mercoledì 22 ottobre 2014

Ritorno in Israele

Ripartenza rapida!

Viaaaaaa! Sette giorni a casa e rieccoci in aereo, direzione Tel Aviv! 
Poco più di un mese fa da queste parti suonava la sirena anti missile quotidianamente, ma ora la situazione sembra poterci consentire il nostro classico intervento, per cui…eccoci qui. 
Se già normalmente, però, il viaggio verso questi “campi” è stressante per quanto riguarda i controlli, la sicurezza, la mobilità verso le varie cellule, mi immagino che così a ridosso della guerra appena “sospesa”, fino a nuova ripresa, le cose saranno ancora peggiori del solito e infatti, nemmeno il tempo di mettere il piede nel paese, iniziano gli ostacoli. 
Al controllo passaporti vedono che sul mio ci sono diversi timbri di paesi africani e vista la drammatica situazione Ebola di questi ultimi tempi, decidono di fermarmi per alcuni controlli: mi trasferiscono quindi in uno stanzino e li mi provano la febbre, mi guardano gli occhi e mi fanno compilare una specie di questionario, con domande di vario genere sulla mia condizione di salute. 
Solo alla fine di questa trafila, poco più di un’ora, mi concedono il visto e mi fanno entrare in Israele, con la raccomandazione di avvertire subito le autorità sanitarie in caso di malessere. Ci mancava l’ebola! Ne abbiamo subite di ogni per entrare o uscire da questo paese: ci hanno fermato per un elettrostimolatore in valigia, per la valigia troppo piccola rispetto a quelle degli altri in viaggio con me, per i troppi timbri sul passaporto, per i timbri con scritte in arabo, per mille e più motivi, ma questa, dei motivi sanitari, mi mancava. 
E devo riconoscere che forse è l’unica volta in cui do loro ragione e condivido il loro operato; la situazione nel mondo è drammatica e nonostante tutti stiano sottovalutando il diffondersi del virus, credo sia ora che gli stati per lo meno adoperino delle misure di sicurezza per cercare di limitare la pandemia e questa, per quanto piuttosto superficiale, è già qualcosa. 
Confermato il mio stato di perfetta salute, possiamo iniziare: di corsa verso l’hotel con un taxi guidato da un pazzo estremista, tifoso del Beitar di Gerusalemme e parte, per quello che si riesce a capire, del gruppo ultras “la familia” (il Beitar Gerusalemme, tanto a livello di dirigenza ma soprattutto a livello di tifoseria, è frequentemente oggetto di critiche da parte dell'opinione pubblica per un presunto atteggiamento anti-arabo, talora oltre i limiti del razzismo; Il Beitar è l'unica squadra israeliana a non aver mai tesserato, nella propria storia, un calciatore arabo. La tifoseria nel 2005 costrinse un calciatore nigeriano, musulmano, appena acquistato dalla società a lasciare il club dopo pochissimo tempo dal suo arrivo, a causa della forte avversione nei suoi confronti manifestata e lo scorso anno, dopo l'acquisto di due calciatori musulmani, attaccarono con atti vandalici gli uffici della dirigenza del Beitar…insomma, brava gente, tollerante) e da li ancor più velocemente verso la periferia sud della città, dove abbiamo allenamento con un nuovo gruppo di bambini e con i nostri “soliti” sudanesi. Insomma, non si perde tempo e ora…be’, ora sono in coma. Mi cade la penna, anzi la tastiera. Buona notte!

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