lunedì 14 dicembre 2015

Missione infinita

MISSIONE INFINITA
15 giorni per una missione era da tanto, tantissimo tempo, che non li facevo. E questa volta con anche Anna ad attendermi a casa, confesso che è stato più difficile, anche se le nuove tecnologie, dopo Cuba, mi sono venute in soccorso: skype, foto, video che mi mandava Silvia, hanno alleviato un po’ la saudade. E ora, finalmente, sono sulla strada del ritorno. Stanco, stanchissimo, senza più un filo di voce, ma devo dire soddisfatto del lavoro fatto, sia nell’isola caraibica, che in Brasile. C’è sempre da crescere, da migliorare, si può sempre far meglio, ma ciò che è stato fatto è stato positivo. Anche il gruppo si è mosso bene, mi sono divertito anche fuori dal campo, fatta in parte eccezione per…per una parte di esso, col quale faccio sempre fatica a stare. Ma anche con questa parte le cose vanno migliorando, quindi...bene così, dai: quante volte ho avuto compagni di squadra che mi stavano pesantemente sui maroni, coi quali mi sono picchiato in tutte le partitelle di fine allenamento, coi quali però ho sudato, lottato, giocato per difendere la stessa porta, per vincere le stesse partite, per sconfiggere lo stesso avversario. Va bene così ed è normale che sia così. Posso mica pensare di trovare sempre Silvio, o Gabri al mio fianco, o Lore, o Juri, o Roby; o, o, o... Amici, non solo colleghi. Il prof, poi è speciale, perché con nessun altro posso condividere le fatiche mattutine come con lui (Ciccio no di certo…). Abbiamo fatto una vera e propria preparazione: 14 allenamenti, saltando solo un giorno, quello del trasferimento a Holguin, a causa di un mio polpaccio fastidioso; tanto confronto, condivisone di idee e progetti, che però tali non rimarranno a lungo, visto che a entrambi piace la praticità, piace portare sul campo le idee; tanto campo, perché mai come questa volta abbiamo lavorato in campo e in aula insieme; tanta…amicizia. Si, cacchio: ho viaggiato con un amico. E questa cosa fa la differenza. Anche quando Anna è dall’altra parte del mondo. 

venerdì 11 dicembre 2015

Il diavolo e l'acqua santa

RIO-SAO PAOLO: il diavolo e l’acqua Santa!
I quasi tre giorni a Rio si chiudono velocemente, vivendo le giornate dalle 6 del mattino (se volevamo allenarci, questo era l’orario di sveglia, cazzo!) fino alle 21, quando rientravamo in Hotel, per poi collassare sui tavoli di questo o quel ristorante, citando a ripetizione battute tratte dal film del secolo, girato per alcune scene proprio qui: l’allenatore nel pallone! Camminando sotto gli archi dove corre il trenino di Santa Teresa non puoi non pensare e citare “obrighedo, obrighedo e m’ha fregheto”; oppure camminando lungo copacabana (anche se questa volta non abbiamo nemmeno avuto il tempo di passarci) non puoi non pensare a “la donzelletta vien dalla campagna…e la chiappa si bagna. Passero solitario…’azzo”. Se in più sei col prof, altro culture come me di questo capolavoro, i discorsi difficilmente esulano dai testi profondi del film del secolo (“diciamo che sta girando intorno alla fortuna”). Ma questo era ieri: siamo già a Sao Paolo, dopo un volo brevissimo, eppure in ritardassimo, che ci permette di arrivare a casa di Ciquinho, dove alloggiamo, solo all’1 e trenta di notte, stravolti (a Rio abbiamo fatto l’ultimo allenamento alle 14, per poi docciarci, dopo aver pompato un po’, in una delle palestre della favela ed esserci fiondati in aeroporto) e per nulla pronti per la giornata seguente: ore 8:45 allenamento nella favela jardin do s.Antonio, con 50 bambini e non si sa ancora quanto altro materiale. O almeno, non si sapeva quando ci siamo coricati: il giorno seguente ce ne siamo resi conto, ahimè. Ma il discorso di Rio vale sempre: poco o tanto che sia il materiale, bisogna fare il meglio e proporre le esercitazioni più belle e valide possibili ai bimbi che indossano la nostra maglia. Le scuse non mi piacciono. Fortunatamente i bimbi favelati di Sao Paolo sembrano dei Bocconiani a confronto coi carioca, per cui gli allenamenti risultano più semplici da gestire, per lo meno per quanto riguarda il primo nucleo e quello della parrocchia. Discorso un po’ diverso per la favela Agua vermellha, dove le cose sono più simili a Rio, pur senza armi in circolazione o spaccio alla luce del sole, tant’è che a fine seduta, mentre stavamo parlando con gli allenatori delle proposte di questi giorni, circondati dalla curiosità dei bambini appena allenati, due di loro, di 8 anni, se le sono date come se fossero degli adulti: pugni chiusi in volto e sordi ai richiami dei mister! Chiusura col botto, diciamo, visto che è stato l’ultimo allenamento proposto, in questa infinita missione! Ma Sao Paolo è comunque diversa, molto diversa. Sarà che il partner è una parrocchia e il parroco di questa, don Vincenzo, italiano, leccese, da 35 anni in Brasile, è circondato da gente stupenda, da una comunità attivissima e generosissima, che tutte le volte ci ospita, ci tratta come figli e ci fa sentire come a casa. Il prof ha detto bene oggi: sembra sempre di essere con gli zii, coi nonni, per come si sta bene. E dopo Rio, la favela, i favelati…il diavolo e l’acqua santa, eppure sempre Inter Campus.

giovedì 10 dicembre 2015

In favela a Rio

RIPARTENZA VERSO RIO

Due giorni intensissimi e rieccoci in volo: destinazione Rio! E nella capitale carioca l’intensità aumenta ancora: allenamenti fissati alle 9 del mattina in favela, quindi partenza prestissimo dal nostro hotel, sito in zona Lopa, per arrivare con la metro (circa mezz’ora) in zona complexo da Mare, il complesso di favelas dove lavoriamo, per poi trovarci con Del, Leo e Fabinho ed entrare in questa città nella città, muoverci tra sentinelle armate fino ai denti, spacciatori vari, ma anche tanta…normalità, e arrivare ai nostri campi per fare allenamento. Villa do Joao, Cavalcante, Nova Hollanda, Parc Uniao, questi i nostri campi di questa zona del mondo. E su questi terreni di gioco bambini che definire esuberanti suonerebbe eufemistico: delle vere mine impazzite, senza regole, norme, limiti, figli della strada che ti succhiano le energie nell’ora e mezzo che gli dedichi. Perché mi si chiede? perché fare allenamento in favela è così impegnativo, mi domandano alcuni, ignari di questa realtà. Un allenamento in favela vale tre fuori, su qualsiasi altro campo di inter campus perché per tenere alta la loro attenzione, evitare qualsiasi occasione di distrazione, qualsiasi pretesto per litigare, qualsiasi calo di interesse nei confronti delle nostre proposte (loro sono abituati a giocare, non a pensare come correre, dove correre, come calciare, come ricevere. Loro fanno solo partite, normalmente) devi mantenere altissime le intensità delle esercitazione, controllare tutto, vedere tutto e prevenire, proporre varianti all’esercizio in continuazione, basare tutto sul gioco, la competizione, la sfida e soprattutto partecipare alla seduta, scendere in campo con loro, accompagnarli nella “risoluzione del problema”, sostenerli sorridendo se sbagliano, gratificarli se fanno giusto. E il più delle volte senza materiale, come quando a Villa do Joao ci siamo ritrovati con 62 bambini, 8 palloni, 10 cinesini e una ventina di concetti! Niente casacche, non scherziamo! Siamo mica a Interello! E allora? Come fai? Ti organizzi, ecco come fai. Questi bambini sono Inter Campus, devono partecipare a un allenamento come se fossero a Coverciano, devono divertirsi, imparare e crescere durante la seduta! Devono, non possono. E allora via, 6 cancelli di ingresso, cambi ogni trenta secondi, giochi legati al correre, al saltare, con stimoli visivi, uditivi, richieste cognitive (anche semplici, tanto non sono abituati), per poi arrivare a introdurre la palla e chiedere di condurre liberi, poi vincolarli,, introdurre sempre finte e numeri (siamo in Brasile, ricordatelo sempre! Qui un ovinho, il tunnel, vale un 7 a 1), gare e competizioni…Insomma, un grande impegno, tanto che quando esco e saluto i nani carioca sono sempre esausto. Quando poi gli allenamenti sono più d’uno nel corso della giornata, alla sera barcollo, quasi come quando ho chiuso la mezza di Monza dopo essere stato pesantemente male di stomaco durante la gara! Moribondo. Ma il tempo che passano con noi sul campo è tempo sottratto a tutto quello che succede la fuori: ragazzi che ci osservano oltre la rete, sotto una tettoia, tutti armati chi di fucile, chi di pistola, chi con un cinturone che avevo visto solo indossare da Terminetor prima di oggi; altri che rollano dei cannoni lunghi quanto le mie copa mundial e riempiono il nostro terreno di gioco con l’amarognolo del fumo che si stanno fumando; altri ancora che gironzolano e ci osservano, ci scrutano, armati non solo di armi da fuoco, ma anche della loro radiolina, cui raccontare quello che vedono, che ascoltano (voi non vivete qui, ci dicono prima di un allenamento fermando la macchina di Del, quindi qui non potete stare. La spiegazione di ciò che facciamo e l’averci visto all’opera li convince del fatto che si, li possiamo stare e tornare, però cacchio…avranno avuto 14 anni!); e ancora spaccio, prostituzione, tutto il meglio che la strada possa offrire. E se anche non riusciamo a cambiare il modo di fare allenamento dei nostri allenatori, se anche non organizzano i gruppi come diciamo noi, se anche non riescono a seguire realmente il bambino nella sua crescita, nel suo percorso di sviluppo, attraverso proposte pensate, specifiche, utili, se anche, se anche, se anche…questi bambini sono in campo, vestiti di neroazzurro, tutti i giorni, vanno a scuola, devono andare a scuola, stanno insieme ad altri coetanei e giocano a calcio!!! Va bene così. Per me può andar bene così. E maglie bianco nere o rosso nere nei paraggi non se ne vedono…Grazie Inter, sempre!

mercoledì 9 dicembre 2015

Camocin...

NUCLEO DI CAMOCIN
La sveglia è puntata all’ora cubana, ossia alle 6:50, perché alle 9 inizieremo i vari incontri e soprattutto perché prima c’è da prendere confidenza con le strade di Camocin con le nostre gambe! Il programma è tosto e non tiene in alcun modo in considerazione le salite della città e soprattutto il vento perenne, costante e maledettamente forte! Siamo in un posto dove per sei mesi l’anno spira un vento potentissimo, che ha reso queste zone paradiso degli sport su tavola con vela (kite e wind surf), ma non abbiamo, o meglio il prof, quel sadico, non ha preso in alcuna considerazione la cosa. E allora via, come se nulla fosse: 1000+tabata+1000+tabata+1000! Tutti sotto i 3.45 i 1000, tutti sopra i 1000metri i Tabata: Eolo…prrrrrrr!Come sempre, correre per le strade della città è il mezzo migliore per avere una prima infarinatura, una prima idea della realtà dove sono stato catapultato: ora sono in una piccola cittadina di 70000 persone, nemmeno riempirebbero san siro, che vive per lo più di pesca e sta iniziando ad attrezzarsi per il turismo. Ha spiagge lunghe e di sabbia bianchissima, sempre sferzate dal vento e con il mare sempre mosso, per cui se non fai kite o wind surf, dopo aver visitato le spiagge più belle qui, dove però puoi fare il bagno con difficoltà, ti troveresti fuori luogo, eppure…eppure c’è qui forte una piccola comunità di italiani, di ragazzi, ma anche ormai non più tali, che per un motivo o per l’altro hanno abbandonato lo stivale per ricostruirsi una vita da queste parti, e non tutti attirati qui dalla potenza di Eolo. Be’, in fin dei conti gli italiani sono veramente ovunque! E non potevano certo mancare a Camocin. 


Chiuso l’allenamento, doccia, colazione e…skype! Dopo sette giorni senza internet, riesco a vedere Anna, attraverso le foto che mi ha mandato Silvia in questi giorni, ma soprattutto per mezzo della video chiamata, ed è bellissimo! W la tecnologia! Bello, bellissimo staccarsi dal mondo, isolarsi e riconnettersi ad esso solo attraverso la telefonata serale a Silvia, però ora sentivo proprio il bisogno di lanciare una cima che mi riavvicinasse a casa! Contento e soddisfatto, eccomi pronto quindi per i vari incontri: prefetto, delegato dello sport, delegato dell’istruttore, presidi delle due scuole contattate per “fornirci” i bambini, tutti riuniti per capire cosa vogliamo da loro e per farci capire se da queste parti serviamo a qualcosa o meno. Parliamo noi, parlano loro, interviene il responsabile dello sport locale e man mano che ci diamo vicendevolmente spiegazioni, man mano che ci conosciamo, capiamo entrambi di avere l’uno bisogno dell’altro. La realtà è…Inter Campus, i bambini vengono da scuole che coinvolgono bambini in gravi condizioni di difficoltà sociale ed economica, chi ha genitori in carcere, chi ne ha uno solo, chi mangia una volta al giorno, chi deve rimanere a scuola dalle 7 del mattino alle 7 di sera, perchè la mamma e il papà lavorano tutto il giorno. E tutti che vivono in favela. Insomma, inter campus. 

lunedì 7 dicembre 2015

Cuba-Colmbia-Brasile

VIAGGIO INFINITO

Lasciamo l’isola caraibica, ormai ex simbolo del socialismo, che sono le 16, per metter piede sul suolo brasiliano alle 6:50 del mattino seguente…in mezzo uno scalo confusissimo a Bogota (tabellone che segnala un’ora di ritardo del nostro volo, salvo poi essere corretto all’ultimo, iniziando l’imbarco senza che nessun passeggero fosse stato avvertito della correzione…insomma un casino) e soprattutto ore e ore di aereo. Fortunatamente il volo che ci porta a Fortaleza è mezzo vuoto e all’annuncio della hostess “imbarco completato” scatto tipo Bolt nella fila a fianco della mia, completamente libera, e mi sdraio orizzontale! Nemmeno il tempo di decollare e sto dormendo profondamente, condizione che mantengo inalterata fino a un’ora prima dell’atterraggio, quando il carrellino della colazione mi sveglia. Così, confesso, è tutto un altro viaggiare. Arrivati in Brasile ci vengono a prendere con una macchina per portarci a Camocin, luogo dove ci hanno invitato per provare ad aprire un nuovo nucleo inter campus: li dovremo vedere i luoghi, conoscere le condizioni da cui provengono i “nostri” bambini, entrare i contatto con gli eventuali allenatori…insomma, li dovremo vedere se il terreno è fertile per noi. Ma questo domani: ora che arriviamo nella cittadina vicino a Jericoacoara passano altre 4, interminabili, estenuanti ore! Il panorama fuori dal finestrino è sempre, monotonamente, lo stesso: sabbia bianca a bordo strada, arbusti selvaggiamente disposti poco oltre e infinite, immense, coltivazioni di palma da olio, quel maledetto olio di palma che “infesta” le nostre tavole e che tanto fa parlare di se ultimamente. Che palle! Già ne ho pieni i maroni di stare seduto, se poi fuori non c’è nulla di interessante da scoprire, altro non si può fare che dormire. E allora sotto, Morfeo, riprendimi con te: abbiamo altro tempo da passare insieme oggi. Arriviamo a Camocin intorno alle 11, anchilosati, con i flessori cortissimi e con la schiena a pezzi: quel che ci vorrebbe è una corsa, ma i nostri ospiti non sono dello stesso avviso; dobbiamo muoverci, iniziare a conoscere le persone che ci propongono il progetto, ma soprattutto dobbiamo riposarci un po’ in vista di domani…in spiaggia! Be’, dai, non male l’idea. Andiamo allora, insieme a Omar, un ragazzo italiano trasferitosi qui 8 anni fa e impegnato in diverse attività, Luciano, l’avvocato che vorrebbe finanziare l’eventuale apertura del nucleo, verso questa spiaggia, barra do Maiaco: bellissima, bianchissima e immensa! Pranziamo in riva al mare con tre super pesci (pareva pargo, ma non ne ho certezza), riso e fagioli, camminiamo discutendo di come poter impostare le cose con i piedi a mollo e spinti, all’andata, da un vento fortissimo (cazzarola se si è fatto sentire al ritorno) e rientriamo a “casa” con uno splendido tramonto sull’oceano: lavorare così non è affatto male! Ora elastico e siamo pronti per collassare! Mancano solo Anna con Si.

sabato 5 dicembre 2015

Di corsa a L'Havana

DI CORSA COL PROF"La prima settimana di preparazione può dirsi conclusa”, mi dice il prof rientrando in hotel a Holguin dopo l’ultima corsa prima del nostro ritorno a l’havana, per poi muoverci verso il Brasile. Una settimana di grandi corse e splendidi, stancanti, allenamenti: ogni mattina alle 7 si usciva di casa e si “tritavano” le strade intorno a noi, tra carretti trainati da cavalli che portavano giovani studenti e studentesse a lezione (a poche centinaia di metri da noi si trovava l’università), macchine degli anni ’50 puzzolenti, camion euro 0 (una sgasata di uno di questi residui della rivoluzione durante un mille mi ha tolto tre anni di vita), biciclette e gli immancabili sguardi incuriositi dei locali, intenti a capire che cacchio facessero questi due gringos tutte le mattine, correndo, saltando e guardando continuamente quel loro strano e identico orologio.Ripetute sui mille, balzi con uscite sui 400, forza veloce con uscite dai 400 ai 100, ripetute in navetta, ecco cosa cacchio abbiamo fatto. E forza con l’elastico con ripetute per addominali ogni giorno. Che altro non è che ciò che facciamo normalmente a casa, ma quando siamo insieme andiamo di più, rendiamo di più. O almeno, io rendo di più. Mi sento meglio, le gambe girano sempre. Certo, uscire di casa alle 7 con 24, 26 gradi aiuta sicuramente, però il compartire la fatica svolge un ruolo fondamentale durante i nostri viaggi. E oggi, a l’Havana (ora sono in volo verso Bogota, da dove poco dopo riaprirò con destino Fortaleza), sotto la pioggia, il vento, credo sia stata una delle corse più belle della nostra storia: sveglia alle 9, dopo aver raggiunto la nostra casa particular in calle industria intorno all’1, di rientro dall’aeroporto e dal volo da Holguin, un sorso d’acqua e via, verso il Malecon. Il cielo non è pulitissimo, ma non passa nella testa di nessuno dei due il pensiero che prende in considerazione l’ipotesi pioggia e appena scesi in strada si schiaccia il pulsante del Garmin e si da inizio alle danze. In breve arriviamo sul famoso lungomare della capitale e da li, come sempre, ci dirigiamo verso nord, dando le spalle al castello e alla città vecchia; i dieci minuti di riscaldamento ci portano quasi all’altezza del Cohiba, da dove iniziamo a rientrare per dar forma al nostro programma: ripetute sui 100 in navette dai 50 ai 25 metri. Tutto bene la prima serie, ma poi si scatena il maltempo: pioggia e vento ci inzuppano completamente, ma…ormai siamo qui. E allora via, una dopo l’altra le 4 serie da 5 ripetute, sempre con forza prima, ma soprattutto via al mille finale,tra pozze, in mezzo alla strada per l’acqua che inonda tutto,tra macchine che si muovono lentamente, tra la gente riparata sotto i terrazzi delle case decadenti della città o nascosta dentro gli edifici di epoca spagnola ormai quasi completamente mangiati dagli anni, dallo scorrere del tempo. Via, verso calle industria, di corsa, come piace a noi, pronti per ripartire per un’altra missione, questa volta verde-oro. 

venerdì 4 dicembre 2015

Dalla teoria alla pratica...

IN CAMPOCome sempre da queste parti, il passaggio da teoria a pratica è a dir poco abissale: dopo due giorni in cui abbiamo fatto noi allenamento con i bambini, oggi, ultimo giorno, abbiamo chiesto ai due mister di Holguin, Julio e Jarisbel, di prender loro in carico un gruppo, prima della nostra seduta. L’obiettivo nostro era quello di osservarli all’opera, vederli in campo alle prese con esercitazioni, con errori da parte dei giocatori, con le correzioni e la gestione della seduta e…che delusione! Eppure quando al termine della lezione mattutina abbiamo costruito con loro delle esercitazioni per diversi obiettivi tecnici e dedicate a diverse fasi dell’allenamento le loro idee erano valide, le loro proposte si erano dimostrate pertinenti, originali e sensate, utili per migliorare questa o quella specifica abilità tecnica (calciare e condurre), ma quando la teoria ha dovuto lasciare il posto alla pratica le loro conoscenze, le loro parole, i loro contenuti tecnici si sono drammaticamente volatilizzati e l’ora e mezzo di “allenamento” ha avuto per la crescita e il miglioramento del bambino lo stesso valore di un pomeriggio con gli amici al parco. Una serie di esercitazioni slegate tra loro, senza alcuna logica, senza spazi definiti, regole, varianti, intensità, senza nessuna correzione, attenzione e intervento, senza alcun legame con quello che ci avevano detto essere il loro modo di allenare. Una enorme delusione, alimentata anche da fatto che i due giovani mister sono due brave persone, sportive, appassionate e con buone, apparenti, conoscenze calcistiche. Contrariati per ciò a cui siamo stati costretti  assistere, al termine del loro scempio e prima del nostro allenamento abbiamo preso da parte Castro e Michelangel, responsabile tecnico della federazione per la provincia di Holguin e allenatore della nazionale sub20 del paese, nostri referenti locali, per esporre le nostre perplessità e trovare una strada da battere insieme per il futuro per migliorare le cose, perché se dopo tre giorni di corso e di allenamenti, ciò che è rimasto a loro di nostro è limitato alla teoria, qualcosa dobbiamo fare. Da buoni “statali”, uomini del potere centrale, ci intortano con parole, discorsi, mettono in piedi una sorta di monologo, in cui si discostano dai due allenatori, addossano a loro ogni colpa e responsabilità e ci garantiscono che il cambiamento è in atto. A parole. Vero è che qui le menti sono piuttosto rigide, abituate, o costrette, a pensare tutte allo stesso modo, non hanno quasi mai potuto aprirsi al “diverso”, conoscere e provare a far proprio qualcosa che non fosse “cubano”, quindi la nostra “rivoluzione” avrà bisogno di tempo per prender forma, però, cacchio, si parla di calcio, non certo di sistema economico! Lasciamo il campo con la promessa di Castro di controllare e intervenire per promuovere il cambiamento e con le rassicurazioni degli allenatori sulla efficacia del nostro corso e sulla “illuminazione” in corso. Vedremo, amici cubani: a maggio saremo ancora qui!

giovedì 3 dicembre 2015

In aula a Holguin

IN AULA
Come sempre durante le missioni su quest’isola, quando siamo in aula ci rendiamo conto che i cubani hanno una grandissima preparazione teorica per quanto riguarda le metodologie di allenamento, soprattutto per tutto ciò che concerne la preparazione atletica, ma quando vuoi passare alla pratica, quando poi li porti “sul campo” le loro conoscenze, le loro teorie iniziano a vacillare. Da quando vengo a Cuba, ormai cinque quattro anni, per questo motivo, cerco di proporre corsi molto pratici, che portino gli allenatori nella cancha, legando tutti i concetti che esponiamo a situazioni pratiche, reali, dell’allenamento e cercare così di alzare il livello dei nostri mister, di differirli da tutti gli altri che in numero sempre crescente si occupano di crescere giovani calciatori. Ma è dura. È dura, perché la teoria ce l’hanno proprio dentro: sono dei grandi “sofisti”, teorici dell’allenamento; vivono il gioco come una scienza esatta, da studiare sui libri, da analizzare alla lavagna e non come un gioco da vivere sul campo, da conoscere, sviluppare e migliorare in un prato verde, con esercitazioni e giochi divertenti, dedicati ai bambini. Ma hanno fame. Fame di conoscenza, di apprendimento. Oggi più che mai. Hanno famissima. La situazione politica attuale, con i suoi epocali cambiamenti, si vede, si tocca, anche nel nostro piccolo: sono aperti all’esterno, ansiosi di conoscere, di toccare, di venire in contatto con il cambiamento e magari essi stessi generarlo. La programmazione tecnica che il ministero dello sport diffonde annualmente alle province e quindi a tutti gli allenatori cubani impegnati sui campi dell’isola è superata, vogliono andare oltre, vogliono integrarla, ampliarla, migliorarla. E ce lo chiedono. Ce la mostrano e vogliono andare oltre, insieme a noi o a chiunque altro possa trasmetter loro nuove competenze. Volendo, potendo, fermarsi qui per un periodo piuttosto lungo, tre/sei mesi, si potrebbero porre delle basi importanti per il movimento calcistico in grande sviluppo, fioritura, da queste parti del mondo: si avrebbe a disposizione una buona organizzazione, ramificata e in grado di arrivare in tutte le dodici province, buon “materiale umano” (fisicamente sono delle bestie, anche se ultimamente vanno perdendo di vigore; a causa della crisi economica, infatti, i bambini crescono sempre più denutriti, con qualche deficit; mi raccontava il delegato provinciale dello sport che lentamente dal 1990, quando ci fu il crollo del blocco sovietico e Cuba iniziò a perdere i generosi contributi russi, le risorse economiche, già limitate a causa dell’embargo statunitense, si ridussero sempre più, e l’accesso anche solo ad una sana e corretta alimentazione da parte del popolo divenne sempre più complicato e limitato, con ripercussioni sui “fisici” degli sportivi, pur rimanendo lo sport un tratto distintivo del cubano) da trattare e formare e tanti “professori” con grande preparazione teorica da rendere allenatori, uomini di campo affamati e innamorati del calcio. Insomma, fermandosi più a lungo si potrebbe fare un gran lavoro, ma cercheremo di fare altrettanto pur solo in una settimana.

mercoledì 2 dicembre 2015

Risvegli strani

HOLGUIN
“aaaaaa”…”mmmm”…sono i lamentini di Anna questi; avrà fame, penso, chissà che ore sono. Apro gli occhi, ma…cazzo, questa non è casa mia! Non sono nel mio letto, di fianco non c’è Silvia e tanto meno la culla di Anna! Quindi? Ci metto un po’ a connettere, poi capisco: mi sono sognato tutto. Sono le 3:04 del mattino, altro che Anna! Che svarione. Scrivo allora a Silvia per raccontarle l’accaduto, ma lei mi precede e poco prima che le invii il mio mi arriva un suo sms “sveglie ora. Anna si lamenta. È ora della poppata”. Non ci credo! ho sentito i lamenti a migliaia di km di distanza? Chiedo immediatamente conferma del messaggio e soprattutto dell’orario di invio. Si, conferma mia moglie dall’altra parte dell’Oceano: mi sono svegliato con loro. Ah, ah, che follia! Come sono conciato dopo poco più di un mese dal suo arrivo, madonnina!Col sorriso ebete stampato in fronte impiego dai sette ai dieci secondi per tornare a dormire (confesso che sto dormendo come non mi succedeva da tempo! Silvia, non odiarmi) e risvegliarmi quindi definitivamente dopo quasi quattro ore: 6:35 in piedi, circuito di forza con il prof e si parte, si torna all’aeroporto nazionale della città per prendere l’aereo per Holguin, lo stesso aereo che 5 mesi fa non arrivò mai e ci obbligò a rientrare in Italia dopo una notte insonne e il fallimento della missione. Non nascondo il timore entrando nel salone dei check in, rivedendo quel posto maledetto che ci ha “rapiti” per una notte intera, ma ben presto mi rilasso: l’aereo c’è, questa volta si parte e dopo poco più di un’ora si arriva anche. Perfetto. Oggi in programma abbiamo già un allenamento. Piove, però, e anche tanto e la cadillac scassata che ci porta all’hotel fatica non poco a muoversi tra le pozze oceaniche della strada, facendoci capire che forse il campo sarà allagato e l’allenamento dovrà essere sospeso. E infatti così è: Castro e Miguel vengono in Hotel ad avvertirci della sospensione delle attività sul campo. Poco male, andiamo subito in aula e iniziamo il corso: abbiamo tanta carne al fuoco per questi quattro giorni e guadagnarne uno può farci sicuramente bene. Via, allora, di corsa allo stadio, per iniziare i lavori. Qui ritroviamo i nostri allenatori storici, Julio, Jarisbel, Alfonso, Salvator e nuovi mister da formare e da cui ricevere informazioni sui loro nuclei, sulle loro “squadre”, sulle loro difficoltà e sulla loro organizzazione dei lavori.Quest’anno, finalmente, abbiamo deciso di far un po’ d’ordine nel progetto cubano, contare i bambini “reali” del progetto e toccare con mano la loro realtà, senza affidarci più alle loro parole, troppo spesso vaghe e poco veritiere. Via allora, iniziamo ad accendere il fuoco per iniziare la cottura della carne che abbiamo con noi.