mercoledì 27 luglio 2016

Belle sorprese

Quasi avessero letto il mio post di ieri e quasi per contraddirmi apertamente, i quattro giocatori che oggi si sono presentati al campo di Inwood per giocare con i nostri bambini, consegnar le maglie nuove e rendere così speciale il loro pomeriggio, sono stati gentilissimi, disponibili e carini con tutti, piccoli e adulti, e pronti a soddisfare le loro richieste varie. Ranocchia, Della Giovanna, Pinamonti e Ansaldi, quest'ultimo poi particolarmente, hanno voluto, si vede, riscattare la figura del calciatore viziato, perché non hanno lesinato sorrisi, abbracci e parole (Ansaldi direttamente in spagnolo: i nostri sono tutti messicani, ecuadoregni e giù di li, quindi l'inglese non lo parlano benissimo, per lo meno gli adulti) positive per tutte; anche quando io e Andre abbiamo messo in piedi una mini esercitazione, in cui i quattro, in realtà tre, perché cristian si è messo in porta, dovevano difendere, attaccati prima da uno, poi da due "nani" contemporaneamente, sono stati al gioco, hanno finto di subir tunnel, hanno simulato falli, insomma, hanno fatto la loro parte fino in fondo. Grandi. Certo, mezz'ora, non di più, ma...piutost che nigot.
Dopo l'allenamento, quindi, l'incontro coi giocatori, strette di mano e sorrisi vari, come dice il Galbio, via di corsa verso la prima strada, verso il palazzo di vetro, verso il quartier generale dell'Onu e...be', un po' mi sono emozionato. Tra le tante cose che sono fin qui riuscito a fare insieme a Inter Campus, questa è una di quelle che proprio non mi sarei mai immaginato. Invece. Eccomi qui. Per preparare l'evento che avrà luogo proprio in questo storico palazzo tra due giorni: Inter Campus, come partner di alcuni uffici delle Nazioni Unite (Unosdp e Undp) Giovedì porterà la prima squadra a partecipare ad una conferenza che riguarda l'agenda 2030 per gli obiettivi sostenibili, per portare testimonianza, attraverso il proprio lavoro di questi vent'anni e i propri colori, di come il calcio possa essere parte attiva di questo percorso; qui, tra questi corridoi dove si sono prese tante decisioni storiche e dove tutt'ora si condiziona, se non si determina, la storia, passeremo noi, insieme ai bambini di Inwood e alla squadra, mister compreso. Cacchio! Che figata! 

martedì 26 luglio 2016

New York, ancora tu: ma non dovevamo non vederci più?

Rieccoci qui, in questa città da me per nulla gradita. Niente contro la grane mela in se', contro i suoi palazzi, il suo cemento, i suoi prezzi folli e la sua moltitudine di gente, per carità, ma non è certo questo il posto per me ideale, o diciamo idoneo, alla realizzazione di quel progetto che tanto amo. Ma ok, si deve fare e lo si fa; in find ei conti ovunque, a ben vedere, c'è un bimbo in difficoltà, che ha bisogno del nostro intervento, della nostra palla. E allora, dicevamo, rieccoci qui, a nemmeno tre mesi di distanza, a inseguire la prima squadra, in tournè da queste parti, affinchè ci degni di attenzione, per regalare un paio di giorni un po' speciali ai nostri bimbi in compagnia dei nostri "campioni". E pensa come cambiano  i tempi: da piccolo, ma nemmeno tanto piccolo, trovarmi in albergo con i giocatori dell'Inter, far colazione con Thoir, salire in ascensore con Miranda, incontrare Biabiany nella hall, sarebbero stati sogni quotidiani, desideri irrealizzabili per un super tifoso, per di più simil calciatore, come il sottoscritto, oggi invece è quasi un fastidio. Vedere questi ragazzini viziati, che vivono su un pianeta diverso dal mio, che godono di favori e grazie inimmaginabili, che bisogna corteggiare per mesi per averli mezz'ora al campo di Inwood a calciare due palloni con dei bambini che vivono e vivranno, spero di no, ma la vedo dura, una vita diametralmente opposta e decisamente più dura della loro e sapere anche che la gente stravede per questi pirla e farebbe di tutto per loro...be', mi infastidisce. Adoro il calcio, vedo e rivedo partite, studio e analizzo, vivo di calcio, ma i suoi interpreti proprio non li mando giù e quei sogni di bambino, oggi che si possono realizzare, si frantumano, a contatto con la triste e fastidiosa realtà dei fatti.
Voglio poi vederli giovedì, quando li porteremo alle nazioni unite, nostro partner (o meglio, noi siamo partner di alcuni suoi uffici, unosdp e undp), come reagiranno, come si comporteranno, se si renderanno conto di dove si troveranno, del valore simbolico di quel palazzo di vetro e del potere che risiede in quelle stanze; delle scelte che possono prendere quei funzionari che incontreremo e del peso di queste stesse scelte per gli sviluppi nella storia passata e futura; insomma, voglio vedere cosa succederà. Magari mi faranno ricredere di tutto e mi rimangerò ogni...pensiero. Intanto andiamo in campo, ad Inwood, coi nostri bimbi sovrappeso. Vamos adelante (perchè su questi campi del mondo è lo spagnolo la lingua ufficiale).

venerdì 22 luglio 2016

Kinshasa

Come sta cambiando velocemente questa città! Non so dire se positivamente o negativamente per coloro che ci vivono, perché "passandoci" solo per un paio di settimane l'anno non posso certo capire se tutte le novità che scorgo intorno a me stiano portando migliorie o meno, ma quel che posso dire è che anno dopo anno, visita dopo visita, la città sembra un'altra.
A partire dall'aeroporto: la prima volta che siamo arrivati qui siamo scesi dall'aereo e a piedi (si, si, a piedi, in mezzo agli aerei) abbiamo attraversato le piste per arrivare al terminal, terminal dalle sembianze della peggior boglia dantesca, con una fila infinita e tipicamente africana (che non si discosta molto da quella italiana, ossia non una fila, ma un ammasso di gente in movimento, schierato in orizzontale, che spinge e strattona per far valere la propria "supremazia" territoriale), gente che chiedeva di vedere il passaporto che sbucava da ogni angolo (chiedevano il passaporto, scoprimmo in seguito, per rubartelo...pensa che bell'accoglienza) e una confusione dominante, abbellita dal caldo umido tipico di questa parte di mondo. Ma il bello era la zona del ritiro bagagli: viaggiando sempre con lo zaino, quindi non dovendo aspettare nulla al nastro, ma semplicemente facendo compagnia al mio compagno di viaggio di turno (Max sempre e allenatori a rotazione, da Raffaele, a Lore, fino a Dario), mi sono sempre potuto "godere" le scene assurdo che mi si presentavano dinnanzi; bagagli ammassati, l'uno sopra l'altro, con scatoloni scocciati qua e la a farcire l'immobile tapis roulant, che di roulant manteneva solo il nome, e gente "armata" di pettorina colorata arancione, a garanzia delle loro azioni, in piedi su di esso, che prendevano e distribuivano a mani imploranti questa o quella valigia, a seconda delle richieste e del tagliando mostrato. Sempre se la sorte ti permetteva di riabbracciare il tuo bagaglio: Lorenzo rimase una volta tre giorni senza il suo, dirottato chissà perché a Luanda, e una mia valigia piena di roba per bambini arrivò una volta a missione conclusa.
Oggi invece sembra di essere sbarcati in un altro paese: bus che ti accompagna al terminal, fresco per l'aria condizionata, con diversi posti di controllo che smaltiscono facilmente la fila, nessuna persona esterna a quelle deputate a lavorare in quella zona intorno e bagagli riconsegnati...normalmente. Un altro aeroporto! E fuori i cambiamenti proseguono: pochi anni fa la strada che ci portava in città (all'inizio stavamo nel quartiere Limite, un po' fuori) era una pista sterrata, strabordante di gente, macchine e camioncini gialli e blu (sono delle specie di Ducato, con delle panche di legno piantate al suo interno, che fungono da trasporto pubblico; senza finestrini, sempre colmi oltre ogni possibilità umana...assurdi!), vere schegge impazzite, spesso senza luci, che occupavano tutta la strada, in ogni dove. Oggi...è ancora così, anzi, forse le macchine e la gente che occupa la strada sono ancora di più e il traffico, anche a causa del comportamento a dir poco indisciplinato della gente, è peggiorato, per quanto incredibile possa sembrare, ma la strada in se', lo spazio da occupare è aumentato ed è tutto asfaltato. Addirittura in alcuni punti c'è anche un marciapiede, o almeno una zona che potrebbe, dovrebbe, fungere a tale scopo. Insomma, la città sta rinnovando il suo vestito, si sta rifacendo il trucco grazie alla "cosmesi" cinese (tutte le strade sono costruite dai cinesi, così come i grandi edifici nuovi del centro, della zona della Gombè), Kinshasa sta curando la sua apparenza e si presenta migliore rispetto al nostro primo incontro, ma non son certo che questo basti a dimostrare un miglioramento delle condizioni di vita. Sicuramente l'economia del paese sta crollando, vista l'ennesima svalutazione in atto del franco congolese e vista la crisi mondiale delle materie prime (che qui sono la base di tutto e per tutto), e i bimbi che chiedono di entrare a far parte di Inter Campus sono sempre di più, a dimostrazione di ciò. Per cui...rimbocchiamoci le maniche e scendiamo in campo, bagai. 

mercoledì 20 luglio 2016

Congo-Kinshasa

Confesso che sono un po' in ansia per questo viaggio, perché le ultime vicende relative a questo progetto non sono state proprio positive, al punto che hanno pensato di chiuderlo e anzi, lo hanno congelato per sei mesi. Poi mi sono esposto in prima persona, ho insistito sulla validità sociale del nostro intervento in questa parte sfigata di mondo, ho convinto i capi e ora, ad una settimana dal rientro in Italia, rieccomi in volo, per cercare quelle conferme da portare a Milano, per poter andare avanti con i lavori. Effettivamente un po' di confusione si è creata negli ultimi tempi, con il nascere di quell' academy in città, figlia del primo inter campus in loco, costruita grazie alla spinta iniziale data da noi con i soldi raccolti girando l'Italia con la coppa dei campioni vinta nel 2010, ma che vive di vita propria, separata dal nostro progetto sociale, in un altro punto della città, con altri allenatori e altri bambini, ma guidata dalla stessa persona che lavora con noi e, chiaramente, organizzata in campo, negli allenamenti, con il nostro metodo, essendo i suoi allenatori quelli che ho formato io agli albori del nostro intervento. In più i nostri partner locali si sono dimostrati un po' incapaci di scindere completamente le due cose, di allontanare con decisione Inter Campus da quei discorsi di rette annue o talent scouting propri dell'academy, ma che noi da sempre rifuggiamo, quindi, giustamente, i "capi" hanno chiesto luce, chiarezza, prima di poter proseguire. E allora...eccomi qui, per cercare di dimostrare l'enorme valore che ha anche qui il calcio come strumento di prevenzione della criminalità, come mezzo attraverso cui tener lontani i nostri bambini dalla strada, dando loro un luogo dove giocare, dove entrare a far parte di un gruppo, dove apprendere e interiorizzare regole, dove...crescere come uomini e non solo come calciatori. Qui come in tanti altri posti, considerando che i nostri bimbi sono figli di militari, quindi di gente che vive con 20 $ mensili, che può permettersi di dar da mangiare ai propri figli a giorni alterni, che non può garantire l'iscrizione a scuola a tutta la prole, che...ha bisogno di Inter Campus, cazzo! Ma questa cosa deve, giustamente, rimanere "pura", senza contaminazioni esageratemente "agonistiche", senza valorizzazione esclusiva del talento, senza nessuna forma di selezione, perché, cacchio, tutti devono giocare e tutti devono migliorare e crescere con quella palla tra i piedi e sempre in testa, come obiettivo, come guida per la vita. E allora...via, destinazione Kinshasa. Ripartiamo con Inter Campus, riportiamo la palla magica anche su questi campi del mondo. 

martedì 12 luglio 2016

In Boda-Boda a Nagallama

Nagallama
Arriviamo al "nostro" African Village prima del previsto, un paio d'ore prima, quindi col prof decido di muovermi subito verso la scuola, la "nostra" scuola,  St. Joseph Primary School di Nagallama, per fare una sorpresa ai “nostri" allenatori che ci aspettano domani mattina e "spiare" se le cose vanno come crediamo, o se stiamo vivendo un'illusione. Sai com'è, fidarsi è bene..."Come RRRRaggiungiamo la scuola, misteRRR", con la sua r parmense, mi chiede Silvio. "Di corsa, no? Sono 8km in fin dei conti". Rimane un po' perplesso, poi "ma il Ritorno saRà col buio: meglio non RRRischiaRe", memore, forse, di quando venne investito da un Matatu, tre anni fa, proprio qui. "Be', allora, prendiamo un boda-boda: con 2, 3 mila scellini arriviamo facile a scuola". E così fu: boda-boda, ossia le moto taxi, una sola per entrambi, direzione Nagallama. Non era la prima volta che salivo su questi mezzi, ma in questa occasione il clima, l'entusiasmo di rivedere la nostra cellula, il verde più lussureggiante dell'ambiente intorno...non so cosa, ma questa volta è stata più bella, sia l'andata che il ritorno. Ci sentivamo bene, a casa, eppure eravamo a migliaia di km di distanza: sapete quando siete tranquilli, sicuri, sapete benissimo dove andare, conoscete perfettamente l’ambiente in cui vi trovate? Ecco, noi in quel momento, su quella motoretta, schiacciati l’uno all’altro per stare su quel sedile in tre, io, il prof e il pilota-centauro capace di parlare solo Luganda, noi ci sentivamo esattamente così, come se fossimo io a Villasanta e lui a San Secondo: a casa.Arrivati a scuola entriamo quasi di soppiatto, per non farci vedere, ma due mzungo qui non passano tanto inosservati, tant’è che non siamo ancora giunti all’enorme mango, simbolo per me di Inter Campus Nagallama, che già bimbi in neroazzurro ci sono corsi incontro chiamandoci per nome e prendendoci per mano. Già, tutti vestiti di neroazzurro, perché questa è la settimana Inter Campus da queste parti, ossia una settimana in cui tutte le maglie ricevute fino ad oggi vengono consegnate la mattina a tutti i bambini della scuola per lo svolgimento di tutte le attività previste nella giornata, per poi, la sera, quando la scuola chiude, essere nuovamente prese in consegna dai professori. Se pensate che qui i bimbi sono circa 800, potete provare ad immaginare come tutto l’ambiente fosse saturo dei nostri colori, del nostro simbolo, con bambini e bambine intenti chi a preparare la sfilata della domenica, chi a prepararsi per l’allenamento, indossando la maglia col simbolo bardato del tricolore, quella della stagione 2009/2010, o quella con la scritta Pirelli dorata, quella 2008/09… Bellissimo!!! Ma ancora più bello constatare che tutto quanto detto, stabilito, organizzato, si sta realizzando con continuità sul campo, grazie ai nostri mister, al lavoro svolto con loro negli anni passati e alla validità concreta, effettiva, quasi unica, del nostro intervento da queste parti. Mi ci voleva un po’ di Africa!!!

venerdì 8 luglio 2016

Road to Aber

ABER


“Attenzione: all’incrocio più avanti ci sono tre elefanti molto vicini alla strada”. Non volevo crederci. Invece il camion che abbiamo incrociato sulla strada sterrata che da Pachwacy ci stava riportando ad Aber diceva la verità. O quasi, visto che gli elefanti in realtà erano quattro, due adulti e due piccoli. E passando dall’incrocio (non pensate ad un incrocio di strade a tre corsie, ma piuttosto ad una strada rossa, polverosa e sgangherata, che incrocia le vecchie rotaie arrugginite della ferrovia che dalla capitale Ugandese un tempo conduceva fino al Kenya) eccoli li, a non più di dieci metri da noi, con la loro imponente stazza, il loro puzzo selvaggio e il loro fascino africano. Bellissimi. Dopo i soliti cercopitechi che incontriamo sempre lungo la strada e i babbuini, avere il piacere di un incontro così ravvicinato con questi bestioni è spettacolare. Ma non finisce qui: poco oltre, tornati sulla strada asfaltata che viaggia lungo il Murchinson Fall National Park, nella radura verde che ci circonda scorgiamo un’altra decina di elefanti, impala e un’altra bestia non meglio identificata (sempre tipo impala, simbolo anche della nazione, ma di cui non ricordo mai il nome). Insomma, una sorta di safari involontario quello vissuto oggi lungo la rotta per Aber. Ma anche se non avessimo scorto quelle bestie, questa rotta è sempre stupenda da vivere: sono circa cinque le ore che impieghiamo per coprire la distanza da Kampala alla regione del West Nile e ogni chilometro è realmente affascinante. Un giorno forse mi stuferò di ciò che scorre là, fuori dal mio finestrino, ma ora rimango ancora volentieri a guardare queste immense pianure ondulate verde smeraldo, con alberi di ogni forma, dimensione, specie, che le affollano, accalcandosi l’uno accanto, l’uno sopra l’altro, intervallate qua e la da villaggi di capanne di fango e paglia, o città parallele alla strada, che si sviluppano lungo la via che taglia in due il verde, profonde un paio di metri, con alle spalle l’incombente, selvaggia, natura. Questa volta, mi fa notare il prof, ci sono più coltivazioni, soprattutto grano ed effettivamente incappiamo con più frequenza del solito in piccoli incendi, appiccati per far spazio a zone ove seminare e per rendere più fertile il terreno, esattamente come si faceva milioni di anni fa. Oltre alle solite, immense fattorie, che incrociamo, una cinese e una indiana, questa volta sembra che anche gli stessi ugandesi si siano messi a coltivare la loro terra; sembra, chissà se poi sono loro a trarne beneficio. 

giovedì 7 luglio 2016

Uganda-Aber

ABER-UGANDA
Che casino. Che casino che faccio. Sempre. Non so proprio, non riesco proprio a gestire questa agenda viaggi: credo di essere indispensabile ovunque, quindi inserisco il mio nome in ogni missione, partendo in continuazione e perdendo completamente di vista tutto il resto, tutto ciò che è extra, oltre inter campus. Prima “subivo” in un certo senso l’agenda, nel senso che non ero io a decidere viaggi e staff, ma ora che sono io il responsabile devo riuscire a gestirmi meglio, a cedere qualche paese, a dedicarmi ad altri, a…stare più a casa, cazzo! Invece, proprio perché sono il responsabile, mi sento incaricato di tutto, mi sento in dovere di controllare, verificare, far marciare il tutto al meglio, ma così mi costringo a tornare e ripartire con una frequenza da pilota Lufthansa! E infatti rieccomi in viaggio, dopo nemmeno due settimane, trascorse tra l’altro…in campo, visto che c’era la scuola calcio estiva da portare avanti, con 8 allenatori provenienti dal mondo inter campus ospiti e coinvolti negli allenamenti, nelle attività, cui badare, cui organizzare le giornate, i trasferimenti, i momenti extra campo. Quindi due settimane a casa, ma super impegnate, dalle 7 del mattino alle 20, senza sosta, senza pausa a casa con Anna e Silvia…e se ne sono accorte. La seconda soprattutto...Per carità, tutti lavorano, tutti sono impegnati come, se non più di me durante le loro giornate e tutti riescono a stare con i propri bimbi poco, pochissimo, come il sottoscritto solo la sera, rientrati a casa, stanchi, stremati dalla lunga giornata. Io ho però i mille viaggi annuali (questa stagione, ad ora,  sono 15, con due mesi di stop per la nascita di Anna…), a complicare le cose, ma se imparassi a staccarmi un po’ dai Paesi, qualche cosa migliorerebbe. Invece io le complico. ‘azz, se le complico. Ma migliorerò; anche perché peggiorare è dura. 

Dicevamo: rieccoci in viaggio, direzione Uganda. Ritorno nella “mia” cara e amata Africa. È da un pezzo che non calco questi campi del mondo, l’ultimo è stato in Angola a febbraio, e il continente nero, quel “mondo” che mi ha rapito dieci anni fa, iniziava a mancarmi, con i suoi colori, i suoi odori, la sua gente, i suoi paesaggi. Qui poi i paesaggi sono particolarmente…africani, soprattutto quando, come questa volta, ci muoviamo verso il nord, verso Aber e uscendo da Kampala attraversiamo la savana, con le sue immense pianure verdi, verdissime (in questo periodo, stagione delle piogge, altrimenti aride, gialle e caldissime), i suoi alberi giganti, le sue capanne di fango e paglia disperse qua e la. Tutte le volte sembra di essere in un documentario! Bellissimo. Via allora la nostalgia, i casini e sotto col campo!

lunedì 4 luglio 2016

Ancora tu (new York)?

NEW YORK


Questa città è assurda: costi esagerati, traffico allucinante, migliaia di persone che affollano i marciapiedi a qualsiasi ora del giorno e della notte, null’altro che cemento, palazzi e costruzioni varie da mostrare, eppure…eppure affascinante, interessante da vedere, da visitare, ma soprattutto da vivere. Ho altri gusti, preferisco altri posti, altre realtà, dimensioni, da conoscere, da visitare, ma anno dopo anno New York sta iniziando a piacermi e sta iniziando ad entrare nella mia lista dei posti da “ri”visitare con Anna e Silvia (e chissà chi altro). Confermo il fatto che non si esce dall’hotel per mettersi in coda per poter visitare il palazzo degli Uffizi, o il Colosseo, o il Duomo di Milano, quindi per poter vivere la storia e conoscere il proprio passato, ma per salire sull’empire state building o per fare due passi sul ponte di Brooklyn,o sulla High Line, però…però dopo aver visto e rivisto tutto questo migliaia di volte in TV, quasi ti emozioni quando ci sei davanti “realmente”, quando ti senti tu stesso dentro quella scatola luminosa, parte di questo o quel film. È sciocco, lo riconosco, ma è così. E allora ogni momento libero dagli impegni di lavoro, eccoci per strada perché avendo la fortuna di aver l’Hotel a Manhattan, niente di meglio delle proprie gambe per muoversi tra i vari “set” dei vari film o telefilm del passato, a macinare chilometri su chilometri, a volte senza meta, ma solo col naso all’insù, perché qui se non guardi in alto…godi solo a metà. Tutto si sviluppo in verticale e limitare il proprio raggio visivo alla propria altezza significherebbe privarsi di un sacco di scoperte, per cui…tutti a testa in su. La cosa più bella, comunque, per me rimane l’allenamento mattutino a central park: più piccolo di quanto pensassi, ma comunque affascinante, con i suoi solenni alberi, con il suo verde vivo, con le sue piante in fiore (non avevo mai visto New York così fiorita! Forse perché non c’ero mai venuto in primavera…) e con quei mega grattacieli ad incombere su di esso. Alzi lo sguardo, anche qui, e un cielo azzurrissimo cerca di manifestarsi facendosi largo tra palazzi a punta e mega terrazzi, tra antenne infinite e vetri scuri che rimandano l’immagine delle nuvole. Anche correre diventa meno faticoso.



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NUOVA YORK


Fai due conti e capirai perché sei così a pezzi ora, mi suggerisce il mio cervello: domenica scorsa hai rimesso piede in Italia, rientrando da Cuba e ora, Lunedì, hai appena toccato terra ma negli Stati Uniti. Sarà forse per questo che ti senti così stanco? Sarà anche per questo che Silvia è così incazzata? Mmm, forse quel bozzo distante circa un metro, sopra il mio culo ha ragione: c’è da intervenire, devo fare qualcosa, affinché questa “folle” corsa intorno al mondo, questa folle corsa sui campi del mondo non diventi fonte di problemi, ostacolo per tutto il resto. Ci provo, prometto che ci proverò. Ora però devo recuperare in fretta le forze in vista di quest’altra missione, New York, e per farlo niente di meglio di una bella corsa. E così, giusto il tempo di arrivare in hotel e prendere la camera, questa volta al Row Hotel, sulla 8th, tra la 45th e la 44th, e rieccomi per strada, direzione central park. Fa caldo, ma niente a che vedere con l’afa umida di Cuba, e già nel breve tragitto che mi porta al parco mi accorgo che nonostante il viaggio, sto abbastanza bene: ad un semaforo un altro runner mi supera, con un passo un po’ più veloce del mio e la mia ignoranza competitiva prende possesso del mio corpo e mi spinge a stare alle sue spalle, senza subire contraccolpi spiacevoli dal punto di vista aerobico o muscolare, anzi, più alzo il ritmo, più mi sento bene. Prima di arrivare a Columbus circle lo passo e, anche se solo mentalmente, lo ringrazio per lo stimolo in più che mi ha regalato. Ci rivediamo dentro il parco, penso. L’obiettivo di oggi è semplicemente correre, pulirmi un po’ dal lungo viaggio, sudare e smaltire un po’ di tossine, per cui decido di fare il giro largo di questo famoso polmone verde della grande mela: entro a columbus circle e affronto i vari sali-scendi, superando il teatro, il museo, il guggenheim, girando intorno al lago artificiale tanto celebrato nella storia del cinema, incontrando scoiattoli qua e la, ma soprattutto incrociando un sacco di altri runners come me, fino a tornare la’, dove l’allenamento di oggi è iniziato. 11km e 200 mt, segna il Garmin. Solo. E se la menano così tanto??? Nel “mio” parco, quello di Monza, la dieci la faccio semplicemente girando intorno al golf! Rientro in camera, doccia e via, si cena. Veloce, perché sono distrutto, tra viaggio infinito e fatiche accumulate varie, non ultime quelle notturne, dovute alle sveglie continue di Anna: ha deciso, arrivata ad 8 mesi, di non dormire più e di tenerci svegli tutte le notti. Silvia con costanza, io che sono un po’ più duro da svegliare quando dormo, ad intervalli. Ora quindi, si recupera. Si, non maledirmi!