mercoledì 28 febbraio 2018

IL COUS COUS DA SAID

IL COUS COUS DEL VENERDÌ
Come vuole la tradizione, la lunga tradizione iniziata già nel 2005 con Gabri e Max, venerdì mattina siamo in aula con gli allenatori, poi loro vanno in moschea per la preghiera mentre noi ci fermiamo al cafe vicino al campo per un whiskey berber o per un nos nos (the verde alla menta, o latte macchiato) e al termine di tutto andiamo a casa di Said per il cous cous. E come vuole la “tradizione”, la casa di Said è sempre nella bidonville di Sidi Moumen, tra case mezze diroccate in misto pietra e lamiera, vicoli strettissimi, pietre, sabbia e antenne rubate presumibilmente a Cape Canaveral, viste le dimensioni. Prima di addentrarci nei “carruggi” di casablanca, il nostro allenatore mi lancia una sfida: “portami tu a casa”, volendo così mettere alla prova la mia memoria, dopo tanti anni. ‘Azz. una sfida è una sfida, ma qui è veramente da tanto che non torno. Provo a giocarmi la carta del “è tutto cambiato”, ma una risata del buon amico marocchino, seguita da un “qui il tempo è fermo, non preoccuparti”, mi costringe a recuperare ricordi ormai sommersi, nascosti nei meandri bui della mente. L’ingresso alla baraccopoli lo trovo facilmente, aiutato anche dal via vai delle persone che, vista l’ora, stanno rientrando a casa dopo essere stati in Moschea e quando inizio la leggera salita, con la strada di polvere rossa che si fa progressivamente più stretta, fino ad addentrarsi fra i muri bianchi e carichi di murales, mi tornano in mente i passi già mossi tra queste case. “ Anche al primo bivio “so” dove andare e cammino verso la casa a passo sicuro, fin quando rallento, perchè mi sembra di essere arrivato “ancora pochi metri”, dice Said “poi devi dirmi dove entrare”. Mi guardo intorno e un cartellone pubblicitario di una scuola calcio, messo su di un tetto per coprire un buco nella copertura, mi facilita nella decisione. “Eccoci arrivati. È la porta blu”. Nonostante l’incendio che ormai cinque anni fa ha distrutto la sua casa, uccidendo la moglie e ustionando gravemente il figlio più grande, la struttura è rimasta la stessa: un ingresso ampio, un lungo e buio corridoio, che ospita sulla destra un piccolissimo “bagno”, un altrettanto piccola cucina e una stanzetta con un tavolo e due divani, anch’essa buissima (non ci sono finestre, perché le case sono costruite una attaccata all’altra), come del resto tutta la casa; poco oltre quest’ultimo locale, una tenda nasconde la stanza da letto, una per tutti i componenti della famiglia. Giusto il tempo di sederci e il piatto tipico marocchino viene servito: una montagna di chicchi gialli, con zucca, carote, zucchine, carne e qualche uvetta si presenta davanti a noi, fumante e profumata. Gli allenatori si avventano armati solo delle proprie mani sulla preda: una manciata di semola scossa velocemente in mano (non capisco come facciano a non ustionarsi!!!) si compatta in una pallina gialla con qualche pezzo di verdura o carne e loro con uguale velocità e  abilità se la lanciano in bocca, pronti già a dar forma ad un altro boccone. Io mi affido al vecchio cucchiaio, più che altro per non perdere l’uso delle mani, visto quanto è caldo il tutto, e rendo onore al piatto senza alcuna remora. Buonissimo e bellissimo tornare a casa tua, Said!

martedì 27 febbraio 2018

MAROCCO, DOPO ANNI E ANNI

Bien trouve, Maroc
Cazzarola, non ricordo più quanto tempo sia passato dal mio ultimo viaggio sui campi di Casablanca, ma in ogni caso son contento di essere di nuovo qui. Il progetto marocchino, partito nel lontano 2005 (è stato il primo Paese che ho aperto come allenatore, insieme a Max) è cresciuto anno dopo anno e, seppur non coinvolgendo numeri esagerati (siamo a poco più di 200 fra bambini e bambine) è arrivato oggi ad essere una realtà importante, un punto di riferimento per tutti qui, nel quartiere di Sidi Moumen, dove giochiamo. Mamme, papà, fratelli, non solo i nostri bimbi: un sacco di gente ruota intorno al campo e alle sue attività e tante cose in questo quartiere ai margini della grande città sono cambiate in meglio, grazie certamente al sostegno e al progetto di risanamento delle baraccopoli voluto e realizzato dal re, ma mi piace pensare che anche se in piccola parte, quelle maglie nerazzurre che tutti gli anni portiamo un ruolo importante fino ad oggi l’abbiano avuto. Fa però un certo effetto rendersi conto di quante cose siano cambiate nel quartiere, quanto sia cresciuto e quanto sia cambiato: le baracche di lamiera sono oggi per lo più scomparse, per lasciar spazio ai casermoni popolari, le strade sono molto più trafficate di prima e in giro è evidente il numero maggiore di persone. Ma sopratutto il nostro campo…è in sintetico! L’ultima volta che sono stato qui il nostro terreno di gioco era un enorme…spazio di sabbia grigia compressa, un po’ come il campo dell’oratorio di Triante dove sono cresciuto: due porte, linee storte tracciate con la calce e niente più. Oggi invece.. l’erba artificiale, i muri lungo il perimetro con le scritte “inter campus marocco”, le porte mobili, è tutto un altro ambiente, è tutto un altro giocare. E anche i nostri mister, che crescita, che miglioramenti mi hanno fatto vedere oggi, mentre li osservavo: coinvolti nella seduta, sempre vicini al bambino, buone proposte, divertenti e per lo più in linea, pertinenti, rispetto all’obiettivo tecnico pre scelto, appassionati e evidentemente sposati alla causa. Bellissimo. Bravo Lore per il lavoro portato avanti fino ad oggi e bravi tutti i “miei” allenatori che fino ad oggi hanno dato il proprio contributo alla crescita del progetto. Avanti così