mercoledì 15 maggio 2019

Qualche foto dal Nepal


Oltre lo smog, sua maestà oltre gli 8000!!!


I campi Inter Campus


A zonzo per Kathmandu


A zonzo per Kathmandu 2


Le regine della strada!

lunedì 13 maggio 2019

Un frontale con la realtà

NEPAL 2019

Rileggendo i post degli scorsi giorni potrebbe sembrare che sia qui in vacanza e non per lavoro, visto che scrivo solo di giri per la città e partite di calcio, per cui, per fugare ogni dubbio, per tacere ogni malalingua, il post di oggi cade a fagiolo. Negli scorsi giorni infatti, accompagnati dai nostri partner locali di Apeiron, abbiamo girato un po' la città per capire dove potremo iniziare a "giocare", dove potremo coinvolgere bambini cui dedicare il nostro lavoro, e siamo entrati in contatto con una realtà poverissima e in alcuni casi addirittura drammatica, che non so per quale strano funzionamento della mia testa non mi aspettavo. Non credevo, e ripeto, non so perché, che anche in questo lato di mondo potessero esistere storie così terribili di violenza e povertà e queste giornate mi hanno aiutato a perdere questa sciocca illusione e fare ancora una volta una fredda doccia di cruda e triste “umanità”. Famiglie che non possono permettersi di spendere 5$ per le scarpe del figlio, che di conseguenza non potrebbe giocare con noi perchè a piedi nudi sui “campi” che abbiamo visto non riuscirebbe certo a correre; bimbi orfani che vivono in una casa insieme ad altri venti “compagni di sventura”, costretti come loro non si sa da quale diabolico disegno, ad aspettare che qualcuno si accorga della loro esistenza e li accolga in una nuova famiglia, che quindi non sarebbero da coinvolgere nelle nostre “squadre” perché da un momento all’altro, si spera, potrebbero andarsene, rendendo difficile quindi il nostro intervento,  caratterizzato  da sempre da continuità; altri bimbi, figli di madri che hanno subito violenza domestica, stupri, e che hanno assistito a tutto questo, segnando così per la vita la loro mente, il loro cuore, che sarebbe meglio non includere perché anche loro non riuscirebbero a dare continuità: le loro mamme sono inserite in un progetto bellissimo che le sta aiutando a trovarsi un posto nella società e che cerca in sei mesi di “liberarle” dalla casa dove le accoglie, insegnando loro un mestiere utile per poi provare a ricostruirsi una vita con i propri figli. Tutte situazioni troppo complesse per essere sostenute semplicemente con la nostra maglia, con la nostra palla, con i nostri allenamenti, ma che cercheremo con il nostro intervento futuro di arginare, di limitare, provando a educare, crescere, bambini che magari in futuro eviteranno di ripetere le assurdità sopra citate, o che grazie al fatto che continueranno a studiare riusciranno in futuro a provvedere ai propri figli. Già, perché se quelle situazioni descritte sono onestamente troppo grandi per noi, abbiamo però trovato modo di inserirci in alcune scuole, due per la precisione, con circa cento bambini, per passare attraverso il calcio messaggi utili per provare a migliorare un po’ le cose, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna, includendo anche le bimbe nei nostri allenamenti e iniziando così a rompere quel muro invisibile che le tiene fuori da tutti gli spazi dove si gioca, dove si fa’ sport, dove…ci si diverte. Partiremo in punta di piedi, includendo quante più bambine possibile, seppur “relegandole” in squadre loro dedicate, perchè squadre miste al momento sono impensabili, ma piano, piano, allenamento dopo allenamento, stagione dopo stagione…chissà. Si parte con cento, una goccia nel mare, ma come ci è sempre capitato nel giro di poche stagioni non sarà difficile raddoppiare i numeri e magari iniziare ad essere due gocce nel mare e poi tre e poi…Proviamoci.


giovedì 9 maggio 2019

Platone a Kathmandu

"Si può scoprire di più di una persona in un'ora di gioco che in un anno di conversazione".
Ogni volta che gioco a calcio su qualche campo del mondo con allenatori, ragazzi del paese che mi sta ospitando per la mia missione, non posso evitare che nella mia testa rimbalzi questa frase attribuita a Platone. Il filosofo greco ancora non conosceva lo sport più bello del mondo, però, perché se no avrebbe ridotto il lasso di tempo a dieci minuti per conoscere una persona: quando si scende in campo, quando c'è quella palla da inseguire e calciare, le mille maschere che indossiamo spariscono ed emerge solo la persona che si è realmente, il bimbo che c'è in noi in tutta la sua purezza. O almeno questo è quello in cui credo fortemente da quando ho iniziato a capire cos'è il calcio per me ed è quello che riscontro ogni volta che gioco, soprattutto con sconosciuti. E in questi giorni c'è stata l'ennesima, non richista, conferma: colui che potrebbe diventare il nostro head coach è anche lui malato di calcio, anche giocato, e già dal primo giorno ci siamo trovati in sintonia, per cui, avendo capito con chi ha a che fare, ha invitato sia me che Paolo a giocare coi suoi amici una volta finito il lavoro; così sia ieri che oggi per un'ora abbiamo rincorso insieme quella magica sfera, calciandola, conducendola, contendendola agli "avversari" del momento, ma soprattutto presentandoci, facendo conoscenza l'uno dell'altro. E come sempre, è stato bellissimo. Le sensazioni che mi aveva trasmesso, hanno trovato conferma con la palla tra i piedi: una bella persona, gentile, educata, onesta e leale, che sa incazzarsi quando sbaglia un controllo, ma anche riprovarci per poi sostenerti quando sei tu a sbagliare. Una bella scoperta che sicuramente potrà aiutarci. E con il quale mi sono divertito un sacco. Avrò anche quarant'anni, avrò anche due figlie (quasi, manca ancora un pezzettino per la seconda), sarò anche nell'età in cui "ci sono cose più importanti", ma...toglietemi tutto, ma non la possibilità di giocare a calcio. Anche in situazioni assurde come queste: solo, Paolo oggi mi ha abbandonato segnato dalla partita di ieri, su un campo sperduto in quartiere di Kathmandu (sperduto davvero: tra mille vicoli, case e negozietti vari, all'improvviso si apre questo spazio con due campi a 5), senza conoscere nessuno e senza parlare una sola parola della lingua dei ragazzi, che per lo più ignorano l'inglese o qualunque altro idioma diverso dal loro, con solo la palla come mezzo per comunicare. Ma mi basta così. Come è sempre stato. Intendendomi attraverso un passaggio, un assist, un applauso o un richiamo, magari in milanese, che comunque viene compreso. Bellissimo. E la cosa che mi affascina di più è che, ovviamente, non c'è solo il bello in campo: quando si gioca emerge anche l'omuncolo, colui che bara, che cerca sempre una scusa per giustificare l'errore, che fa' il fenomeno inutilmente e poi...non la vede mai e si becca un bel tunnel. È così: puoi fregarmi fuori, ma con la palla tra i piedi, sei quello che sei. 

mercoledì 8 maggio 2019

Primo giorno a Kathmandu

Dopo l'infinita giornata di ieri e il conseguente svenimento nel letto, la sveglia è fissata prestissimo, per andare in esplorazione nella zona di corsa e trovare uno spazio ove allenarmi nei prossimi giorni, prima di iniziare a lavorare, ma purtroppo la missione si conclude senza esito; la città infatti, per lo meno dove siamo noi, non è per nulla a misura di runner e tanto meno a misura d'uomo: nessun parchetto, nessuno spazio dove giocare per i bambini, o anche solo dove stare senza essere circondati da auto, motorini o camion. Strade, stradine, vicoli e mezzi puzzolenti da tutte le parti. Assurdo. Ci ho provato, ma dopo nemmeno 7 km ho deciso di rientrare, sopraffatto da polvere e smog. Neanche a Shanghai ho vissuto una simile frustrazione. Che delusione.
Archiviata la speranza di una bella corsa per le vie di Kathmandu, sfogo i miei bisogni in stanza con l'elastico, per poi ,all'orario convenuto, farmi trovare insieme al mio compagno di viaggio Paolo presso la sede di Apeiron, la ong che potrebbe essere nostra partner sul territorio, e iniziare il nostro giro di esplorazione, di conoscenza delle scuole possibili candidate. La prima non è molto distante dalla città, seppur ci si metta circa mezz'ora per via del traffico, e ha il grande merito di essere un po' in collina, permettendomi per la prima volta di scorgere le grandi montagne che ci circondano. È una scuola governativa che accoglie 150 bambini tra i due e i tredici anni (pre-primary, primary), un po' fatiscente e che ha tra i suoi studenti anche i 21 bimbi orfani che vivono nella casa costruita e gestita dal nostro partner; si dimostrano super entusiasti della possibilità di collaborare con noi, di averci all'interno del loro programma scolastico, ma...cacchio, il loro campo è oltre ogni standard inter campus!!! Uno spazio di circa trenta metri per venti, che arrivano ad essere 10 per via del muro della casa, in pendenza, in forte pendenza, disseminato di buche e soprattutto senza alcuna protezione! Non è che sono diventato all'improvviso schizzinoso, ma qui ogni pallone calciato male rischia di finire giù in città. E non è che prosperano i palloni in Inter Campus. La realtà sembra perfetta per noi, ma dobbiamo trovare una soluzione migliore per il campo, se no dopo il primo allenamento dovremo chiudere baracca e burattini, altro che fare il doppio allenamento settimanale. Vedremo. Intanto ci fermiamo nella casa famiglia per mangiare qualcosa prima di ripartire alla volta della seconda scuola, sita dall'altra parte della città e quindi...a più di un'ora di distanza, nonostante chilometricamente non disti più di una decina di chilometri. Ma il traffico è infernale e le vacche che si sdraiano in mezzo alla strada che costellano il percorso di certo non semplificano il trasferimento (e guai a toccarle! Son sacre, quindi possono fare ciò che vogliono e sembra proprio che lo sappiano e godano di questo privilegio!), per cui un rapido spostamento si trasforma in un vero e proprio viaggio. Solita procedura anche qui: via le scarpe, incontro con preside e rappresentante dei prof, conoscenza reciproca e varie domande per capire entrambi se possiamo lavorare insieme. Qui il campo sembra più accessibile, ma mi sembra che seppur in condizioni di bisogno, siano già in grado di offrire attività sul campo agli studenti. Non lo so, la scuola mi piace, i bimbi sono carichissimi, i prof sembra abbiano ben capito Inter Campus, ma c'è qualcosa che non mi convince del tutto. Vedremo anche qui. Ora non è il momento di decidere, ma di raccogliere informazioni e sopratutto di tornare in città coi nostri due accompagnatori (di cui non so assolutamente il nome, perchè capisco un quinto di ciò che mi dicono!), perchè hanno organizzato una partita per questa sera. Via, allora. Sgomma...grandissimo autista di cui non so il nome: andiamo a giocare!!!

Primo giorno a Kathmandu

Dopo l'infinita giornata di ieri e il conseguente svenimento nel letto, la sveglia è fissata prestissimo, per andare in esplorazione nella zona di corsa e trovare uno spazio ove allenarmi nei prossimi giorni, prima di iniziare a lavorare, ma purtroppo la missione si conclude senza esito; la città infatti, per lo meno dove siamo noi, non è per nulla a misura di runner e tanto meno a misura d'uomo: nessun parchetto, nessuno spazio dove giocare per i bambini, o anche solo dove stare senza essere circondati da auto, motorini o camion. Strade, stradine, vicoli e mezzi puzzolenti da tutte le parti. Assurdo. Ci ho provato, ma dopo nemmeno 7 km ho deciso di rientrare, sopraffatto da polvere e smog. Neanche a Shanghai ho vissuto una simile frustrazione. Che delusione.
Archiviata la speranza di una bella corsa per le vie di Kathmandu, sfogo i miei bisogni in stanza con l'elastico, per poi ,all'orario convenuto, farmi trovare insieme al mio compagno di viaggio Paolo presso la sede di Apeiron, la ong che potrebbe essere nostra partner sul territorio, e iniziare il nostro giro di esplorazione, di conoscenza delle scuole possibili candidate. La prima non è molto distante dalla città, seppur ci si metta circa mezz'ora per via del traffico, e ha il grande merito di essere un po' in collina, permettendomi per la prima volta di scorgere le grandi montagne che ci circondano. È una scuola governativa che accoglie 150 bambini tra i due e i tredici anni (pre-primary, primary), un po' fatiscente e che ha tra i suoi studenti anche i 21 bimbi orfani che vivono nella casa costruita e gestita dal nostro partner; si dimostrano super entusiasti della possibilità di collaborare con noi, di averci all'interno del loro programma scolastico, ma...cacchio, il loro campo è oltre ogni standard inter campus!!! Uno spazio di circa trenta metri per venti, che arrivano ad essere 10 per via del muro della casa, in pendenza, in forte pendenza, disseminato di buche e soprattutto senza alcuna protezione! Non è che sono diventato all'improvviso schizzinoso, ma qui ogni pallone calciato male rischia di finire giù in città. E non è che prosperano i palloni in Inter Campus. La realtà sembra perfetta per noi, ma dobbiamo trovare una soluzione migliore per il campo, se no dopo il primo allenamento dovremo chiudere baracca e burattini, altro che fare il doppio allenamento settimanale. Vedremo. Intanto ci fermiamo nella casa famiglia per mangiare qualcosa prima di ripartire alla volta della seconda scuola, sita dall'altra parte della città e quindi...a più di un'ora di distanza, nonostante chilometricamente non disti più di una decina di chilometri. Ma il traffico è infernale e le vacche che si sdraiano in mezzo alla strada che costellano il percorso di certo non semplificano il trasferimento (e guai a toccarle! Son sacre, quindi possono fare ciò che vogliono e sembra proprio che lo sappiano e godano di questo privilegio!), per cui un rapido spostamento si trasforma in un vero e proprio viaggio. Solita procedura anche qui: via le scarpe, incontro con preside e rappresentante dei prof, conoscenza reciproca e varie domande per capire entrambi se possiamo lavorare insieme. Qui il campo sembra più accessibile, ma mi sembra che seppur in condizioni di bisogno, siano già in grado di offrire attività sul campo agli studenti. Non lo so, la scuola mi piace, i bimbi sono carichissimi, i prof sembra abbiano ben capito Inter Campus, ma c'è qualcosa che non mi convince del tutto. Vedremo anche qui. Ora non è il momento di decidere, ma di raccogliere informazioni e sopratutto di tornare in città coi nostri due accompagnatori (di cui non so assolutamente il nome, perchè capisco un quinto di ciò che mi dicono!), perchè hanno organizzato una partita per questa sera. Via, allora. Sgomma...grandissimo autista di cui non so il nome: andiamo a giocare!!!

martedì 7 maggio 2019

Nepal!!!

Kathmandu. Solo il nome mi emoziona. "Lei se le ricorda tutte queste cose." "Lei chi" "Lei...la macchina...non la senti che quando gira la gomma sembra dire Kathmandu, Kathmandu", per citare solo una delle "emozioni" (dialogo liberamente tratto da "turne" di G. Salvatores. Epico). E ora sono qui. Dopo un viaggio comodo, certamente comodo, grazie a Qatar, ma infinito e dopo quasi 14 ore, eccomi finalmente in Nepal, alla costante ricerca oltre il mio orizzonte di quei mitici 8000 che tanto fascino esercitano. Ma non si scorgono. Già sceso dall'aereo ho provato a guardarmi tutto intorno sulla pista, ma...niente. Cacchio, non si vede nulla. In volo, mentre scendevamo verso la pista, son riuscito a scorgere qualche immensa cima innevata, ma da quaggiù tutto è coperto, tutto è nascosto, celato da un cielo grigiastro, inquinatissimo, che limita notevolmente la visuale. E così pur trovandoci a meno di 150km da sua maestà l'everest, non riesco a vedere nemmeno la sagoma dell'immensa montagna, immerso come sono nel traffico, nella confusione, nel fastidioso e non richiesto "concerto" di clacson che accompagna ogni nostro movimento qui, "in basso". Spero nei prossimi giorni, approfittando anche del fatto che gireremo diverse scuole site alla periferia della città, di riuscire per lo meno ad ammirare da lontano le più alte montagne presenti su questa terra, continuando a sognare un trekking estremo che ad oggi ancora non siamo riusciti a realizzare. Nel mentre continuo a muovermi tra auto e scooter vari col naso all'insù.