giovedì 23 ottobre 2014

Al di la del muro!


Alla fine avevo ragione ieri: il ciccio non si è alzato dal letto questa mattina! É bastata una serata a Yaffo e un ritorno a casa tardivo e la sua forza di volontà è rimasta invischiata tra cuscino e coperta, lasciandomi uscire solo per il quotidiano allenamento. Ma non è di questo che voglio parlare…


Oggi si va “di la”, si va a trovare i nostri bambini palestinesi, per dar vita al nostro allenamento e osservare come stanno andando le cose, per quanto riguarda il nostro progetto, anche da questa parte del muro. Come sempre accade, nessun problema a varcare il check point per entrare in palestina, quindi in perfetto orario arriviamo al campo e diamo il via ai giochi; lavoriamo insieme, con tutti e 21 i bambini nello stesso gruppo, avendo a disposizione solo 5 palloni e una quarantina di piatti di carta a fungere da cinesino, sapientemente recuperati prima di partire: diventa difficile con così poco materiale formare più gruppi, per cui optiamo per la soluzione unica.


In una lingua che è un misto di parole inglesi, spagnole, arabe e italiane che capiamo fanno parte del vocabolario dei nostri bambini, e con grande comunicazione non verbale ed esplicite dimostrazioni palla al piede, diamo vita ad una intensissima seduta di allenamento, incentrata sulla guida della palla, conclusa con un mini triangolare a tre squadre che coinvolge ed entusiasma tutti i presenti, giocatori e semplici osservatori. Tutto bello, quindi, tutto bene…peccato solo che il nostro allenatore sia tutto fuorché…un allenatore. Si presenta in jeans e ciabatte, al telefono, e da quel maledetto oggetto non si stacca praticamente mai, senza quindi sfruttare l’occasione del nostro allenamento per stare in campo con noi, osservare nuove esercitazioni e formarsi e rendendo inutile il nostro intervento post allenamento con lui, come da prassi. Niente: è sempre in giro per il campo al telefono e quando non è al telefono si lamenta con Buma per il rischio di “nomalizazioa” cui si va incontro partecipando ad un progetto del genere. Che cos’è la “normalizazioa”?

La normalizzazione può essere intesa come un processo in cui relazioni normali vengono riprodotte in un contesto segnato da circostanze anormali e, di fatto in questo caso, scindendo Israele dai suoi atti di aggressione e occupazione, trattandolo come un’entità politica che è in qualche modo indipendente dalle proprie azioni politiche…


cioèèèèèèè? cioè israele promuove progetti di integrazione con “l’altra parte” , relazioni normali, portando avanti la sua politica di occupazione, circostanze anormali, facendole passare come una cosa normale. “non vedi, ti porto anche il calcio, cosa continui a combattermi”. Questo, grossolanamente, il concetto sostenuto dai tanti allenatori che abbiamo cercato di coinvolgere nel progetto, ultimo in ordine di tempo il nostro “pallavolista”. Non sta a me ora sostenere o combattere questo concetto, ma quel che è certo è che ci ritroviamo di nuovo senza allenatore, a ragione o torto, e i nostri bambini quindi non riescono a fare allenamento con continuità. Cacchio!!!


Si cambia, si va a Daryritzia, chissà come si scrive, e li…siam messi peggio! L’allenatore son due mesi che non si vede, chi dice per via della guerra a Gaza, chi dice per lavoro (è il periodo della raccolta delle olive), in ogni caso non si vede da un bel po’ e i bambini si ritrovano al campo per giocare, ma in maniera del tutto autonoma. Cacchio, ancora una volta. Insomma, qui di normale non c’è proprio nulla e la situazione in cui vivono da questa parte del muro non fa che aumentare i problemi, le difficoltà. Se pensiamo poi a tutto quello che è successo solo due mesi fa un po’ più a sud rispetto a dove siamo ora, ecco spiegati tutti gli ostacoli che dobbiamo tornare a saltare. Che casino! Ma non molliamo e venerdì abbiamo l’evento con tutti i nostri bambini, arabi, ebrei e sudanesi, coinvolti sul campo.


Proviamoci ancora una volta!

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