lunedì 13 maggio 2019

Un frontale con la realtà

NEPAL 2019

Rileggendo i post degli scorsi giorni potrebbe sembrare che sia qui in vacanza e non per lavoro, visto che scrivo solo di giri per la città e partite di calcio, per cui, per fugare ogni dubbio, per tacere ogni malalingua, il post di oggi cade a fagiolo. Negli scorsi giorni infatti, accompagnati dai nostri partner locali di Apeiron, abbiamo girato un po' la città per capire dove potremo iniziare a "giocare", dove potremo coinvolgere bambini cui dedicare il nostro lavoro, e siamo entrati in contatto con una realtà poverissima e in alcuni casi addirittura drammatica, che non so per quale strano funzionamento della mia testa non mi aspettavo. Non credevo, e ripeto, non so perché, che anche in questo lato di mondo potessero esistere storie così terribili di violenza e povertà e queste giornate mi hanno aiutato a perdere questa sciocca illusione e fare ancora una volta una fredda doccia di cruda e triste “umanità”. Famiglie che non possono permettersi di spendere 5$ per le scarpe del figlio, che di conseguenza non potrebbe giocare con noi perchè a piedi nudi sui “campi” che abbiamo visto non riuscirebbe certo a correre; bimbi orfani che vivono in una casa insieme ad altri venti “compagni di sventura”, costretti come loro non si sa da quale diabolico disegno, ad aspettare che qualcuno si accorga della loro esistenza e li accolga in una nuova famiglia, che quindi non sarebbero da coinvolgere nelle nostre “squadre” perché da un momento all’altro, si spera, potrebbero andarsene, rendendo difficile quindi il nostro intervento,  caratterizzato  da sempre da continuità; altri bimbi, figli di madri che hanno subito violenza domestica, stupri, e che hanno assistito a tutto questo, segnando così per la vita la loro mente, il loro cuore, che sarebbe meglio non includere perché anche loro non riuscirebbero a dare continuità: le loro mamme sono inserite in un progetto bellissimo che le sta aiutando a trovarsi un posto nella società e che cerca in sei mesi di “liberarle” dalla casa dove le accoglie, insegnando loro un mestiere utile per poi provare a ricostruirsi una vita con i propri figli. Tutte situazioni troppo complesse per essere sostenute semplicemente con la nostra maglia, con la nostra palla, con i nostri allenamenti, ma che cercheremo con il nostro intervento futuro di arginare, di limitare, provando a educare, crescere, bambini che magari in futuro eviteranno di ripetere le assurdità sopra citate, o che grazie al fatto che continueranno a studiare riusciranno in futuro a provvedere ai propri figli. Già, perché se quelle situazioni descritte sono onestamente troppo grandi per noi, abbiamo però trovato modo di inserirci in alcune scuole, due per la precisione, con circa cento bambini, per passare attraverso il calcio messaggi utili per provare a migliorare un po’ le cose, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna, includendo anche le bimbe nei nostri allenamenti e iniziando così a rompere quel muro invisibile che le tiene fuori da tutti gli spazi dove si gioca, dove si fa’ sport, dove…ci si diverte. Partiremo in punta di piedi, includendo quante più bambine possibile, seppur “relegandole” in squadre loro dedicate, perchè squadre miste al momento sono impensabili, ma piano, piano, allenamento dopo allenamento, stagione dopo stagione…chissà. Si parte con cento, una goccia nel mare, ma come ci è sempre capitato nel giro di poche stagioni non sarà difficile raddoppiare i numeri e magari iniziare ad essere due gocce nel mare e poi tre e poi…Proviamoci.


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