mercoledì 30 maggio 2018

Pictures


L'ACCOGLIENZA AL CAMPO















IL PRIMO INCONTRO

BRIEFING PRE ALLENAMENTO
 


IN CAMPO CON LE BIMBE

FOTO DI GRUPPO


LA PARTITA


ALL'ATTACCO DEL COCCO

martedì 29 maggio 2018

Il gioco del calcio

WE ALL SPEAK THE SAME LANGUAGE
Noi si parla italiano, inglese, loro più che Khmer non conoscono, ma come dice sempre Yasha, sul campo da calcio “we all speak the same language”. E se anche loro sono adulti, anche se ci siamo incontrati su questo campo giusto per giocare una partita con Vitok e i suoi amici, bastano due calci a quella palla che le mie parole in dialetto rivolte a David Luiz (così chiamo un cambogiano coi capelli a cespuglio riccissimi) per chiedergli di attaccare il portatore palla, vengono da quest’ultimo perfettamente comprese, come se fosse nato a Bellusco e non a Phon Penh. O l’incitamento a Marcelo (chiamarli col loro vero nome è praticamente impossibile, quindi per ciascuno conio un “appellido”, come lo chiamano i nostri amici angolani, sulla base delle loro caratteristiche, delle loro somiglianze, o anche solo per la maglia che indossano), per svegliarlo e chiedergli maggior attenzione, espresso in italiano, venga assolutamente compreso e recepito dal ragazzo cambogiano, come se ci conoscessimo da tempo immemore. E così grazie a questa magia unica, le due ore di partita, in realtà un’ora e ventidue di tempo effettivo, diventano per me l’ennesima dimostrazione, superflua a ben vedere, di quanto essenziale sia questo gioco per me e la stanchezza accumulata nella lunga giornata di lavoro, la fame dovuta alla scelta di digiunare (non tolgo però i liquidi, sarebbe per me impossibile), le gambe pesanti a causa del mega allenamento di ieri, tutto magicamente si dissolve grazie alla passione che si accende in me, e in tanti altri come me, al primo tiro in porta, al primo dribbling, al primo contrasto. Che spettacolo. E allora via, su quella fascia, a correre su e giù, a chiedere palla a Sergio Brio-Raspelli, piazzato la’ dietro per muoversi il meno possibile, a sudare come un matto a causa del 200 per cento di umidità, dovuta anche alla pioggia caduta nelle ultime ore e a chiudere la partita con la maglia zuppa di acqua, come se fossi caduto in piscina. Quarant’anni chi???


domenica 27 maggio 2018

Al villaggio

I BAMBINI DEL VILLAGGIO
Il “nostro” villaggio è a più di un’ora e mezza di distanza dalla città, dopo lunghe file di macchine e tuc tuc selvaggi, dopo lunghe lingue di asfalto che tagliano in due immense risaie, dopo paludi ricche di fiori d’acqua di colori misti da me indecifrabili, dopo che la normale strada lascia spazio alla terra e alla polvere. Dopo tutto questo, arriviamo alla nostra meta. Dopo tutto questo ogni mattina riusciamo a raggiungere il nostro mini campo da gioco, dove in successione e insieme ai due allenatori locali diamo forma a quattro sessioni di allenamento, due mattutine e due pomeridiane, sotto un sole potente e afoso come quello di Milano il 15 di agosto (forse peggio), capace di farti sudare da fermo. Poveri bimbi. Che caldo. Ma questa è la norma da queste parti e non facciamo altro che rispettare il loro normale orario scolastico, che prevede allenamenti per le cinque classi coinvolte in inter campus, 175 bambini, durante le canoniche ore di educazione fisica. Quindi ci adeguiamo, sudiamo come durante il ritiro estivo pre campionato, ma non perdiamo un minuto di campo, cercando di accompagnare in qualche modo, nel nostro modo, la scuola nel suo programma educativo. Ovviamente è la scuola la cosa più importante e noi siamo solo di accompagnamento, di supporto, scuola che grazie a Missione Possibile quasi 400 bimbi del villaggio, ma anche di quelli vicini, hanno l’opportunità di frequentare, per lo meno per il primo ciclo. Poi la strada, i campi, i bisogni delle famiglie, prendono il sopravvento e le aule vengono rimpiazzate dagli stanzoni della vicina fabbrica di tessuti, dalle umide risaie della zona, oppure spesso per le bimbe, mi raccontano, dalle quattro squallide pareti di casa, poiché costrette a sposarsi e a rinunciare a qualsiasi speranza di istruzione per dedicarsi alla famiglia. Pochi anni, quindi, ha a disposizione la scuola per cercare di dar loro una base educativa che possa servire per la vita, oppure per convincerli a rinunciare a qualsiasi altra tentazione esterna, per cercare di costruirsi un futuro diverso da quello che per molti sembra essere già segnato. Eppure guardandomi attorno non riesco a cogliere, a percepire queste difficoltà, questa povertà, questa situazione così estrema, come mi viene descritta. Certo, i “nostri” bimbi sono scalzi e anche in campo calciano la palla a piedi nudi; certo le case intorno a noi sono per lo più palafitte (qui quando piove si inonda tutto) di legno; certo, intorno a me l’ambiente non è proprio quello che si coglie intorno al campo di Playmore, dove alleno quando sono in Italia; certo, tutta la gente che vedo intorno a me mangiare sembra vivere quotidianamente di solo riso e altre…”robe” di non sa bene quale origine, per noi non commestibili,  però…però un cacchio! Un bimbo, una famiglia, che vive così, che vive qui e può vedere attraverso tv o internet (qui la linea vola) l’alternativa la’ fuori, ad appena 80km di distanza, nella grande città, è quasi scontato che decida di abbandonare il tutto per cercare il grande salto, per cercare “fortuna” altrove, abbandonando tutto, anche la propria educazione, anche la propria istruzione, anche la propria fanciullezza. 


venerdì 25 maggio 2018

Un giorno infinito

Ho un sacco di cose per la testa, un sacco di cose da buttare su questa tastiera per svuotare il mio cervello da tutti i pensieri, da tutti i ricordi, da tutte le esperienze accumulate nella giornata di oggi, ma non ci riesco. Non riesco ad aprire il rubinetto e far scorrere dolcemente il flusso delle idee dalla mente alla mano, per riportare il tutto su "carta", o meglio su video, perché il giorno è stato lungo, lunghissimo e ricco, troppo ricco di situazioni, momenti, eventi, che vorrei fissare sul blog, per poterli quindi fissare nella mia mente. E ora è tardi, troppo tardi, e io sono letteralmente a pezzi, stanchissimo. La "penna" mi cade. L'allenamento del mattino, l'incontro con gli allenatori, il "ristorante" e il pranzo con loro, la corsa nel caldo umido della città, Giorgio e il suo pop cafè, gli insetti come pasto...troppa roba per ora. Ci dormo su. Domani saprò dosare meglio il rubinetto dei pensieri.

mercoledì 23 maggio 2018

In campo

SUL CAMPO DEL VILLAGGIO
La sveglia suona prestissimo e io sono ancora in coma. Vero che siamo andati a letto presto, ma la notte in aereo non è ancora stata smaltita del tutto. Giusto una cenetta leggera in compagnia di due topastri giganti che tanto hanno infastidito Gabri (ristorante sul fiume, la città non è proprio pulitissima, mi aspettavo ben più di due topi. Certo, non è stato piacevole scorgere quella lunga coda sotto il tavolo e poter osservare altri suoi simili muoversi furtivi, alla ricerca di cibo, ma lo davo piuttosto per scontato) e una passeggiata sul lungo fiume e poi via, crollato nel letto fino al fastidioso suono che mi ha riportato tra i vivi. La colazione a base di mango e papaya mi aiuta a riconnettermi col mondo e il seguente viaggio di quasi due ore fuori città per raggiungere la scuola di Missione Possibile dove da 6 anni giochiamo con poco più di 150 bambini, completa l’opera, perché il traffico, le macchine, i tuc-tuc, il paesaggio che man mano che usciamo dalla capitale cambia radicalmente, ridestano i miei sensi e accendono la mia curiosità, appiccicando il mio sguardo fuori dal finestrino e allontanandomi definitivamente dalle braccia di Morfeo. Una volta arrivati al villaggio, che Gabri sostiene chiamarsi Rong, un cordone di bimbi e bimbe in neroazzurro (anche qui è una figata, stile Uganda: i bambini che ci accolgono indossano le maglie degli ultimi sei anni di Inter…un cordone storico di accoglienza blu e nera! ) ci scorta fino al campo…campo…fino allo spazio di gioco: un terreno sconnesso di terra secca, adornato qua e la’ da qualche cacca secca di cane, delimitato da linee bianche e da due porte di legno. Insomma, un campo inter campus, niente da dire. E li, dalle 9 alle 15, siamo di scena noi e i due allenatori locali con i vari gruppi in programma per oggi, alternando allenamenti gestiti da loro ad altri gestiti da noi, evidenziando qualche limite loro nella gestione della seduta, ma allo stesso tempo la grande voglia e il grande entusiasmo di bambini e bambine sul terreno di gioco. Il sole batte forte, soprattutto durante la seduta delle 13:30, quindi il viaggio di ritorno risulta essere un po’ meno affascinante di quello dell’andata, ma una volta rimesso piede in hotel si accende in me qualcosa e in men che non si dica la stanchezza svanisce: via, ci si allena! E allora fuori, gran corsa intorno ai giardini che circondano il monumento all’indipendenza, gran sudata e gran soddisfazione per la bella giornata, conclusa alla grande con anche un tuffo e una nuotata sciolta nella piscinetta dell’hotel. Figata. Ora però ho bisogno di mangiare!!!


martedì 22 maggio 2018

Cambogia, giorno 1

MISSION COMPLETE


All’inizio forse era inconscia la cosa, ma con l’andare degli anni, con il susseguirsi dei viaggi, si faceva strada dentro di me, si faceva luce in maniera sempre più chiara, sempre più distinta, questa mia voglia, questo mio obiettivo, divenuto poi esplicito, chiaro a me stesso, nel corso dell’ultima stagione: completare per primo, e ad ora unico, il risiko neroazzurro dei Paesi facenti parte del progetto inter campus. E ora, avendo messo piede anche in Cambogia, il quadro è completo: sono stato su tutti i nostri campi del mondo!
Mbe’? direte voi, miei venti lettori di manzoniana memoria, perchè ti importa tanto? o per dirla alla zerocalcare “e sti cazzi”. Effettivamente trenta paesi, rispetto ai 192 membri dell’ONU o i 196 riconosciuti Stati sovrani, credo 196,  nel mondo sono veramente nulla, una goccia nel mare, ma il mio piccolo mondo tinto di neroazzurro si riduce a questi trenta, quindi essere il primo ad aver circumnavigato tutta la sfera magica di inter campus è una cosa che mi piace, che mi da’ un po’ l’idea di ciò che sto combinando, che mi aiuta ad accettare un po’ di più il continuo allontanamento da Sil via e Annina, con i suoi sempre più frequenti musi lunghi per le mie partenze, con le sue sempre più frequenti richieste di rimanere a casa con lei. Mi aiuta, si, ma proprio poco. Quando oggi l’ho chiamata e lei era imbronciata, arrabbiata con me, perchè al suo risveglio quando mi ha chiamato non ero presente…nemmeno avessi fatto duecento paesi sarei riuscito a reggere quel broncio. Cacchio. Va be’, va così. 
Partiti da Milano alle 13, arrivati a Hong kong alle 5 del mattino e ripartiti alla volta della capitale cambogiana quasi tre ore dopo, arriviamo finalmente a destinazione che sono ormai le 11 del mattino; tolte le cinque ore di fuso orario fanno le 6 del mattino, più o meno, ossia 18 ore di viaggio totali. Comodo arrivare fin qui. Sono stravolto. Sul taxi mi cade la testa ogni secondo, non riesco a stare sveglio, sono letteralmente stravolto come non mi succedeva da tempo. Desidero con tutto me stesso il letto, ed è proprio li che mi rifugio dopo aver ingurgitato una terribile insalata al ristorante dell’hotel: due ore di coma profondo e sono come nuovo…più o meno. Pronto per una sgambata in perlustrazione, in avanscoperta della città: 10 km a zonzo tra templi buddisti, il palazzo reale, il lungo fiume Mekong, monaci in tunica arancione e odori di ogni tipo, dal dolce e piacevole gelsomino, al terribile odor di zolfo che sale lungo un tratto del fiume dalle acque non propriamente limpide. Bello, bellissimo, scoprire così le città. Unico inconveniente è che ora sono distrutto. Cedo all’insistenza di Morfeo. Buona notte.


lunedì 7 maggio 2018

giovedì 3 maggio 2018

Babrov

BABROV

Qui le cose vanno diversamente rispetto a Voronezh. In questa cittadina sperduta nelle campagne a circa 200km a sud della grande città che sembra ferma agli anni ’80, con le sue casette decadenti per lo più in legno, alte massimo due piani, cantornate tutte da giardinetti minimal; con i suoi tubi gialli per il gas che scorrono esterni, non interrati; con i suoi parchetti e le sue ampie piazze, anche qui con ancora una statua sopravvissuta di Vladimir Ilic Uljanov (grazie Max), meglio noto come Stalin; con la sua scuola fatiscente, all’apparenza abbandonata, che ci accoglie, dove giochiamo con i nostri bambini. Qui, in questa cittadini, riusciamo a realizzare il nostro progetto con continuità e qualità, grazie al costante lavoro del nostro allenatore, Vadim, impegnato al 100% per questi bimbi, essendo anche loro professore, oltre che allenatore Inter campus. Bimbi anch’essi per lo più orfani, o abbandonati e quasi tutti con disabilità intellettive, o ritardi nell’apprendimento (le maestre ci dicono il 100%) che grazie al loro impegno, alla loro partecipazione costante agli allenamenti lentamente stanno crescendo, migliorando, colmando i propri deficit, oltre che, ovviamente, divertirsi e stringere forti legami tra loro. Questo loro entusiasmo, questo loro divertimento lo tocchiamo con mano appena entriamo dal portone: sono tutti pronti, vestiti di tutto punto in neroazzurro, tutti carichissimi, pronti a giocare, tutti intorno a noi e smaniosi di scendere in campo. E allora…andiamo in campo! Inizio io, poi prende in mano le cose Juri: i ritmi sono adeguati alle loro possibilità, ma sicuramente superiori a quanto mi aspettassi e anche se con evidenti deficit anche motori, la seduta scivola via con semplicità, con grandi sorrisi e grande divertimento…per lo meno mio! Bello, bellissimo allenamento. Anche la partita finale, nella sua confusione, nel suo disordine, mi stupisce, perché comunque, nonostante tutto, giocano, corrono, rispettano le regole, provano a rispettare le consegne che diamo loro, insomma, si allenano. E questo è ciò che voglio. Disabili gravi o meno gravi, rispettando sempre le possibilità di tutti, la volontà e l’impegno di ogni bimbo che scende con me in campo, sono determinato, forse con loro ancora di più, a lasciar loro qualcosa, a insegnar loro qualcosa grazie a quella sfera che tutto permette. Non mi basta farli “giocare a palla”. No, non sarei inter campus. Inter campus vuole, non deve, portare una crescita, un miglioramento a tutti i bimbi che decidono, che vogliono, stare con me, con noi,  per uno, per due, per mille allenamenti, abili, meno abili, disabili…chiamateli come volete. Tutti possono imparare a giocare, ognuno coi suoi tempi e ognuno coi suoi talenti, con le sue possibilità di riuscita, ma tutti devono (qui dovere è necessario) godere di quella palla che rimbalza, perchè come disse una volta Ernest Happel “a day without football is a day wasted”.


mercoledì 2 maggio 2018

In campo

IN CAMPO
Ce lo aspettavamo, lo sapevamo in effetti, ma si rimane sempre male quando poi la supposizione diventa realtà: in questa scuola le cose non vanno bene da un po’ di tempo, Alexei non riesce a fare allenamento, non ci danno il campo, non ci permettono di entrare in palestra per svolgere l’attività (e qui l’inverno non ti permette certo di giocare all’aperto. Ora siamo a fine aprile e, cacchio, ci sono 6 gradi alla mattina quando usciamo a correre!!!), ci nascondono, letteralmente i bambini. E oggi non è andata diversamente: il primo gruppo, quello dei grandi, più “indipendenti”, si è presentato e dopo un gioco con noi ha svolto il suo bell’allenamento col nostro mister, ma il gruppo dei piccoli, che doveva essere il nostro, quello che avremmo dovuto curare io e Juri, non si è presentato. “Sono dal dottore”, ci ha detto prima la segreteria del direttore, che è un po’ la reggente qui dentro; “sono a teatro” ha sottolineato dopo che noi abbiamo insistito. Insomma, sono dappertutto, tranne che dove vorrebbero essere, ossia in campo. Già, perché i bambini vogliono, o meglio vorrebbero, giocare: quando siamo arrivati questa mattina erano già pronti, vestiti Inter, contentissimi di vedere Juri, emozionati nel vedere me, new entry da queste parti, e ansiosi di giocare, tanto che con un paio ci siamo messi a palleggiare mentre aspettavamo di essere ricevuti. Ma la direzione della scuola, non si capisce perché, fa di tutto per ostacolarci e impedire ai bimbi di partecipare all’attività inter campus prevista bisettimanalmente per tutti loro, costretti in questa scuola che chiamano Internat, una specie di collegio, dove vivono tutte i loro giorni, poiché o orfani, o abbandonati dalla famiglia, oppure perché inseriti qui non potendo i genitori prendersi cura di loro. Insomma, sfiga su sfiga, neanche a calcio riescono a giocare. E noi, ahimè, non riusciamo, non siamo ancora riusciti, a cambiare le cose e riuscire a dare una svolta positiva, per lo meno per tre ore alla settimana, alla vita di questi bambini. Be', ma inter campus non ama le cose facili, quindi...non si molla, è qui che dobbiamo far la differenza.