lunedì 7 novembre 2022

Giro turistico, da Blantyre al lago Malawi

 TOUR IN MALAWI
Partenza immediata, subito dopo la conclusione del torneo…subito dopo, più o meno. Perché prima pranziamo insieme ai mister, poi posiamo per le solite mille foto ricordo, quindi ci dirigiamo verso la macchina e aspettiamo un’altra buona mezz’ora non si sa cosa, ingannando il tempo coinvolgendo in un mini torello una decina di bambini incuriositi da queste due facce bianche nel loro territorio. Quando finalmente si parte, dobbiamo prima passare velocemente dall’hotel, perché questa fuga non era prevista, quindi dobbiamo perdere un’altra buona mezz’ora nello spiegare che ce ne andiamo con un giorno di anticipo e che quindi devono scalare il costo della notte dalla prenotazione già pagata. Insomma, un casino assoluto, ma finalmente quando ormai sono le 15 (il torneo si è concluso alle 10:30 e la manifestazione alle 11:30) riusciamo veramente a partire alla volta del lago Malawi. Solito trambusto per uscire dalla città (come quando dovevamo lasciare Yaounde con Francis: era sempre la parte più lunga del viaggio), acuito dalla mancanza di benzina nelle stazioni di servizio, che causa delle file chilometriche, senza esagerare, e caos non appena ci si avvicina ad un distributore, ma poi finalmente, siamo fuori. E al di la del mio finestrino scorrono immagini conosciute, seppur di un altro paese: tratti di foresta confusa, con intrecci di alberi di ogni forma e dimensione, che si alternano con piccoli villaggi, a volte con case in muratura, a volte costituiti solo da qualche capanna con il tetto di paglia e colori vividi, fortissimi. Dal rosso della terra, al verde scuro della foresta; dall’azzurro limpido del cielo, al marrone polveroso delle zone di “città”. Questa volta, in più, giriamo intorno ad una alta montagna (mzuzu se non ricordo male), che si staglia alla mia sinistra e procediamo lungo due grandi laghi prima, e un lungo e stretto fiume poi (chili river), prima di arrivare alla nostra destinazione finale, quando ormai è buio pesto, pur essendo solo le 20. Il tempo di scoprire la stanza per la notte (una cameretta tipo casetta di paglia di un villaggio, dotata di tutti i confort necessari, zanzare e geco compresi) e…crollo nel letto. La giornata è stata lunga, lunghissima, e, seppur assolutamente positiva, molto sfiancante. Il giusto riposo mi attende, dunque, in attesa della corsa mattutina di domani.

domenica 6 novembre 2022

Malawi e costa d’avorio
Ma è possibile che non riesca (o non voglia?) trovare il tempo di fermarmi un attimo a scrivere e fare un po’ un riepilogo di ciò che sto vivendo? Cazzarola, così è troppo un casino. Dunque, riavvolgiamo il nastro: l’ultima volta che ho preso in mano il mio diario virtuale ero a Djakarta, Indonesia, immerso in una quattro giorni tra aula e campo insieme ad Antonio, con 23 allenatori proveniente da tutto il paese (e il paese è enorme…).Ricordo bene la corsa del sabato in giro per la città, fino al monumento commemorativo dell’indipendenza, un ritorno travagliato con 4 ore di ritardo a Doha, una splendida gita in montagna con le mie donne, due ore dopo il mio atterraggio a Milano, e poi…di nuovo in volo. 48 ore a casa e si riparte. Destinazione Malawi.
Ennesimo viaggio della speranza, alleviato per lo meno dal biglietto business, che mi permette di viaggiare comodo (milano-addis ho studiato giusto un paio d’ore, poi ho stretto una fortissima amicizia con Morfeo), ma posso ora dire che ne è valsa la pena. Mi mancava tantissimo, e non lo sapevo, l’odore dell’aria, del caldo umido di alcune città africane dove ho avuto la fortuna di passare; la terra rossa, rossissima, a bordo strade, fuori dalle principali vie di comunicazioni, pronta a diventare fanghiglia iper appiccicosa al primo accenno di pioggia; la natura, la foresta, verde, verdissima, che incombe alle spalle delle umane costruzioni, pronta a riprendersi ciò che le appartiene non appena il cancro della terra non si distrae un secondo; la gente, in giro, in movimento, sempre, ad ogni ora del giorno o della notte, con ogni tipo di mercanzia in testa a sfidare le leggi della gravità, dalle scarpe, ai secchi pieni di mango o banane; e infine il campo, i bambini, il loro caotico modo di vivere l’allenamento, la partita, il calcio in generale. Tecnicamente tutti dotati, ma incapaci, per lo più, in situazione, di sfruttare il loro potenziale tecnico per “giocare realmente” a calcio. Il potenziale di tanti bambini che ho allenato, visto, in campo in questo enorme continente del mondo (anche se circoscriverei questa riflessione all’africa nera, sud sahariana) è elevatissimo: hanno grandi competenze motorie, si muovono in maniera armoniosa e anche con il pallone tra i piedi non perdono la loro grazie ed efficacia, ma una volta usciti dal contesto individuale, si perdono. Palloni a tre metri dal piede, ricezioni frontali, per lo più nei piedi dell’avversario, nessuna occupazione degli spazi secondo un criterio, assenza per lo più totale del concetto di smarcamento, di ampiezza, di profondità o sostegno che sia. Un gran rebelot. Tutti sulla palla e il più forte se la prende.
Certo, non son qui per la sola questione calcistica, però son convinto del fatto che se vuoi davvero sfruttare il calcio come mezzo per educare, per crescere bambini e bambine, devi insegnare loro come fare, come giocare. Altrimenti non si divertono, non si appassionano e di conseguenza tutti i messaggi educativi che vuoi loro passare finiscono dispersi, non arrivano da nessuna parte. Tutti vogliono giocare a calcio, tutti vogliono calciare la palla e fare gol, tutti vogliono provare un dribbling. C’è poco da fare. Questo è il punto centrale. Soprattutto se fanno parte di un progetto della fifa. Solo così puoi pensare di educare attraverso il calcio. Altrimenti il calcio rimane solo una scusa, uno strumento che non viene sfruttato in tutta la sua forza, in tutto il suo potenziale. Quindi…sotto con gli allenamenti.

sabato 29 ottobre 2022

Djakarta

 Mamma mia, che casino. Nemmeno il tempo di concludere il racconto precedente, che sono nuovamente in aereo, destinazione Indonesia. Rientrato, infatti, a casa sabato mattina, ho avuto giusto modo di disfare la valigia, lavare il materiale tecnico, festeggiare Annina insieme ai suoi amici con una super festa, in un posto fighissimo (mi prendo i meriti della scelta, questa volta) e...risalire in macchina, alla volta di Malpensa. Che ritmi. 

Ora, seduto in questo gigantesco seggiolino in aereo, provo a fissare nella mente, ma anche sul mio diario virtuale, qualche esperienza vissuta nel corso della passata settimana, altrimenti corro il rischio di perderle, di confonderle, di sbiadirle; allontanate, o meglio, soppiantate da altri eventi, altri accadimenti, ormai in continua e rapida successione. Già, perché se da un lato è bello muoversi, viaggiare e accumulare esperienze, penso sia anche necessario viverle completamente, riflettere, capirle, prendersi del tempo per scorrere le immagini nella mente e ripensare a ciò che si è vissuto, ciò che si è fatto, altrimenti si rischia di perdere l'occasione di crescere, di ampliare i propri orizzonti, il proprio bagaglio di avvenimenti, schiacciati come siamo quotidianamente dai mille impegni, mille appuntamenti, mille lavori. 

Eccomi, quindi, a cercare di rivedere, riassaporare questa settimana Armena, prima di tuffarmi in una nuova e totalmente diversa realtà. E non posso che essere contento riavvolgendo il nastro: le persone incontrate, dagli allenatori ai vari membri della federazione, sono stati tutti una positiva e devo ammettere inaspettata scoperta. Gentili, accoglienti, calorosi, orgogliosi del proprio paese e desiderosi di mostrarlo, di presentarlo allo "straniero". Lavorativamente parlando devo dire di essere un po' meno soddisfatto, ma...non si può avere tutto. Ad essere franchi, infatti, il livello degli allenatori è piuttosto basso e non son certo abbiano pienamente compreso, capito, il metodo e il lavoro che dovranno poi svolgere sul campo. L'ostacolo della lingua certo non ha semplificato le cose, ma a tanta simpatia e amicizia ha fatto da contraltare la poca preparazione e famigliarità col calcio e soprattutto con l'allenamento calcistico. Vedremo nei prossimi mesi cosa sarà, cosa succederà. 

Ora, testa all'Indonesia, testa a Djakarta. Paese popolatissimo (più di 200 milioni di abitanti), super fanatico di calcio e tristemente noto ai più per i recenti (ma anche i meno recenti) fatti di cronaca, legati allo sport più bello del mondo. Arriviamo infatti venti giorni dopo la tragedia che ha colpito questa città, questa nazione intera, e diventiamo cruciali per risollevare l'immagine del calcio in quest'area del mondo. But, no pressure, continuano a dire...

domenica 23 ottobre 2022

Nella capitale

YEREVAN
Arrivato prestissimo (4 del mattino) nella capitale Armena, decido, dopo un sonnelino di due ore, di uscire ad esplorare la città “by run”. Una visita di corsa, nel vero senso della parola, di quelli che sono i punti più interessanti di questa città: il palazzo del governo nella centralissima piazza della repubblica, il lungo viale pedonale che porta all’opera e l’immensa scalinata della “cascade”, per poi arrivare in cima al memoriale del genocidio e concedermi un allungo di un paio di km nel parco della vittoria. Bellissimo. Sicuramente il fatto di aver esplorato il tutto correndo mi ha condizionato positivamente, ma la città mi appare comunque molto bella, per lo meno affascinante. Questo mischione tra architettura di chiaro stampo sovietico e i vialoni quasi parigini; i giardini curatissimi con repliche di varie opere di Botero e la vista sullo sfondo del Monte Ararat; la gente intorno che va dal normo tipo asiatico, al tipico modello caucasico e il tutto sempre avvolto da un non so chè di medio orientale, che mi riporta alla mente alcuni scorci di Beirut, così come di Teheran. Insomma, un primo, veloce (più o meno) morso alla città sicuramente gustoso, prima di cambiarmi e dirigermi al centro tecnico per un check dell’aula, del campo, del materiale per i prossimi giorni di corso. Cosa rapida, di un paio d’ore, utile per conoscere i partner della federazione che ci accompagneranno durante la missione e per conoscere il campo, i campi. E che campi! Il centro è bellissimo: l’edificio oltre ad ospitare i vari uffici, tra cui quello del ct della nazionale(posto vacante, al momento), ha al suo interno diverse camere da letto per i ritiri delle varie nazionali, una cucina con annessa sala da pranzo, un paio di saloni per conferenze, una palestra perfettamente equipaggiata e un campo multidisciplinare indoor. Senza dimenticare i campi esterni: tre campi in erba naturale, uno dei quali con una mega tribuna, più uno in sintetico, tutti regolamentari. Devo ammettere che non me lo aspettavo così completo e all’avanguardia. Veramente notevole.

sabato 22 ottobre 2022

YEREVAN

 

ARMENIA, OTTOBRE 2022
Via, si riparte. Direi anche, finalmente. Già, perché non mi muovo dall’Italia ormai quasi da due mesi e, per quanto questa lunga sosta sia stata per me necessaria, vista la ripartenza di tutte le attività VSE, la ripresa della scuola, l’inserimento di Maggie alla scuola dell’infanzia…insomma, visto il ritorno alla normalità, devo confessare che scalpitavo in attesa di rimettere le mie chiappe su di un aereo. Ed eccomi accontentato. Anzi, molto più che accontentato; mi attende infatti adesso un periodo che mi porterà a odiare quei trabiccoli volanti: una settimana in Armenia, rientro il sabato, il lunedì riparto per l’Indonesia, rientro il sabato, martedì parto per il Malawi e da li, senza passare dal via, rotta verso la costa d’avorio. Tutto questo in circa un mese. Mr. Fogg chi?
Cazzate a parte, son contento. Il mio contratto con la fifa sta per scadere, quindi, non sapendo ancora se lo rinnoverò o meno, voglio godermi al massimo quelli che potrebbero essere i miei ultimi viaggi. Senza ansie e paure per l’incertezza: come dico dal primo giorno in cui ho messo piede in questa nuova realtà, voglio godermela senza calcoli, pensieri e quello che verrà sarà solo di guadagnato. Il viaggio, i viaggi, questo tipo di lavoro, mi piace un sacco, lo stare in aula con gli allenatori altrettanto e il campo…be’, ca va sans dire, ma come per tutte le cose c’è sempre un lato oscuro, un’altra faccia della medaglia. Lasciare le bimbe, caricare tutto sulle spalle di Silvia mi pesa ogni volta di più, mi fa sentire colpevole, quasi menefreghista nei confronti della mia famiglia, dei bisogni delle mie nane e soprattutto nei confronti di mia moglie, costretta dalle mie assenze ad un surplus notevole lavorativo. In un momento in cui già il suo lavoro in senso stretto la sta mettendo sotto torchio. Per cui…non so se volere quel rinnovo o proferire un ritorno alla normalità. Qualche viaggio l’ho fatto in questi 17 anni in giro per il mondo, qualche esperienza l’ho vissuta, fin qui posso dirmi soddisfatto. Certo, il mondo è ancora grandissimo, le esperienze sono infinite e quella palla che rotola vorrei inseguirla per tutta la mia vita, ma lascio, come spesso, se non sempre, ho fatto l’arduo compito di scegliere al Fato. Io, serenamente, mi adeguerò, che si tratti di mettere le radici a Monza, o di vivere per altro tempo con la valigia in mano.

giovedì 25 agosto 2022

Johannesburg

 Devo ammettere che non me la aspettavo così. Come sempre, prima di andare da qualche parte, cerco, seppur sommariamente, di informarmi circa la città, i suoi quartieri, la sua storia, e l'immagine che mi ero fatto è risultata completamente sbagliata. Molto probabilmente la causa di questa mia distorta aspettativa va ricercata nei miei precedenti incontri con alcune grandi capitali africane come Kinshasa, Kampala, Yaounde, Douala, Luanda, con le quali Jo'burg, come viene "confidenzialmente" chiamata, ha poco da spartire; qui infatti si incontrano grandi strade a 4 corsie, cavalcavia (cacchio, la strada che percorriamo per andare al centro tecnico federale sembra una highway americana), marciapiedi (adesso, è da un po' che non torno a Kinshasa e potrei sbagliarmi, ma i marciapiedi me li ricordo come merce rara da quelle parti, se non nel quartiere vicino al fiume congo), semafori...ok, non voglio ridicolizzare le altre città, anche loro hanno i semafori, ma qui mi sembra di essere negli stati uniti se guardo il quartiere dove abbiamo l'hotel o la strada che maciniamo quotidianamente. Certo, se poi riesco con lo sguardo ad andare oltre questa apparenza, riesco a scorgere la rossa, rossissima, terra africana, a intravedere la natura selvaggia che preme alle spalle del cemento per riappropriarsi dei propri spazi non appena l'invasore umano distoglie lo sguardo, però a prima vista la città è decisamente diversa. 

Con il muso appiccicato al finestrino durante i nostri spostamenti verso il centro tecnico federale, due sono le cose che più sto notando e che più mi stanno impressionando: l'evidente alto tasso di criminalità e la povertà diffusa. Non c'è casa, magazzino, fabbrica, che non sia circondata da filo spinato, adornata da telecamere di sorveglianza e, in alcuni ricchi casi, con il presidio fisso di qualche guardia di sicurezza; così come non c'è ponte, angolo nascosto, semaforo, che non accolga mendicanti, senza tetto, case improvvisate fatte di cartone o lamiera. Veramente impressionante. Parlando con gli allenatori ho scoperto che questa gente che vive per strade e che per lo più vive di furti, spaccio, o comunque nell'illegalità, sono quasi tutti (hanno azzardato un 80%) immigrati clandestini, irregolari, provenienti da altri paesi africani, capitati da queste parti in cerca di fortuna, scappando dalla loro terra natia che può essere Ghana, Nigeria, piuttosto che Botswana o chissà cos'altro. Anche questa cosa, la ignoravo completamente. Spero nei prossimi giorni di riuscire ad approfondire il mio fin qui veloce, rapido, superficiale, incontro con il sud africa e di non ridurmi come spesso mi è successo nelle ultime missioni, a vivere il Paese che mi ospita...dal finestrino del pulmino che dall'hotel mi porta al centro tecnico federale e dal centro tecnico mi porta all'hotel.

mercoledì 24 agosto 2022

Ritorno in Africa

 Dunque, proviamo a riavvolgere il nastro: giovedì scorso ho dormito a Houston, venerdì in aereo, di ritorno verso l'Europa, sabato ero a Velturno da Silvia e le bimbe, domenica nel mio letto a casa, lunedì nuovamente in aereo e ora, martedì, eccomi a Johannesburg. Che casino! Meno male che fino a oggi non ho mai sofferto delle conseguenze del jet leg e soprattutto meno male che ho ereditato dai miei genitori la capacità di addormentarmi in qualunque luogo, su qualunque letto, o comunque qualunque cosa mi permetta di chiudere gli occhi (dallo zerbino di casa, sul quale ho dormito da "giovane", all'amaca dove ho trascorso un mese super), perché altrimenti sarei ora in seria difficoltà. Invece mi sento bene, carico, pronto, per questa nuova missione a distanza di due giorni da quella Beliziana e son contento, contentissimo, di tornare in Africa: più che ogni altro continente, da queste parti mi sento...a casa, a mio agio. La terra rossa, il cielo blu come da nessun'altra parte, la luce unica dei tramonti: son proprio felice di rivedere tutto questo. Certo, lo ammetto: la mia è una enorme semplificazione. Conosco 10 paesi soltanto di questo enorme continente, quindi magari non da tutte le parti potrò ritrovare questi "ingredienti", ma oggi quando ho messo piede fuori dall'aeroporto, quando ho preso la prima boccata d'aria per me è stato un piacevole "ritorno". Speriamo anche questa missione vada come tutte le mie precedenti in terra africana. Let the show begin

lunedì 22 agosto 2022

Houston, abbiamo un problema

Il risveglio violento, causato da un terribile tuono, che mi ha scaraventato giù dal letto, lasciava presagire una giornata intensa, ma nulla poteva portarmi a presagire un incubo come quello forse solo ora posso dire concluso. Ma andiamo per ordine: il suddetto tuono mi catapulta nel mondo dei desti, strappandomi dal dolce abbraccio di Morfeo, che non sono ancora le 6 del mattino. Provo a riaddormentarmi, ma le raffiche di vento, la pioggia battente sulla finestra e i continui tuoni, mi convincono che sia ora di alzarsi e andare ad allenarsi, solo che...la strada è allagata! Completamente. Non c'è modo di correre. Le strade sono scomparse, coperte da uno strato di acqua alto fino alle mie caviglie. Amen, vado in palestra, dove incontro il redivivo Juan Pablo Angel: l'ex calciatore dell'aston villa è stato colpito dalla maledizione di montezuma (che poi ha colpito in successione anche tutti gli altri miei compagni di viaggio, evitando solo me) e ha passato due giorni terribili, ma oggi vederlo in palestra è un bel segno. Ci alleniamo insieme, mi invento una seduta di pesi, sfruttando anche la corda e il tappeto, quindi poi colazione e via, verso l'aeroporto tra le strade allagate. E li inizia l'odissea: l'aereo è in ritardo di mezz'ora e noi abbiamo una "very short connection" a Houston. Dove però non arriviamo. Un violento nubifragio sta devastando la città, per cui prima rimaniamo in attesa girando sopra l'aeroporto per quasi due ore, po ci dirottano su san antonio, dove però non possiamo andare perché abbiamo finito il carburante e necessitiamo di un rabbocchino. Eccoci quindi diretti a Mc Allen, un posto che nemmeno chi ci abita conosce. Qui atterriamo e...aspettiamo. Aspettiamo di fare rifornimento, perché nella nostra stessa situazione ci sono altri 10 velivoli e in questo aeroporto hanno solo un tank, che dopo aver riempito un aereo deve a sua volta fare rifornimento. Assurdo! Stati uniti del c....! Dopo tre ore trascorse in aereo (si, chiusi dentro: non si possono nemmeno aprire le porte, perché il nostro è un volto internazionale e se solo si apre la porta è come se si cercasse di entrare nel territorio a stelle e strisce, quindi dovremmo sottoporci ai controlli della dogana), finalmente ripartiamo, consci ormai di aver perso la coincidenza per l'europa. Quando finalmente alle 21 passate atterriamo a Houston (9 ore in giro, per un viaggio previsto della durata di 100 minuti) il delirio ci accoglie: è scoppiato l'armageddon! Centinaia e centinaia di passeggeri nella nostra stessa situazione, provenienti da chissà quali altri paesi del mondo, deve entrare in sto paese di scemi e al controllo passaporti funzionano 8 banchi su 32 (in fila non sapevo che cazzo fare e ho studiato tutto quello che avevo intorno). Altre due ore buttate nel cesso. Ma non è finita. Ora dobbiamo trovare il banco united per farci mettere sul primo aereo per l'europa di domani, ma, ancora una volta, non siamo gli unici e il banco è uno solo. Ci attende una fila che non esagero nel definirla chilometrica! Il mio compagno di viaggio si lascia andare ad una serie di imprecazioni nella sua lingua madre, mentre io provo a trovare una alternativa e la scorgo in una panzona degna di "vite al limite", che mi porge una specie di bigliettino da visita con un qr code da scansionare per ottenere assistenza. Io con uno e alex con l'altro bigliettino in mano riusciamo a metterci in contatto con un agente della compagnia aerea e trovare una soluzione per il nostro ritorno: lui andrà direttamente a zurigo (la svizzera ha voli diretti e l'italia no!), io verrò rimesso sullo stesso aereo che avrei dovuto prendere oggi, ma 24 ore dopo. 

Ok, volo a posto. Ora dove dormiamo? Già, perché questa compagnia di mer.. non ci mette a disposizione l'hotel, perché la causa del ritardo è fuori dalle loro responsabilità: non è mica colpa loro se piove. Dobbiamo quindi ingegnarci, ma, ca va sans dire, come noi ci sono altre centinaia di persone a caccia di una sistemazione. La solita panzona mi fornisce una lista di venti hotel nelle vicinanze dell'aeroporto e ripartiamo con la caccia. 8 chiamate dopo, troviamo quello che stiamo cercando: una stanza da condividere, o meglio, l'ultima stanza. Via, allora, usciamo da questa enorme gabbia di matti, prendiamo un taxi...niente taxi. Son tutti per strada. Non ce ne sono più. Aaaaaargh!!! Fortunatamente qui Uber impera, quindi troviamo abbastanza velocemente una soluzione alternativa, per, finalmente, andare a dormire! Certo, non prima di spararci un'altra bella fila al check in dell'hotel, sempre perché siamo accompagnati da altri sfigati in questa disavventura. Ore 2 del mattino, passo e chiudo. Domani è un altro giorno. Speriamo migliore di quello appena trascorso

venerdì 19 agosto 2022

Piove...

Pioggia. Cazzo, pioggia. Un sole “pallato” fino a oggi, un cielo blu cobalto come in pochi altri posti ricordo di aver visto fino a ieri, e oggi, giorno del “festival” per i bambini, giorno di chiusura delle attività con tutti e 126 i “calciatori e le calciatrici” in campo per giocare per circa 90 minuti, piove. E che cazzo. C’è da dire che per lo meno il caldo è un po’ scemato per via dell’acqua, quindi, per lo meno a me e hai bambini, l’atmosfera risulta piacevole e gradevole. Anche gli allenatori non sono disturbati dall’acqua che scende dal cielo, per cui i giochi iniziano alla grande, tra urla di gioia per gol fatti, e richiami da parte dei mister per dare consigli e accorgimenti. Purtroppo, però, i grandi capi non la pensano come noi, per cui dopo poco più di venti minuti di gioco “ordinano” la sospensione delle attività e la ricerca del riparo da parte di tutti. La cosa mi fa incacchiare non poco, ma inizialmente abbasso il capo e sto al gioco. Giro, però, tra i gruppi e ovunque i bambini mi chiedono di tornare a giocare, così come gli allenatori. “Alberto, perché siamo fermi?”, “Alberto, noi giochiamo sempre sotto la pioggia”, “Alberto, digli che sei tu il responsabile del campo, facci giocare”. Mi fiondo, allora, dal segretario generale e dal presidente della federazione. “Signori,  bambini vogliono giocare e anche noi siamo venuti fin qui per stare in campo. Lasciateci giocare”. “No, non possiamo. Dobbiamo evitare che si ammalino”. “Ma se stanno fermi, bagnati come sono, sicuramente si ammalano”, ribatto. Uno scambio di opinioni che dura un paio di minuti, con la super visione della mia nuova capa e l’intervento del mio collega (messo a tacere con un “quanti allenamenti hai gestito nella tua vita? Zero? Allora lascia fare a me”), per poi ottenere un “ok, ma sei tu responsabile della situazione. Se peggiora ferma tutto”. “Ma certo”, e volo via. “Ehi guys, let’s go back to the pitches!”. Un urlo, davvero, un super urlo, segue queste mie parole! E un nugolo di bambini sbuca da sotto le tribune per tornare in campo! Un successo. Alla fine, sarà un successo. I bambini contentissimi per la giornata, i mister che non la smettono di ringraziarmi per averli fatti tornare in campo, e il mio responsabile che ammette che il campo è il mio regno e che devo essere io a decidere. Un successo a tutto tondo. Non tanto mio, ma di quella magica sfera di cuoio, che incredibilmente attrae chiunque e spinge chiunque oltre la pioggia, la neve, il vento.

giovedì 18 agosto 2022

Belize City

 Come sempre mi succede, viaggiando per Fifa Football for school, l'unico modo che ho per vedere qualcosa al di fuori dell'hotel e del centro tecnico federale è allenarmi, correre in giro per il posto dove mi trovo e raccogliere più informazioni possibile macinando chilometri. 

Ricordo in Mauritania le sveglie mattutine e le corse sulla sabbia, evitando mucche stravaccate e carretti selvaggi in corsa qua e la, o a Djibuti, le corse anche li mattutine (se no, poi, il caldo è decisamente eccessivo anche per una lucertola come me e per quanto adori dormire, diventa necessario alzarsi presto) sul lungo mare, con già 30 gradi alle sei del mattino, e certo Belize city non può fare eccezione. 

Corsa dunque sul "malecon" locale (seee, malecon. Gli piacerebbe. Un povero, poverissimo, tentativo di imitazione) col vento contrario all'andata e a favore al ritorno, ma soprattutto col 200% di umidità!!! Incredibile quanto sudore sia capace di produrre! Al sesto chilometro gocciolavo dai pantaloncini! Che schifezza. Ma l'acqua espulsa dal mio corpo non mi ha comunque impedito di guardarmi intorno e scorgere affinità con la già citate isola ribelle, e anche con la mia tanto amata africa. In alcuni punti mi sembrava di essere in Camerun! Una zona in particolare, dove un vecchio, vecchissimo hotel decadente, con la sua fatiscente insegna luminosa, ha attratto la mia attenzione: il suo colore azzurro acceso, il suo porticato antecedente l'ingresso, mi ha richiamato alla mente uno dei tanti "postacci" dove alloggiavamo ai tempi di inter campus. Quegli hotel che negli anni sessanta, post decolonizzazione, dovevano essere stati pensati per essere di super lusso, e che ora faticano a stare in piedi, assaliti da dietro dalla natura, che con le sue "fresche frasche" cerca di riprendersi lo spazio rubatole dall'uomo per le sue costruzioni, e da davanti sono abbrustoliti dal calore del sole e dalla feroce, come direbbe Max, umidità. Anche il colore della gente che incrocio lungo il mio allenamento mi riporta alle strade africane, così come gli improvvisati banchetti di frutta colta dall'albero retrostante e apparentemente abbandonati a se stessi. 

So, o almeno, credo di sapere, che è sciocco fare paragoni tra paesi del mondo, ognuno ha le sue peculiarità, ognuno è unico, a modo suo, ma mi piace ricercare famigliarità in ambienti sconosciuti, appena incontrati e che magari mai più rivedrò. 

Rispetto, infatti, alla mia precedente "vita" di allenatore-viaggiatore, ora difficilmente avrò l'opportunità di tornare negli stessi posti, quindi è quasi impossibile che possa rendere a me conosciuti, famigliari, appunto, questi luoghi, per cui la costruzione mentale di ponti tra ciò che conosco bene e il qui, è una cosa che mi accompagna quasi involontariamente. 

Nel mio girovagare pomeridiano (si, non mattutino: sono da solo a dover gestire il tutto, accompagnato dal responsabile del progetto e dalla "capa suprema", per cui mi sento un po' sotto pressione e dormo malino, per cui preferisco tuffarmi sulla strada alla fine della giornata, piuttosto che all'inizio) oggi sono arrivato fino a un mega complesso sportivo, un po' abbandonato, non curato, ma comunque tutt'ora funzionate, intitolato a Marion Jones, la super atleta americana, che ho scoperto poi essere stato finanziato proprio da lei, in quanto originaria del Belize, per poi fare dietro front e passare di fianco all'aeroporto cittadino (nel senso stretto del termine, visto che gli aerei decollano praticamente in mezzo alla strada) e tornare sui miei passi, lungo il Malecon, pronto per la cena. 

E domani si vedrà

Eccomi!

 Visto che non dicevo cazzate? Dopo il primo giorno, appena arrivato, in cui ho avuto del tempo da dedicare al mio personale diario virtuale di viaggio, in quelli seguenti fino a oggi son stato completamente risucchiato dal frullatore FIFA Football for school e non c'è stato più modo di aggiornarlo. Ora mi sono ritagliato del tempo, ma con la sveglia puntata, perché tra pochissimo ci vengono a prendere per andare alla festa di consegna dei diplomi per il corso. Tutto di corsa, ma non voglio perdere questo breve attimo per appuntarmi per lo meno due cose: la prima riguarda la gente che ho incontrato qui a Belize City. Gente di tutto dal paese, mossa da tutte le regioni per pura volontà di apprendere e migliorarsi, tutte con uno spirito...molto caraibico! Positive, sorridenti, aperte, fiere del proprio paese e desiderose di condividerlo con lo straniero, accoglienti e sempre pronte allo scherzo, alla battuta. Mi ricordano un sacco i cubani, così come la città mi ricorda molto Las Tunas, sempre a Cuba (poi magari mi segno il perché). Veramente bellissimi incontri, fin qui. Naturale, però, di fronte a tanta positività, mi sorge una domanda: quanto pesa il marchio che porto sul petto? Fossi stato un gringo qualunque sarebbero state ugualmente ben disposte nei miei confronti? Non è dato saperlo. Vero è che nei momenti di pausa, durante il pranzo, mi son seduto tra loro (io che faccio il socialone, incredibile) a parlare usando il nostro comune spanglish, e mi son sempre trovato incluso, coinvolto, ben voluto. Anzi, son sempre stati loro a chiamarmi e a iniziare a parlarmi della loro esperienza a scuola, con le loro squadre, del mondo calcio beliziano...Bello, veramente bello, fin qui. La seconda cosa riguarda il campo: ogni volta mi affascino, quasi mi stupisco, nel rendermi conto di quanto sia casa mia. Una volta che metto piede in un campo da calcio, con dei cinesini in mano, dei palloni a disposizione e delle pettorine, tutto scompare; ogni cattivo pensiero, ogni difficoltà, sparisce e vengo risucchiato dalla bellezza della seduta, dell'insegnamento, della condivisione di esercitazioni, metodologie e approcci al bambino attraverso la palla, e per 90/100/120 minuti non esiste nulla per me, al di fuori dei miei giocatori. Chiunque essi siano. Rido ancora a pensare a quel pirla del direttore sportivo della calva che una volta si offese perché entrando in campo durante un mio allenamento io non lo degnai di uno sguardo, non lo salutai. Ma chi cazzo ti ha visto? In Calva, in Vibe, in Uganda o in Belize: quando sono in campo vivo un'altra dimensione. Poi il pallone si ferma, riunisco i ragazzi, li saluto, raccolgo i palloni e...puff, rieccomi coi piedi sulla terra. Almeno fino a domani, per il prossimo allenamento. 

domenica 14 agosto 2022

Destinazione, Belize.

 Cazzarola, non riesco più, o quasi più, ad aggiornare questo mio diario di viaggio! Dall'ultimo post sono trascorsi due mesi e due viaggi, di cui inspiegabilmente non ho fatto alcuna menzione. Inspiegabilmente...in realtà la spiegazione c'è ed è abbastanza semplice: l'unico momento in cui posso mettermi a scrivere quando sono in viaggio è la sera, ma le giornate sono talmente fitte, dense, che non appena entro in camera devo già uscirne per andare a cena e una volta tornato dopo aver mangiato collasso irrimediabilmente senza nemmeno riuscire a provare ad accendere il pc. Con Inter campus le giornate erano intense, ma, va ammesso, più...umane, con anche del tempo libero che potevo gestirmi come meglio volevo. Qui invece da quando atterro nel paese a quando saluto sono rapito dalle mille attività e di tempo per scrivere ne ho sempre pochissimo. Mi ritaglio giusto degli attimi per allenarmi quotidianamente, altrimenti impazzirei, ma di altro tempo non ce ne è.

Oggi ne approfitto perché sono appena arrivato: partito questa mattina alle 6 da Milano, scalo a Bruxelles, volo infinito verso Chicago e quindi ultima tratta di quattro ore (giuro, ho avuto una crisi in volo: volevo scendere! E non potevo nemmeno alzarmi, perché è stato tutto un ballo il volo)  per giungere a destinazione, Belize, alle ore 17:25 ora locale, non ho capito se mezzanotte e venticinque in Italia o l'una e venticinque. Insomma, quasi 24 ore dopo essermi svegliato. Ora sono le 19, sono distrutto, ma voglio aspettare a svenire nel letto, per evitare improvvisi e antipatici risvegli notturni da jet leg, per cui mi diletto con la tastiera. Dicevamo, Belize...pensare che ero convinto fosse uno stato del Messico e non uno stato indipendente, prima che mi chiedessero di organizzarmi per partecipare alla missione. Quanta ignoranza. 

Invece è uno stato sovrano, piccolissimo, il più piccolo del centro america, il meno abitato e quello con la densità di popolazione più bassa di tutta la zona, ma pur sempre uno stato membro della FIFA, per cui, eccomi qui. 

Devo ammettere che se già sono nostalgico normalmente quando sono costretto a lasciare le bimbe per i miei viaggi, salutarle dopo quasi venti giorni in vacanza, 24 su 24 insieme, dal risveglio all'addormentamento (cazzo, come dovrebbe sempre essere!), è stato complicatissimo. E ancora più complicato sarà ora gestire questa settimana senza le smorfie di Maggie e gli abbracci di Anna, ma soprattutto il conseguente rientro a casa. Non ho nessuna voglia di tornare alla routine quotidiana causa fine ferie: sveglia, mezz'ora con loro, le accompagno a scuola e poi ciao, fino alla sera e così fino all'agognato week end, quando finalmente tornano a essere tutte per noi. Naaa, non è mica giusto. In questo modo i nostri figli sono cresciuti dagli educatori, dalle maestre, dagli allenatori dei corsi sportivi che frequentano, mica dai genitori. Cazzo, su 15/16 ore della nostra giornata, ne trascorriamo insieme non più di tre! Non vorrete farmi credere che è giusto così? Certo, funziona così il mondo, ma questo non significa che sia corretto così. Ma ancora una soluzione non l'ho trovata. Chissà, magari qui in Belize sanno consigliarmi...

giovedì 16 giugno 2022

Il corso

 Anche questo giro mi son reso conto che la mia parte, la parte del corso che gestisco io e che tratta degli aspetti tecnici, pratici, è quella che più coinvolge, più interessa e attira attenzione. Non per merito mio, sia chiaro, ma perché il calcio ha una forza unica, incredibile e ahimè poco sfruttata, ovunque lo si proponga. Che sia l'India, dove questo non è certo lo sport più praticato, o il Paraguay, dove non si gioca ad altro, quando si parla di allenamento, di bambini, di crescita attraverso l'allenamento, attraverso il gioco, tutti, ma proprio tutti, rimangono colpiti, interessati e coinvolti. E la cosa se da un lato mi affascina (cacchio, pensare che dietro quella palla, indistintamente, corrono bambini neri, gialli, bianchi, alti, o bassi, ricchi o poveri, indisciplinati o mega educati...tutti, ma proprio tutti, in tutti i campi del mondo, è un pensiero che mi affascina) dall'altro mi fa incazzare terribilmente. Incazzare per il semplice fatto che sul 90% dei campi il potenziale del calcio non viene sfruttato, anzi, peggio, non è nemmeno preso in considerazione, e si fa perdere amore, interesse per questo sport, riducendolo a un passatempo per molti, quando probabilmente potrebbe essere molto di più. 

Ci si prova, insomma, a condividere questa idea, questa visione delle cose, e i trenta allenatori presenti con noi in questi giorni hanno dato prova di voler davvero far parte di questo progetto, di voler davvero far parte di questa idea. Mi son proprio divertito. E tra i vari presenti c'erano anche ex calciatori della nazionale, diventati poi allenatori delle selezioni giovanili, quindi non proprio persone naturalmente predisposte ad accogliere tutti sul campo e ad allenare tutti, indistintamente, eppure...eppure proprio con loro mi sono intrattenuto di più a parlare, proprio loro mi hanno fatto più domande e proprio loro, durante la parte pratica, volevano partecipare e divertirsi. Davvero, son rimasto colpito da questo loro atteggiamento. Grandissimi. Va detto che la gente da queste parte è super "cistosa", come dicono loro. Gente gentile, amabile, accogliente, sempre sorridente e positiva. Già in passato ero rimasto positivamente colpito dal paraguagio e questa volta ancora di più. Capisco ora ancora meglio il detto secondo cui chi arriva in paraguay arriva piangendo (le strade sono mezze devastate, le città non son proprio modernissime) e se va ancora una volta piangendo. 

mercoledì 15 giugno 2022

A volte ritornano

 Caspita se ne è passato di tempo! Ridendo e scherzando, l'ultima volta che sono stato da queste parti a fare allenamento è stato il 2011! Madonnina. Non pensavo, ma oggi quando ho rivisto Julio e abbiamo ripercorso la nostra strada insieme, entrambi siamo rimasti sorpresi dal ricondurre a quella data il nostro ultimo incontro paraguagio. Incredibile. Come incredibilmente bello è stato riabbracciare Julio oggi, appena arrivato al centro tecnico federale: una delle persone "illuminate" incontrate sul mio cammino, una di quelle persone che con la sua storia di vita e il suo modo di essere oggi, mi hanno stupito, sorpreso, affascinato; una di quelle persone che voglio portare come esempio ai miei giovani giocatori, ai miei studenti, perchè no, alle mie due streghette, perché questo con la vita ha fatto a pugni, ha lottato, e ora è qui, un po' malconcio, ma vivo e vegeto e carico di una vitalità contagiosa. Di chi sto parlando, vi starete chiedendo miei 25 lettori? Di Julio Gonzales Ferreira, un ex calciatore paraguayano, che al momento di spiccare il volo a 25 anni, quando giocava nel Vicenza in serie B e aveva già firmato un pre-contratto con la Roma, oltre ad aver vinto l'argento olimpico alle olimpiadi 2004 e ad essere parte della selecion nacional che nel 2005 aveva già in tasca un biglietto per il mondiale tedesco dell'anno successivo, ha pensato bene di addormentarsi in macchina, schiantarsi contro due camion, farsi travolgere da una terza vettura e rimanere cosi senza il braccio sinistro, col braccio destro a mezzo uso e segnato in vari punti del corpo. Di un ragazzo, quindi, che stava correndo in aeroporto per tornare a casa e raccontare alla famiglia dei suoi sogni che si stavano realizzando e che in un attimo non solo ha visto svanire quei sogni, ma ha visto la sua vita stravolgersi completamente, assumere tutta un'altra piega, prendere una strada completamente diversa da quella che aveva in mente lui. Eppure...eppure, come dice lui, gli è stata data una seconda opportunità, si è rimboccato la manica, l'unica che il destino gli ha lasciato ( se ci sono perbenisti tra i miei 25 lettori, quella è la porta. Con Julio è un continuo far battute di questo genere e il primo a iniziare è sempre lui), ha voluto a tutti i costi tornare a giocare nella serie A del suo paese per dimostrare a tutti che poteva ancora farcela e una volta arrivato dove voleva si è ritirato, ha appeso gli scarpini e ha iniziato un'altra carriera, sempre nel calcio, ma in quello vero, quello della strada, anzi, quello che allontana dalla strada. Ha aperto infatti una sua fondazione e ha iniziato a far giocare a calcio bambini che altrimenti non potrebbero giocare e che con grandi probabilità imboccherebbero strade "sbagliate", eppure da queste parti ultra affollate, e ha così iniziato a dedicarsi agli altri, a quelli più piccoli, sempre con quella palla tra i piedi. 

E oggi, dopo tanto tempo, son riuscito a coinvolgerlo nel nostro corso, a farlo entrare come partecipante, ma soprattutto a farlo entrare come testimonianza reale, vera, di ciò che diciamo, ossia di quanto il calcio possa segnare positivamente la vita di un bambino, di una bambina, anche senza farlo diventare un calciatore "vero". Son contento, son proprio contento di averlo qui con me. O meglio, di essere qui con lui: sarà sicuramente un plus incredibile per me, per il corso, per fifa football for school, per i mister presenti...per tutti, insomma. E spero anche di riuscire a dargli l'opportunità di trovare qualche contatto utile per trovare nuovi fondi, nuovi aiuti, per il suo progetto a Cateura e all'Aldea. Foza Julio!

martedì 14 giugno 2022

Ritorno ad Asuncion

 Prima o poi doveva capitare: in questo primo anno, quasi, di FIFA avevo sempre messo nuove bandierine sul mio risiko personale, avevo sempre giocato su nuovi campi del mondo, mai esplorati prima, ma questa volta mi tocca tornare dove sono già stato. Qui, infatti, già nel 2009 avevo messo piede, per dare il calcio d'inizio al progetto a Cateura con Julio Gonzales, progetto ancora oggi attivo con circa 270 bambini coinvolti. Un progetto incredibile, nella discarica della città: ricordo che al momento della partitella, dovendo infilare il palo nel terreno di sabbia, trovai una latta d'olio e un copertone nascosti sotto terra, che mi impedivano di piantare il palo, e cercando di rimuoverli mi imbattei in altra pattumiera nascosta. Che roba. Con il papà di Julio che mi inseguiva per il campo con il mate, per farmi bere durante l'allenamento perché a suo dire faceva troppo caldo. Quanti km gli ho fatto fare, poverino!

E oggi rieccomi qui, con un'altra divisa addosso, ma con gli stessi obiettivi, lo stesso entusiasmo e la stessa passione. E le stesse persone, perché son riuscito a coinvolgere Julio in questa missione, che ci accompagnerà in aula e in campo, ma soprattutto che ci racconterà la sua storia incredibile, per dare un esempio concreto di ciò che significa "crescere attraverso il pallone". Son proprio contento. Il mio ulteriore obiettivo è quello di riuscire a fargli avere qualche pallone dei 5000 che abbiamo spedito qui...ma questo è tutto da vedere. 

Via, allora, iniziamo: centro tecnico federale, arrivo!

domenica 8 maggio 2022

Il calcio d'inizio ufficiale

 IL CORSO

Sono abituato a iniziare la giornata con un bell’allenamento, ma sto maledetto ritardo del mio bagaglio mi costringe a cambiare le abitudini, per cui ne approfitto per dormire un po’ di più. Fortunatamente quando vengono a prenderci portano anche la mia valigia, per cui posso finalmente cambiarmi! E da domani ripristinare le sane abitudini. Ora però è tempo di iniziare veramente.

Arrivati al centro, oltre ai 40 allenatori, troviamo giornalisti e tv nazionali ad accoglierci: oggi è il giorno del lancio ufficiale del progetto, per cui dal presidente federale, al ministro dello sport, passando per il ministro dell’educazione, son tutti qui. Un bel caos, ma è quello che cerchiamo: fare un po' di casino, per accendere i riflettori su questi bambini.

Il corso parte: tre giorni intensissimi, tra teoria mattutina e pratica pomeridiana, con sole caldissimo che si è alternato in continuazione con scrosci improvvisi di acqua e temporali velocissimi, che hanno introdotto, alcuni per la prima volta, una parte di professori e una parte di allenatori al mondo del calcio. Che qui è un emerito sconosciuto. La colonizzazione inglese prima e la fortissima influenza (colonizzazione?) degli stati uniti ora, hanno fatto si che il cricket sia lo sport nazionale e non hanno permesso allo sport più bello del mondo di farsi conoscere e diffondersi. In più la corruzione endemica della federazione nella storia ha impedito ai soldi fifa di arrivare dove avrebbero dovuto, lasciando lo sviluppo del calcio a livelli nulli e addirittura fuori dal circuito fifa per anni. Ora le cose si sono rimesse in sesto, la federazione è stata riammessa e stanno iniziando a lavorare positivamente, per cui i bambini iniziano a conoscere la bellezza di quella palla rimbalzante e il divertimento ad essa connesso, ma…la strada è lunga. Non solo dal punto di vista strettamente calcistico, però: i bambini visti, così come tanti prof di educazione fisica, mi hanno dato l’impressione di non aver mai fatto sport, di non saper proprio che farsene del proprio corpo: goffi, lenti, scoordinati, oltreché, thanks US, sovrappeso. Insomma…bisogna lavorare e per fortuna questi giorni di corso si sono rivelati utili, coinvolgenti e, a detta di tutti, un punto di svolta per lo sport nel paese. Certo, tre giorni non bastano, ma è stato avviato il motore: ora la federazione, con il nostro sostegno anche se da lontano, deve curare che continui a girare, aumentando magari i giri e poi…nel 2026 la Guayana sarà al mondiale, come ha detto il presidente! 

venerdì 6 maggio 2022

Ulisse era un dilettante

 

Fino a oggi il titolo di viaggio più merdoso della storia era saldamente nelle mani della Cambogia, ma con l’esperienza di oggi il titolo cambia di mani e viene ceduto con grande merito alla Guayana. E con largo margine, direi, e la certezza di potersi vantare d questo primato per anni e anni. O almeno spero.

A parte la durata infinita, lo scalo a Miami è una di quelle cose che non si augurano nemmeno al proprio peggior nemico: un aeroporto di merda, dove nulla funziona (le scale mobili tutte ferme, pareti bucate qua e la, tetti cadenti) e dove tutto è pensato per creare disagio al passeggero.

E così dopo essere partito alle 7 del mattino da Milano, aver fatto scalo a Madrid e aver soggiornato, per fortuna comodamente essendo il volo operato da Iberia, per 12 ore su un bestione a 10000 mt di altitudine, eccomi costretto a uscire dall’aeroporto per effettuare il check in per georgetown, perché ne’ a Milano, ne’ a Madrid potevano farlo. Ovviamente non sono il solo passeggero e il fatto di viaggiare con priority nella terra della libertà non interessa a nessuno, per cui la fila che mi aspetta è particolarmente infinita e disordinata. Una cosa mai vista. Non è vero, già vista, ma quella volta ero a Kinshasa. Che merde. Ma non finisce qui. Perché dopo tutto questo casino, parto con due ore di ritardo da Miami, per cui l’arrivo, previsto per le ore 23, slitta all’ una di notte. E dopo un viaggio infinito come questo vi assicuro che è una bella menata. Va be’, finalmente arrivo a Georgetown, i ragazzi della federazione sono fuori gentilmente ad aspettarmi, non vedo l’ora di sdraiarmi in hotel, ma…cazzo, il bagaglio non arriva. Passano zaini, valige, borse di tutte le forme, di tutti i colori, ma la mia no. Ottimo. Altra ora buttata nel cesso ad aspettare di fare la denuncia con una ragazza dell’assistenza che di certo lascerà questa terra un giorno come tutti noi, ma sicuramente non per infarto o problemi legati a ansia o stress. Definirla lenta non renderebbe l’idea, per cui a un certo punto ho preso io in mano il foglio che stava compilando e ho concluso la denuncia. “Mi scusi, ma dov’è ora il bagaglio? Quando arriverà? Me la consegnerete voi: avete bisogno dell’indirizzo dell’hotel?”, chiedo prima di lasciarla. “Potrebbero volerci un paio di giorni e la valigia deve venire lei a prendersela. Noi non facciamo consegne”. Perfetto. Un buon inizio. Meno male che sono arrivato. Non ce la faccio più. Voglio solo fare una doccia e dormire, cazzo. Domani alle 14 si inizia e qui, ora, sono le due di notte (8 in Italia. Considerando che ho lasciato casa alle 5 del mattino di ieri e ho avuto la bella idea di fare digiuno oggi, mi sento un cadavere). Saliamo sul van e voliamo in hotel…seee, voliamo. La città è a circa un’ora di distanza e le strade sono talmente conciate che andare a più di 50km/h significa finire fuori strada. Mettiamoci l’anima in pace, va così. Non può che migliorare. Ma la sorte ha ancora in serbo un bello scherzetto: fatto il check in salgo in camera e…la tessera per la camera non funziona. Batterie scariche per il dispositivo che legge il chip, per cui devo aspettare un’altra buona mezz’ora prima di potermi, finalmente, riposare. Infinito viaggio.

giovedì 14 aprile 2022

Il giorno finale

 

IL FESTIVAL

 

Devo ancora abituarmi a certe “coccole”: ero abituato a rimboccarmi le mani, pulirmi i campi, gonfiarmi i palloni, raccogliere i cinesini, ma qui…be’, c’è sempre qualcuno che lo fa per te e quasi si stupisce se lo aiuti. Anzi, oggi mi hanno proprio impedito di prendere il sacco nero per raccogliere le bottiglie di plastica lasciate per terra durante il torneo.

Quindi altro che pulire noi il campo: questa mattina quando siamo arrivati allo stadio nazionale era bello e ripulito dalla neve. Due trattorini in meno di un’ora hanno rifatto emergere il verde dal bianco e una ventina di omini armati di pale da neve hanno rifinito il lavoro, accumulando esternamente delle belle montagne bianche.

Tutto pronto, quindi, per farmi preparare i nove campi dove bambini e bambine, qui alla fine son stati 104, hanno giocato girando tra tutte le stazioni per poco più di 90 minuti di attività insieme, almeno per una parte, a ex calciatori chiamati apposta per rendere ancora più unica questa giornata.

E, riprendendo quanto scritto ieri, anche il festival appena concluso “è stato fin qui il più bello” a detta di tutti e tre. Sicuramente per le persone che hanno partecipato, allenatori e bambini: super coinvolti tutti, disponibili, sorridenti, desiderosi di imparare, di mettersi in gioco, di ascoltare e di migliorarsi, veramente speciali. È stato proprio speciale. Quando poi alla fine, spenti i riflettori (anche sto giro intorno al campo c’era il mondo: ministro dell’educazione, ministro dello sport, presidente della federazione, telecamere, giornalisti…) ci hanno accompagnato negli spogliatoi per la partita finale tra noi, classica partita finale, il tutto, almeno per me, è diventato ancora più speciale. Hanno preparato maglia pantaloncini e calzettoni per tutti, abbiamo fatto l’ingresso come se fosse una partita della nazionale, tre arbitri hanno seguito la partita…peccato solo che questo ginocchio di merda mi abbia impedito di godermela fino in fondo. Mi son piazzato li in mezzo e avrò fatto 500 metri in tutta la partita, evitando ogni contrasto e facendo solo giocate corte, senza sentir dolore, devo ammetterlo, ma rosicando ogni volta che avrei voluto fare una corsa o un tiro in porta e che invece ho evitato. Nonostante questo, anche questa volta ho potuto toccare con mano la magia di quella palla e il fatto che, come dico sempre ai miei compagni di avventura “non c’è niente come la partita con gli allenatori per chiudere splendidamente i lavori”.

 

mercoledì 13 aprile 2022

Eccoci veramente in Mongolia

 La neve e temperature bassissime mi ricordano su quali campi del mondo mi trovo questa volta: ben venuto in Mongolia! 

Dopo tre giorni miti, anzi, oserei dire caldi, visto che riuscivo a fare allenamento in maniche corte (sarà perchè mi muovo tanto, ma comunque si stava bene), l'allenamento pomeridiano di oggi mi ha riportato alla cruda e gelida realtà di Ulaan Batar, ossia neve e gelo. 

Qualche cenno di autoctona normalità lo aveva già dato ieri sera, di ritorno dalla cena: un vento gelido e un cielo scuro avevano infatti accompagnato la nostra camminata fino al ristorante (ho scoperto la cucina sud koreana e l'ho apprezzata. Certamente più "edibile" della mongola estrema del primo giorno...), ma oggi, a metà allenamento, il meteo ha dato il meglio di sé. Prima piccoli fiocchi di neve e un leggero venticello freddo, poi, lentamente, la neve è andata aumentando fino a coprire completamente i nostri cappucci prima, il campo e quindi la città.

La cosa più incredibile e divertente è stata notare il contrasto netto tra me e gli allenatori locali: io con doppio pantalone, doppio strato di termiche, cappellino, guanti e scaldacollo, oltre ad un piumino di quelli da panchina gentilmente prestatomi dalla federazione locale, alcuni di loro...in maniche corte!!! E io gelavo anche così coperto. Nient’altro da dire: tutto è relativo, tutto è soggettivo. Altro che la crioterapia.

In ogni caso anche la neve a contribuito a rendere speciale il viaggio, per lo meno fin qui. In ogni suo aspetto. Sotto il profilo lavorativo, io, Sandra e Anto viaggio dopo viaggio stiamo progressivamente affinando feeling e collaborazione, dentro e fuori dal campo; ognuno si sta ritagliando il suo specifico spazio e allo stesso tempo ognuno coinvolge gli altri nel suo e ogni volta l’ultima missione diventa sempre “la migliore”, a testimonianza della crescita costante. Sotto il profilo “esplorativo” è stato bellissimo e allo stesso tempo stranissimo vivere in tre giorni tre stagioni e assistere al cambio di aspetto della città, prima illuminata dal sole e calda, poi sferzata da un vento gelido, seppur ancora soleggiata e infine gelida e imbiancata come oggi al punto, per dirla come Margherita, che “papà, ma li dove sei è Natale?”.  Incredibile. Speriamo per domani le cose cambino ancora, perché il torneo finale, con cento bambini e tutto lo show di contorno, con la neve potrebbe essere difficile. Certo è che dobbiamo andare al campo un po’ prima per spalare la neve.


sabato 9 aprile 2022

Endless day

Giornata di 48 ore, quella appena conclusa! Considerando che sono in ballo dalle 6 del mattino, ora locale (+6 rispetto a casa), non credo di sbagliarmi tanto con questa affermazione. Però che bella giornata. Intensa, piena di nuove scoperte e anche vissuta parzialmente da turista. Per la prima volta, infatti, da quando faccio parte di questo progetto, io e i miei compagni di avventura riusciamo a ritagliarci del tempo per conoscere un po' il paese che ci sta ospitando, per vedere qualcosa in più oltre al centro tecnico federale e all'hotel dove alloggiamo e decidiamo di sfruttare ogni minuto a nostra disposizione. E così, dopo una passeggiata in centro per vedere la piazza principale (immensa), intitolata a Gengis Khan, come del resto la metà delle cose da queste parti, e un paio di monasteri buddisti, oltre al palazzo estivo, saliamo sul "nostro" van e usciamo dalla città, per raggiungere, nel bel mezzo del nulla, la stata equestre più grande del mondo, dedicata indovinate un po' a chi? Esatto, avete sicuramente indovinato: proprio al grande condottiero che, seppur per poco tempo, è riuscito a riunire sotto il suo comando il più grande impero terrestre della storia, Gengis Khan. E la statua è incredibile: 40 metri di altezza, lui seduto su questo enorme cavallo, nel mezzo del nulla! Ma davvero del nulla: intorno non c'è niente, se non qua e la qualche camping o qualche resort (chissà chi cacchio viene da queste parti) e la strada che ci ha condotto fin qui. Per il resto...terra arida, marrone scura, sassi e montagne. Sicuramente il panorama tra pochi mese muterà e i fiumi ghiacciati e la terra arida lasceranno spazio a erba verde e acqua corrente, ma per ora tutto appare un po' desolato.
Terminato il nostro giro, risaliamo in macchina, direzione questa volta il Gorkhi-Terelj National Park, una zona montagnosa ricca di sentieri e percorsi da affrontare a piedi, oppure facendo gita a cavallo o a bordo di un cammello. Dentro questo parco troviamo poi un altro monastero buddista, sito in cima ad una lunga scalinata, che attira la nostra attenzione e che andiamo a visitare da vicino. Conosco poco, anzi non conosco proprio, questa religione, se non le cose che conoscono tutti, e l'esser qui, come quando son stato a Katmandu, stuzzica la mia curiosità, il mio interesse. Devo informarmi.

Scendendo la lunga scalinata ci rendiamo conto che ormai si sta facendo tardi e che non sarebbe male fermarsi in zona a cenare, rimandando a più tardi il rimanere imbottigliati nel costante traffico di Ulaan Bator, e così Angie, la ragazza delle federazione che si prende e si prenderà cura di noi in questi giorni, ci porta in una specie di ristorante locale. Quando mai. Madonnina! Vero che mi piace sempre cercare di calarmi il più possibile nella cucina e nelle tradizioni locali, ma qui avrei dovuto informarmi maggiormente e lasciar perdere. Ciò che si mangia qui, la cucina tradizionale, mi risulta particolarmente...difficile da gustare. I dumplin ripieni di...interiora di capra, una specie di frittella stra unta ripiena di non si sa bene quale carne, forse montone, il the mongolo ad accompagnare (una specie di the verde...con il burro sciolto dentro!) e per concludere il latte di cavallo (giuro, nel berlo ho avuto la netta sensazione di avere un cavallo vicino). Che sbocco! Per carità, atmosfera bellissima, posto molto autentico, sicuramente fuori dai circuiti turistici classici, ma... forse c'è un motivo per tutto questo! Cazzarola, è stata proprio dura.
Anyway, il cibo come sempre non è che mi interessi molto, quindi anche se ancora con quel sapore fortissimo in bocca, metto in saccoccia anche questa bella giornata e m tuffo nel letto! Finalmente.

venerdì 8 aprile 2022

Ulaan Bator

 Dopo un infinito viaggio, tutto sommato trascorso velocemente tra studio e profondo sonno ( devo ammettere da fighetto che viaggiare in business è un altro viaggiare: spazio a volontà, la possibilità di dormire comodi, anche se ho sempre dormito anche in economy, acqua a disposizione in ogni momento...altro viaggiare, davvero), alle 6 del mattino eccomi atterrare nella capitale Mongola e dal finestrino...non si vede nulla! O meglio, si vede solo una immensa e arida distesa marrone, intervallata da qualche chiazza bianca di neve, con qualche cavallo (almeno così mi sembra da quassù) che scorrazza libero nel nulla. 

Una volta ritirati i bagagli (poco più di un'ora di attesa, alla faccia della priority...), ho la conferma di quanto visto dall'alto: l'aeroporto è in mezzo al nulla. Ma al nulla in senso stretto, non in senso lato. Non c'è nulla per poco più di mezz'ora di macchina, solo ciò che ho intravisto dall'alto: montagne e distese secche, aride, con animali a zonzo, per lo più cavalli, con qualche mucca e qualche pecora. Ma non si vedono edifici, fabbriche, testimonianze di vita umana, oltre alla strada diritta che stiamo percorrendo. Per un po' questo panorama mi ha ricordato la Patagonia, i nostri trasferimenti da un punto all'atro, tra chile e argentina, dove l'unica preoccupazione era che l'autobus su cui stavamo viaggiando non si fermasse! Qui certamente non si corre quel pericolo, perché il nostro autista procede a velocità estremamente ridotta, nonostante la strada dritta a quattro corsie, praticamente deserta; strada che però magicamente si riempie di macchine, non appena ci avviciniamo alla città. E ci credo, penso io: un Paese di 3 milioni di abitanti, di cui circa la metà concentrati qui, a Ulaan Bator, sarà costretto a convivere col traffico. "Mongolian spend their free time in car", ci dice la ragazza della federazione che sarà il nostro angelo custode per i prossimi giorni. Muoversi in città è un delirio, nemmeno a Caracas ho visto un tale macello. Ma alla fine arriviamo al nostro hotel. Sono ormai le 9 del mattino e...alle 11 si riparte. Il tempo di un mini allenamento in palestra, una doccia, e siamo pronti a cominciare. Not bad...

mercoledì 6 aprile 2022

Ci riprovo

 Chissà se ce la faccio questa volta. Dopo aver rispolverato questo blog con i primi racconti di viaggio legati alla nuova avventura in FIFA, mi sono subito arenato e non son più riuscito a raccontare nulla, per mille diversi, motivi. Il primo dei quali, il più importante, è...il tempo. Cazzarola, quando sono in missione non ho mai un attimo libero: hotel, centro tecnico, ristorante, notte! E così a ciclo continuo, fino al rientro a casa. Nemmeno il tempo e il modo di guardarmi intorno e capire dove sono. Solo una volta in India abbiamo avuto due ore libere appena arrivati e siamo andati a visitare un paio di templi, oppure settimana scorsa, in Qatar, che abbiamo deciso di tornare a piedi dal ristorante, per lo meno per renderci conto che non eravamo a Busto Garolfo, ma a Doha! Spero in questa settimana a Ulan Bator di riuscire a confessarmi un po' con il mio riesumato diario di viaggio. 

lunedì 14 febbraio 2022

Rewind

 Si riparte…forse. L’unica cosa certa al momento è solo che sono tornato in viaggio dopo poco più di un anno e mezzo di parcheggio in Italia. Il resto si vedrà. E questo viaggio non è per Inter Campus. Già, perché quel progetto che tanto mi ha dato e a cui tanto ho dato, non è più parte della mia vita, non è più il mio lavoro. Dopo 15 anni appassionanti, formativi, divertenti e speciali, dopo 15 anni di viaggi in giro per il mondo, dopo 15 anni di persone che tanto mi hanno dato e che spero possano continuare a darmi (Max, Francis, Michael, Augusto, Gabriele Salmi, per citarne qualcuno),dopo 15 anni di incontri unici (Wafa, papà Fancois, Massimo Casari, i salesiani angolani, i ragazzi angolani, gli allenatori camerunesi, benjamin, kaweza, opio…), insomma, dopo 15 anni assolutamente grandiosi,  infatti, ho deciso di lasciare, di cambiare. Io e Inter Campus eravamo ormai diventati una coppia logorata dal tempo, che tanto si era amata, ma che ormai non condivideva più nulla e ogni attimo in più passato insieme stava diventando un triste ricordo di ciò che fu, per cui…meglio chiudere e non rovinare per lo meno il ricordo, cogliendo al volo la nuova occasione.

Come spesso mi capita, lascio che sia il destino a decidere per me, lascio che gli eventi scorrano limitandomi a muovermi tra di loro, cercando sempre di volgerli a mio vantaggio, di adattarmi a tutto, per trovare il giusto equilibrio, per non rimanere schiacciato e arrivare ad esser felice. E anche questa volta è andata così. Da una chiacchierata circa altri argomenti con un vecchio amico e collega allenatore è saltata fuori questa proposta di lavoro: fondare una società sportiva all’interno di un collegio di Monza e gestire tutto ciò che è sport all’interno dello stesso. E così sono iniziate le cose. Da quel primo incontro è passato poco tempo: ho incontrato le persone coinvolte nel progetto, mi son presentato, ho portato le mie idee e ho lasciato che le cose evolvessero, che loro, le persone, iniziassero a “corteggiarmi” facendomi proposte e immaginando il mio futuro lavorativo e l’evoluzione del “loro” collegio; quindi ho adattato le loro visioni alle mie idee e…sono arrivato al giorno della firma. O meglio, del si, perché la firma è arrivata in seguito. Ricordo molto bene quel giorno: eravamo in pieno lock down, era marzo 2020, ero sul balcone perché dentro le bimbe stavano riposando e non volevo disturbarle, e stavo parlando al telefono col rettore, un vulcanico uomo dalle mille idee e dotato di una grande visione, quando quasi improvvisamente ho detto “ok, don, ci sono. Domani mi metto in moto per dare le dimissioni e entro un paio di mesi sarò operativo”. Il 4 maggio ho firmato e da lì, una volta uscito dal vecchio posto di lavoro…sono rifiorito. Nuove energie, nuove idee, nuovi progetti e nuove prospettive; nuova curiosità, nuovi interessi e anche un nuovo modo di rapportarmi alle persone. Stavo marcendo poco per volta e non me ne accorgevo. Colpa di entrambi, per carità, non faccio vittimismi, ho la mia parte di responsabilità, però…che vita adesso. Grazie di tutto, Inter Campus, progetto unico e stupendo, ma ora si riparte.

E così è stato: a luglio è nata la società sportiva, quindi ho messo in piedi un open day di due giorni che ha avuto un grande successo nonostante le limitazioni Covid,  a fine agosto ho organizzato il primo summer camp di VSE (Villoresi Sport Experience, il nome della Assd) con 45 bambini coinvolti, a settembre son partite le attività che nonostante tutti i casini legati alla pandemia hanno coinvolto praticamente per tutto l’anno (abbiamo chiuso solo tra ottobre e novembre e a febbraio, poi, rispettando e riadattando le proposte, siamo sempre stati aperti) 156 bambini quotidianamente sui nostri campi e nelle nostre palestre, per poi concludere il disastrato anno sportivo, scolastico 2020/21 con un mese di camp estivo con 103 bambini coinvolti. Ma soprattutto…a settembre ho iniziato ad insegnare al liceo sportivo e alle medie. Mai l’avrei detto, mai l’avrei fatto (il professore), invece, proprio per quanto scrivevo poche righe fa, il destino ha deciso per me e io mi sono adattato, divertendomi anche li. Certo, l’anno non è stato semplicissimo per via del virus che sta sconvolgendo le nostre vite, però ho saputo muovermi anche in quel ruolo con soddisfazione, con impegno e con professionalità. Si, si, son proprio contento. E ora son pronto per il nuovo anno: c’è da esportare anche a Merate la società sportiva, ci sono da far giocare secondo il mio modus operandi anche i bambini di quella parte di Collegio e…ora come ora c’è da volare in Repubblica Dominicana per una settimana di attività, calcio of course, con i bambini “sfigati” di questo posto mai sentito prima (Santiago de Los Caballeros)."Come? Santiago del los caballeros? E che cazzo ci vai a fare? Come ci sei finito li?". Giusto, vero: ho saltato un pezzo. Già, perché durante il camp estivo, un bel pomeriggio d luglio, mentre sto per salire sul mio vespino per tornare a casa, mi squilla il telefono. "chiamata da Youri Djorkaeff". O madonnina! Rispondo e...be', due giorni dopo sono a Zurigo, alla sede della fifa, per ascoltare la sua idea, la sua proposta. E ora son qui, a poco più di un mese di distanza da quella chiamata, per questo viaggio di prova. Prova per entrambi, per capire io se voglio tornare sui campi del mondo, per capire loro se vale la pena investire su di me. Vediamo una volta tornati cosa succede. Io son felice dove sono e soprattutto questo anno di stop mi ha fatto legare a doppia, tripla, quadrupla mandata ad Anna e Marghe, per cui…vediamo cosa decide il destino per me e mi muoverò conseguentemente.


Ritorno sui campi

 Chi l'avrebbe mai detto? Invece, rieccomi qui. Dopo praticamente due anni giusti, giusti, eccomi a soffiar via la polvere da questo mio compagno di viaggio, da questa mia moderna versione del diario di bordo, per tornare a parlare di viaggi, di corse, di incontri, di persone, ma soprattutto di Calcio. Quello vero. Quello della strada, quello dei bambini, quello delle scarpe rotte, quando ci sono le scarpe, quello pieno di polvere o di sassi, quello...dei campi del mondo. Ma prima è necessario fare un piccolo salto indietro nel tempo, per non perdere il filo della matassa, per non rischiare di non capire bene dove diavolo sono finito.

Già, perché il mio pellegrinaggio in giro per il Mondo è ripreso ad agosto 2021, dopo che avevo deciso esattamente un anno e due mesi prima di lasciare l'Inter per iniziare una nuova avventura, questa volta a casa, fermo, fisso a Villasanta, ma...il destino aveva in serbo per me ben altro, per cui nemmeno il tempo di riuscire ad annoiarmi a casa, nemmeno il tempo di sentire la mancanza dei viaggi, che mi ritrovo su un aereo, direzione Repubblica Dominicana. Senza quasi volerlo, perché io non stavo cercando nulla, ma quella telefonata di metà luglio...be', come si fa a dire di no a Youri Djorkaeff? E alla FIFA? Non si può. Appunto. E infatti, eccomi qui. Dopo la repubblica dominicana è arrivata l'India, poi il Cile, quindi un contratto vero e ora la Mauritania. Tutto così in fretta che onestamente faccio ancora fatica a capire bene dove son finito. Andiamo allora per ordine, riprendiamo il racconto la dove si era interrotto. Ripartiamo da agosto, dal viaggio in repubblica dominicana, il mio primo viaggio con la Fifa.