venerdì 23 maggio 2014

Viana

Viana.

A meno di un'ora da Luanda, a meno di cento buche, qualche frenata improvvisa, mille improvvisi cambi di direzione per evitare sassi o blocchi di sabbia, a meno di una decina di pozze di acqua putrida dalla capitale angolana, ecco Viana. Non mi è ancora ben chiaro se è un quartiere della città o una vera e propria cittadina, forse villaggio, questo agglomerato di case in mattoni e lamiera, ma quel che è certo, quel che so è che da quando son stato qui la prima volta, ossia nel 2008, è cambiata velocissimamente: case dove prima era solo terra e un sacco di gente che gira per le strade polverose del posto, quando poco tempo fa erano pochi intorno alla casa Salesiana.  E la notte questo cambiamento si nota ancora di più: le luci artificiali, infatti, coprono il bagliore delle stelle e il cielo blu non riesce a mostrarsi in tutta la sua nitidezza come faceva prima, a causa di lampioni e luminarie varie. Peccato. Ma d'altronde è l'Angola, o meglio, è Luanda, visto che conosco bene solo lei: Luanda la provvisoria, come la nominò una volta Max, anzi Massimo Seregni (così la smette di lamentarsi che non lo nomino mai, che sembra che lui non esista!), cioè una città che ogni volta è diversa, è cambiata rispetto alla volta precedente. Strade che si aprono e altre che si chiudono, case che crescono, quartieri che spariscono e condomini residenziali che avanzano: tornando sempre a distanza di sei mesi da queste parti, il paesaggio non è mai lo stesso, riconoscibile solo da un fattore che funge da conduttore, ossia il casino, il traffico, il disordine endemico! 
È incredibile vedere come tanta gente si stia muovendo verso la città e come la città cerchi di respingerla, creando quartieri nelle periferie; e dove la città non interviene, ci pensa la gente stessa, improvvisando quartieri abusivi su questo o quel colle, alle porte della città. 8 milioni di abitanti, in uno spazio pronto ad accoglierne forse la metà: per forza c'è casino! Ma questo, forse, è il suo bello. Forse...

mercoledì 21 maggio 2014

Calcio, specchio della società

Calcio, specchio della società.

"Juri, oggi finito allenamento mi alleno, non mi limito a giocare due ore. La schiena mi fa troppo male su quel campo di cemento e poi voglio fare forza e qualche ripetuta". Queste le mie intenzioni dopo pranzo, finita la teoria nella già solita e mitica aula. Peccato che tutto sia rimasto in teoria: appena finito l'allenamento con i bambini, è bastata una semplice domanda per far crollare le mie intenzioni, "Alberto, joga a futsal?" e tutte le mie buone intenzioni sono naufragate, sommerse da onde di agonismo e spruzzi di palloni calciati. Cazzarola. E ora la schiena è in condizioni critiche, nonostante il lungo lavoro post partita di scarico, ma...cacchio, come si fa a resistere ad una palla che rimbalza? È ammaliante, ipnotica, troppo coinvolgente: alla fine vince sempre lei. E considerando questa sua forza, ai miei occhi invincibile, rivedere la stagione dei miei 98, per nulla innamorati del calcio, desiderosi di correre, sacrificarsi, sognare praticando questo sport, sempre assenti, impegnati in altro, mi risulta senza spiegazione, irrazionale, inconcepibile. Invece...mah, valli a capire. Qui invece la mia stessa passione la rivedo in tutte le persone che incontro, tutte innamorate come me di quella palla e tutte dedite alla pratica del gioco del calcio, anche se ognuno a modo proprio, ognuno secondo la propria cultura, la propria educazione, la propria società. Viaggio dopo viaggio, partita con gli allenatori dopo partita con gli allenatori, mi sembra ogni giorno di più che il modo di giocare, il modo di scendere in campo ed elaborare strategie per arrivare a "conquistare" la porta avversaria, sia un vero specchio della società, rappresenti pienamente il modo di essere, di vivere proprio delle persone di questo, o di quel paese. Vai in Brasile, dove la gente è molto...fenomeno, son tutti un po' gradassi, simpatici, sempre pronti alla battuta, ma un po' pieni di se'; ecco, scendi in campo coi brasiliani e la partita si sviluppa non prima che ogni giocatore con la palla al piede non abbia provato un numero, una finta o un tocco della palla improbabile, insomma, non prima che ogni giocatore abbia fatto un po' il fenomeno, appunto. Vai in Uganda, dove la gente che ho incontrato è tutta molto allegra, umile e...essenziale, semplice e quando giochi il calcio è semplice, senza fronzoli, ma per farli tirare in porta, fargli prendere una "responsabilità", devi chiederglielo per piacere. Vieni qui in Angola, dove lo stampino è un po' brasiliano, fenomeni, un po' pagliacci, simpatici, sempre pronti a prendere e a prendersi in giro, un po' troppo votati all'individualismo, per lo meno quelli della capitale, ed ecco che la partita è tutta fatta di no look, tocchi di tacco, finte inutili, doppi passi senza scopo e poche combinazioni, poca collaborazione. Insomma, dimmi come giochi e ti dirò chi sei! O per lo meno questo è quanto sto osservando in questi anni, in giro, sui campi del mondo.

martedì 20 maggio 2014

Aula e campo...tanto campo!


Aula e campo.

"Ste, ci vediamo dove per la teoria?", chiedo dopo colazione; "venite fuori e poi vediamo". Lascio quindi Juri, appena arrivato da Luanda, giunto con un giorno di ritardo con noi per...lasciamo perdere per cosa...dicevo, lascio Juri riposare in stanza dopo il viaggio notturno e mi dirigo fuori a cercare "la mia classe", che da lontano riesco a scorgere immediatamente, radunata a cerchio, seduta su sgabelli di plastica, sotto due splendidi e verdissimi alberi di mango! Spettacolo! Teoria all'aperto, al fresco, sotto gli alberi, non mi era mai capitato di farla. Un po' meno spettacolo il sottofondo bucolico: grugniti famelici di maiali e versi delle galline, si mischiano allo sbattere di attrezzi metallici e al picchiare di martelli; alle nostre spalle, infatti, c'è una fazenda salesiana, a pieno regime, sembrerebbe, visto il casino e le mie parole, spesso, sono quasi coperte da tutti questi suoni non propriamente  pro concentrazione e attenzione. Quasi, perché il megafono che ho ingoiato da piccolo mi permette comunque di sovrastare tutti i rumori e far giungere ciò che voglio dire alle orecchie dei nostri allenatori e in più il mio coinvolgimento, il mio continuo parlare con il corpo, coi gesti, ma soprattutto la mia perfetta intesa con Padre Stefano e l'integrazione dei nostri concetti con i suoi di origine Salesiana riesce a rendere la lezione interessante per tutti, me in primis, e così le tre ore volano. Già, il valore aggiunto dei viaggi in Angola è Ste: mi rode un po' dirlo, il pretaccio della malora non se lo merita, però quando faccio i corsi con lui faccio formazione anch'io, finisco che ho qualcosa in più anch'io e di cose da conoscere ce ne sono milioni ancora, per cui mentre parlo, spiego le mie cose, con la testa sono già in attesa del suo intervento per capire, cogliere il legame e fare mio il suo concetto. Be', bello.
Terminato l'incontro sotto il mango, il pomeriggio si svolge in campo (cazzo, dalle 14.30! 70 gradi e il sole nella sua immensa potenza praticamente allo zenit, a rendere la sabbia del campo bollente, a rendere arido tutto il contesto! Sembrava di essere nel deserto!), oggi con Juri a darmi supporto, per poi concludere la giornata con la già classica partita. Questa volta, però, opto per il futsal, il campo a 5 in cemento: visto il livello tecnico degli allenatori, almeno nel breve posso allenarmi come si deve (tant'è che alla fine son riuscito a percorrere 5.10 km nell'ora di gioco! Bene, direi) pur sempre inseguendo la palla. Bene, quindi, anche oggi super giornata positiva, piena, stancante, ma da pollice su. Ora dormo e domani sarà uguale. Buona notte.

p.s. Papà, le tue magliette sono indosso a tutti gli allenatori! Bellissimo vederli tutti vestiti uguali, con la tua maglia come divisa! Grazie a nome loro!

Ritorno in Angola

Otra ves Angola!

Scendo dall'aereo che è ancora buio: il sole ancora non ha fatto capolino nel cielo e il blu all'orizzonte rimane totalizzante, ma una volta sbrigate tutte le pratiche burocratiche di controllo del passaporto e recuperati i bagagli, ecco la palla di fuoco stagliarsi ad est, rendendo bollente fin da subito la giornata. Ore 7.30 del mattino e siamo già a 27: come piace a me! Si sale subito sul land rover gigante di Ste, senza troppi fronzoli, direzione Viana, dove 40 allenatori, quasi tutti nuovi, e 40 bambini della nuova cellula, sono già in nostra attesa. Buche profonde, balzi continui sul mio sedile, pozze di acqua putrida guadate dal nostro mezzo anfibio, strade scomparse e altre aperte di fresco, macchine impazzite che si muovono a destra e a sinistra nostra, mentre Padre Stefano continua a dambajare (significa tagliare, fare manovre non propriamente lecite pur di guadagnare tempo e spazio in questa giungla di terra rossa e lamiera), gente che dai lati della strada si butta nel mezzo per attraversarla, incurante dei pericoli, clacson che riempiono le prime ore del giorno...gli stimoli ricevuti dai miei sensi mi fanno capire di essere tornato a Luanda!!  
L'odore forte, fortissimo di...Luanda, non lascia scampo ad errori: si, si, finalmente sono tornato. E questa volta per andare dove son stato la prima volta 6 anni fa, ossia Viana, un posto che ai tempi era fuori dalla città, immersa nel nulla povero e isolato della periferia e che oggi invece è inglobato dal continuo e inarrestabile processo di espansione della Capitale, preso tra baracche di mattoni e lamiera, strade sterrate e altre strutture fatiscenti, abitate da centinaia e centinaia di persone. Rieccomi qui, dunque, pronto subito per buttarmi in campo coi bambini e dedicarmi un po' agli allenatori, per poi sgranchirmi le gambe con una partitella sul campo di sabbia del centro Salesiano, insieme a tutti gli allenatori. Bello, buon inizio. E la cosa che più mi ha entusiasmato è stata vedere nel gruppo di allenatori anche ex bambini Inter Campus, ossia bambini/ giocatori che sono passati da noi, cresciuti con noi e che ora hanno deciso di rimanere nel gruppo dedicandosi a loro volta all'educazione di nuovi soggetti, di nuovi bambini passando sempre dallo stesso strumento, sfruttando sempre lo stesso mezzo: il pallone. Toninho, Donbosco (si, giuro, si chiama così), che facevano parte dei 15 della coppa del mondo, Romeo: tutti ex giocatori nostri, ex ninos de rua, oggi alle prese con il loro primo corso di aggiornamento, oggi passati all'altra parte del campo, per aiutare altri a divenire grandi nell'allenamento e con l'allenamento.