giovedì 14 febbraio 2019

bye, bye camerun

La missione si conclude come sempre troppo velocemente, seppur abbia una voglia matta di tornare a casa dalle mie due donne e mezza; ci sarebbero ancora un sacco di cose da fare qui: mi piacerebbe seguire "a casa loro" tutti gli allenatori presenti a questo corso, osservarli in campo, consigliarli, migliorarli, scendere in campo coi loro bimbi...insomma, trasferirmi in Camerun! Ma come qui, anche negli altri Paesi Inter Campus una presenza costante sarebbe utilissima, se non necessaria: un permanent coach, come penso da tempo, che dopo i dieci giorni di corso si ferma e segue per due, tre mesi la crescita, lo sviluppo delle attività, un allenatore da me formato che cura, innaffia, concima, il seme gettato durante il corso e fa si che la nostra presenza in loco non si limiti ai circa venti giorni l'anno, figli delle due missioni, ma si prolunghi nel tempo. Credo che in questo modo potremmo davvero fare un ulteriore balzo in avanti nel nostro tentativo di aiutare i bimbi del mondo inter campus a crescere con una palla al piede, anche se mi rendo conto delle difficoltà, da quelle meramente economiche, a quelle più complesse legate al personale. Vedremo. Nel frattempo continuiamo coi nostri "mordi e fuggi", spremendoci al meglio nei giorni di missione e rosichiamo per il tempo mancante al termine del viaggio, godendo allo stesso tempo pienamente delle giornate in aula e in campo, perché niente come la missione mi ricarica. Soffro troppo l'ufficio. Bye, bye, camerun, o meglio A bientot. Pronto già per il prossimo viaggio

lunedì 11 febbraio 2019

Aula e campo


MA IL LAVORO?
Leggendo quanto fin qui scritto non posso certo biasimare chi continua a insultarmi e a sfottermi, sostenendo che non lavori e che sia perennemente in vacanza: partite a calcio sulla spiaggia, hotel, seppur decadenti, corse mattutine…bella vita. Non lo nego, la mia è una bella vita, ma in mezzo a tutto quanto sopra descritto ci sono ogni giorno quattro ore in aula la mattina e tre sul campo nel pomeriggio, con una ulteriore ora post seduta. Con questo non sto chiedendo fazzoletti per asciugarmi la fronte sudata, ma semplicemente ricordo che comunque sun dre a lavura. Qui, in particolare, il lavoro si concentra sugli allenatori, attraverso una formazione mirata, dedicata ai nostri sedici allenatori ufficiali, cui si aggiungono in questi giorni quattro giovani da valutare e sei altri semplici osservatori, interessati al progetto, ma ancora non inseriti nel circolo inter campus. 26 quindi in tutto, con background differenti, con formazioni differenti, con conoscenze e preparazione differenti, giusto per semplificarci le cose. Tra i nostri infatti ci sono alcuni che sono con noi da sempre, alcuni che addirittura erano bimbi inter campus, e altri che sono con questa alla terza formazione: la cosa ovviamente fa’ si che sia difficile progredire nel nostro percorso didattico con semplicità, perchè ciò che per qualcuno è chiaro, per qualcun’altra non solo non lo è, ma è la prima volta che sente un concetto simile! Si procede quindi “navigando a vista”, con grande attenzione nei confronti di tutti e cercando di rivedere gli argomenti, offrendo nuovi spunti, nuovi approfondimenti, utili anche ai più vecchi per capire ancora meglio il tutto. La cosa però è semplice da scrivere, ma richiede un bell’impegno in aula, considerando anche la lingua. È un po’ come quando si è in campo con un gruppo di bimbi disomogeneo, alcuni nati con la palla al piede e altri al primo contatto con la magica sfera: sviluppare una esercitazione utile agli uni e agli altri non solo è complesso, ma richiede un dispendio energetico importante. Infatti la sera svengo puntualmente nel letto facendo fatica anche solo a lavarmi i denti. Ma le cose però stanno funzionando bene, tutti si sono dimostrati interessati, coinvolti e soddisfatti delle “lezioni”, anche i più anziani come Thomas, con noi dal 2004 e sempre presente a tutte le formazioni, per cui…a letto presto, che domani si ricomincia!



venerdì 8 febbraio 2019

Kribi come Varazze da piccolo

QUARANT’ANNI E NON SENTIRLI
Finito l’allenamento del pomeriggio invece di rientrare in hotel e pompare un po’ in stanza come tanto mi piace fare quando viaggio, quest’oggi abbiamo organizzato insieme a tutti gli allenatori una gita alla spiaggia di Kribi, in particolare alla spiaggia che c’è “in centro”, dotata di due porte per giocare a calcio 8<8 sulla sabbia. Salutati i bimbi, quindi, ci muoviamo in gruppo verso la strada per andare a giocare. Nemmeno il tempo di sbarcare dal pulmino (eravamo in 18 + Etienne, l’autista, in un furgoncino omologato per 9! Sembravamo i clown che escono dal maggiolino di Krusty) e la spiaggia, il tramonto, la palla da inseguire, quell’odore unico di iodio, riportano alla mente Varazze e le infinite partite con i cugini ai bagni torretti. Che spettacolo! Allora si iniziava a giocare alle 19, quando ormai le persone normali avevano abbandonato la spiaggia, e si andava avanti senza sosta fino a quando mamma o zio di turno non ci urlava per la centoventesima volta di piantarla e di salire a casa per la cena. I bagnini chiudevano lo stabilimento balneare con noi dentro, indefessi dietro il tango (allora era quella la palla), sempre con le stesse squadre (io, il Mighe, il Frek, contro i Dario, Michi, Nicola, una sfida infinita), sempre con la stessa inesauribile scimmia per il calcio. Ogni giorno andava così, a meno che non si andasse a giocare il torneo all’oratorio, o alla Crocetta, o al piccolo ranch a giocare. Ma un giorno senza calcio era un giorno non vissuto, non goduto, e fino a quando non siamo cresciuti e ci siamo persi, le mie estati erano scandite da gol, falli e dribbling di vario genere. Qui, oggi, a un paio d’anni di distanza, a un paio di migliaia di km più a sud, è stato come ritornare a Varazze. Niente mamma però a chiudere la partita: sulla spiaggia di oggi è stato il sole a sancire il triplice fischio, o meglio la sua discesa e la conseguente oscurità incombente, mai stato emozionare riassaporare la sabbia appiccicata per via del sudore su tutto il corpo, capelli compresi, la palla che rimbalzava in maniera imprevedibile, i piedi rosso fuoco al secondo tiro di collo pieno, le rovesciate improvvisate, la corsa affannosa per via dei piedi che affondano nella sabbia, insomma vivere di nuovo tutto come allora. Be’, dai, tutto, tutto no: io e Lore eravamo gli unici visi pallidi dei dintorni e l’attenzione, gli occhi, erano tutti per noi. Quando poi alla prima palla decente me la sono alzata e in mezza rovesciata l’ho catapultata in porta…be’, son volato mente e corpo alle mie estati giovanili, legate a me ieri come oggi da una sfera di cuoio magica. 40 anni? Ma davvero?


giovedì 7 febbraio 2019

Corsa esplorativa


KRIBI
Nonostante sia questo il mio…boh, chissà quanti viaggi ho fatto in Camerun. Provando con la memoria a risalire al primo, febbraio 2005 a Yaoundè, e cercando di ricordarmi tutti i seguenti, arrivo a contarne 22 con questo, ma  potrei sbagliarmi per difetto (e quindi quanti cacchio di viaggi in totale ho fatto per Inter Campus??? Qui la memoria mi ha sfanculato, tipo il cervello di Homer quando Marge gli chiede di prestarle il massimo dell’attenzione). Be’, poco importa. Nonostante sia da tanto che vengo in Camerun, è questa la mia prima visita alla città di Kribi e la scoperta di questo posto, nonostante stia cadendo a pezzi esattamente come tutto il resto del Paese, come scrivevo ieri, mi stimola, mi regala ulteriori energie per questi giorni di lavoro. Pur quindi stanco dal lungo viaggio e anchilosato per la non proprio comoda posizione tenuta in macchina nell’ultima parte del trasferimento, decido di alzarmi presto per uscire a correre e attraverso la corsa esplorare un po’ la città e così nei quaranta minuti mattutini lungo la strada che costeggia l’oceano, nonostante il caldo e l’umidità feroce, le gambe girano leggere, grazie al fatto che la mente è occupata dall’analisi di tutte le informazioni che i miei occhi stanno raccogliendo lungo il percorso. C’è gente ovunque, che come sempre cammina per chissà quale destinazione, chi vendendo merce, chi semplicemente per fare qualcosa; incrocio strade, stradine, che partono dall’asfalto e nella loro terra rossa si spingono verso l’interno, tra vegetazione fitta e “case” di legno per lo più mezze storte, tutte uguali e tutte decadenti; “ristoranti” ogni cento metri, ricavati dentro le casette di legno sopra descritte, con un insegna dipinta a mano che riporta in stampatello il nome del posto e con una cucina a vista, che sarebbe meglio non vedere; mi imbatto in centinaia di bambini vestiti tutti in uniforme di diverso colore a seconda della scuola, che a prescindere dall’età e dalla distanza da coprire, si muovono a piedi per arrivare puntuali alla lezione (cosa nemmeno pensabile in Italia: bimbetti della scuola materna che camminano mano nella mano con la sorellina di poco più grande, lungo la strada senza marciapiede dove sto correndo anche io!); schivo in continuazione moto taxi che sfrecciano in ogni direzione, che da queste parti sembrano essere forse non l’unico, ma sicuramente il più ricercato “mezzo pubblico”; mi tappo il naso affiancando camion enormi che trasportano tronchi d’albero giganti, tanto chiari dentro, quanto scuri sulla corteccia, legati sul rimorchio da “forti” catene e…basta, da null’altro. Mi ricorda tanto altre città Camerunesi (Limbè soprattutto), ma il caldo e l’umidità la rendono unica. Rientro quindi gocciolante di sudore, come se fossi caduto in una pozza d’acqua, pronto per iniziare la formazione coi nostri 24 allenatori! 


mercoledì 6 febbraio 2019

Ma petite Afrique


Ma petite Afrique


Mi son reso conto solo oggi riprendendo in mano il blog che l’ultimo racconto di viaggio l’ho un po’ troncato, lasciato cadere senza una degna chiusura. Peccato, avrei potuto lasciar miglior traccia dei miei ricordi su questo mio speciale diario, perché quando sarò più grande e vorrò ripercorrere il mio pellegrinaggio calcistico attraverso queste pagine avrò bisogno di tanti dettagli per far riaffiorare in me tutti i ricordi. Fortunatamente (magari Si non la pensa così…) sono di nuovo in viaggio, diretto questa volta verso un posto cui sono particolarmente legato, che ha per me un valore speciale, per cui cercherò qui di rimediare, evitando tagli improvvisi, salti narrativi inspiegabili, al fine di aiutare il mio io del futuro cui dedico questo blog a ripercorrere le varie missioni. Qual’è questo posto? Be’, chiaramente il Camerun, chiaramente con Francis, chiaramente la cara, vecchia Africa. Il viaggio per arrivare nel continente nero pur non agevole, scivola via abbastanza tranquillamente, se togliamo le tre ore di macchina recluso in un mini spazio; lasciata Parigi e la sua neve che tanto ci ha fatto tribolare (tre ore e più di ritardo), l’accoglienza di Douala è la stessa che ricordavo: caldo, caldissimo, un umido abbraccio dal sapore di legno bagnato, nel mezzo di un disordine, di una confusione unica, tipica, caratteristica. Era da tanto che non atterravo nella capitale economica del paese dei leoni, ma nonostante gli anni trascorsi, son cambiate ben poche cose da allora: i portatori compaiono ancora da dietro ogni angolo nella loro tutina verde, insistendo per portarti le valige; centinaia di persone aspettano ancora non si sa bene chi o cosa appena fuori il salone degli arrivi offrendoti chi il miglior cambio per i tuoi preziosi euro, chi “arachid, plantein”, chi altri prodotti immancabilmente esposti in un equilibrio inspiegabile sopra le loro teste; decine e decine di bambini giocano ancora a calcio sui prati appena fuori l’aeroporto, nell’oscurità incombente della sera, in ciabatte, a piedi nudi o con scarpe bucate, inseguendo un pallone cucito alla bene e meglio, sgonfio, eppure ancora affascinante. Il tempo passa dappertutto, ma non in Camerun: qui si è fermato tutto al primo decennio post indipendenza e tutto ciò che ci circonda risale a quell’epoca, senza nessun segno di rinnovamento, senza nessun segno di modernità. Vedere gli altri paesi inter campus “muoversi”, cambiare, provare a rinnovarsi e osservare il camerun in costante attesa è un po’ una pena:l’Angola ogni volta ha qualcosa di nuovo, strade, palazzi, o anche solo rotonde, eccezion fatta per la “nostra” lixeira; l’Uganda da’ lentamente segni di cambiamento, costruendo strade nuove che collegano il paese e rinnovando quelle ampiamente trafficate per lo meno della capitale; insomma, qualcosa si muove, ma qui sembra tutto congelato. E allora via, lungo la solita buissima strada a due corsie che da Douala ci porta a Kribi, per alloggiare nel classico albergo piastrellato risalente al periodo post coloniale che tante arie si da’, ma che come sempre manca di tutto (acqua che sa di ferro, per aprire e provare a chiudere porte deformate dall’umidità, per litigare con la corrente che salta e che torna non appena il generatore a gasolio entra in funzione, per andare a mangiare in ristoranti che ti fanno aspettare le ore per portarti un barracuda pescato proprio li di fronte e grigliato con estrema lentezza, su un fuoco pigro quanto il cuoco. E allora via, nuovamente in Camerun.