mercoledì 22 ottobre 2014

Primo, lunghissimo, giorno

Primo, lunghissimo, giorno.

Alle 7 i borghi della mia sveglia riempono la piccola stanza del già solito nostro hotel, l’artplus hotel: il lungo mare di Tel Aviv chiama, il sole è già alto e caldo e non si può certo perdere l’occasione di una bella corsa con tuffo post sudata! Via le caccole dagli occhi, allora, cerchiamo di riprendere conoscenza nel minor tempo possibile e via, si parte, accompagnato incredibilmente questa volta da ciccio, deciso, almeno a parole, a seguirmi tutta settimana su questa motivante “pista di allenamento”. Dico almeno a parole perché già me lo immagino domani mattina al suono della sveglia…ma magari mi sbaglio. 
2 km di riscaldamento e poi una 8 km rigenerante, cercando di stare sotto i 4 al km! Obiettivo raggiunto alla fine, ma con un po’ troppa fatica per i miei gusti: le gambe non vanno, sono pesanti e vuote allo stesso tempo e, cacchio, per tenere il passo stabilito devo spingere come un forsennato. Sarà la mezza di sabato che si fa ancora sentire? Mah…Portiamo a casa l’obiettivo raggiunto e diamo ora il via alla lunga giornata che ci attende: con Yasha ci muoviamo verso Jalijulia, dove incontriamo il “nostro” allenatore a pranzo, in un posto che ci consiglia lui, dove con una padellata da due quintali di humus con falafel super unti e verdure varie sottaceto risolviamo la pratica pasto, prima di spostarci da Heab, presso la sua torrefazione, per bere un buon caffè. Heab è uno di quelli che in giro per il mondo chiamo “illuminati”: un ragazzo di 42 anni con la menta aperta, con una visione delle cose più completa, meno ottusa e limitata rispetto agli altri sui compari, con conoscenza del mondo, passione per il viaggio e un naturale carisma, tutte caratteristiche che lo rendono una piacevole compagnia oltre che molto brillante e simpatico. 
Un Fred arabo-israeliano, per intenderci. Lui è stato il nostro tramite per iniziare concretamente il progetto, perché mettendoci a disposizione il campo di Jalijulia, ci ha permesso di trovare un punto di incontro neutrale tra le nostre cellule al di qua e al di la del muro, ove far giocare tutti i nostri bambini insieme, di qualunque provenienza fossero. Insomma, senza di lui la famosa integrazione di cui tanto parliamo sarebbe rimasta sulla carta, quindi direi che è una persona piuttosto importante per noi e per il nostro progetto, oltre che una gran persona. Inoltre questo bel personaggio ha una torrefazione qui a Jalijulia, per conto del caffè Manganelli, un caffè italiano che però io ho sentito solo da queste parti, per cui con lui riusciamo sempre a bere anche dell’ottimo caffè, cosa da non trascurare per noi italiani quando siamo in giro. Insomma, Heab for preident!!! Finito di assaporare il “famoso” caffè Manganelli ci catapultiamo in campo, dove 30, 27 per l’esattezza, bambini dai 6 ai 9 anni ci aspettano: lasciamo l’introduzione nelle mani dei loro mister e poi interveniamo, per fermarci con loro alla fine e parlare un po’ della seduta, delle diverse metodologie applicate e del perché riteniamo più utile la nostra in un progetto come il nostro. Un bell’allenamento, una bellissima e interessante chiacchierata, chiamarla lezione mi sembra esagerato, per iniziare a portare dalla nostra parte gli allenatori locali e iniziare a farli lavorare secondo il nostro metodo. Tutto bene, fin qui, tutto bello, ma…ora si va al Kibbutz e li le cose cambiano. Al Kibbutz sheffain’, infatti, quest’anno è arrivato un personaggio strano, ex calciatore professionista, anche della nazionale, anche lui, come altri milioni nel mondo, stroncato proprio alle soglie del pallone d’oro da un infortunio (se non ci fossero gli infortuni la serie a, sentendo i racconti della gente, sarebbe composta da duecento squadre!), che ha deciso di dar vita a delle vere e proprie scuole calcio per i bambini dei vari Kibbutz di questa zona, che si chiama Asharon. Strano perchè le scuole calcio sono a pagamento e appena abbiamo iniziato a parlare con lui del nostro progetto e della possibilità di coinvolgere i “suoi” bambini in inter campus, per avere anche una parte “israeliana” nel nostro puzzle etnico locale, è andato in chiusura, dimostrandosi geloso e poco interessato alla partnership. Un personaggio…israeliano, prototipo perfetto dell’allenatore locale, che mi ha ricordato un sacco Arek, il Raz di Nazareth: presuntuoso, arrogante, legato ai soldi e in soldoni…scarso. Non mi piace! E non mi piace l’idea di dovermi legare a lui. Ne ho parlato subito con Ya e anche lui è d’accordo con me, per cui si vedrà: venerdì verrà in campo con noi e poi decideremo. Magari mi sbaglio. Magari...

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