martedì 2 giugno 2015

In Favela a San Paolo

FAVELA AQUA VERMELHA
Campo rosso, rossissimo, quasi africano, 60 bambini dai 6 ai 17 anni, 8 palloni, una ventina di coni piccoli e una decina di quelli grandi. Questi gli ingredienti a nostra disposizione, per dar forma alla seduta di oggi. Ah, dimenticavo: due ore a disposizione e un’entusiasmo diffuso difficile da contenere, da controllare, da incanalare.L’organizzazione lascia un po’ a desiderare, ma qui, come nell’altra favela paulista, non siamo mai stati, non abbiamo mai fatto allenamento: abbiamo aperto la scorsa volta, ma ancora non abbiamo dato “direttive”, suggerimenti, quindi…rimbocchiamoci le maniche, Juri, e vediamo di far vedere qualcosa di buono. Decidiamo di dividere il gruppo in quattro, in funzione delle età, e di mostrare ai nostri due mister due esercitazioni di introduzione, per cercare di far vedere e capire che non è necessario far correre come dei muli i bambini intorno al campo per “scaldarli”, e due esercitazioni situazionali, per mostrare come per lavorare sul gesto tecnico non sia indispensabile frantumare i maroni ai giocatori, con esercitazioni noiosissime, a bassa intensità, e senza alcuno stimolo cognitivo o emotivo. I gruppi ci seguono, si divertono, si impegnano e imparano a pensare per agire e non solo ad eseguire meccanicamente i movimenti; il clima è positivo, tutto fila via alla grande, c’è “una bella musica in campo”, come ci ha detto più tardi Franco, e noi stiamo dirigendola alla grande. Bello, anche oggi bello. Ma anche oggi…distrutto! La seduta mi ha risucchiato tutte le energie e quando finiamo e torniamo in oratorio devo sdraiarmi dieci minuti per riprendermi: low battery! Controllare tutto, sfruttare l’energia, l’esuberanza dei bambini per i miei obiettivi, evitando che sia invece fonte di disordine e distrazione, mostrare gli esercizi, correggere, tenere alte le intensità…quando esco dal campo sono sempre stanco (oggi abbiamo scoperto che durante l’allenamento ci muoviamo per circa 10km, o meglio Juri, ma io non credo di muovermi meno, anzi) morto e quando poi gli allenamenti sono due di fila, se non tre, sono esausto. Seppur contento. Dovrei ascoltare ciò che mi dice il prof da tempo e staccarmi un po’ dal campo per assumere più il mio ruolo di responsabile tecnico e meno quello di allenatore, ma…non ce la faccio! Le due cose per me sono inscindibili: come faccio ad essere responsabile tecnico del progetto, se non vado in campo, se non mi metto alla prova quotidianamente, se non cresco esercitazione dopo esercitazione? Non è solo perché mi piace troppo e perché credo fermamente che senza campo i miei viaggi perderebbero di significato, oltre che di interesse. O almeno credo...Vero, dovrei lasciare più spazio ai “miei” mister, dovrei dedicarmi più a loro e alla loro crescita da fuori, ma sono fermamente convinto che l’esempio sia la forma migliore per insegnare, per fornire un modello, quindi se “uscissi” dal campo perderei di credibilità, perderei il mio ruolo. Per me contano più i fatti delle parole e a me quelli che parlano troppo non sono mai piaciuti, quindi preferisco fare, fare anche per due, piuttosto che limitarmi ad osservare per poi parlare e pontificare o peggio ancora lasciare un mister in difficoltà, come magari mi son trovato io in passato, nei miei viaggi africani in solitaria. Quindi…continuerò ad uscire distrutto dal campo, per lo meno fin quando rimarrò intercampista, da tutti i campi del mondo!

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