lunedì 25 aprile 2016

Formazione dei mister

LA FORMAZIONEScrivevo ieri:  "Sembra una cosa normale, ma qui non lo è. Per nulla".

 Riunire tutti i mister dell’una e dell’altra parte, palestinesi ed ebrei, nella stessa aula, per parlare di allenamento, di metodo per fasi, di contenuti tecnici ed educativi delle nostre proposte, qui non è mai stato facile. Anzi, qui non è mai stato possibile. Ricordo bene quando a Nazareth gli allenatori ebrei mi dissero che non potevo proporre a loro gli stessi contenuti che proponevo ai palestinesi: “non siamo mica come loro. Noi calcisticamente siamo come gli europei, devi darci altro”, mi dissero, pur privi totalmente di contenuti, di conoscenze (con Juri provammo a capire il loro effettivo livello e ci fu subito chiaro che quello che stavamo loro proponendo era perfetto, ma…), pieni solo della loro arroganza, della loro presunzione. Oggi invece Ali, Gheisan, Homer, David erano tutti insieme, coinvolti, interessati, hanno parlato, hanno fatto domande, si sono confrontati, hanno manifestato ciascuno le proprie perplessità, senza insulti, senza rifiutarsi, tutti insieme, per capire come mettere in piedi un allenamento Inter Campus. Se ieri il torneo per me è stato un mezzo fallimento, questo momento l’ho vissuto come un grande successo: un’ora e quaranta intensissima, che ha stabilito un punto di partenza importantissimo per il nostro lavoro qui, quasi inimmaginabile prima, con i partner pre Yasha e Jasmine. Ora bisogna continuare, ora bisogna andare avanti coi lavori, ma il primo passo è stato fatto e, come dice il saggio, “ogni grande cammino inizia con un piccolo passo”. Avanti, allora.

sabato 23 aprile 2016

Jerusalem

GERUSALEMME E TORNEO A METÀ
La sveglia è programmata troppo presto per poter inserire anche la corsa, quest’oggi. Vero che la giornata senza allenamento ha sempre un altro gusto, però anche il dormire mi è piuttosto gradito; quindi il tutto è rimandato a questa sera, di ritorno dal campo di Ramat Gan, dopo il viaggio a Gerusalemme mattutino per l’allenamento con i nostri bimbi (metà palestinesi, metà ebrei), il rientro a Tel Aviv per il torneo pomeridiano e la formazione con tutti i mister presenti. Giornatina…Via allora diamo inizio ai lavori, con una bella colaz…no, niente colazione. La città si sveglia con calma e alle 7:45 non c’è un bar che sia uno aperto, così come alle 8:30 quando partiamo! Per noi lümbard questa cosa è incomprensibile, impensabile: te cumincet a lavura o no, sfaticà? Ma qui i ritmi sono diversi, le ore hanno una durata diversa rispetto alle nostre, la gente è più tranquilla, rilassata, si gode i minuti, le ore, senza, apparentemente, grossa fretta, stress, per cui fino alle 8:30 non si può far colazione. Amen. Bene lo stesso. Via verso “Al Quds”, la santa, per il nostro allenamento. Lungo la strada si chiacchiera, si parla del progetto e il clima all’interno dell’auto è proprio bello: ci si confronta, non siamo per forza d’accordo tutti, ognuno manifesta la sua idea, ma siamo tutti uniti, legati dall’idea comune di far qualcosa in questa terra, con quella palla. E questa cosa, questa “unione” con Yasha (tra me e il prof è piuttosto assodata, con la Nichi mi piace sempre viaggiare e confrontarmi, pur con visioni diverse su alcune cose) la sento sempre più forte, viaggio dopo viaggio, e mi fa vivere sempre meglio le mie missioni, pur avendo opinioni, visioni, idee diverse. Arrivati a Gerusalemme conosciamo subito Alì, nuovo allenatore, ex gloria del calcio israeliano, pur essendo arabo, di qualche anno fa (avrà non meno di sessant’anni il “ragazzo”, ma una energia ancora straripante) e Salman, altra gloria calcistica, questa però più attuale (ha smesso 5 anni fa), coi quali discutiamo un po’ dell’organizzazione del progetto localmente, prima di trasferirci in campo, dove 24 bambini ci aspettano. 24 bambini dell’una e dell’altra parte, due mondi differenti "uniti" dalla maglia nerazzurra che corrono e calciano insieme, anche se le differenze rimangono piuttosto evidenti; certo, fisiche, morfologiche, ma anche nel muoversi, nel giocare le distanze emergono. I nostri mister qui devono lavorare un po’ meglio e un po’ di più, se vogliamo davvero unire e non solo far giocare insieme. C’è tempo e i nostri mister sono bravi e soprattutto super motivati; rispetto all’inizio hanno già fatto grandi passi avanti, ma c’è da lavorare. La seduta, comunque, scivola via serenamente e, ahimè, troppo velocemente, perché il campo è occupato e appena scaduta l’ora concessaci dobbiamo sgomberarlo, quindi niente partitella questa mattina. Ci rifaremo al torneo. Ora via, però, dobbiamo tornare a Tel Aviv. Prima però mi fermo a scambiare due parole con Gabriele, un ragazzo giornalista di Mediaset che ci seguirà tutto il giorno. Ha trent’anni, ma ne dimostra qualcuno in più, ma il motivo è piuttosto chiaro: vive qui da 4 anni e che nei momenti di “stanca” della città, quando nessun autobus viene fatto saltare in aria e nessun raid aereo distrugge questo o quel villaggio,  viene mandato in Siria, o in altre zone calde, giusto per non perdere l’abitudine alla tensione e al pericolo, per cui quei capelli bianchi e quelle ruchette sono più che motivate e giustificate. Pericoli a parte, comunque, mi piace la sua vita, il suo lavoro, cacchio. In un’altra vita, magari…senza Si e Anna. Dicevamo…via allora, si torna a Tel Aviv e il tempo per il pranzo non c’è già più: qui la vita è rilassata per i locali, ma noi poveri ospiti invece corriamo come lepri, per sfruttare ogni secondo della missione! Amen, ci rifaremo questa sera a cena. Alle 14:30 siamo in campo: trenta saranno i gradi e" bluissimo” è il cielo lassù! Stupenda come sempre Tel Aviv! Mi piace un sacco. In quattro e quattr’otto costruiamo due campi e organizziamo i bambini “superstiti” in squadre, per dar vita a un torneo all’italiana, che tiene i nostri giovani calciatori sul terreno di gioco per quasi due ore. Intorno Gabriele filma e intervista, un rappresentante della Ferrero osserva, per capire e magari far qualcosa insieme in futuro, l’ambasciatore italiano…viene preso a pallonate! Purtroppo ha scelto una zona sbagliata dove parlare e un tiro impreciso lo colpisce in testa, fra l’imbarazzo e le risate trattenute dei presenti. Incidente diplomatico sfiorato. Al termine delle partite sono abbastanza stravolto, ma c’è la formazione con gli allenatori e improvvisamente trovo altre energie, chissà dove, e per quasi due ore parlo con tutti loro di allenamento, fasi, contenuti tecnici ed educativi dell’allenamento. Con tutti loro! Sembra una cosa normale, ma qui non lo è. Per nulla! Grande chiusura della giornata. Ora però devo mangiare. Niente allenamento, troppo tardi: doccia rapida e di nuovo fuori. Questa volta senza impegni, senza pressioni, senza orari da rispettare: relax!

venerdì 22 aprile 2016

Svolte improvvise

MA NON È FINITA
Mentre il cielo color porpora riempiva i nostri occhi sulla via del ritorno (purple sky e non purple rain…il mio personale omaggio a Prince), le nostre orecchie venivano colmate da parole non gradite: “i Palestinesi domani non verranno”, ci dice Yasha appena chiusa la comunicazione con Ghisan, al di la’ del muro. Ma come, ieri erano tutti entusiasti, il sindaco, Ahmed, il “bidello”, perché questa virata improvvisa? Che cacchio è successo in nemmeno 24 ore? Inizia una lunga catena di telefonate per Yasha: Buma, Gheisan, Jasmine…niente sembra smuoverli. Si prova addirittura la carta Nicoletta, che in fretta e furia viene “prelevata” dal campo di Jalijulia da Buma (poverina), per andare di la’ e incontrare le autorità, le famiglie e provare a riportare la situazione alla normalità, ma nonostante i suoi sforzi e le tre ore di colloqui, nulla di fatto. Domani i palestinesi non verranno. A meno che…l’ultima carta giocata da Nichi sembra convincerli, per lo meno una parte delle famiglie: niente torneo a Tel Aviv, ma in territorio “neutro”, lo stesso dove negli ultimi tre anni siamo riusciti a farli giocare tutti insieme, ossia Jalijulia, sul campo di quel pirla di Hilmi. Via, allora, si parte con le chiamate per avvertire gli altri pezzi di Inter Campus Israele/Palestina e se per la cellula di Tel Aviv, i profughi dal Congo,  dal Sudan e dalle Filippine, non ci sono problemi, per la cellula di Gerusalemme i problemi ci sono. Eccome. Le mamme si rifiutano di portare i loro figlioli: troppa paura, troppi pericoli leggono dietro il nome arabo di questa città in territorio israeliano. Quindi se rimaniamo a Tel Aviv niente Palestinesi, se cambiamo niente ebrei dalla città santa. Proseguono le telefonate e il povero Yasha è sempre più depresso, mentre la Nichi ancora non torna e l’Inter nel suo turno infrasettimanale contro il Genoa non ci aiuta a risollevarci il morale. Poi un’altra chiamata smuove l’empasse: Dir Istia non viene comunque! Naufragio del progetto di integrazione. A seguire anche Jalijulia, non si capisce perché, dice che non verrà più (questi cambi di programma hanno infastidito il coglionazzo), quindi ci ritroviamo con i soli bimbi di Gerusalemme e i soli della periferia di Tel Aviv ancora disposti a giocare con noi al campo, domani. Inabissamento completo. Cazzarola, che dispiacere, però…è così. Su questi campi del mondo la palla è spesso deviata, se non addirittura fermata, dai piedacci puzzolenti della politica, dominata dalla situazione che si trascina inalterata, coi suoi alti e bassi, da ormai settant’anni e noi non possiamo che subire questi continui sali e scendi, non riusciamo a scendere da questo imprevedibile ottovolante che un giorno ci porta all’apice della fratellanza e quello seguente ci fa sprofondare in quello dell’odio e della lotta tra popoli. Anche in campo. E dobbiamo adeguarci. Il mio primo pensiero, sapendo che le due realtà palestinesi del progetto non sarebbero venute è stato quello di evitare il torneo: domani mattina andiamo a Gerusalemme per l’allenamento, come da programma, incontriamo gli allenatori locali e poi invece di muoverci verso la città dove alloggiamo quotidianamente, ci fermiamo li, o troviamo un posto di incontro per tutti, e facciamo la formazione congiunta, con tutti gli allenatori coinvolti. Come da programma, in fin dei conti. Ma gli altri non sono del mio avviso, considerando anche che sono state invitate domani anche personalità importanti come l’ambasciatore italiano in israele e un giornalista di mediaset, intenzionato a fare un servizio sul nostro lavoro da queste parti. Quindi…torneo inter campus a metà, domani. Ma al mattino, Gerusalemme!!! Non vedo l’ora di tornare nella città mistica per eccellenza.

Jalijulia

JALIJULIA
Mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, soprattutto quando l’orso vive da queste parti! Dopo le speranze di ieri, oggi abbiamo brutalmente dovuto fare i conti con la realtà e ci siamo scontrati con l’assoluta negatività, la lontananza, l’inettitudine di Hilmi, il nostro allenatore locale. Ma andiamo per ordine: dopo il classico appuntamento mattutino sul lungomare di Tel Aviv per la corsa col prof e un tuffo ristoratore,  ci muoviamo come ieri in macchina con Yasha, direzione Jalijulia, dove abbiamo in programma una doppia seduta di allenamento, preceduta da un incontro formativo con Hilmi, per cercare di capire come si è mosso in campo in questo anno di assenza e per introdurre anche lui al nostro metodo di lavoro, il nostro metodo di allenamento. Prima però è d’obbligo la tappa alla torrefazione di Ehab, una gran persona locale, amica di inter campus, che ci aiuta dall’inizio del progetto, che produce caffè per conto di Magnelli (http://www.magnellicaffe.it/) e dalla quale tutte le volte passiamo per un buonissimo caffè, ma personalmente anche per capire, conoscere qualcosa in più su questo frutto. Questa volta ho imparato a riconoscere il seme di robusta da quello di arabica, per poi addentrarmi nel mondo delle miscele grazie a una approfondita lezione sui diversi gusti delle diverse varietà e sul loro uso nelle miscele. Interessantissimo. E soprattutto bellissimo essere in grado di distinguere così precisamente i gusti, i sapori, sfruttando tecniche, metodi precisi, che ti permettono di godere pienamente di quella bevanda da noi troppo spesso bevuta velocemente e senza cura alcuna. Ogni volta con Ehab per me è una goduria. Purtroppo dopo questo bellissimo momento, l’illusione di trasferirmi al campo per iniziare il lavoro sulla cellula di Jalijulia si è trasformata in una specie di farsa: Hilmi, l’allenatore locale che si prende cura da solo, dall’inizio del progetto, in loco dei nostri 40 bambini, deve aver battuto la testa violentemente, perché fin dal primo saluto mi appare un altro, un individuo molto diverso da quello lasciato dodici mesi fa; negativo, mal disposto nei nostri confronti, continuamente alla ricerca della polemica, della provocazione, interessato solo ai soldi e a tutto ciò che nulla ha a che vedere con Inter Campus. Insomma, un altro rispetto a quello che ricordavo. Certo, anche prima ogni due minuti ti chiedeva una maglia, uno stipendio più alto, questa o quella cosa, ma se non altro sembrava ti ascoltasse, pareva coinvolto nel nostro progetto, vicino ai bambini, invece…un coglione! Lui e io, che credevo di conoscerlo e mi fidavo di lui. Un coglione che per di più sta lavorando malissimo, tanto che invece di avere due gruppi da 20 bambini con cui lavorare, ci ritroviamo in campo con 12 bimbetti tra i 9 e i 12 anni nel primo gruppo e…nessuno nel secondo. Alla richiesta di spiegazioni inventa cose che sono evidentemente delle falsità, tirando in ballo un torneo e altri problemi (noi siamo qui in questo giorno, perché è uno dei due suoi giorni normali di allenamento, tra l’altro), ma la cosa peggiore è stata che alla mia richiesta di vedere un suo allenamento, dopo un suo rifiuto, si è mosso in campo con impaccio, atteggiamento sempre negativo e distruttivo, manifestando quasi fastidio nei confronti dei bimbi costretti “nelle sue mani”. Al termine io e il prof decidiamo quindi di dedicarci per almeno mezz’ora a questi poveri dodici nanetti, proponendo loro l’esercitazione che abbiamo deciso di usare come test per confrontare tra loro le quattro cellule, con lo scopo di…farli ridere, farli divertire, farli correre e giocare, senza paura di sbagliare o di provare e finalmente ridono, corrono, saltano, pensano e si divertono! Finalmente sono parte di Inter Campus, finalmente giocano e crescono, non come durante lo scempio di Hilmi. Ma...Voglio dargli un altra chance, mi dico: gli propongo di osservare le nostre proposte, di concentrarsi sui bambini, sulle loro reazioni alle nostre indicazioni, sul nostro modo di interagire e di correggerli. Purtroppo il coglionazzo dopo dieci minuti sparisce dal campo, si allontana e non riappare più sul terreno di gioco. Al termine di tutto lo vado a cercare e l’unica cosa che è in grado di dirmi è che io sono vestito bene e vorrebbe anche lui avere le mie cose. Be’, caro mio, l’abito fa il monaco, ma l’abito te lo devi meritare e tu, ahimè, con quello che hai e stai combinando, più che un costume rotto, usato e puzzolente, certo non ti meriti. Co, cielo color porpora e il giorno che va concludendosi, lasciamo così la piccola cittadina araboisraeliana, portandoci via i kit e con la quasi certezza di aver ormai chiuso i rapporti con questa persona. Mi spiace, mi spiace un sacco per i bambini, ma non possiamo più lavorare con una persona di cui non ci fidiamo, in questo posto più che negli altri, per cui…bye, bye, Hilmi!

mercoledì 20 aprile 2016

Dir Istia

IN WEST BANK


Svegliarsi la mattina, correre sul lungomare di Tel Aviv, tuffarsi in mare, prima di dare inizio alla giornata dovrebbe essere un obbligo, un iter classico di tutte le mie giornate! Altro che sveglia al buio, treno nel carro bestiame della Lecco-Milano, metropolitana e ufficio fino alle 13! Tutto questo, dopo una corsa e un tuffo avrebbe un altro valore. Ma per ora non si riesce. Oltretutto Silvia mi ha appena confermato che “non mi ci porterai mai in quel posto: mi fa troppa paura e io non voglio aver paura”, quindi per ora questo piano B è scartato. Quindi godiamoci ogni mattina come quella di oggi: corsa, nonostante il polpaccio dolente, e poi via, direzione Dir Istia, al di la del muro, per incontrare Gheisan, nostro allenatore locale, e i nostri 50 bambini. Lungo la strada verso il villaggio ci fermiamo in una stazione, dove ai tavoli di un baretto dedichiamo quaranta minuti al nostro mister, per capire la situazione della sua cellula e iniziare a condividere i contenuti delle nostre sedute e, sorprendentemente, il “ragazzo” ci appare sul pezzo: è contento, coinvolto, desideroso di apprendere e di allenare. Bravo. Poco tempo, ma utile per lasciare qualche importante indicazione e per ottenere informazioni necessarie per continuare il nostro percorso. Dopo la tappa “formativa” si riparte e appena varcato il check point, all’ andata questo passaggio è sempre indolore, in breve arriviamo alla scuola, sede di Inter campus, dove ad attenderci troviamo…un sacco di maglie nerazzurre entusiaste e cariche di energia! Solito giro di saluti in quella lingua misto tra italiano, arabo e inglese che ci unisce, e poi per la prima volta iniziamo…a pesare i bambini. Si, pesare: muniti di bilancia scientifica e metro, iniziamo a catalogare i bimbi; col prof abbiamo deciso di raccogliere un po’ di dati dei nostri bambini del mondo, per poi confrontarli, vedere un po’ “lo stato” dei giovani nerazzurri e osservare, nel tempo, se e come la pratica sportiva porta migliorie o meno al sistema bambino, circoscrivendo l’osservazione ai soli dati fisici. Interessante, credo, la cosa. Voglio proprio vedere cosa salta fuori. Chiaramente la cosa verrà poi ampliata anche ai mister, partendo da noi, italiani…trama Ciccio!!! Finita la pesa, è Gheisan a scendere in campo per primo e non nascondo il mio stupore: rispetto allo scorso anno sembrano altri i bambini e sembra un altro lui! Ordinati, sempre un po’ “esuberanti”, ma contenuti fermamente dal mister, capace di strutturare una seduta con logica, sufficiente intensità e coinvolgimento da parte di tutti. Confesso che proprio non me lo aspettavo, ricordando la situazione su questo campo e la confusione dominante dentro e fuori l’allenamento; invece da quel che si osserva si evince che in questo anno il mister ha svolto un grande lavoro, grazie al supporto di Yasha, e ora possiamo veramente iniziare a “raccogliere qualche frutto”. Certo, la strada verso il miglioramento non ha fine e su questi campi del mondo ogni due passi in avanti se ne fanno quattro indietro, ma questa è la rotta giusta. Speriamo non ci siano interruzioni future, dovute a qualche bomba o a qualche nuova rivolta, per poter continuare a proporre allenamenti e poter così proseguire nel percorso di miglioramento, perché sarebbe veramente un peccato arrestare questo processo di crescita, miglioramento, della cellula. Dopo Gheisan tocca a noi scendere in campo: 20 bambini tra i 9 e i 12 anni ai “nostri ordini” e noi conl’idea di provare a ripetere in tutte le cellule, da oggi in avanti per tutta la durata della missione, la stessa esercitazione introduttiva, per osservare le diverse reazioni, i diversi adattamenti dei diversi bambini allo stesso stimolo. Via allora, nastri, quadrato e bimbi che sfrecciano da una parte all’altra al nostro richiamo: iamina, smell (che non si scriverà così), yalla, ukef (che significherà altro scritto in questo modo, non certo stop), i nostri idiomi sono lontanissimi, ma riusciamo ad intenderci e loro corrono e reagiscono ai nostri stimoli prontamente. Bravi, molto bravi: pochi corrono male e anche se tecnicamente quasi tutti lasciano un po’ a desiderare, l’attenzione e la voglia di divertirsi e imparare domina sul terreno di gioco e la seduta scivola via liscia, fra sorrisi e esultanze varie per gol fatti, o evitati. Chiuso l’allenamento, immancabile giro della città vecchia, farcito di…cazzate di varia natura raccontateci dal sindaco, che sostiene essere la sua una fra le prime dieci città “turistiche” della Palestina (trovare un turista in Palestina è come conoscere un milanista con un cervello pensante), la seconda più antica e una serie di altre sue certezze non verificate, che ci accompagnano lungo il nostro cammino dentro le mura ristrutturate grazie a fondi della comunità europea. Il sole inizia a calare, il cielo si tinge di tinte calde e sempre più scure, capaci di renderlo ancora più affascinante di quanto non lo sia gia di suo, quando prendiamo congedo dai nostri amici, pronti per affrontare il terribile check point del ritorno, che però, con nostro grande sollievo, non ci crea alcun problema, anzi, passiamo senza quasi rallentare! Spettacolo. La missione inizia con i migliori auspici!!!

Back to Israel

Back to Israel
Welcome back to israel, verrebbe da dire: dopo un' assenza forzata di un anno, a causa dei problemi scoppiati nell’ultima parte dello scorso anno e culminati nella cosi detta “intifada dei coltelli”, che ci hanno costretto a cancellare la visita di novembre, non facciamo in tempo a mettere piede su suolo israeliano che una bomba esplode su un autobus di linea a Gerusalemme, riaccendendo timori, paure, preoccupazioni, non tanto in noi, qui a Tel Aviv, quanto piuttosto nelle persone a casa, che sanno che siamo qui e ascoltano i nostri (intendo italiani, per nostri) telegiornali o leggono i nostri quotidiani. E infatti da dopo l’esplosione mi sono arrivati messaggi da tante persone preoccupate, fin anche quello del presidente insieme al dg, che ci invitavano a ponderare bene le scelte, a valutare bene il programma e a non trascurare l’ipotesi di ritorno a casa. No, no, tranquilli: la missione si porta a termine, ci sono tutte le condizioni. Certo, rientrare su questi campi del mondo ed essere accolti da una bomba non è piacevole, ma…è così. Da queste parti ogni tot tempo qualche cosa deve succedere, qualche violenza deve scatenarsi, qualche morto deve scapparci e se vogliamo continuare a lavorare qui, dobbiamo imparare questa cosa, imparare a convivere con lo stato di precarietà perenne e con una certa dose di tensione, per cui…va bene così. Mollare ora e rientrare a casa sarebbe sciocco, oltreché inutile, e di certo non cambierebbe le cose; oltretutto ora che le cose per noi di inter campus stanno iniziando a girare per il verso giusto e soprattutto con continuità, grazie al costante e preciso lavoro di Yasha e Jasmin, cancellare anche questa visita vorrebbe dire non vedere gli allenatori e i bambini per altri sei mesi, perdendo completamente il controllo e il contatto, soprattutto, con le persone. No, no, non s’ha da fare. Diamo inizio alla nostra missione domani, con la visita in West Bank e andiamo avanti per la nostra strada, con la nostra speranza di riuscire a cambiare, anche solo poco, le cose tra questi due popoli, con una maglia che li unisce e una palla da inseguire.