martedì 31 maggio 2016

pubblicazione tardiva

A SPASSO COL PROF!
Non sono ancora le otto che siamo già seduti, pigiati, dentro una scassatissima Lada di fine anni settanta, rossa, con il bagagliaio occupato da un sub woofer degno di una discoteca, che ci costringe a mettere la valigia gigante di Silvio in mezzo a noi due, sul sedile posteriore (sedile…sembra più la panca di un giardino pubblico). Kissi è stata di parola e dopo averci preparato la colazione con mango, guaiaba e frutta bomba (la papaia), un buon caffè e del latte, eccola con noi in “macchina”, direzione terminal degli autobus. Da li inizia l’avventura! Una vera e propria odissea infinita, compiuta attraversando l’isola da est a ovest, da Las Tunas fino a L’Havana, passando attraverso Camaguey, Villa Clara, Sancto Espiritu, toccando Cienfuegos, muovendoci sempre nell’interno, per lunghi, lunghissimi tratti su strade normali (per Cuba) e per l’ultimo tratto su autostrada…o almeno cosi la chiamano. 10 ore e 41minuti seduti, con l’aria condizionata a duemila, un freddo boia, tre soste, una delle quali per mangiare, e più o meno sempre lo stesso paesaggio fuori dal finestrino: la sierra maestra sullo sfondo e immense, verdi pianure a lato della strada, con pascoli pieni di mucche, palmeti, bananeti, enormi, bellissimi, manghi, e altre migliaia di varietà di piante per me sconosciute, ma evidentemente bellissime e coloratissime, poiché in fiore. Non avevo mai visto Cuba così colorata, così fiorita e rigogliosa. È questo il mio ottavo viaggio su questi campi del mondo, ma è la prima volta che vedo così tanti alberi in fiore, così tanto verde, così tanta…natura. Certo, è anche la prima volta che sono costretto a spararmi una trasferta di questo genere, ma anche a Las Tunas ho avuto la stessa sensazione: come è fiorita l’isola! Col prof ci siamo detti più volte lungo la strada, che sembrava proprio di essere in Africa: a entrambi quel che scorreva la fuori ricordava la strada che da Kampala ogni volta ci conduce ad Angal; oppure la strada che da Luanda ci porta a Dondo (solo senza baobab); o ancora quella che da Lubumbashi ci ha condotti una volta in Zambia. In ogni caso, Africa. Pianure verdi infinite, varietà di piante in breve, brevissimo spazio, fiori coloratissimi a riempire il paesaggio. E noi in autobus!!!Che impazzimento! Non riuscivo a leggere per via del continuo traballamento, non riuscivo a scrivere per la stessa causa, avevo freddo e star fermo, bloccato, su quel cacchio di sedile è stata una specie di tortura. Ma chi cacchio me lo ha fatto fare??? Solo, esclusivamente, la certezza che stare a Las Tunas e continuare il corso non avrebbe portato cambiamenti, non avrebbe dato all’ INDER un segnale forte, del fatto che non siamo contenti di come sta lavorando con noi e di come sta portando avanti il nostro progetto a Cuba, quindi…masochismo! Solo masochismo, mi ha condotto su questo autobus!!!

giovedì 26 maggio 2016

Scappiamo a L'Havana

ULTIMA SERA A LAS TUNAS


Kissi si rivela un vero angelo, contro tutte le mie maldicenze, i miei cattivi pensieri: a fine allenamento (svolto su un terreno indegno, con 6  cinesini, 8 coni e 2 palloni, diventati poi magicamente 4...dei maghi, gli allenatori inter campus sono dei maghi, vista l’attenzione, il coinvolgimento e il divertimento di tutti i partecipanti) la troviamo a “casa”, sorridente e contenta per averci aiutato, con passaporti, biglietti e ricevute di tutte le spese effettuate. E non è finita: non ancora soddisfatta per quanto fin qui comunque gia fatto per noi due poveretti, ci dice anche, candidamente:”domani vi accompagno io al terminal, con l’auto della casa, così vi spiego tutto per bene”. Un angelo, abbiamo incontrato un angelo.Un po’ più tranquilli e soddisfatti per la seduta di allenamento coi “nostri” bimbi, passiamo così la serata in centro a Las Tunas, dove…non c’è un cacchio! Ma proprio un cacchio, se non qualche ristorantino fatiscente, una gelateria con una super fila e un parchetto dove la gente si ritrova per cercare un po’ di fresco, un po’ di sollievo dal caldo-umido opprimente. Che pustasc! Come ho detto ieri al delegato regionale per il calcio, dopo che mi ha fatto aspettare un’infinità di tempo per avere un aula a disposizione “vaffanculo, Las Tunas”!!!

mercoledì 25 maggio 2016

Avventura a Las Tunas

NON C’È LIMITE AL PEGGIO


Dopo un’ora che aspetto per avere un’aula dove iniziare il corso, sbotto e inizio a riempire di insulti quel coglione di Aristide, Aristotele o come chezzo si chiama, chiedendo al prof di andarcene immediatamente. 

Come al solito Silvio intercede, media, prende in mano la situazione e…mi ritrovo in aula a parlare del gesto tecnico con 12 allenatori, dopo nemmeno dieci minuti. Solo tre di questi sono ufficialmente parte di Inter Campus, anche se a modo loro, ossia con 90 bambini, senza ricevere le maglie, senza ricevere la formazione cui noi annualmente invitiamo tutte le nostre provincie, in modo quindi un po'...anarchico. E questa "anarchia" è una risposta delle provincie alla mancanza di controllo del centro, della capitale, di L'Havana, là dove risiedono i problemi. Già, perché è da li che parte tutto: L'Havana, dove stanno i “capi” e dove dobbiamo obbligatoriamente passare per poter dar forma al nostro progetto sull’isola. Li, dove sta Garces, il nostro referente, responsabile del calcio all’interno dell’inder, una sorta di CONI italiano, il ministero dello sport, e li dove tutto si complica, dove tanto si disperde, dove pochi lavorano come noi vorremmo e come noi chiediamo da anni, li dove nasce questa carenza di controllo delle cose,  da dove parte il messaggio per cui ognuno libero di autoorganizzarsi e autogestirsi come meglio crede, o meglio li dove non parte il messaggio che dovrebbe dare linee guida condivise con noi per tutti i nuclei, per tutte "le squadre", per tutti gli allenatori.  E perché succede tutto ciò? Perché, credo io, Inter Campus in questi anni è "cresciuto", si è evoluto e ora richiede più lavoro, più attenzione, più dedizione e non tutti i partner si sono ancora adeguati a questo cambiamento, per cui a volte ci ritroviamo a dover gestire questi pasticci. Ma ok, serve anche questo: se tutto andasse bene, non servirebbe la mia presenza qui, non saremmo...inter campus e non sarebbe, quasi, divertente. Bisogna però intervenire, bisogna però stabilire una strategia per migliorare la situazione. "Dobbiamo rientrare a L’havana, prof. È inutile star qui: fare il corso a non si sa bene chi è perdere del tempo, con una cosa che è solo in parteciò che vogliamo. Dobbiamo tornare nella capitale e la dare le linee guida in maniera chiara e dettagliata a tutti, dividere i gruppi, stabilire il modus operandi, per iniziare a far crescere, far migliorare il tutto”. Silvio non ci pensa nemmeno un attimo "ok, mister. Siamo d’accordo". Si rientra, allora, ma…non ci sono voli disponibili ci dicono Eligio e Ste! Quindi? Quindi...pullman. È l’unica soluzione possibile: il bus, con le sue undici ore di percorso, per poter rientrare nella capitale "velocemente" e organizzare gli incontri con il ministero dello sport e i responsabili dell’asociation del futbol e provare a risolvere, o per lo meno migliorare, l’assurda situazione in cui ci troviamo ora. Presa la decisione, si aggiunge però un altro problema: per acquistare il biglietto dobbiamo andare, muniti di passaporto, al terminal della città, pagare i 39 cuc, equivalenti a 39 $ (cifra irraggiungibile per loro, se pensiamo che 1 cuc equivale a 25 cup, i soldi nelle loro mani, e che lo stipendio mensile di un insegnate è di 400 cup) e rientrare, ma per far tutto ciò ci vogliono circa tre ore e noi nel pomeriggio abbiamo l’allenamento coi 60 bimbi, quindi non abbiamo tutto quel tempo. Porca zozza, non ce ne va bene una! Quindi? sa fem? Ci viene in soccorso Kissi, la ragazza di quella specie di b&b dove stiamo: "se mi date 5 cuc, faccio io tutto e voi potete lavorare tranquillamente". Mi ricorda un po' il bambino che aiuta Oronzo Canà e Bergonzoni a trovare Giginho a Rio de Janeiro, la ragazza: ne' figlio di immegreti, ne' figlia di preta pura.

Non nascondo la diffidenza, il timore iniziale: se questa scappa con i nostri passaporti? Se ci ruba i soldi chi se ne frega, ma i documenti sono ben importanti. Abbiamo altra soluzione, però? “Bisogna aver Fede”, mi esorta il prof. 

E fidiamoci, allora. E che Dio ce la mandi buona.

martedì 24 maggio 2016

Viaggio a Las Tunas

LAS TUNAS…o quasi.
Caro lettore, mettiti comodo, accenditi con cura il tuo bel Choiba, associalo a un buon bicchiere, anche due, di Malbec preferibilmente argentino, metti sul tuo giradischi quel capolavoro di “Images and words e allunga le gambe sul più comodo dei tuoi puff, perché oggi la giornata è stata particolarmente piena, densa di avvenimenti, per lo più sfortunati, quindi mi dilungherò nello scrivere e voglio che per lo meno tu possa goderti questa lettura con dei piccoli artifizzi. Perché io ho ben poco di cui godere. Cazzo! La giornata prende subito una brutta piega di primo mattino, quando, giunti all’aeroporto, superati velocemente i controlli, già pronti per imbarcarci, direzione Holguin, veniamo respinti proprio poco prima della scaletta; respinti e riportati in sala d’attesa, senza nessuna spiegazione. I minuti, le ore passano e nulla sembra dar segni di cambiamento, fin quando un uomo della compagnia aerea, quella merda di cubana airline, si avvicina al folto gruppo di gente in attesa, per dare una spiegazione: è il computer, il problema è il computer, che ha segnato un guasto al motore. Ora lo ripariamo e si parte. Ora…ora nell’accezione lombarda, o in quella cubana? chiaramente la seconda e dopo un’altra ora in attesa, torna. Questa volta ci dice che ci offriranno il pranzo (un panino col prosciutto e un acqua) e che entro breve cambieranno l’aereo per permetterci di partire. Entro breve? Più o meno. Trascorre infatti un’altra ora, prima di avere altre notizie: ora stanno trasferendo i bagagli dal primo aereo, rotto, al secondo. Be’, dai, ci diciamo io e il prof, meglio dell’ultima volta, sempre qui, sempre con lo stesso aereo (vedi giugno 2015), sempre con lo stesso problema in partenza. E infatti “dopo poco”, ci siamo: si parte! Di nuovo tutti in fila, questa volta fin anche alle scalette che ci conducono dentro questo vecchio e sgangherato antonov degli anni ’80, superstite dei grandi aiuti provenienti dalla Russia nel periodo della guerra fredda, Si parte sul serio, questa volta. SI parte e si arriva anche, tra turbolenze varie e rumori non proprio rassicuranti se percepiti a 10000 mt di altitudine, a parte. Atterrati a Holguin troviamo un taxi che ci conduce a Las Tunas dopo un’altra ora e tre quarti, che però vola via senza colpo ferire:Julio, l’autista, è una bella lingua e ci parla un po’ di tutto, offrendoci anche in un pit stop una noce di cocco, di cui prima beviamo l’acqua, quindi mangiamo la polpa, e ascoltando le sue parole, i suoi racconti, le sue spiegazioni, la carretera scorre veloce sotto le ruote, senza che ce ne accorgiamo. E dopo un viaggio cosi bello e divertente, il duro ritorno alla realtà che ci accoglie giunti a destinazione è devastante: non c’è la prenotazione della camera, quindi non c’è la camera per dormire, questa notte. E nemmeno la successiva. E nemmeno quella dopo. Tutto pieno. E nessun altro hotel disponibile. Bene.Molto bene. Quindi? Cosa facciamo?In quel momento mi sarei mangiato Aristides, l’incaricato dell’INDER per l’organizzazione di tutto, ma padre Silvio intercede e media, quindi, razionalmente, decidiamo di cercare un posto dove stare. Sempre Julio, il tassista, ci propone una specie di b&b vicino a casa sua…stanze mignon, senza finestra, con un condizionatore (ci sono 40 gradi e un’umidità spaventosa!) alimentato dal motore di un trattore (fa un casino assurdo), ma non abbiamo scelta. Il tempo di posare gli zaini e siamo già fuori: necessaria una corsa di assestamento, per analizzare con più lucidità l’assurdità della situazione. Ricapitoliamo: arriviamo, nessuno ci aspetta, non abbiamo dove stare e domani iniziamo il corso con non si sa bene quali allenatori, certamente non i nostri, e non si sa ancora dove, visto che il pirla di Aristide non ha saputo nemmeno dare questa notizia!  Con la musichetta di Benny Hill in sottofondo (perché questa situazione è degna di una scenetta comica), crolliamo velocemente nel letto, subito dopo cena, consumata nel b&b, preparata dalla gentilissima ragazza che qui lavora. Il domani chissà cosa ci riserva… 

lunedì 23 maggio 2016

Viaggio ai caraibi

CUBA
Si riparte, destinazione Caraibi. Sono stato poco, pochissimo a casa e rieccomi nuovamente in aereo, con l’ormai classico per me gigante seduto straripante nel sedile di fianco e l’ovvio anziano sdraiato praticamente orizzontalmente in quello di fronte. Posso fare tutti i tentativi possibili, tutti i check in on line disponibili, ma gira e rigira sarò sempre accompagnato da questi personaggi nei miei viaggi, che siano verso il sud america, l’ Africa, il medio oriente o l' Asia. Animo in pace, quindi, e cerchiamo di adattarci anche questa volta. L’aereo poi è stracolmo, quindi avrei comunque avuto gente intorno ed essendo questo un volo verso Cuba, so anche che tipo di gente, quindi…che tipo di gente intendo? Be’, se vai in Africa, piuttosto che in sud america, o in medio oriente, la fauna intorno a te cambia e il viaggio ha le sue specifiche caratteristiche, a seconda della rotta. E la specie che colonizza gli aerei con destinazione l’avana è una delle peggiori. Ora poi che l’isola castrista si è aperta ancor più al turismo di massa e che tutti, più o meno, si sentono in dovere di visitare questo ultimo, ormai perduto, baluardo del socialismo, le cose non vanno che peggiorando: gente che si perde alla ricerca del proprio posto, che vaga per l’aeromobile sventolando il proprio biglietto, come fosse un viandante nel mezzo del deserto, con in mano la sua piccola mappa; gente che prova a stipare nel vano bagagli posto sopra i sedili delle specie di comodini con le ruote, stacolmi di chissà quale genere di cose, che ogni volta mi domando come abbiano fatto a riconoscerlo come bagaglio a mano (mai come nei viaggi verso l’africa, però! Li i comodini con le ruote sono veri e propri armadi a quattro ante, a volta anche con del cibo congelato! Giuro. Una volta andando in Camerun lo scomparto ha iniziato a perdere acqua: erano i pesci congelati che iniziavano a sghiaccerai!); gente che si alza, cammina, va avanti e indietro in ogni momento, inseguita dalle hostess, che provano a far rispettare il segnale delle cinture di sicurezza, attivato nel mezzo della classica turbolenza giunta nel momento della distribuzione del pasto; gente che beve, beve in continuazione, e riempie la cabina col proprio fiato alcolizzato. Negli ultimi tempi, poi, sono sempre più i francesi che volano verso Cuba, quindi le scorte di vino delle varie compagnie vanno via via esaurendosi. Insomma, dimmi dove vai e ti dirò con chi sarai. Proverò a dormire un po’ ora, se il gigante qui di fianco ritrae per un attimo il suo braccino.

mercoledì 4 maggio 2016

In campo a Tehran

ALLENAMENTO A TEHRAN 


L’allenatore locali, Madì, e i suoi due assistenti, i cui nomi assolutamente ignoro, gestiscono in una sola seduta congiunta fino a 70 bambini contemporaneamente, usando meno di 20 palloni e pochi cinesini, proponendo tre esercitazioni intervallate da ore di stretching e pause per bere, tutte con obiettivi differenti e tutte piuttosto analitiche, a volte abbandonando il campo, o rispondendo al telefono, o parlando tra loro. Eppure i bambini proseguono a giocare, senza distrazioni, senza calare di intensità, senza distrarsi o iniziare a fare gli scemi, perso il controllo dell’adulto. E questa cosa è una costante sia coi grandi che coi piccoli: tutti ordinati, disciplinati e rispettosi delle indicazioni, senza nessun pirla che fa casino inutilmente, facendo perdere qualità alla seduta. Eppure non sono ragazzi con una storia semplice alle spalle: sono tutti figli di rifugiati afghani, senza documenti e quindi relegati ai margini della società. Chi non ha il padre, scomparso o scappato, drogato o alcolizzato (in un paese dove l’alcool è bandito mi fa specie, ma mi dicono siano piuttosto diffusi gli alcolizzati), chi è senza la madre, chi non va a scuola, perché costretto a lavorare per contribuire al mantenimento della famiglia, chi, chi e chi…ognuno ha la sua croce da portare, ma tutti rimangono attenti e concentrati per tutta la seduta! Se penso a quello che succede da noi mi viene da piangere. Lampante ciò che ho visto oggi per capire le distanze tra i nostri due mondi: i bambini sono arrivati alla spicciolata, a gruppetti, ed entrati allo stadio hanno salutato il mister, noi, per poi andare a sedersi in fila contro la rete di protezione, in attesa delle nostre indicazioni. Tutti seduti, tutti tranquilli:per carità, parlavano, ridevano, facevano casino parlando, ma nessuno che ha creato confusione, mentre io e i loro mister eravamo dalla parte opposta del campo a parlare! 64 bambini tra gli 8 e 10 anni soli, senza nessun adulto a controllarli! Osservavo questa cosa e pensavo alla calva: immagina a lasciare le squadre 2006-2007 e 2008 in campo sole, senza nessuno a contenerli: dopo 10 minuti ci scapperebbe il morto! Matteo 2008 inizierebbe a spingere Massimo, il quale inizierebbe a urlare, stimolando alla “rivolta” Nicolas 2007, cui farebbe seguito Simone, Ali, Gaetano 2006, per arrivare poi alle lame con Vincenzo 2006! Qui niente: tranquilli, fino al nostro segnale. Perchè??? Eppure, vista la loro storia, avrebbero più diritto loro di tenerci impegnati, coinvolti nel controllarli, nel lasciarli mento tempo possibile fermi, senza un’esercitazione da svolgere, un pallone da calciare. Invece…fino a quando il mister non li riunisce e spiega loro cosa fare, nessuno si alza in piedi. E anche durante la seduta (ripeto, 64 bambini insieme, con un solo allenatore, pur aiutato da due che giravano tra i gruppetti), nessun episodio di distrazione, di conflitto o anche solo di calo dell’attenzione o delle intensità. Tre esercitazioni analitiche, anche piuttosto noiose, una partita e tutto è filato via alla perfezione, secondo i canoni locali. Nessun vero obiettivo, nessun vero insegnamento lasciato, nessuna vera cura del singolo, ma i bambini si sono divertiti, il clima era positivo e per un’ora e mezza nessuno di loro ha pensato alle varie sfighe che li accompagnano. Bravo Madì!

martedì 3 maggio 2016

Il traffico di Tehran

PRIMO GIORNO IN PERSIA

Mi sveglio completamente rimbambito: tra una cosa e l’altra questa notte siamo arrivati in stanza che erano le 3 e sentire quel suono insistente di bonghi, la mia sveglia, dopo nemmeno sei ore, è stato traumatico. 

Fortunatamente l’elastico e una bella doccia fredda mi rigenerano e riprendo sorprendentemente in fretta sembianze umane, pronto per gettarmi nel parco e correre…seee, magari. Questo maledetto polpaccio mi tormenta ancora e da dopo Tel Aviv non riesco nemmeno a camminare bene, quindi sono costretto a reprimere la mia voglia di corsa, sono costretto a immaginare solamente quella splendida sensazione, misto tra stanchezza e freschezza, tipica del dopo allenamento post viaggio, sono costretto a sfogare le mie energie in camera, con i miei circuiti di forza, prima di scendere a far colazione. Da solo, perché i miei compagni di viaggio dormono ancora, avendo deciso di saltare il pasto per recuperare qualche ora in più di sonno. E perché non lo faccio anch’io??? Be’, ok, lo confesso: la sveglia l’ho puntata con l’intenzione di andare a correre (scusa, prof, so che ti avevo detto che non l’avrei fatto e mi sarei curato), ma il test pre-corsa è fallito e con la delusione che avevo in corpo non sarei comunque riuscito a riprendere sonno, quindi meglio iniziare la giornata. L’appuntamento con Leila, la signora della fondazione che ci ha contattato per iniziare il progetto da queste parti, è fissato in tarda mattinata, quindi posso fare le cose con estrema calma, come mi succede solo in viaggio. E la cosa mi riporta alla mente il pensiero ricorrente della stupidità del nostro (lombardo) modus vivendi, incentrato sul correre, sulla lotta con le lancette del tempo, sul volare sopra le 24 ore, senza mai riuscire a planare e toccar terra, per goderci realmente il tempo, i minuti, le ore. In pieno relax, mi dedico quindi alla scrittura e alla lettura, per poi presentarmi in perfetto orario e dare così ufficialmente il via alla missione. Il primo meeting è fissato in un ristorante persiano della città a soli…45 minuti dall’hotel: il tempo è relativo e in una megalopoli da 17 milioni di abitanti (raccolti nell’area metropolitana, che ne fanno la terza più grande città del medio oriente) un tempo di una partita di calcio non è nulla. Il traffico è incredibilmente peggiorato rispetto alla mia ultima visita: incredibilmente perché non pensavo potesse essere peggiore di come era, invece ancora una volta mi rendo conto che non c’è limite al peggio. Macchine da tutte le parti, guida a dir poco anarchica, gente che affronta dei pezzi di strada contromano per guadagnare spazio, per raggiungere prima la propria svolta e, cosa più incredibile, pedoni da tutte le parti! Anche in quella che possiamo paragonare alla nostra tangenziale: belli tranquilli e sereni, attraversano la strada, camminano in senso contrario a quello di marcia…va bene il fatalismo tipico mussulmano (inshallah, giusto?), ma voi siete matti! E a tutto questo, si aggiunga la solita, continua, incessante comunicazione fatta attraverso i colpi di clacson: beep...bip...beep, bip. Che significano: "attento che arrivo", "guarda che devo girare", "attento al pedone". Un frastuono infernale, che però è ben tollerato da tutti, senza attacchi di ira, insulti, o gesti strani con le mani. Tutti tranquilli, seduti nel loro abitacolo (anche un sacco di donne, per lo più giovani), intenti a "chattare" a modo loro con gli altri conducenti.

Al termine del pranzo, ovviamente a base di chelow kebab e della loro tipica bevanda, fatta di yogurt e sale (buonissima, ma della quale non ricordo mai il nome…doonsah, doonogh, non ricordo), ci si rimette in macchina e si torna in quel manicomio mobile che è la strada, questa volta direzione campo, dove entro in contatto con ciò che mi interessa: bambini, allenatori e allenamento. Vediamo un po’…

domenica 1 maggio 2016

Ancora in viaggio

ANCORA IN VIAGGIO
Credo che nessun altro viaggiatore possa unire due viaggi come quelli che sto unendo io e, sia chiaro, non lo dico per darmi delle arie; certo è, però, che dopo nemmeno una settimana dal ritorno dalla terra santa, ritrovarsi a scrivere sul terrazzino della camera d’hotel, con di fronte i monti Elburz non è certo cosa per tutti. A meno che non si lavori per Inter Campus. In tal caso ecco servita la “diplomaticamente” imbarazzante situazione: giusto il tempo per andare in questura, cambiare passaporto (perché con i timbri dell'altro certo qui non sarei entrato) ed eccomi in aereo, direzione Tehran. Sono contento, affascinato da questo paese dal quale manco ormai da sei anni, e allo stesso tempo un po’ reticente alla partenza…cazzarola, non me ne voglia Silvia, ma la mia nanetta è una bella calamita, dalla quale viene difficile staccarsi, anche solo per questi 3 giorni. Sapendo in più che perderò la piscina di sabato per questo viaggio, la sua forza attrattiva nei miei confronti si è decuplicata e salutarla, seduta sul seggiolone, tutta lercia di pasta al miglio, sorridente, chiacchierona e casinista, è stato un bello sforzo, ma…sarà più bello il mio ritorno. Spero. Visto che l’ultima volta, quattro giorno fa, il nostro riavvicinamento a lei non è stato piacevolissimo: abbiamo passato la mattinata insieme (sono rientrato la sera tardi), con Silvia fuori per lasciarci il nostro spazio (Santa Silvia), ma lei non voleva stare con me! Continuava a piangere, a girare la testa alla ricerca di qualcos’altro mentre era in braccio a me, ad allungare il collo fuori dalla porta, speranzosa di incontrare la sagoma della mamma da qualche parte. Poi, per fortuna, siamo andati in piscina e li siamo tornati in sintonia, a ridere e a giocare insieme, ma non nascondo i miei mille pensieri, riguardanti i suoi comportamenti in seguito alla mia assenza e i miei mille ragionamenti sul nostro futuro, sui miei viaggi e sul suo crescere...Ok, chiudiamo la pagina del libro cuore e torniamo in aereo. Aereo diretto verso la capitale dell’antica Persia, pieno di gente (e per questo ci becchiamo l’upgrade e viaggiamo da signori) e di donne…a capo scoperto, alcune addirittura con i pantaloni attillati che tanto vanno di moda ora e che tanto mostrano del loro lato B. Va bene che si stanno aprendo, che l’occidente sta loro togliendo le varie sanzioni, ma mi sembra un po’ esagerato tutto questo. Poco prima dell’atterraggio, però, tutto torna alla norma: “annuncio molto importante, rivolto a tutte le donne presenti: per le leggi vigenti, tutte le donne, prima di scendere dall’aeromobile, devono coprirsi il capo con un velo”. Ah, ecco. Welcome back to Iran. Che però mi si presenta cambiato, diverso, dall’ultima volta: aeroporto a parte (che per me e Max era completamente rinnovato, molto diverso, a tal punto…da essere un altro, scopriamo in seguito): la signora che ci viene a prendere, sorella del boss dell’ONG che ci ha invitati, mi stringe la mano, senza imbarazzo, senza paura, ma anzi, con estrema disinvoltura; in macchina si toglie il velo, pur in presenza di quattro uomini, tre dei quali sconosciuti e il quarto l’autista; anche le altre donne intorno appaiono più tranquille, disinvolte, alcune con il velo solo da metà testa. Insomma, il primo approccio al mio ritorno mi regala un’immagine leggermente diversa del Paese, ma non voglio lanciarmi in sciocche dichiarazioni: vediamo nei prossimi giorni. Ora dormiamo. Ma non prima di aver salutato Anna sfruttando le nuove tecnologie: è arrivato Internet anche qui e voglio sfruttare la cosa per la mia calamita!