e fascino “turistico”: città giovane, sempre viva, a qualunque ora del giorno e della notte, con 5 km di spiaggia bianca e pulita, col mare limpido (non mi è ancora capitato di vederlo sporco)…bellissima e assolutamente a misura d’uomo. Vivere qui: caspita, più di una volta ci ho pensato. Sole e caldo almeno 9 mesi l’anno, calcio in sviluppo, spazi verdi ove allenarsi…bellissima veramente!

domenica 26 ottobre 2014

6 mesi fa...

JALIJULIA dopo 6 mesi

"Albe, mischiali tutti!" mi urla Yasha dal fondo del campo…son passati esattamente 6 mesi da quando ho scritto queste parole, a testimonianza del riuscito “mixaggio” tra israeliani e palestinesi in occasione del torneo finale, nella cittadina arabo-israeliana. Ecco, son passati sei mesi e rieccoci qui, sullo stesso campo, con le stesse intenzioni, ma con qualche ostacolo in più da superare per raggiungere l’obiettivo, ostacolo questa volta troppo alto per una semplice partitella. Il primo è rappresentato dall’assenza all’ultimo di una delle due cellule palestinesi, quella di Jaius: la guerra di pochi mesi fa ha minato i fragili equilibri sui quali ci stavamo muovendo e ha allontanato i nostri partner dall’idea di passare il check point per lasciar giocare i propri bambini con noi. Nessuno ci ha detto apertamente le cause della loro rinuncia all’ultimo, ma è chiaro che la situazione non è certo ideale per parlare di integrazione e condivisione, ma abbiamo di che consolarci con l’altra cellula, quella di Darytzia, presente con 23 bambini e 4 accompagnatori. La parte palestinese quindi, anche se decimata, è presente. 
Paradossalmente, però, ci troviamo senza quella che pensavamo fosse la parte più facile da coinvolgere: siamo privi di bambini ebrei, rappresentanti dell’altra parte che cerchiamo di unire, per lo meno per 90 minuti su di un campo: al kibbutz Shefaym dove eravamo presenti si è inserito, come già ho raccontato, un progetto sportivo a pagamento, una vera e propria scuola calcio, che…ci ha “rubato i bambini”, quindi siamo rimasti senza bimbi! Cacchio! In questa visita ci siamo messi in moto per recuperare di nuovi, non facendo però in tempo per il torneo e quindi il nostro tentativo questa volta è risultato un po’ monco. Peccato. Certo, in campo, in squadre miste, c’erano bambini rifugiati del Congo, del Sud Sudan, Etiopi, Filippini, Palestinesi e arabi-israeliani…insomma, un bel casino “inter campus’style” siamo comunque riusciti a scatenarlo, ma…mancava qualcosa. E si vedeva, si sentiva: bello, divertente comunque rivedere i bambini che abbiamo allenato in settimana uniti insieme sul campo, ma si percepiva nell’aria che c’era qualcosa in meno. Le parole non mi aiutano a spiegare bene la sensazione che ho, che abbiamo, vissuto, ma rispetto ad aprile c’era meno brio nell’aria, c’era meno entusiasmo, meno euforia. Sembrava un po’ tutto scritto, assodato, parte di un copione conosciuto da seguire: i bambini hanno giocato, si sono divertiti, ma…è mancato qualcosa. La prossima volta dobbiamo inventarci qualcosa, per riportare quel pizzico di sale che è mancato alla nostra ricetta questa volta e non parlo solo del gruppo di bimbi ebrei: nella mia testa frullano già delle idee da realizzare in campo per tornare a casa pienamente soddisfatti!

venerdì 24 ottobre 2014

ירושלים: Yerushalayim

ירושליםYerushalayim

È la terza volta che metto piede nella città santa per eccellenza, ma tutte le volte è un’emozione…mistica! Grazie a un appuntamento con un ragazzo italiano che vive qui e che vorrebbe iniziare a fare l’allenatore con noi e che noi vorremmo coinvolgere nei territori e alla possibilità di recuperare qualche contatto per pensare di aprire una cellula anche nella parte est della città, questa mattina presto partiamo da Tel Aviv, direzione Al Quds. Traffico, casino vario, intensificato anche dall’attentato di ieri in cui è stata ammazzata una bimba di 3 mesi, rallentano la nostra marcia e arriviamo nella culla delle religioni monoteiste solo dopo due ore di viaggio, ma…ci siamo!!! 
Ora abbiamo un’ora e mezza a nostra disposizione prima degli appuntamenti fissati da Yasha e allora... via, non perdiamo tempo: dentro la città vecchia dalla porta di Jaffa, giù attraverso il suq e i suoi mille e più odori, eccoci al muro del pianto, ai piedi della spianata!!! La gente intorno con le macchine fotografiche, i tour strillanti, la confusione generale, mi sembra manchino di rispetto a questo luogo e non riesco a rivivere quelle sensazioni “mistiche” vissute la volta precedente, ma come sempre la storia racchiusa in quelle pietre e in questa enorme piazza (piazza solo dal ’48, visto che prima questo enorme spazio era occupato da case), rendono il tutto affascinante. 
Via però, non perdiamo tempo: usciamo dalla parte del quartiere ebraico, lo attraversiamo in direzione “cardo”, che seguiamo per muoverci verso la basilica del santo sepolcro ove, anche qui, la folla, le macchine fotografiche, gli strilli, le spinte e le file, soffocano la spiritualità emergente da questo luogo sacro. Addirittura sul Golgotha ci scappa la mezza rissa, per via di un’indiana che ha cercato di eludere la fila per arrivare prima davanti al luogo, presunto, della crocifissione…assurdo. Tutti che parlano, flash ovunque, ragazzine col cappellino al contrario che si fanno i selfie davanti alla pietra dove è stato deposto il corpo di Cristo: insomma, tutto fuorché un luogo sacro pare questo luogo; ma davanti al Santo Sepolcro, comunque, la mia solita inquietudine da luogo santo si manifesta e pensieri, reminiscenze di preghiere, riflessioni personali e dialoghi interpersonali mi assalgono e per un attimo mi sballottano emotivamente. Per un attimo: il prete copto che si avvicina alla Basilica con la bocca piena, masticando e con in mano del cibo mi riporta ben presto sulla nuda e sporca terra, rimettendo in moto le mie gambe per proseguire il nostro, mio e di Gabri, mini-speedy tour. Via allora, fuori dalla Basilica e verso la porta di Damasco, quindi giù, alla ricerca della via Dolorosa, uscita dalla città per la porta dei Leoni, visto che sulla spianata non ci fanno entrare, sguardo veloce verso il monte degli ulivi e il giardino dei getsemani e rientro in old city! Tra 10 minuti dobbiamo essere da Yasha, alla porta di Jaffa, dalla parte opposta! “Andiamo ciccio, seguiamo le stazioni della via crucis per un pezzo e ci arriviamo in breve”, se non fosse per un gruppo piuttosto numeroso di pellegrini che sta seguendo tutta la via dolorosa, rosario in mano, pregando e soprattutto camminando mooooolto lentamente! Aaaargh! Zigzaghiamo tra i fedeli e riusciamo a raggiungere il luogo dell’incontro con solo 10 minuti di ritardo, ma…Yasha non è qui! Cacchio! La zona è stata evacuata causa zaino abbandonato = bomba, ma ben presto riusciamo a ritrovarci e ad incontrare Alfredo, giovane 23 enne milanese che da quando ha finito il liceo si è trasferito in Israele, prima lavorando in alcuni Kibbutz, poi lavorando nei territori e infine, ora, per studiare scienze politiche all’università di Jerusalem. E con lui parliamo, o meglio lui parla visto che vive qui, della situazione di odio diffuso tra la gente della città, che genera enorme tensione e continue situazioni non dico di terrore, ma…ansiose, cui sono costretti quotidianamente a vivere i Gerosolimitani (dall’antico nome col quale era chiamata Gerusalemme in Italia, ossia Jerosolima), cui anche il nostro Yasha ha assistito oggi. Insomma, un gran casino. E di fronte a tutto questo mi chiedo: basterà un pallone e una maglia? Piutost che nigot...

giovedì 23 ottobre 2014

Al di la del muro!


Alla fine avevo ragione ieri: il ciccio non si è alzato dal letto questa mattina! É bastata una serata a Yaffo e un ritorno a casa tardivo e la sua forza di volontà è rimasta invischiata tra cuscino e coperta, lasciandomi uscire solo per il quotidiano allenamento. Ma non è di questo che voglio parlare…


Oggi si va “di la”, si va a trovare i nostri bambini palestinesi, per dar vita al nostro allenamento e osservare come stanno andando le cose, per quanto riguarda il nostro progetto, anche da questa parte del muro. Come sempre accade, nessun problema a varcare il check point per entrare in palestina, quindi in perfetto orario arriviamo al campo e diamo il via ai giochi; lavoriamo insieme, con tutti e 21 i bambini nello stesso gruppo, avendo a disposizione solo 5 palloni e una quarantina di piatti di carta a fungere da cinesino, sapientemente recuperati prima di partire: diventa difficile con così poco materiale formare più gruppi, per cui optiamo per la soluzione unica.


In una lingua che è un misto di parole inglesi, spagnole, arabe e italiane che capiamo fanno parte del vocabolario dei nostri bambini, e con grande comunicazione non verbale ed esplicite dimostrazioni palla al piede, diamo vita ad una intensissima seduta di allenamento, incentrata sulla guida della palla, conclusa con un mini triangolare a tre squadre che coinvolge ed entusiasma tutti i presenti, giocatori e semplici osservatori. Tutto bello, quindi, tutto bene…peccato solo che il nostro allenatore sia tutto fuorché…un allenatore. Si presenta in jeans e ciabatte, al telefono, e da quel maledetto oggetto non si stacca praticamente mai, senza quindi sfruttare l’occasione del nostro allenamento per stare in campo con noi, osservare nuove esercitazioni e formarsi e rendendo inutile il nostro intervento post allenamento con lui, come da prassi. Niente: è sempre in giro per il campo al telefono e quando non è al telefono si lamenta con Buma per il rischio di “nomalizazioa” cui si va incontro partecipando ad un progetto del genere. Che cos’è la “normalizazioa”?

La normalizzazione può essere intesa come un processo in cui relazioni normali vengono riprodotte in un contesto segnato da circostanze anormali e, di fatto in questo caso, scindendo Israele dai suoi atti di aggressione e occupazione, trattandolo come un’entità politica che è in qualche modo indipendente dalle proprie azioni politiche…


cioèèèèèèè? cioè israele promuove progetti di integrazione con “l’altra parte” , relazioni normali, portando avanti la sua politica di occupazione, circostanze anormali, facendole passare come una cosa normale. “non vedi, ti porto anche il calcio, cosa continui a combattermi”. Questo, grossolanamente, il concetto sostenuto dai tanti allenatori che abbiamo cercato di coinvolgere nel progetto, ultimo in ordine di tempo il nostro “pallavolista”. Non sta a me ora sostenere o combattere questo concetto, ma quel che è certo è che ci ritroviamo di nuovo senza allenatore, a ragione o torto, e i nostri bambini quindi non riescono a fare allenamento con continuità. Cacchio!!!


Si cambia, si va a Daryritzia, chissà come si scrive, e li…siam messi peggio! L’allenatore son due mesi che non si vede, chi dice per via della guerra a Gaza, chi dice per lavoro (è il periodo della raccolta delle olive), in ogni caso non si vede da un bel po’ e i bambini si ritrovano al campo per giocare, ma in maniera del tutto autonoma. Cacchio, ancora una volta. Insomma, qui di normale non c’è proprio nulla e la situazione in cui vivono da questa parte del muro non fa che aumentare i problemi, le difficoltà. Se pensiamo poi a tutto quello che è successo solo due mesi fa un po’ più a sud rispetto a dove siamo ora, ecco spiegati tutti gli ostacoli che dobbiamo tornare a saltare. Che casino! Ma non molliamo e venerdì abbiamo l’evento con tutti i nostri bambini, arabi, ebrei e sudanesi, coinvolti sul campo.


Proviamoci ancora una volta!

mercoledì 22 ottobre 2014

Primo, lunghissimo, giorno

Primo, lunghissimo, giorno.

Alle 7 i borghi della mia sveglia riempono la piccola stanza del già solito nostro hotel, l’artplus hotel: il lungo mare di Tel Aviv chiama, il sole è già alto e caldo e non si può certo perdere l’occasione di una bella corsa con tuffo post sudata! Via le caccole dagli occhi, allora, cerchiamo di riprendere conoscenza nel minor tempo possibile e via, si parte, accompagnato incredibilmente questa volta da ciccio, deciso, almeno a parole, a seguirmi tutta settimana su questa motivante “pista di allenamento”. Dico almeno a parole perché già me lo immagino domani mattina al suono della sveglia…ma magari mi sbaglio. 
2 km di riscaldamento e poi una 8 km rigenerante, cercando di stare sotto i 4 al km! Obiettivo raggiunto alla fine, ma con un po’ troppa fatica per i miei gusti: le gambe non vanno, sono pesanti e vuote allo stesso tempo e, cacchio, per tenere il passo stabilito devo spingere come un forsennato. Sarà la mezza di sabato che si fa ancora sentire? Mah…Portiamo a casa l’obiettivo raggiunto e diamo ora il via alla lunga giornata che ci attende: con Yasha ci muoviamo verso Jalijulia, dove incontriamo il “nostro” allenatore a pranzo, in un posto che ci consiglia lui, dove con una padellata da due quintali di humus con falafel super unti e verdure varie sottaceto risolviamo la pratica pasto, prima di spostarci da Heab, presso la sua torrefazione, per bere un buon caffè. Heab è uno di quelli che in giro per il mondo chiamo “illuminati”: un ragazzo di 42 anni con la menta aperta, con una visione delle cose più completa, meno ottusa e limitata rispetto agli altri sui compari, con conoscenza del mondo, passione per il viaggio e un naturale carisma, tutte caratteristiche che lo rendono una piacevole compagnia oltre che molto brillante e simpatico. 
Un Fred arabo-israeliano, per intenderci. Lui è stato il nostro tramite per iniziare concretamente il progetto, perché mettendoci a disposizione il campo di Jalijulia, ci ha permesso di trovare un punto di incontro neutrale tra le nostre cellule al di qua e al di la del muro, ove far giocare tutti i nostri bambini insieme, di qualunque provenienza fossero. Insomma, senza di lui la famosa integrazione di cui tanto parliamo sarebbe rimasta sulla carta, quindi direi che è una persona piuttosto importante per noi e per il nostro progetto, oltre che una gran persona. Inoltre questo bel personaggio ha una torrefazione qui a Jalijulia, per conto del caffè Manganelli, un caffè italiano che però io ho sentito solo da queste parti, per cui con lui riusciamo sempre a bere anche dell’ottimo caffè, cosa da non trascurare per noi italiani quando siamo in giro. Insomma, Heab for preident!!! Finito di assaporare il “famoso” caffè Manganelli ci catapultiamo in campo, dove 30, 27 per l’esattezza, bambini dai 6 ai 9 anni ci aspettano: lasciamo l’introduzione nelle mani dei loro mister e poi interveniamo, per fermarci con loro alla fine e parlare un po’ della seduta, delle diverse metodologie applicate e del perché riteniamo più utile la nostra in un progetto come il nostro. Un bell’allenamento, una bellissima e interessante chiacchierata, chiamarla lezione mi sembra esagerato, per iniziare a portare dalla nostra parte gli allenatori locali e iniziare a farli lavorare secondo il nostro metodo. Tutto bene, fin qui, tutto bello, ma…ora si va al Kibbutz e li le cose cambiano. Al Kibbutz sheffain’, infatti, quest’anno è arrivato un personaggio strano, ex calciatore professionista, anche della nazionale, anche lui, come altri milioni nel mondo, stroncato proprio alle soglie del pallone d’oro da un infortunio (se non ci fossero gli infortuni la serie a, sentendo i racconti della gente, sarebbe composta da duecento squadre!), che ha deciso di dar vita a delle vere e proprie scuole calcio per i bambini dei vari Kibbutz di questa zona, che si chiama Asharon. Strano perchè le scuole calcio sono a pagamento e appena abbiamo iniziato a parlare con lui del nostro progetto e della possibilità di coinvolgere i “suoi” bambini in inter campus, per avere anche una parte “israeliana” nel nostro puzzle etnico locale, è andato in chiusura, dimostrandosi geloso e poco interessato alla partnership. Un personaggio…israeliano, prototipo perfetto dell’allenatore locale, che mi ha ricordato un sacco Arek, il Raz di Nazareth: presuntuoso, arrogante, legato ai soldi e in soldoni…scarso. Non mi piace! E non mi piace l’idea di dovermi legare a lui. Ne ho parlato subito con Ya e anche lui è d’accordo con me, per cui si vedrà: venerdì verrà in campo con noi e poi decideremo. Magari mi sbaglio. Magari...

Ritorno in Israele

Ripartenza rapida!

Viaaaaaa! Sette giorni a casa e rieccoci in aereo, direzione Tel Aviv! 
Poco più di un mese fa da queste parti suonava la sirena anti missile quotidianamente, ma ora la situazione sembra poterci consentire il nostro classico intervento, per cui…eccoci qui. 
Se già normalmente, però, il viaggio verso questi “campi” è stressante per quanto riguarda i controlli, la sicurezza, la mobilità verso le varie cellule, mi immagino che così a ridosso della guerra appena “sospesa”, fino a nuova ripresa, le cose saranno ancora peggiori del solito e infatti, nemmeno il tempo di mettere il piede nel paese, iniziano gli ostacoli. 
Al controllo passaporti vedono che sul mio ci sono diversi timbri di paesi africani e vista la drammatica situazione Ebola di questi ultimi tempi, decidono di fermarmi per alcuni controlli: mi trasferiscono quindi in uno stanzino e li mi provano la febbre, mi guardano gli occhi e mi fanno compilare una specie di questionario, con domande di vario genere sulla mia condizione di salute. 
Solo alla fine di questa trafila, poco più di un’ora, mi concedono il visto e mi fanno entrare in Israele, con la raccomandazione di avvertire subito le autorità sanitarie in caso di malessere. Ci mancava l’ebola! Ne abbiamo subite di ogni per entrare o uscire da questo paese: ci hanno fermato per un elettrostimolatore in valigia, per la valigia troppo piccola rispetto a quelle degli altri in viaggio con me, per i troppi timbri sul passaporto, per i timbri con scritte in arabo, per mille e più motivi, ma questa, dei motivi sanitari, mi mancava. 
E devo riconoscere che forse è l’unica volta in cui do loro ragione e condivido il loro operato; la situazione nel mondo è drammatica e nonostante tutti stiano sottovalutando il diffondersi del virus, credo sia ora che gli stati per lo meno adoperino delle misure di sicurezza per cercare di limitare la pandemia e questa, per quanto piuttosto superficiale, è già qualcosa. 
Confermato il mio stato di perfetta salute, possiamo iniziare: di corsa verso l’hotel con un taxi guidato da un pazzo estremista, tifoso del Beitar di Gerusalemme e parte, per quello che si riesce a capire, del gruppo ultras “la familia” (il Beitar Gerusalemme, tanto a livello di dirigenza ma soprattutto a livello di tifoseria, è frequentemente oggetto di critiche da parte dell'opinione pubblica per un presunto atteggiamento anti-arabo, talora oltre i limiti del razzismo; Il Beitar è l'unica squadra israeliana a non aver mai tesserato, nella propria storia, un calciatore arabo. La tifoseria nel 2005 costrinse un calciatore nigeriano, musulmano, appena acquistato dalla società a lasciare il club dopo pochissimo tempo dal suo arrivo, a causa della forte avversione nei suoi confronti manifestata e lo scorso anno, dopo l'acquisto di due calciatori musulmani, attaccarono con atti vandalici gli uffici della dirigenza del Beitar…insomma, brava gente, tollerante) e da li ancor più velocemente verso la periferia sud della città, dove abbiamo allenamento con un nuovo gruppo di bambini e con i nostri “soliti” sudanesi. Insomma, non si perde tempo e ora…be’, ora sono in coma. Mi cade la penna, anzi la tastiera. Buona notte!

lunedì 20 ottobre 2014

Ritorno...a casa

Fred, Mike, misses Josephine

Alla fine è un po’ come quando da piccolo tornavo a Varazze: ciao da tutte le parti, abbracci, calorose strette di mano, gente che ti saluta mentre corri! Troppo bello. E tutte le volte che rimetto piede in questa parte di mondo, così come in Angola, in Congo o in Camerun, l’esperienza è la medesima: bambini, mister, gente dell’africana village, drivers, anche gente che nemmeno ricordo: “ hi Alberto!” con la loro R arrotolata, che mi emoziona e mi fa sentire a casa. E, cacchio, quasi mi ci sento a casa, lontano da problemi stupidi, reclami insensati di genitori privi di materia cerebrale, gente che parla giusto perché in possesso del dono della parola e che devi ascoltare per forza di cose, tempi ristrettissimi e pressanti…devo trovare il modo di mettere Silvia in borsa!!!

sabato 18 ottobre 2014

Indipendence day!

Indipendence Day

9 ottobre 1962, giorno dell’indipendenza Ugandese e oggi giorno di festa per il paese. 52 anni di indipendenza dal colonizzatore bianco.
“Misses Josephine, i know that thursday is holyday, because of the indipendent day: can we'll work normally, or we’ll have some changes on our program?” chiesi appena arrivati a Nagallama, conoscendo l’importanza dei giorni liberi, di vacanza, da queste parti. 
“Nooooo. No problem at all”, mi rispose lei…
Quando poi oggi alle 9:30 siamo arrivati alla scuola e ci siamo trovati l’esercito neroazzurro schierato in pompa magna, con i vari bonghi e i vari strumenti nelle mani degli studenti più grandi, ho capito che, come sempre fanno gli africani, il “no problem” in realtà è una cazzo di risposta di circostanza per far contento il bianco e che oggi saremmo stati coinvolti in mille cerimonie che ci avrebbero tenuto ben lontani dall’aula e dal proseguimento del corso. 
E infatti…Ma per che cazzo non me lo dicono? Tanto non potrei farci nulla, dovrei, come ho fatto, semplicemente adeguarmi alla situazione e modificare il programma per riuscire comunque a portare avanti il programma, quindi perché non dirmelo? Boh! È come quando chiedi un’informazione a un africano: questi magari nemmeno ha capito che cacchio hai chiesto, ma pur di non tacere ti serve la prima cosa che ha in testa come una risposta valida e via…vai con Dio! E se tu magari ti fidi…cacchi tuoi!!! 
Ma cazzo, dimmi “non so, mi spiace”, invece di farmi perdere!!! No, invece: risposta accomodante per il mzungo e via. 
Va be’, limite comunicativo a parte, l’aver assistito a tutte le cerimonie organizzate ha reso comunque la giornata speciale e non ci ha comunque impedito di portare avanti il programma: bloccando gli allenatori in aula fino alle 13.30 per recuperare il tempo “perduto” tra balli e canti, siamo comunque riusciti a tenere attenti e coinvolti “sui banchi” tutti e 15 i nostri coaches, entrando nello specifico dei temi ieri solamente accennati. 
Voi siete furbi, ma io sono determinato, cari miei, e qui non c’è un minuto da perdere!!! E quindi…
Non contenti, poi, i nostri amici decidono dopo l’allenamento del pomeriggio, (che io ho dovuto gestire con una squadra di sole donne…madonnina che difficoltà! Non me le aspettavo, Fred mi aveva detto che avrei avuto un gruppo under 14 di maschi, quindi avevo preparato un bell’allenamento complesso, con giochi di posizione e un buon carico cognitivo, che mi sarebbe servito da spunto per l’approfondimento teorico che avevo in mente per il giorno seguente in aula, invece…ho dovuto cambiare tutto l’allenamento, perché queste povere fanciulle certo non si sono dimostrate fin dal primo incontro con il sottoscritto, in grado di svolgere le esercitazioni che avevo in mente…) ci hanno rapito, portandoci con loro in un posto a un’ora da Nagallama dove “relaxing”! Ma io non ho bisogno di rilassarmi!!! Io voglio allenarmi, cazzo! Ho un programma di allenamento da seguire. Fottuto. Sono, siamo, fottuti. Oggi si salta... E allora via, in macchina, verso questo posto che ben presto si rivela postivo: bello, bellissimo, immerso nel verde, nella pace, nella natura,  mi lascio facilmente sedurre dai manghi sotto i quali sediamo e dal tappeto di stelle che sovrasta le nostre teste, oltre che dall’ottima compagnia di misses Josephine, Fred e Kaueza oltre ovviamente ad Andre, per cui alla fine ci fermiamo li anche per la cena. Domani ci si alza prima per allenarsi, ma oggi godiamoci il nostro tilapia, sotto questa cielo oltremodo carico di stelle lucenti!

giovedì 16 ottobre 2014

Special guest: bomber Galbio scrive per noi!


UGANDA – OTTOBRE 2014


Da un paio di mesi è iniziata la mia seconda stagione con Inter Campus, è soltanto il mio nono viaggio e ho già l’onore di scrivere su questo blog. Mettere per iscritto la mia esperienza è per me qualcosa di nuovo, o meglio, penso sia dalle elementari che non faccio una cosa del genere, quando mi chiedevano di descrivere la gita di classe; mi verrebbe quindi da scrivere tutto quanto “a cuore libero” in pieno stile Forneris (ciao Lollo!) ma prendo spunto dalla struttura dei diari di Silvio e cerco di imitarlo (grazie prof!).

ESORDIO
Pur essendo stato nei mesi scorsi in Marocco e Tunisia si tratta della mia “prima” Africa, sì perché a detta di chi viene in queste zone da una decina o più anni (Albe e Max) è proprio questa l’Africa vera. La sera prima della partenza vado a letto tardi, dormo poco, la sveglia suona alle 4 e parte la solita lunga giornata trascorsa tra aeroporti e aerei.

BENVENUTO
Naggalama, Saint Joseph School, trecento o più tra bambini e bambine, tutti in nerazzurro, una trentina tra maestri e allenatori, la direttrice Mrs Josephine, tutti aspettano il nostro arrivo e ci riservano un’accoglienza splendida; mi tocca anche dire due parole (in inglese) davanti a un pubblico del genere, ma nonostante l’enorme emozione tutto fila liscio, la nostra visita parte con il piede giusto. Gabri, alla vista di così tanti bambini davanti a me mi sei venuto in mente tu e il tuo gioco del delfino: fatto in un contesto del genere sarebbe passato alla storia; infatti Albe alla prossima visita mi ha detto che ti porta con lui…

CAMPO
I pomeriggi trascorsi in campo con i bambini volano via velocissimi; l’educazione e attenzione che ho trovato qui non le ho mai viste in nessun altro paese fino ad oggi (ok, ne ho visitati solo otto); così tutto è più facile: ascoltano, capiscono subito, eseguono, si divertono; sono anche molto validi tecnicamente, chiedere di più è difficile.

AULA
Sapevo che Albe avrebbe dominato la scena, ma penso sia giusto così, abile con l’inglese, approfondita conoscenza di tutti gli argomenti e grandi capacità comunicative; probabilmente otterrebbe l’attenzione anche di mia mamma che di calcio preferirebbe non sentirne parlare mai. Riesco comunque a ritagliarmi qualche spazio, il mio inglese non è così fluido ma i concetti passano, sono chiari; rimango così abbastanza soddisfatto dei miei interventi, certo, si deve in ogni caso migliorare un sacco.

COACHES
Gli allenatori locali, Fred, Ben, Francisco, i vari Michael, Alan, Junior, Peter e tutti quelli che mi dimentico; bravi, dimostrano serietà e competenza sia in campo sia fuori dal campo, hanno fame di migliorarsi ogni giorno e fanno tutto con grande passione. E’ proprio la passione che li spinge ad essere tutti i pomeriggi sul campo con i bambini e un atteggiamento del genere fa la differenza. Qualche difetto però ce l’hanno anche loro: partita finale tra tutti i misters, un 8>8 abbastanza confusionario; la maggior parte di loro è un po’ scarsotta tecnicamente, disordinata in campo e spesso tenta di “rubare” rimesse laterali, angoli o punizioni. Quando poi gli ricordi che devono essere un esempio per i bambini che allenano riconoscono le loro colpe.

SUPER ALLENAMENTI
Sono otto i chilometri che separano il campo d’allenamento dall’African Village dove alloggiamo; decidiamo di farli di corsa dopo l’attività pomeridiana con i bambini. Primo giorno, grosso affanno, corsa continua tra discese e salite interminabili, sono costretto a vedere Albe sempre in fuga davanti a me. Si migliora il secondo giorno tra 1000 metri e tabata. Arrivo a dare il meglio l’ultimo giorno con l’allenamento alle 7 del mattino sulla forza intermittente. In contemporanea, qualche chilometro più a nord, Juri e Silvio asfaltavano le strade della Russia, mentre qualche chilometro più a est Gabri stabiliva il nuovo record cambogiano sulla maratona, giusto?

RINGRAZIAMENTI
Potrei fare un elenco interminabile di persone e scrivere accanto ad ogni nome il motivo del mio “grazie”. Però, visto che prima o poi mi sarebbe toccato dirlo o scriverlo lo faccio qui, adesso: da uno che è nato con il cuore rossonero, da uno che è cresciuto con in testa soltanto Sheva, da uno che si emoziona ancora tanto quando vede super Pippo esultare, udite udite… GRAZIE INTER!!!

Incidente sulla strada

Incidente su Kalagy road

Siamo in aula, presi dal nostro incontro con gli allenatori, intenti a condividere con loro la centralità del modo di essere allenatore affinché venga instaurato col giocatore una relazione positiva, base fondamentale dell’apprendimento, quando Fred ci interrompe un attimo, chiede la parola: poco fa un nostro bambino è stato investito da un maledetto matatu qui fuori, mentre rientrava a casa e ora è in condizioni critiche all’ospedale dove un tempo lavorava il CUAMM, prima base di appoggio nostra. Che cos’è un matatu? È un taxi collettivo, un macinino bianco e azzurro stile il furgoncino volgswagen degli anni settanta, simbolo dei figli dei fiori, sempre stracarico di gente e merce varia, senza vetri, con le porte rotte, o bloccate, con i sedili rattoppati alla meglio, o sostituiti da panche di legno, che sfreccia a tutta velocità per le strade ugandesi. Un vero pericolo ambulante, incurante di pedoni, ciclisti, moto e auto: lui va, suona il clacson per avvertire del suo arrivo e poi…vada come deve andare. Una volta a farne le spese è stato il gomito di Silvio,  questa volta è andata male a un nostro bambino, riconosciuto dalla polizia come uno di quelli della Primary school per via della divisa che aveva indosso, la nostra, neroazzurra. Oggi ci hanno detto che ha subito un grave trauma cranico, ma altro, al momento, non si sa. Cacchio…

mercoledì 15 ottobre 2014

Golden Cranes

Golden cranes

Da quell’ormai lontano 2008 sembrano trascorsi anni luce e i cambiamenti che si possono osservare sul campo paiono dar ragione a questa sensazione: da quei 100 bambini iniziali, da quei 5 allenatori impacciati, abituati a organizzare l’allenamento con un riscaldamento “classico”, incentrato su corsa e stretching, e costituito essenzialmente da una partitella della durata di circa un’ora, siamo arrivato oggi a 400 bambini, divisi in 20 squadre (e queste squadre hanno i nostri nomi: gli under 14 maschi sono la squadra Alberto, la squadra u14 delle femmine è Nicoletta...spettacolo!!!), dagli under 8 agli under 14, seguiti da 15 allenatori, alcuni dei quali con diritto chiamati coach, per le abilità mostrate, da far invidia a certi mister che mi ritrovo in Calva. Sono veramente fiero di questo progetto: in fin dei conti i primi due anni ero qui da solo, accompagnato esclusivamente da Max, che cura la parte organizzativa, e da solo ho iniziato a formare questi allenatori, a mostrar loro come strutturare una seduta e a spiegar loro come gestirla per renderla non solo utile, efficace, dal punto di vista tecnico, ma per sfruttarla per una formazione globale del bambino, comprendente anche aspetti emotivi, cognitivi, sociali; insomma, ero da solo quando ho iniziato a esportare il modello Inter Campus che ora stiamo proponendo in tutti i nostri paesi e, facilitato sicuramente dalla presenza di due “illuminati” quali Michael e Fred, da allora in questa parte di mondo, in questa parte di Africa, si è intrapreso un gran bel lavoro, che ora sta dando grandi soddisfazioni. A parte la goduria nel vedere tutte le volte questa “orda neroazzurra”, da quando siamo qui gli alunni della scuola sono triplicati, passando dagli allora 300 ai 980 di oggi, tutti attirati qui dalla possibilità di praticare sport seguiti da allenatori formati dai mzungo, sottraendo di conseguenza alla strada, al bighellonare, alla nulla faccenda, tre volte i bambini del 2008 e aumentando tre volte i giovani formati, istruiti, per i quali si potranno in futuro aprire le porte della high school o dell’università. Insomma, con questa palla e queste maglie Nagallama sta piano piano crescendo e migliorando le condizioni di vita della propria gente. Certo, c’è ancora tanto, tantissimo da fare, ma per quel poco che riusciamo noialtri, qualcosa è stato fatto e altro si farà. Avanti così!!!