lunedì 21 ottobre 2019

Torniamo in campo, va


Dopo il trattato filo sociologico e la digressione geopolitica, credo sia meglio tornare nel campo da dove provengo e dove meglio sto, ossia quel rettangolo delimitato da linee dentro il quale si realizza la magia intercampista. E non solo. In particolare oggi torno sul campo di Gerusalemme, a Talpyot, zona di “confine”, zona di convivenza, zona dove da poco più di un mese abbiamo iniziato a organizzare allenamenti con circa 50 bimbi, divisi in due gruppi, per lo più equamente divisi in palestinesi ed ebrei. Il fine è sempre lo stesso, ossia provare col calcio a dare una spinta (o una scintilla?) alla collaborazione, all’unione tra i due mondi, iniziando con i piccoli per poi sperare che quando un giorno saranno grandi si ricorderanno che anche “di la” ci sono persone come loro e non necessariamente terroristi assetati di sangue, o invasori senza scrupoli. Certo, obiettivo un po’ fuori portata, direte voi, visto che le poche ore trascorse sul campo con la stessa divisa indosso non valgono gli anni di odio reciproco maturato dagli uni nei confronti degli altri, ma…ci si prova. Il milione si fa con le mille lire e anche se qui siamo ancora alla raccolta dei centesimi di lira, non si molla e si continua a provare, nonostante i continui e frequenti balzi indietro. L’aria che si respira in campo è positiva, c’è grande voglia di partecipare, di giocare, di divertirsi e sia col gruppo dei piccoli, sia con quello dei grandi, nei due giorni loro dedicati, le sedute si svolgono con grande intensità e scivolano lisce, nonostante un grande, grandissimo ostacolo: la lingua. Cazzarola, una parte della squadra parla arabo, l’altra parte ebraico e io non parlo ne’ l’una ne’ l’altra lingua!!! E quindi? E quindi si sfruttano gli allenatori locali coi quali si parla in inglese per tradurre ai bimbi e soprattutto si usa il corpo, l’esempio, si mostra ciò che si chiede, perché se tutte le volte per spiegare un esercizio si dovesse passare da due lingue, la seduta non decollerebbe mai e ‘sti poveri bimbi si addormenterebbero in fila. Le cose invece sfruttando poche parole e tante dimostrazioni (a volte nemmeno quelle: lascio provare i bimbi e intervengo in caso di errore, per far si che prova dopo prova si arrivi a ciò che ho in testa per loro) vanno alla grande e gli esercizi proposti hanno tutti un buon esito, dandomi buone indicazioni sui bambini e su ciò che i nostri allenatori devono toccare maggiormente durante i loro allenamenti futuri. Mi piace qui, nonostante la confusione tipica di questi campi del mondo e la grande differenza tra i bambini nei gruppi: una parte super…dinamica, fisica, istintiva, chiassosa, furba e in alcuni casi quasi violenta; l’altra più lenta, sotto ritmo, meno fisica e quasi più riflessiva, più attenta e interessata all’apprendimento. Tutti insieme, nello stesso groppone, con la stessa maglia, per lo stesso fine. Loro nemmeno conoscono questo fine, nemmeno lo sanno, nemmeno ne sono coscienti: loro giocano con questo coetaneo chiassoso o con quest’altro con uno strano cappellino in testa e cercano, se in squadra insieme nel gioco o nella partita finale, di vincere per il semplice gusto di primeggiare, ma i genitori fuori osservano attentamente le dinamiche, guardano bene quel che succede in campo, leggono bene le differenze e il tentativo di collaborazione che questi 90 minuti in campo insieme stimola, quindi...chissà. Ad ora son tutti entusiasti, son tutti contenti di ritrovarsi nello stesso campo. Speriamo che duri.


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