giovedì 28 settembre 2017

Chawama

CHAWAMA
Madonnina che vento! Altro che la “brezzolina” di ieri: oggi in campo a Chawama c’era una bora degna di Trieste, che mi ha fatto, ci ha fatto, mangiare chili di terra, tingendoci volto e gambe del rosso tipico di questi campi. Per me con le lenti a contatto, sai poi che gioia essere avvolto da una folata rossa, nel bel mezzo della dimostrazione dell’esercizio. Tra tosse e occhi chiusi non ho capito più nulla per un paio di minuti. 

Condizioni avverse a parte, anche oggi le cose sui campi congolesi sono andate bene e siamo riusciti a lasciare dei bei contenuti ai nostri vari mister al seguito, Gollum escluso, che poverino è da due giorni che combatte con chissà quale problema allo stomaco. Deve aver infilato il dito nell’anello una volta di troppo e ora è sfinito, senza forza e sofferente. Già perché Charles, questo il suo vero nome (o Smigol?) è uguale al personaggio del famoso libro e ogni volta che lo rivedo non posso non cadere col pensiero su Frodo, Gandalf e tutta la compagnia dell’anello! E non posso non ridere. Va però detto che il nostro omino stregato dall’anello sta, anno dopo anno, diventando un bravo hobbi...no, sbagliato, un bravo allenatore, intendevo. E da queste parti non è mica facile. Rispetto al primo anno, ormai il lontano 2009, sembra un altro quando scende in campo, anche nell’approccio ai bambini. Lui, così come JeanLuc, l’altro allenatore della cellula di Chawama: addirittura sorride quando è in campo! Come mi fanno felice questi traguardi raggiunti: vedere lo stesso mister che a distanza di anni inizia ad accantonare la corsa intorno al campo come forma di riscaldamento, lo stretching di Valcareggi, le esercitazioni noiosamente analitiche incentrate su non si sa bene quale obiettivo, per far spazio a giochi di attivazione ludico-motori, ad esercitazioni per il miglioramento del gesto pertinenti e ben gestite e soprattutto introducono sorrisi, frasi di incoraggiamento, giochi, scherzi e correzioni positive, è una delle cose più belle che mi lascia inter campus. Certo, i bimbi e quello che con la palla nerazzurra riescono a fare, a diventare, sono importanti, ma se non ci fossero questi ragazzi capaci di tenerli legati al campo, educarli attraverso il gioco in posti come questo, Inter campus non avrebbe senso. “Perché, dove sei?” mi si chiederà. Sono fuori dalla città, ormai nella “natura selvaggia”, presso un villaggio costruito ai margini di una strada sconnessa di sabbia e sassi, che fino a poco tempo fa aveva come vicini da una parte truppe ribelli dei mai-mai e dall’altra soldati quasi sempre ubriachi e a caccia di soldi facili, messi li dallo stato per controllare l’accesso alla "ville". Piacevole…e per un bimbo lo è ancora di più: nulla intorno a se, se non la scuola costruita da Alba e gestita dai salesiani; nulla da fare se non passare cinque ore della propria giornata in una classe sovraffollata, con un prof per nulla coinvolgente e nel caldo torrido di questi giorni. Che palle. Meno male che tre giorni alla settimana si gioca, sul campo costruito da Alba, con la maglia nerazzurra e con gli allenatori preparati e capaci di Inter Campus. Meno male che c'è il calcio!

martedì 26 settembre 2017

BUMI ONG

BUMI
Il campo è tipicamente inter campus: leggere pendenza (leggera…), buche, gente che entra ed esce dal nostro spazio di gioco e sabbia, sabbia in abbondanza che il vento di oggi alza e getta nei nostri occhi. Come tanti altri campi del mondo neroazzurro, che certo però non ci porta ad abbassare la qualità delle nostre proposte, che certo non ci distrae dal nostro obiettivo unico e solito: educare i nostri bimbi attraverso l’insegnamento del gioco del calcio e continuare il nostro percorso formativo, dedicato ai mister che ci stanno seguendo giorno dopo giorno, in giro fra le varie cellule di inter campus Lubumbashi. Quando poi al termine della seduta e dopo l’incontro coi mister, Sara, la responsabile della Ong Bumi con cui, attraverso Alba onlus collaboriamo da un anno, ci porta a vedere le case famiglia, la scuola e la fattoria dove vivono i “nostri” bambini, diventa per noi ancora più importante preparare al meglio gli allenatori, affinché siano in grado di offrire l’allenamento più bello mai vissuto prima a tutti loro. Questi bambini se non ci fosse Bumi sarebbero in mezzo ad una strada a vivere e se non ci fosse il calcio sarebbero già diventati abili ladruncoli, allenati a vivere di furti, ruberie ed espedienti di ogni genere. Sara stessa ci conferma che “quattro dei nostri piccoli calciatori mi hanno detto che se non ci fosse stato inter campus sarebbero già scappati e tornati a vivere in strada”. E il calcio è con loro attraverso noi solo da febbraio… Il prossimo passo, ora, sarà quello di trovare un altro allenatore da formare, per affidargli una squadra femminile (visti i problemi legati alla maternità “giovanile” e le ancor più grandi difficoltà di vita delle bimbe) per accompagnare anche loro sui nostri campi e nel loro percorso di sviluppo. Primo passo, questo, perché poi si potrebbero fare altre mille cose: l’ong si prende cura di bambini e bambini di ogni età, da 0 a 18 anni, e per ognuno ha attivo un progetto e per ogni progetto occorrono soldi, che, ahimè e ahiloro, ultimamente latitano. Cacchio! E vedere le casette sovraffollate dove vivono fino a 15 bambini, dai 2,3 anni, fino ai 10,12, seguiti da una “mama” che si occupa di preparare da mangiare, tenere in ordine quello spazio e prendersi cura di loro, sapendo che ne occorrerebbero altre quattro almeno per migliorare le condizioni di vita di tutti, è uno stimolo a cercare soluzioni per aiutarli a realizzare, raggiungere anche questo obiettivo. Come di preciso non so, ma magari attraverso inter campus, seguendo il simbolo inter, qualche sponsor si riuscirà a trovare e…chissà: casette nuove, campi recintati per impedire agli abitanti del quartiere di rubare le verdure che coltivano, inserimento di nuove culture per variare la dieta dei bambini…vediamo. Qualunque cosa può essere utile per provare a dare una speranza, un futuro a questi bambini. Fuor di retorica, assolutamente, ma qui c’è bisogno di aiuto.

lunedì 25 settembre 2017

In viaggio verso Lubumbashi

LUBUMBASHI
Tra tutti i viaggi di Inter campus, questo, per arrivare in Katanga a Lubumbashi, credo sia uno dei peggiori, insieme a quello per la Bolivia: partenza ore 17 da Milano, arrivo ore 21 ad Amsterdam, ripartenza ore 22:15 per Nairobi, dove arriviamo alle 5 del mattino e nella capitale Keniana 5 fottuitissime ore di attesa prima dell’ultimo volo che in tre ore ci deposita nella “ricca” capitale della regione del Katanga, RDC. Ricapitolando, quindi, circa 20 ore da quando abbiamo salutato Milano a quando siamo atterrati in questa parte di mondo, che però se mi metto a contare anche la partenza da casa, diventano 22. E che cacchio! Sembrava non finire mai. Soprattutto l’attesa a Nairobi è stata fisicamente devastante, passata solo grazie al wi-fi gratuito per un’ora che mi ha permesso di chattare con alcuni “miei” allenatori nel mondo e ricevere così aggiornamenti da alcuni “campi del mondo”, se no non mi sarebbe mai passata. Inutile però lamentarsi: questo è l’unico modo per arrivare quaggiù, quindi…va bene così. Arrivati al controllo passaporti l’accoglienza è sempre la stessa: una grande confusione diffusa con gente che spunta in ogni dove chiamandoti, salutandoti, per cercare di offrirsi come portatore per le tue valigie, o per aiutarti a sbrigare le pratiche burocratiche; gente che aumenta di numero una volta entrato nel salone, dove l’unico nastro trasportatore riconsegna i bagagli ai viaggiatori, in mezzo ad un andirivieni continuo di persone con la pettorina giallo fosforescente che entrano ed escono dall’aeroporto come se fossero al supermercato,  alla facciazza dei mille controlli di sicurezza europei. Usciti da questo girone infernale, eccoci in quella che per me è la calma Lubumbashi, lontana anni luce dal caos, dalla confusione, dalla frenesia di Kinshasa, pur parte dello stesso, enorme, stato. Eccoci nuovamente con Alba onlus dai nostri 170 bambini divisi nei cinque centri, Djamajeto, Bakanja, Bumi, Cowama, GoCongo, eccoci di nuovo dai nostri sette misters e sui nostri campi del mondo. Si comincia!

venerdì 15 settembre 2017

sabato 2 settembre 2017

Luanda la doppia

Dobbiamo aver varcato una qualche porta spazio-tempo questa mattina, quando in macchina siamo scesi fin sulla Marginal, abbiamo parcheggiato e abbiamo iniziato a correre: strada pedonale comprensiva di pista ciclabile, palme e praticelli verdi curatissimi, piccoli campi da basket su un lato e mare su quell'altro, edifici risalenti al periodo coloniale ristrutturati, al fianco di grattacieli moderni, altissimi, che nulla hanno da invidiare a quelli di qualsiasi altra capitale del mondo. E soprattutto quattro chilometri quasi di spazio lungo mare ove poter dar fondo a tutta la nostra voglia di correre (oggi era giorno per la dieci chilometri, che se fossimo rimasti a Sao Josè chissà come avremmo potuto completare)! Naaaa, questa non può essere la stessa Luanda dove lavoriamo normalmente, soprattutto non può essere a soli dieci minuti di macchina dalla polvere, dalle discariche fumanti a cielo aperto, dalle baracche in lamiera e le latrine a bordo strada, non può essere così vicina a dove siamo abituati a stare e dove vivono i nostri bimbi e i nostri allenatori. Eppure questi due estremi a stretto, strettissimo contatto sono la realtà e quando si sale alla fortaleza ci si può ancor più render conto di questi due mondi costretti praticamente sullo stesso suolo: salendo sul colle che domina la città, dove sorge il museo delle armi della rivoluzione, e guardando verso la Ilha, la moderna zona ricca, bianca, è infatti spaventoso (si, spaventoso credo sia l'aggettivo corretto) vedere, accorgersi di quanto sia netto il limite tra ricchezza e povertà, tra il mondo dei pochi e quello dei più e di quanto essi siano confinanti. Si distingue infatti nettamente da quassù fin dove sono arrivati i lavori di "abbellimento" della città, fin dove la parte ricca ha letteralmente mangiato, rubato la terra da sotto i piedi alla parte povera: una strada asfaltata nuova, nuovissima, costeggiata dalla spiaggia da un lato e da palazzi e locali moderni dall'altra, termina in un benzinaio, per poi tornare a lasciar spazio alle baracche fatiscenti, ai buchi, alla favela che prima occupava tutto lo spazio che i nostri occhi riescono ad abbracciare. Prima occupavano quello spazio, perché oggi le "case" di quella parte della popolazione che non ha diritto di replica sono state abbattute per far spazio al mondo moderno e ai pochi che possono permettersi di comprar casa in questa città assurdamente cara, costosa, e quelli che erano i suoi abitanti sono stati trasferiti forzatamente fuori, lontano da ciò che era fino a poco tempo prima "casa loro", per essere sistemati in villaggi "fantasma" che ricordano un po' i set cinematografici di cine città. Ricchezza e povertà li sotto, a contatto ancora per poco, perché il progetto in corso prevede l'abbattimento di tutta la favela e l'allontanamento di tutti i suoi abitanti, per completare l'opera iniziata. Anche la zona dove siamo noi subirà nei prossimi anni la stessa sorte: Sambisanga, il "nostro" quartiere, verrà praticamente abbattuto, ripulito e ricostruito con condomini e case con una ampia vista sul mare e sull'enorme porto della città e tutti i suoi abitanti...chissà che fine faranno. Poco cane, come ci si sente impotenti di fronte a tutto questo.