giovedì 7 agosto 2014

Kimbondo

Kimbondo
Ore 7 suona la sveglia: circuito di forza, colazione e alle 8.30 siamo in campo! I bambini sono straentusiasti, carichissimi e arrivano addirittura puntuali all'allenamento, pronti a giocare con il Mundele (il bianco) dell'Inter. Anzi, arrivati al campo sono già coinvolti nella seduta, gestita da Alain e Maiala (poverino, che nome. Meno male che non è donna...), i loro allenatori locali, quindi noi prima ci limitiamo ad osservare, per poi entrare in gioco e prendere in mano la seduta. Tutto fila via liscio, l'allenamento scorre via velocemente, con grande intensità e ottime abilità mostrate dai nostri giovani calciatori (qui più che in tutto il resto del mondo neroazzurro, i bambini hanno delle doti naturali invidiabili, per cui è sempre stimolante, divertente, proporre esercitazioni anche complesse da queste parti. Basta che il carico cognitivo dell'esercitazione rimanga bassa: se devono pensare retrocedono a livello Calva!) e così ci ritroviamo presto alle dodici! Incredibile come vola l tempo in campo...ore dodici, quindi pranzo leggero e poi via, verso Mongafula, che non si scriverà così, verso l'ospedale pediatrico di Kimbondo, dove dalla prima volta che siamo venuti qui andiamo per almeno una giornata sperando un giorno di riuscire anche li a fare attività. Un sacco di altre volte ho parlato di questo posto dove le disgrazie dei bambini incontrano il gran cuore di dottori e volontari, ma non sono mai riuscito a descrivere nel dettaglio la struttura, quindi...ci proverò. Prima però una doverosa premessa, per capire meglio il contesto:
La Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) è uno dei più estesi e popolosi fra gli stati africani: è grande sette volte l’Italia ed è abitato da circa 56 milioni di persone. Secondo le stime delle organizzazioni umanitarie in Congo vivono settantamila minori senza tetto e nella sola capitale, Kinshasa (popolata da circa 12 milioni di abitanti, metà dei quali hanno meno di venti anni), i bambini abbandonati che popolano le strade della città sono oltre trentamila, la maggior parte dei quali sono orfani.
Agli orfani di guerra, ai bambini ex soldato o a quelli abbandonati che vivono nelle strade della capitale, ogni giorno, se ne aggiungono altri che vengono abbandonati perché le famiglie non sono in grado di sfamarli.
Magari gli stessi bambini sono anche disabili o affetti da AIDS, da tubercolosi o da malaria. Ci sono poi cause di natura strettamente sociale, come alcune credenze o superstizioni, che hanno nei soggetti deboli come i bambini le vittime per eccellenza; in Congo, infatti, tanti bambini sono cacciati di casa perchè accusati di stregoneria: gli “enfants sorciers” cioè i “bambini stregoni” (Ndoki), bambini di età compresa tra i 5 e i 10 anni che, ritenuti responsabili delle disgrazie familiari, vengono seviziati, mutilati, cacciati dalla famiglia e allontanati dalla comunità.
Oggi i bambini costituiscono unità di arruolamento nelle forze e nelle milizie armate e purtroppo rimangono protagonisti di sfruttamento e abuso sessuale, oltre a rientrare fra le numerose vittime di quelle che sono le malattie trasmesse sessualmente come l’HIV, tanto da diventare il fattore nuovo e più devastante dei rischi per l’infanzia e le circostante caotiche e brutali della guerra aggravano la pandemia di questa e di altre malattie. 
In mezzo a tutto questo casino, prende forma l' OSPEDALE PEDIATRICO DI KIMBONDO, l’unico ospedale pediatrico gratuito di tutta Kinshasa, che assiste, cura e accoglie, ogni giorno, bambini da 0 a 15 anni (ad oggi sono oltre 450 bambini) orfani, senza dimora, disabili o affetti da malattie infettive, per garantire loro i diritti fondamentali, come il diritto alla salute, all’istruzione e...al gioco, se davvero riusciamo nel nostro intento.
Il quartiere di Kimbondo è situato alla periferia di Kinshasa, a circa 30 km dalla capitale, in direzione del porto fluviale di Matadi sul fiume Congo e conta circa 15.000 abitanti che sopravvivono di agricoltura di sussistenza. L’ospedale è, forse meglio dire era visto che la 92enne oggi è costretta a letto, gestito dalla sua fondatrice, la Dottoressa Laura Perna, missionaria laica italiana e dal suo cofondatore Padre Hugo Rios, medico missionario cileno: un prete cattolico che ha rifiutato perfino di diventare vescovo per continuare a curare i bambini. Un grandissimo!
Laura Perna, 92 anni, è chiamata dai suoi bambini “Mama Coco”, che in lingua lingala significa “nonna” e da quando ha compiuto 65 anni, andata in pensione e libera da legami affettivi, decide di dare una svolta alla sua vita. Parte per l'Uganda e quando scoppia la guerra civile è arrivata da sole quattro settimane e il suo nuovo progetto di vita ha appena cominciato a prendere forma, così  mentre il paese è in rivolta e imperversano i ladrocini dei militari, si trasferisce in Congo, paese notoriamente "tranquillo", dove dà forma a un ospedale e a un centro nutrizionale per i bambini dei 23 villaggi che circondano la città di Kinshasa. Nella struttura pediatrica trova l'aiuto di Padre Hugo, che oggi è il vero deus ex machina di Kimbondo, e nel 2009 anche Inter Campus incontra questo posto carico di emozioni, positive o negative che siano e da allora cerchiamo il modo per fare qualcosa anche qui. Ora forse ci siamo: coi soldi del tour della coppa siamo riusciti a fargli realizzare un campo da calcio, con annessa piccola struttura/spogliatoio, che è già diventato il punto di riferimento di tutta la zona, non solo dei bambini dell'ospedale; prossimo passo sarà iniziare con un numero ridotto di bambini, possibilmente di 8/10 anni, il nostro classico lavoro, coinvolgendo un anziano educatore che già lavora coi bambini e già organizza partite nel nuovo "stadio", affinché diventi il loro mister e...voilat. Inter campus è attivo anche qui. Vedremo!

mercoledì 6 agosto 2014

In viaggio verso il Congo!

Kinshasa 2014!

Dopo quasi un mese di stop si riparte: zaino in spalla e scarpe da calcio al suo interno, destinazione Kinshasa, capitale della Repubblica democratica, così dicono, del Congo. Quasi un mese, quasi trenta giorni durante i quali Inter Campus ha vissuto una piccola rivoluzione, una serie di cambiamenti, che hanno cambiato anche la mia posizione al suo interno. Dopo infatti 15 anni Aldo ha lasciato il progetto per dedicarsi allo sviluppo delle accademy e così...tocca a me prendere in mano le redini dal punto di vista tecnico (ed esclusivamente tecnico, altro non saprei fare) e portare avanti sul campo e in aula Inter Campus. Responsabile Tecnico! Be', figo. E siamo sinceri: è da quando ho messo piede qui dentro, da quel primo viaggio a Brasov nel settembre 2005, che punto questo ruolo e ora... ora ci siamo! Perbacco! 
Si, sono contento. Contento e carico, consapevole di dover dare ancor più di prima, di avere nuove e più dirette responsabilità, di dover imparare un po' di cose in più che esulano dal calcio, ma deciso a fare il meglio possibile in campo e fuori per questo splendido progetto. Nato interista, cresciuto nella sofferenza per le vittorie degli anni novanta degli odiati cugini e delle nostre continue figuracce, diventato adulto (ah, si?) con le vittorie Manciniane e Mourinhiane, essere dentro questa società per me è la realizzazione di un sogno! 
Da piccolino godevo ogni volta in cui mi regalavano la maglia neroazzurra ufficiale, o qualsiasi altro gadget della beneamata: ho ancora la maglia che mi ha regalato papà, in lanona e con lo sponsor misura, o la tuta da allenamento che era del mitico per me Lothar Matthaeus, ed avere ora la possibilità non solo di vestire i colori in ogni modo (e in ogni dove, per gran gioia di Silvia...), ma di "giocare" in questa nuova posizione è un piccolo trofeo personale. 
Via allora, si riparte: Kinshasa, il suo costante casino, la sua povertà estrema e dilagante contrapposta quasi sfrontatamente alla ricchezza esagerata di pochi, la sua corruzione endemica, che si espande dalle strade e coinvolge tutto il sistema, ma soprattutto Kinshasa e i suoi, nostri bambini dell'associazione Ujanà, bimbi figli di soldati, figli quindi di famiglie poverissime (alcuni sono costretti a far mangiare a giorni alterni i figli...), che correndo dietro al pallone che noi gli lanciamo provano a costruirsi un futuro, non necessariamente calcistico (anzi, quasi mai), mi aspetta. Via quindi, si torna in campo!