venerdì 19 giugno 2015

Cuba, analisi di un'odissea

Quando il prof è entrato nello stanzino dell'aeroporto nazionale de L'Habana alla ricerca dei bagagli e, invece delle nostre sacche, una volta accesa la luce, si è trovato davanti i due inservienti che stavano trombando, con dietro un terzo collega beatamente addormentato, ho pensato: "ora salta fuori Teo Teocoli e mi dice che sono su scherzi a parte". Giuro, è tutto vero. Nessuna bugia troverete nel racconto, ma solo il cronologico susseguirsi di avvenimenti assurdi, che mi hanno portato a passare due giorni in aereo, due notti in bianco, mezza giornata nella capitale dell'isola caraibica e ora di nuovo in Italia, con le pive nel sacco, senza aver potuto svolgere il mio lavoro. Incredibile.
La cosa fortemente credibile, però, è che tutte le sfighe possibili si sono concentrate in questo viaggio e per i prossimi cento dovrei essere a posto: aerei cancellati, ritardi inspiegabili, valige perse...tutto in una volta sola. Ma andiamo per ordine.
Ore 4:30 am, lunedì
Partenza al solito ad orario impossibile, io e il prof, contenti di tornare a viaggiare insieme dopo Israele e motivatissimi per questa missione, punto di svolta, o almeno così era nei nostri programmi, per l'evoluzione del progetto a Cuba. Holguin è la nostra meta, ma prima di arrivarci dobbiamo affrontare un bel viaggetto, che però, onestamente, scorre via piuttosto liscio: lavoro un po', leggo e soprattutto parlo col mio prof preferito di allenamenti, di atteggiamenti dei ragazzi, degli allenatori, mi confronto su un sacco di cose (ovviamente relative al calcio...) e l'arrivo a L'Havana giunge quasi inaspettato. Anche il controllo passaporti e il recupero dei bagagli si risolve in breve, tant'è che in nemmeno 45 minuti siamo già fuori! Incredibile, visto che di solito in questa parte di mondo bisogna mettere in conto almeno un'ora (almeno) tra file infinite, controlli minuziosi e lentezza cosmica per le valige. Invece...buon segno? Naaaa.
Ore 15:30 locali (-6 rispetto a noi).
Incontriamo Eligio, Christian e Garces e andiamo a casa di Roberto, il nostro solito, mitico, uomo tuttofare della capitale, per farci una doccia e mangiarci uno splendido, dolcissimo e arancionissimo mango! Madonnina che buono. Ecco, qui Mango e Papaia sono stratosferici. Se l'ananas più buono lo mangio in Camerun, questi due frutti buoni come qui non li ho ancora trovati. Si parla, si ride e si scherza con il buon Roberto, ormai guarito dalla difficile operazione che ha dovuto affrontare per asportare un tumore allo stomaco, e sua moglie Julia. È sempre bello arrivare in un paese straniero e "ritrovarsi" a casa, sentirsi tra amici.
Ore 17:30 locali.
Ci muoviamo per l'aeroporto nazionale, pronti per il volo di un paio d'ore verso l'oriente dell'isola...pronti noi, ma non la compagnia aerea cubana: poco dopo il nostro arrivo, infatti, ci comunicano che il nostro aereo non andrà più a Holguin, ma a Santiago e da li ci dovremo muovere in bus. Dopo il viaggio infinito, in piedi da quasi 24 ore, inizio a sbarellare e a chiedere spiegazioni su questo arbitrario cambio programma, ma non ricevo alcuna risposta. Non si sa nulla. Si fa così e basta! Do' fuori di matto. "No, ragazzi, io non mi imbarco: non sappiamo se c'è l'aereo, non sappiamo se ci sarà il bus, perché non lo organizza la compagnia, ma dobbiamo trovarcelo noi! Se han fatto così all'andata potrebbero farlo anche al ritorno. Non scherziamo!!!". I miei compagni di avventura, però, saggiamente, decidono di rimanere in fila e provare, quindi, seppur incazzato nero, mi infilo la musica nelle orecchie e rimango in fila. Maledetta democrazia.
Ore 19:30
L'ora dell'imbarco è arrivata, ma...non si muove una foglia. Ci spostano nella sala del pre-imbarco, strapiena di gente che è li dalle 15 in attesa di partire e iniziamo l'attesa. Distrutto mi stravacco per terra e mi addormento in meno di tre secondi. Quando riapro gli occhi a causa dei dolori diffusi sul fondo schiena (duretto il pavimento) la situazione è immutata: il prof in coma su un seggiolino (con la maschera per gli occhi mi fa troppo sorridere!), Eligio che dorme su di un altro e Christian che mangia frutta in giro per lo stanzone. L'aereo non parte. Il motivo non si sa. Si sa solo che è "atrasado". Torniamo a dormire, in flames nelle orecchie e via.
Ore 00:00 am 26 ore di veglia.
Questa volta a svegliarmi è il mio vivosmart al polso, che mi avverte vibrando che non ho raggiunto l'obiettivo dei 12000 passi: vorrei vedere te, stando tutto il giorno in aereo!!! L'unica cosa cambiata rispetto a prima, però, è la musica nelle mie orecchie: ora tocca al nuovo album dei faith no more accompagnarmi nel mio sonno. Mi alzo. Devo cambiare posizione. Tutto è immutato intorno a me.
Ore 1:00 am, 27 ore di veglia.
L'aereo viene ritardato ancora e lo sbarellamento si diffonde anche tra i miei compagni di viaggio. Il prof sbotta "basta, non ce la faccio più, andiamocene". Usciamo dalla sala di imbarco e...entriamo all'inferno. Eligio chiama la casa particular dove andiamo di solito e prenota due stanze, sperando di risolvere in breve tempo la riconsegna dei bagagli, ma non sapeva a cosa stavamo andando incontro. Dopo aver dato i talloncini dei nostri bagagli ad un inserviente...torniamo in attesa.
Ore 2:00 am, 28 ore di veglia
Il pandemonio! Il prof si incazza. Si alza di scatto dalla sedia e urlando inizia a dire "basta, non si possono trattare così le persone! Siete qui per lavorare, non per oziare. Adesso li cerco io i bagagli" e inizia ad aprire tutte le stanzine che capitavano sotto il suo tiro. Una, due...tre. Accende la luce e trova il nostro inserviente in inequivocabile atteggiamento amoroso con una collega, con al loro fianco un terzo presunto lavoratore piacevolmente addormentato. Le urla del prof salgono di livello. Insegue il responsabile dello scalo, che per risposta scappa e si chiude dentro il suo ufficio. Scoppia un casino, perché alle urla di Silvio si agganciano le proteste di altri viaggiatori, incacchiatissimi per la situazione assurda. La gente dell'aeroporto è costretta a lavorare, a cercare le valige e a scaricarle e dopo un'altra oretta di caos diffuso, riprendiamo possesso delle nostre borse.
Ore 3:30 am 29 ore di veglia
Crollo, morto, sul letto! Non so dove sono, non so cosa mi è successo: sono distrutto e voglio solo dormire! Domani metterò insieme i pezzi e proverò a capire qualcosa. Ora dormo!!! La penna mi cade...


martedì 2 giugno 2015

In Favela a San Paolo

FAVELA AQUA VERMELHA
Campo rosso, rossissimo, quasi africano, 60 bambini dai 6 ai 17 anni, 8 palloni, una ventina di coni piccoli e una decina di quelli grandi. Questi gli ingredienti a nostra disposizione, per dar forma alla seduta di oggi. Ah, dimenticavo: due ore a disposizione e un’entusiasmo diffuso difficile da contenere, da controllare, da incanalare.L’organizzazione lascia un po’ a desiderare, ma qui, come nell’altra favela paulista, non siamo mai stati, non abbiamo mai fatto allenamento: abbiamo aperto la scorsa volta, ma ancora non abbiamo dato “direttive”, suggerimenti, quindi…rimbocchiamoci le maniche, Juri, e vediamo di far vedere qualcosa di buono. Decidiamo di dividere il gruppo in quattro, in funzione delle età, e di mostrare ai nostri due mister due esercitazioni di introduzione, per cercare di far vedere e capire che non è necessario far correre come dei muli i bambini intorno al campo per “scaldarli”, e due esercitazioni situazionali, per mostrare come per lavorare sul gesto tecnico non sia indispensabile frantumare i maroni ai giocatori, con esercitazioni noiosissime, a bassa intensità, e senza alcuno stimolo cognitivo o emotivo. I gruppi ci seguono, si divertono, si impegnano e imparano a pensare per agire e non solo ad eseguire meccanicamente i movimenti; il clima è positivo, tutto fila via alla grande, c’è “una bella musica in campo”, come ci ha detto più tardi Franco, e noi stiamo dirigendola alla grande. Bello, anche oggi bello. Ma anche oggi…distrutto! La seduta mi ha risucchiato tutte le energie e quando finiamo e torniamo in oratorio devo sdraiarmi dieci minuti per riprendermi: low battery! Controllare tutto, sfruttare l’energia, l’esuberanza dei bambini per i miei obiettivi, evitando che sia invece fonte di disordine e distrazione, mostrare gli esercizi, correggere, tenere alte le intensità…quando esco dal campo sono sempre stanco (oggi abbiamo scoperto che durante l’allenamento ci muoviamo per circa 10km, o meglio Juri, ma io non credo di muovermi meno, anzi) morto e quando poi gli allenamenti sono due di fila, se non tre, sono esausto. Seppur contento. Dovrei ascoltare ciò che mi dice il prof da tempo e staccarmi un po’ dal campo per assumere più il mio ruolo di responsabile tecnico e meno quello di allenatore, ma…non ce la faccio! Le due cose per me sono inscindibili: come faccio ad essere responsabile tecnico del progetto, se non vado in campo, se non mi metto alla prova quotidianamente, se non cresco esercitazione dopo esercitazione? Non è solo perché mi piace troppo e perché credo fermamente che senza campo i miei viaggi perderebbero di significato, oltre che di interesse. O almeno credo...Vero, dovrei lasciare più spazio ai “miei” mister, dovrei dedicarmi più a loro e alla loro crescita da fuori, ma sono fermamente convinto che l’esempio sia la forma migliore per insegnare, per fornire un modello, quindi se “uscissi” dal campo perderei di credibilità, perderei il mio ruolo. Per me contano più i fatti delle parole e a me quelli che parlano troppo non sono mai piaciuti, quindi preferisco fare, fare anche per due, piuttosto che limitarmi ad osservare per poi parlare e pontificare o peggio ancora lasciare un mister in difficoltà, come magari mi son trovato io in passato, nei miei viaggi africani in solitaria. Quindi…continuerò ad uscire distrutto dal campo, per lo meno fin quando rimarrò intercampista, da tutti i campi del mondo!