giovedì 18 agosto 2022

Belize City

 Come sempre mi succede, viaggiando per Fifa Football for school, l'unico modo che ho per vedere qualcosa al di fuori dell'hotel e del centro tecnico federale è allenarmi, correre in giro per il posto dove mi trovo e raccogliere più informazioni possibile macinando chilometri. 

Ricordo in Mauritania le sveglie mattutine e le corse sulla sabbia, evitando mucche stravaccate e carretti selvaggi in corsa qua e la, o a Djibuti, le corse anche li mattutine (se no, poi, il caldo è decisamente eccessivo anche per una lucertola come me e per quanto adori dormire, diventa necessario alzarsi presto) sul lungo mare, con già 30 gradi alle sei del mattino, e certo Belize city non può fare eccezione. 

Corsa dunque sul "malecon" locale (seee, malecon. Gli piacerebbe. Un povero, poverissimo, tentativo di imitazione) col vento contrario all'andata e a favore al ritorno, ma soprattutto col 200% di umidità!!! Incredibile quanto sudore sia capace di produrre! Al sesto chilometro gocciolavo dai pantaloncini! Che schifezza. Ma l'acqua espulsa dal mio corpo non mi ha comunque impedito di guardarmi intorno e scorgere affinità con la già citate isola ribelle, e anche con la mia tanto amata africa. In alcuni punti mi sembrava di essere in Camerun! Una zona in particolare, dove un vecchio, vecchissimo hotel decadente, con la sua fatiscente insegna luminosa, ha attratto la mia attenzione: il suo colore azzurro acceso, il suo porticato antecedente l'ingresso, mi ha richiamato alla mente uno dei tanti "postacci" dove alloggiavamo ai tempi di inter campus. Quegli hotel che negli anni sessanta, post decolonizzazione, dovevano essere stati pensati per essere di super lusso, e che ora faticano a stare in piedi, assaliti da dietro dalla natura, che con le sue "fresche frasche" cerca di riprendersi lo spazio rubatole dall'uomo per le sue costruzioni, e da davanti sono abbrustoliti dal calore del sole e dalla feroce, come direbbe Max, umidità. Anche il colore della gente che incrocio lungo il mio allenamento mi riporta alle strade africane, così come gli improvvisati banchetti di frutta colta dall'albero retrostante e apparentemente abbandonati a se stessi. 

So, o almeno, credo di sapere, che è sciocco fare paragoni tra paesi del mondo, ognuno ha le sue peculiarità, ognuno è unico, a modo suo, ma mi piace ricercare famigliarità in ambienti sconosciuti, appena incontrati e che magari mai più rivedrò. 

Rispetto, infatti, alla mia precedente "vita" di allenatore-viaggiatore, ora difficilmente avrò l'opportunità di tornare negli stessi posti, quindi è quasi impossibile che possa rendere a me conosciuti, famigliari, appunto, questi luoghi, per cui la costruzione mentale di ponti tra ciò che conosco bene e il qui, è una cosa che mi accompagna quasi involontariamente. 

Nel mio girovagare pomeridiano (si, non mattutino: sono da solo a dover gestire il tutto, accompagnato dal responsabile del progetto e dalla "capa suprema", per cui mi sento un po' sotto pressione e dormo malino, per cui preferisco tuffarmi sulla strada alla fine della giornata, piuttosto che all'inizio) oggi sono arrivato fino a un mega complesso sportivo, un po' abbandonato, non curato, ma comunque tutt'ora funzionate, intitolato a Marion Jones, la super atleta americana, che ho scoperto poi essere stato finanziato proprio da lei, in quanto originaria del Belize, per poi fare dietro front e passare di fianco all'aeroporto cittadino (nel senso stretto del termine, visto che gli aerei decollano praticamente in mezzo alla strada) e tornare sui miei passi, lungo il Malecon, pronto per la cena. 

E domani si vedrà

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