giovedì 12 dicembre 2024

Saudi Arabia

 Intenso, intensissimo viaggio. Più del solito, anche più caotico, complesso del solito. Un po' per la realtà in cui son stato catapultato, un po' perché il nostro partner per l'evento che stiamo lanciando è alla prima vera esperienza "sul campo" e le persone che fisicamente seguono le cose, per quanto super gentili e coinvolte, motivate, non hanno alcuna esperienza in questo ambito, pur avendo un cv spaziale. ma per altre cose. 
Caotico, dicevamo: ieri mi son ritrovato a gestire sui tre campi che mi avevano affidato per il torneo per il quale avevo seguito l'organizzazione, il triplo dei bambini previsti, richiesti e la metà degli assistenti che mi avevano promesso! ovviamente senza alcun preavviso, senza che nessuno sapesse nulla. All'orario convenuto i bambini hanno iniziato, puntuali, ad arrivare, ma...non sono mai finiti! davvero, non esagero: un fiume in piena di nani sauditi, o con tratti somatici asiatici, indiani, qualcuno europeo, uno via l'altro, senza sosta. e tutti...da soli, senza accompagnatori, professori, genitori, zii, nonni o parenti ("oggi è vacanza", mi dice la ragazza responsabile csr di aramco. "i genitori ne hanno approfittato per lasciarci i bambini e godersi la giornata". Mortacci...). Niente, animali liberi, nelle mani del "fifa guy" e del suo torneo, assistito da 6 professori di educazione fisica inizialmente, due di loro parlanti inglese, che poi, magicamente, si son ridotti a tre. e nessuno di questi che sapeva che cazzo doveva fare! non nascondo il panico provato e l'intenzione a un certo punto, di formare squadre a caso per farle giocare randomly, una via l'altra, senza classifica, blue card e tutto il resto delle cose che avevo previsto. Poi mi son ripreso, son tornato in me, ho tirato in mezzo tre ragazzi della manutenzione dei campi, gli allenatori della federazione che hanno avuto il malaugurato ardire, per loro, di chiedermi se avessi bisogno di aiuto, ho affidato ai primi il compito di gestire i campi, ai secondi la gestione "tecnica" di ciascun mini torneo, ai volontari il compito di girare tra i tornei per riportarmi i risultati, in tempo zero ho messo in piedi 30 squadre (30!!!), le ho divise in 5 tornei su 5 campi (perché nel frattempo ho preso possesso anche di due campi a cinque inizialmente non previsti) e...ho iniziato a trottare tra i tutto il centro sportivo per avere tutto sotto controllo e assegnare, anche se un po' a caso, i punti "life skills"! E quanto ho trottato. Ma tutto questo, devo essere sincero, dopo lo spaesamento iniziale e la voglia di abbandonare tutto, con una bella dosa di serenità, di tranquillità, consapevole che comunque le cose sarebbero andate nella mia direzione. Non voglio fare il fenomeno, altri allenatori sicuramente avrebbero saputo gestire la cosa magari anche meglio, più velocemente (figa, mettermi a dividere i 300 e passa bambini per il numero delle squadre, per il numero dei campi, garantendo a tutti almeno tre partite, rispettando i tempi a disposizione è stata la cosa in assoluto più difficile e ha fatto emergere ancora una volta la mia assoluta distanza dalla logica matematica! Capra che sono), senza "rubare" ulteriori due campi ad Aramco , ma alla fine tutto è andato alla grande e tutti i bambini erano super contenti e gasatissimi per le partite, per i gol, per i cartellini blu, per tutte le cose nuove introdotte rispetto ai normali tornei. Insomma, è stata una super fatica, ma ne è valsa la pena. Certo è che la prossima volta voglio un incontro il giorno prima con tutte le persone che faranno parte dell'evento, per stabilire con anticipo doveri, compiti e responsabilità di tutti. Dovendo ripetere l'esperienza due volte all'anno per i prossimi tre anni, o almeno così è stato scritto sul contratto, voglio evitare un infarto tra un campo e l'altro a Dammam!


sabato 16 novembre 2024

La forza di una palla

 La giornata di lavoro si è conclusa molto positivamente, con tutti gli insegnanti/allenatori super coinvolti e soddisfatti delle 6 ore di lezione e della parte teorica e noi altrettanto contenti. Inoltre, forse per l'emozione di trovarci dove siamo, sia io che Anto (che di solito invece è un po' meno "abile" a creare un clima positivo con gli allenatori) ci sentiamo, ci troviamo molto a nostro agio con le persone che sono con noi, ci sentiamo ben accolti, inseriti, per cui per tornare approfittiamo della gentile offerta di Roger, il più anziano del gruppo. Lungo la strada, però, avevamo notato un campetto da calcio sommerso dalla neve venendo in questi giorni e il nostro piano era tornare a piedi con un pallone per fermarci a fare due tiri su questo candido manto normalmente erboso, per cui chiediamo al nostro autista di non portarci fino in hotel, ma di lasciarci al campo. Un po' stupito il nostro "amico" acconsente, per cui pallone al piede, iniziamo una serie di sfide: gol calciando la palla in movimento dalla porta opposta, colpire il palo da 20/30 metri, fino al gioco che mi teneva all'oratorio per ore e ore da bambino, il porta a porta (si cerca di far gol nella porta avversaria muovendosi liberamente nella propria metà campo, senza mai oltrepassarla e si difende la propria senza usare le mani). 1-0, 2-0, 2-1, fin quando il pallone, calciato lontano dalla porta e fuori dal campo, non ci viene rilanciato da un bambino di circa 8/9 anni. Riprende la sfida, si calcia, si scivola, si fa fatica a colpire decentemente la palla...e un altro bambino si avvicina curioso. Quindi un altro, un altro e un altro, tutti provenienti dalla scuola qui dietro. "Do you wanna play?" domando. Nemmeno il tempo di finire la domanda e scatta la sfida: 10 contro 2. E che "grinta" sti nani: entrate in scivolate degne di montero, corse e rincorse alla ricerca del pallone; per quanto poco educati al gioco siano, dimostrano tutti grande passione, voglia di giocare e alla fine vincono anche! Al momento dei saluti la domanda è unisona: "tomorrow?". Cacchio, ma che bello è giocare a calcio? 

venerdì 15 novembre 2024

Yellowknife

 Se cinque anni fa mi avessero detto che mi sarei ritrovato in questo posto, a nord del Canada, nei territori del nord ovest, oltre a provare imbarazzo per via del fatto che non avrei saputo collocarlo sulla mappa, avrei anche dubitato dell'eventualità. Ma Fifa mi sta facendo scoprire realtà altrimenti per me irraggiungibili, mi sta facendo vivere esperienze altrimenti inimmaginabili e, anche se a volte mi sembra di non meritarmele, che voglio e cerco di godermi fino in fondo. Questo lungo viaggio mi ha portato fin qui a vedere per la prima volta l'aurora boreale (uno spettacolo incredibile, assolutamente...astonishing rende più l'idea del nostro stupefacente), a camminare per strada a meno 18 gradi (nulla per questo posto, che tra un mese, mi dicono, si ritroverà a meno 35, meno 40, lo scorso anno a febbraio a meno 50!), ad incontrare una volpe mentre andavo al ristorante, a camminare per un buon 400 metri sopra la superficie ghiacciata del lago e...ah, già, a lavorare. Si, perché in questo posto assolutamente affascinante (per una settimana. oltre credo si potrebbe impazzire, considerando anche che tra poco il sole farà capolino all'orizzonte per un paio d'ore e nulla più) son stato catapultato per lanciare il progetto in Canada, per formare i primi insegnanti/allenatori, che poi inizieranno a girare e a "diffondere il verbo" e ad inserire il calcio nelle loro ore di educazione fisica. E ogni volta rimango stupito dalla forza di federazione per cui lavoro: è stato firmato un accordo con quello che potrei identificare come il ministro dell'educazione dello stato, dei territori del nord ovest, per cui da ora, per promuovere il progetto, le ore di educazione fisica diventeranno due nel corso della settimana. Non so quanto sia alla portata di tutti questa cosa. Ma meno male che si riesce a fare. Non tanto per il calcio in se, ma perché così, anche se ancora non abbastanza, i bambini hanno la possibilità di muoversi un po' di più. E ne hanno bisogno. In questo meltin pot di "razze" (ho incontrato gente originaria dello zimbabwe, della somalia, dell'egitto...) l'obesità sta diventando un problema sempre più grande tra i bambini più piccoli, mentre la dipendenza da droghe e alcol tra i più grandi, adolescenti così come adulti. Quindi promuovere un po' di sport male non può fare. E allora via, concentriamoci sul lavoro per un attimo, prima di tornare a pensare cosa poter vedere a Yellowknife

lunedì 11 novembre 2024

From est to west

 Rientrato a casa lunedì, eccomi oggi, domenica, di nuovo in viaggio. Questa volta diretto dalla parte opposta del globo. La destinazione, infatti, è Yelloknife, in Canada, nei territori del nord ovest. Esattamente dalla parte opposta rispetto a Honiara! Da +10 di fuso orario a -9, da +28 gradi di temperatura media, a -14. Spero il mio corpo non si ribelli,  non si lamenti, anche se in cuor mio so che non sarà così. In questi 20 anni di viaggi in giro "sui campi del mondo", appunto, non ho mai subito grossi scossoni per via di time zones o condizioni climatiche e non penso che questo viaggio faccia eccezione. Certo, è una bella rottura di cog....i ritrovarsi fermo in aereo per altre 12 ore, ma alternative non ne ho, quindi animo in pace e via, verso questa nuova avventura.

Arrivato a Vancouver ho 7 ore di stop, prima del mio aereo per quel posto sperduto nel mondo dove mi hanno spedito, per cui decido di lasciare il mio zaino al deposito bagagli e uscire per fare due passi, seguendo il consiglio di una gentilissima signora (credo dell'est europa, considerando il suo modo di parlare) dei controlli cui chiedo se sia possibile uscire dall'aeroporto. Il mio compagno di viaggi sostiene che pioverà a breve (ci sentiamo via whatsapp perché lui arriva da monaco e io da francoforte), ma a me poco interessa: dopo altre 12 ore passate seduto, sdraiato, in aereo, ho bisogno di muovermi, di sentire l'aria sulla faccia, di respirare ossigeno vero,  per cui pioggia, neve e vento di certo non mi spaventano. Ed in breve eccomi fuori. E ancora più velocemente eccomi in centro città, grazie al treno sotterraneo che collega l'aeroporto alla città. Qui mi lascio andare all'istinto: giro a caso, senza una meta, camminando di qui e di li, giusto per vedere, capire dove sono, dove mi trovo, giusto per muovermi e vedere qualcosa che non sia parte dell'aereoporto. La città è grande, ma tranquilla allo stesso tempo: è domenica e domani sarà un giorno di festa, e ciò sicuramente incide, però pur essendo in una città di quasi 700000 abitanti, tutto mi appare rilassato, tranquillo, piacevole. Cammino un paio d'ore a caso, passando  e perdendomi anche in stanley park (sarò provinciale, ma il Parco di Monza...), poi son costretto a rientrare in quel non tempo, in quel non luogo che è l'aeroporto, pronto per il prossimo volo diretto a Yellowknife, dove mi aspettano neve, ghiaccio, freddo...ma anche 30 allenatori e 100 bambini. E allora, via, partiamo! Domani recupero e da martedì si farà sul serio!

sabato 2 novembre 2024

What a day!

 Che giornata quella che si sta concludendo! Lunghissima e piena di mille eventi, cose fatte, esperienze che difficilmente ripeterò in questo posto, perché difficilmente ci si torna alle isole solomone, e specialmente qui, a Honiara!
Inizia tutto alle 5:35, quando la sveglia suona: ho in programma 32km di corsa, quindi, non volendo bruciarmi l'unico giorno libero di queste tre settimane, preferisco partire prestissimo, anche, cosa da non sottovalutare, per evitare il caldissimo del giorno. Esco quindi dall'hotel che manca ancora qualche minuto alle 6, svolto a sinistra direzione aeroporto e...il cielo è completamente arancione! Il sole è sorto da una decina di minuti, ma ancora non si staglia in cielo completamente, ed essendo la mia corsa rivolta verso est mi godo questi primi km con il sole in costante crescita davanti agli occhi. Si comincia bene, direi, e il proseguo è altrettanto piacevole e divertente. Non ci sono macchine in giro, fortunatamente, la gente è in giro per lo più a piedi e tutti quelli che mi incrociano si preoccupano di lasciarmi il passo sullo stretto marciapiede e di salutarmi. "morning, morning" è il ripetuto saluto offerto col sorriso dalle varie persone, al quale rispondo allo stesso modo: "morning, morning", ripetuto. 
Correndo mi accorgo ancora più di quando in macchina in questi giorni mi son diretto in federazione, di quanto questo posto sia inquinato. Terribilmente inquinato, davvero, non ho mai visto tante bottiglie di plastica, tante lattine, tante confezioni delle più disperate schifezze da mangiare, come qui. Spaventoso. Da tutte le parti. Visto così, mi sembra troppo tardi per poter invertire la rotta e provare a salvare questo pianeta, ma spero di sbagliarmi e che si possa trovare una soluzione per permettere anche alle prossime generazioni di correre in questi posti. Perhcè la corsa è proseguita fin oltre l'aeroporto, per poi fare dietro front e ripetere a ritroso lo stesso percorso per i restanti 16. non nascondo che al 26esimo ero devastato: un caldo umido opprimente ha fatto si che fossi completamente bagnato, come caduto in mare, non esagero, e il litro e mezzo di acqua bevuto fino a quel punto non sembra sia bastato (un bottiglione infilato nei pantaloncini e via). Va be', amen, sulle ginocchia, ma porto a casa il risultato. Devastato arrivo in hotel poco meno di tre ore dopo averlo lasciato, doccia, colazione e di nuovo fuori, direzione "tenarufall": abbiamo la macchina della federazione, abbiamo guardato la piantina per arrivarci (internet è solo per i locali: nessun network prende che non sia il loro, tanto che vendono sim card ad ogni angolo), abbiamo acqua per il trekking...via. Io guido, Anto mi fa da navigatore e in poco meno di un'ora ci ritroviamo in un altro pianeta: una volta usciti dalla città, infatti, svoltiamo a destra, come da mappa, e iniziamo ad inoltrarci nella foresta. Prima su strada asfaltata, poi su strada...strada, su una traccia sgangherata, piena di buche e di sassi giganti, ma intorno a noi alberi a perdita d'occhio, in ogni dove, di ogni forma e dimensione. Dopo circa un'altra ora di salti, abbandoniamo la macchina in uno spazio, perché non riusciamo a fare una salita piuttosto ripida, ma soprattutto scivolosa, difficile da affrontare senza un 4x4, ma per fortuna siamo a meno di un km dall'imbocco del sentiero e da li, entriamo davvero nella foresta. Io, Anto e i rumori della foresta: qualche goccia della pioggia caduta la sera che cade sulle foglie, qualche animale che striscia nel sottobosco, i canti degli uccelli e il frinire costante delle cicale. Con la mente torno nella foresta amazzonica, torno a quel lontano 2003, quando un viaggio cambiò tutto. Ma questa è un'altra storia. L'atmosfera è stupenda, la natura ci assorbe e in poco meno di un'ora, attraversando discese piuttosto ripide e dopo aver guadato un fiumiciattolo, arriviamo alle cascate. La stagione è quella secca, l'acqua non è moltissima, ma sufficiente per emozionarci: la caduta di quella massa, il suono, il vapore acqueo tutto intorno, rendono la vista unica. Ci sediamo su un sasso per godercela, in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, ma entrambi consapevoli dell'immensa fortuna che abbiamo. Abbiamo scoperto, vissuto questa esperienza unica, solo grazie al calcio. Mai sarei finito alle solomon islands, mai mi sarei ritrovato a queste latitudini, non foss'altro per la fifa. grazie.
Ritorniamo coi piedi per terra dopo circa un'oretta di contemplazione (confesso che sdraiato sul sasso, cullato dal rumore dell'acqua, mi sono appisolato...), gambe in spalla, e ripartiamo. Questa volta la strada è tutta in salita, ma i colori, i suoni e l'emozione, rendono la camminata, seppur intensa, rapida e quasi piacevole (oddio, i 32 me li sento tutti nei polpacci!), fino a farci scoprire un lodge! Fantastico! Son quasi le 14, siamo affamati, proviamoci. E il dio del calcio ci assiste anche in questa occasione: con una vista mozzafiato sulla foresta e giù, fino all'oceano, mangiamo del gustosissimo pollo, il giusto coronamento della giornata. Che però non è finita. 
Già, perché sulla strada del ritorno decidiamo di fermarci al mercato centrale, un enorme spazio vicino all'oceano, pieno zeppo di...tutto! Vestiti, borse, dipinti, cianfrusaglie varie, pesce (dei pesci giganteschi), frutta e verdura. Siamo gli unici bianchi in mezzo a migliaia di persone, ma non sembrano farci caso. Giriamo dappertutto, mi piace un sacco andare nei mercati, vedere la gente che vende, quella che compra, osservare i prezzi e fare paragoni. Poi scorgiamo una bancarella con dei mango pronti: non è ancora la stagione, ma questi son pronti! per fortuna ho ritirato moneta locale: via, due per 10 cazzilli locali, ossia poco più di un euro. L'investimento si può fare. Morso in cima per strappare la buccia e...madonnina che buono! Super succoso, saporito, morbido. Il mango più buone mai mangiato. Il giusto finale per un "beautiful day", come canterebbero gli U2.

giovedì 31 ottobre 2024

Bye, bye PNG

 Finalmente riesco a fermarmi e buttar giù un po' di pensieri, altrimenti dispersi nei meandri della mia malandata memoria. 

Chiusa la splendida esperienza in Papua, eccomi ora in Solomon Islands, un'altra MA sperduta nell'oceano di cui poco, pochissimo sapevo e di cui poco più so ora, da 48 ore su questa terra emersa. Giusto qualche informazione in più circa il fatto che son quasi mille isole a comporre questo Paese (mille!!!) alcune delle quali già in parte sommerse dalle acque, in costante crescita per via del riscaldamento globale, e circa i loro recenti problemi di ordine pubblico (recenti, parlavano di inizio 2000) dovuto a un diffuso mal celato scarso gradimento nei confronti del popolo cinese. E la cosa mi ha lasciato perplesso. Già, perché in questi giorni ho conosciuto un po' di gente del posto, tra allenatori e funzionari vari della federazione e mi han dato tutte l'impressione di essere super pacifici, aperti, accoglienti, rilassatissimi (vanno a due all'ora, altro che!), ben lontani dall'essere figure violente, aggressive e ribelli. Invece, si vede, ancora una volta l'apparenza inganna. Inoltre, sempre parlando con le persone, ho scoperto un'altra cosa che nella mia bieca ignoranza non consideravo: non so per quale assurda congettura, per quale inspiegabile ragionamento, mi immaginavo queste isole ricche, verdi, pulite e ben organizzate, invece... povertà diffusa, sporcizia ad ogni angolo di strada (oggi ho scorto un intero fiume, fiumiciattolo, completamente coperto di bottiglie di plastica. Una cosa impressionante!), strade indecenti, traffico ad ogni ora del giorno e della notte, insomma, un macello. L'altro ieri ho deciso di uscire per il mio allenamento, di non rintanarmi ancora in palestra come in PNG, anche perché tutti mi hanno assicurato essere super tranquilla la città, nonostante tutte le problematiche, e lungo i km previsti che mi hanno portato fuori Honiara mi son imbattuto in villaggi fatti di palafitte, con gente a piedi scalzi, con indosso solo i pantaloncini (e una maglietta, se donne) intente a...far nulla. Nulla, eran per lo più tutti seduti a bordo strada e si sono animati alla vista di un povero pazzo bianco che di corsa sfidava la polvere e le bottiglie di plastica della strada. E per loro son stato l'evento della settimana: i bambini, come in africa,  mi han seguito per un pezzetto, le mamme dalle palafitte  mi chiamavano solo per dirmi "good evening", gli uomini mi salutavano con un cenno del capo o della mano; tutti sorridenti, all'apparenza felici di vedere questo pirla sudato. Non ho mai avvertito una sensazione di pericolo, non ho mai avvertito ostilità, nemmeno al ritorno, quando ormai era buio: qualche fuoco acceso per illuminare, qualche rara lampada, ma tutti sereni e sorridenti. Ci deve essere qualcosa che mi sfugge, che non riesco a capire, per arrivare alla felicità, vedendo queste persone. La cosa ancora più strana, quindi, rimane per me immaginarmi questo popolo scatenare sommosse perché non vogliono i cinesi da queste parti, o perché il primo ministro sottoscrive accordi economici con la cina. 

Quante cose non so

domenica 27 ottobre 2024

Strugglin' with the jet lag

 Ancora una volta, se mai ne avessi avuto bisogno, ieri mattina, al risveglio, ho avuto la conferma che il jet lag non esiste. O meglio, esiste solo se ci si autoconvince del fatto che qualche ora di differenza possa influenzare il nostro sonno e le nostre giornate. Dopo l'infinito viaggio, arrivato in hotel a dir poco devastato, mi sono immediatamente attivato, sono anche andato ad allenarmi in palestra e alla sera, ore 21, testa sul cuscino e chi si è visto si è visto. Fino alle 6:30 del giorno seguente, per merito solo dell'insistente sveglia, ho dormito come un bebè. Certo, al risveglio mi son dovuto cacciare sotto una doccia gelata per realizzare dove fossi e cosa dovessi fare in quello strano posto, però le 24 ore seguenti sono andate alle grande, senza crolli o coli. La gente che ho incontrato in questo workshop sicuramente ha contribuito, ma il famigerato jet lag, ancora una volta non si è palesato. Spero rimanga un pensiero lontano anche nei prossimi giorni. 
Dicevamo, la gente: sorridente, accogliente, generosa...un mix stupendo di persone provenienti da tutte le regioni, ognuno con le sue tradizioni, addirittura la sua lingua (e chi lo sapeva che in PNG coesistono circa 1000 popoli e 800 lingue! 800!!!), ma accomunate tutte da un enorme senso di fratellanza, di convivialità, di socialità. Nelle parole di tutti e nelle loro risposte alle mie domande si percepisce l'importanza che danno alla comunità, al gruppo, la centralità del bisogno di tutti di convivere con gli altri, di aiutarsi e supportarsi. In tantissimi nel gruppo di 34 allenatori/professori che sono con noi sono impegnati nel sociale nei più disparati progetti e la cosa che mi ha stupito di più è che quasi la metà di questi prof parla la lingua dei segni! Non che ci siano sordo muti ad ogni angolo, ma per includere tutti, in tante scuole, si insegna anche la lingua dei segni. Magari esagero, ma la cosa mi ha colpito un sacco. E questo loro "socialismo" lo si vede in azione durante le nostre lezioni, durante i lavori di gruppo che abbiamo proposto: tutti partecipano attivamente, con grande rispetto reciproco e grande attenzione nei confronti di tutti (abbiamo anche due prof disabili nel gruppo, ma è come se non ci fossero). Son veramente colpito. Eppure avrebbero di che essere incazzati e ben poco aperti e accoglienti: Papua è il 147 paese su 193 nella scala dal più ricco al più povero, la capitale soprattutto, ma anche altre città di questa immensa isola sono pericolosissime, soprattutto dopo il calar del sole (che palle essere costretto a correre sul tappeto), la disoccupazione è dilagante e l'abuso soprattutto di un frutto, il betel nut (una specie di cicca che si ricava da una palma, che dona sazietà, euforia ed è stimolante, donandoti quindi energia supplementare) è una piaga dilagante, eppure niente di tutto questo sembra aver intaccato i nostri compagni di avventura, così come tutto il personale dell'hotel. Insomma, meno hai e più sorridi e sei aperto e accogliente. Forse questo betel nut lo diffondono nell'acquedotto...

venerdì 25 ottobre 2024

Zurigo-PNG in sole 32 ore...

ZURIGO-PORT MORESBY
 
Dopo tre intensissimi giorni a Zurigo, in HoF (mi piace questo nickname: house of fifa), eccomi in volo da ormai quasi 20 ore! Madonnina, ho le piaghe al culo! Ma andiamo con ordine: cosa ci facevo questa volta a zurigo? Dopo due anni di insistenza, due anni in cui ai diversi manager che si sono succeduti a capo del progetto ho illustrato il mio progetto di creare un area tecnica, selezionando almeno 5 allenatori, uno per continente, così da avere un supporto operativo in loco, utile per girare tra i vari nuclei, le varie scuole del progetto, per controllare, supportare e riportare, e fondamentale per iniziare un percorso di “refresh”, finalmente grazie anche al supporto di Antonio, convinto come me della necessità di queste figure, eccoli qui, gli allenatori selezionati. Da Costa Rica, Chile, Jamaica, UK, Burundi, India e Thaiti, tutti con un corposo e interessante cv, tutti con una qualche forma di collaborazione già attiva con FIFA, eccoli con noi per questo workshop durante il quale con il sostegno di Anto ho avuto come primo obiettivo quello di illustrar loro cosa dovranno fare, come dovranno fare ciò che chiediamo e soprattutto come assumere questo nuovo ruolo, per loro, di coach educator, trattando anche una parte, per me sempre fondamentale, in campo, con bambini. Due allenamenti gestiti da me e uno da loro. E il campo, paradossalmente, da quando ho a che fare con allenatori con il cv di cui sopra, è sempre un momento “difficile”. Non che abbiano combinato casini, le sessioni sono andate bene, i bambini erano coinvolti e divertiti, ma emergono sempre gli stessi limiti, le stesse imperfezioni, che non mi aspetto da questi profili: uso della voce (figa, sussurrano), postura in campo (chi con le mani dietro la schiena, chi si rivolge al gruppo, dando le spalle ad alcuni bambini), ma soprattutto in difficoltà nel gestire “l’emergenza”, la situazione non controllata, inaspettata ( l’esercitazione non viene, non prende forma, i bambini sono in difficoltà e va “scalato” l’esercizio, lo spazio scelto è evidentemente troppo poco per permettere ai bambini di realizzare l’esercizio…). Ripeto, sono sfumature, alla fine non ci son state interruzioni, problemi evidenti, ma dovendo loro diventare degli allenatori di allenatori, credo non debbano aver bisogno di me per riconoscere, capire e intervenire. Ma forse sbaglio io, son troppo esigente. È una cosa che mi chiedo spesso, soprattutto ultimamente, guardandomi indietro, ripercorrendo alcune tappe della mia carriera. Forse ognuno ha il suo modo e deve mantenerlo inalterato, proprio, specifico, anche con questi che per me sono inciampi, ma che in realtà non hanno ripercussioni sulla seduta, sui bambini. Ripenso ai primi corsi in congo, con Alain, quando disegnavo un vero e proprio stile, modello, che tutti gli allenatori parte del progetto facevano proprio, adattandolo alle loro caratteristiche, ma forse, penso ora, cancellando alcuni loro tratti. O in Angola, i primi anni con Stefano, o in Uganda…non so. Certamente rispetto ad allora son meno “nazista”, ma certi principi dell’essere allenatore-educatore, li ritengo fondamentali, quasi imprescindibili. E parlo di allenatore-educatore, non di allenatore “normale”. Questo doppio ruolo richiede e penso debba richiedere doppie conoscenze, competenze, abilità. Non basta proporre una esercitazione, non basta migliorare il gesto tecnico. Attraverso questo miglioramento devono passare altri messaggi, devono arrivare altri apprendimenti e per forza di cose io, allenatore, devo essere qualcosa di diverso. Facile allenare bambini selezionati, ultra motivati, super appassionati di calcio; un po’ meno quando il tuo audience è composto da bambini magari alla prima esperienza con la palla, bambine che magari solo grazie al progetto per cui lavori hanno accesso allo sport, al movimento, pre adolescenti con già un grande passato di violenze e problemi di vario genere. Con loro il gesto tecnico rimane fondamentale (c’è poco da filosofeggiare: vogliono imparare a giocare. Vogliono giocare le partite e poter competere coi compagni durante l’intervallo a scuola, per strada o col fratello a casa), ma insegnando come meglio entrare in relazione con quella palla magica dobbiamo renderci conto che stiamo lavorando sulla loro autostima, sulla loro percezione del proprio corpo, sulla loro socialità…su un sacco di altre cose, altrettanto fondamentali. Per cui se lo spazio è troppo stretto e l’esercitazione non prende bene il via, il bambino non si diverte, non sperimenta, non viene “convinto”, coinvolto e magari perdiamo l’occasione di farlo nostro, di inserirlo nella nostra squadra e di accompagnarlo, attraverso la sfera di cuoio, nel suo percorso di crescita, di sviluppo. Per lo meno di ciò son convinto, oggi in fifa ancora più di prima in inter, perché l’opportunità di “catturare” bambini ora è decisamente più ampia e quindi molti più nuovi “calciatori” possono essere formati, secondo questi principi. Nessuno di loro diventerà professionista, ma tutti loro, si spera, diventeranno adulti con una migliore e più ampia base educativa.
Dopo questo pippone moralista, riprendo controllo dei miei pensieri e torno sulla terra…no, non sulla terra, ma in cielo, in questo momento quasi prossimo all’Australia. Dove un altro aereo mi aspetta, destinazione port moresby

giovedì 5 settembre 2024

ESWA che???

 Confesso la mia estrema ignoranza: prima che mi dicessero che sarei dovuto andare alla EFA, eswatini football association, per tenere un corso a circa 60 allenatori locali, non avevo la più pallida idea di dove si trovasse questo Regno. Mi sono quindi un po' documentato pre viaggio e soprattutto ho tempestato di domande il TD (technical director) e l'autista che mi hanno scorrazzato in questi tre giorni in giro per Manzini e Mbabane, le due principali città del Paese, per capirne di più e arrivare a scoprire che eswatini=swaziland! Nel 2019 hanno cambiato la denominazione ufficiale in Regno di Eswatini, Eswatini kingdome, per emanciparsi utleriormente dal passato coloniale, essendo il nome swaziland figlio di una storpiatura nella pronuncia dei britannici. Il popolo infatti è il popolo "swati", che gli inglesi pronunciavano più "swazi" e che quindi ha dato origine s swaziland, la terra degli swazi. E la e davanti??? Anche questo ho chiesto. Nella loro lingua la pronunica di "swati" avviene con un suono iniziale che ricorda la e, appunto, per cui hanno deciso di porre quella lettera, in minuscolo, davanti alla s nella denominazione ufficiale, che infatti e eSwatini. Che rebelot. E pensa nella pratica quanti cambiamenti ha portato questa rivendicazione dal 2019: banalmente la federazione calcio prima era SWA, swaziland football association, ora ESA (cazzata, vero. Però han dovuto cambiare tutti i simboli, loghi, da tutte le parti), i vari ministeri e ministri hanno cambiato denominazione, lo stesso aeroporto ha cambiato nome. Chissà da dove è nata questa esigenza...

Anyway, eswatini, o swaziland che sia, questo paese è stata un'altra piacevole scoperta. Ho avuto anche il culo di capitare esattamente nei giorni dedicati ai festeggiamenti per il compleanno del re, per qui ho potuto assistere a balli e cerimonie tradizionali, con migliaia e migliaia di persone in gonnellina, con la lancia e lo scudo, che ballavano e cantavano, per festeggiare il loro sovrano. Una esperienza unica che mi ha fatto vivere nuove emozioni africane. Ma la cosa più bella penso sia stato l'incontro con le persone: tutti super accoglienti, sorridenti, pronti alla battuta e allo scherzo, mi hanno seguito con grandissima attenzione e interesse in aula e in campo, per poi "tirarmi in mezzo" nelle loro discussioni, coinvolgermi per raccontarmi il loro paese, una volta usciti dal campo. é una cosa questa che scatena sempre in me una serie di riflessioni, la più ricorrente delle quali è: ma se fossi qui senza queste 4 lettere stampate sul petto e questo ruolo di "facilitator", come mi chiamano loro, sarebbe tutto uguale? Già ai tempi dell'Inter mi chiedevo questa cosa e adesso che il carrozzone è ancora più grande e ingombrante, la domanda ricorre più frequentemente nella mia testa. La speranza è che si, anche se venissi con la maglia del VSE otterrei le stesse attenzioni, gli stessi comportamenti, ma il dubbio è legittimo. In ogni caso, forse grazie al marchio che indosso, anche questa volta ho vissuto un'esperienza indimenticabile, e ciò che mi porto a casa è sicuramente più di quanto non abbia lasciato nel regno di eSwatini, o Swaziland per i nostalgici. 

domenica 1 settembre 2024

The mountain kingdome

NON DI SOLO CALCIO VIVE L’UOMO
Per la prima volta nella mia storia in fifa, oggi abbiamo avuto un intero giorno libero, un’intera giornata da dedicare alla scoperta di questo paese. Ed è stato fighissimo. Un po’ perché in questo posto difficilmente tornerò, se non per conto della fifa, quindi questa è stata l’unica occasione per me di vivere l’esperienza da turista in Lesotho, e un po’ perché ciò che mi piace un sacco fare quando sono in giro è cercare di capire (difficile in pochi giorni), conoscere, esplorare il paese che mi ospita, per provare a crearmi un’idea, un’immagine che vada oltre quella che normalmente riesco a strutturare nella mia testa, costruita solo attraverso l’esperienza in campo, in hotel e in qualche ristorante. A volte sfrutto i miei allenamenti, le mie corse, per questo scopo, ma Maseru è una città sita a 1600mt di altezza, tutta fatta di sali-scendi ripidissimi e in più le mie giornate finivano sempre col buio; quindi, mi è stato difficile uscire dalla palestra per i miei allenamenti (ieri 21km sul tappeto…un incubo).
Colgo quindi, cogliamo io e anto, con grande entusiasmo la proposta del presidente di metterci a disposizione un auto e un autista per esplorare il paese. Decidiamo di puntare verso le cascate Maletsunyane, nell’interno, in quelle che qui chiamano le highlands. E puntiamo bene. Non solo per le cascate in sé, che a dirla tutta in questo periodo dell’anno sono certamente meno affascinanti di quanto non si veda nelle foto on line (siamo in inverno, tutto e secco e arido, c’è ancora della neve qua e la, o dei cumuli di ghiaccio, quindi anche la cascata ha poca acqua. Per quanto comunque affascinante, manca qualcosa), ma anche per il lungo viaggio (quasi 180 minuti!) che ci conduce attraverso le montagne al nostro obiettivo. Lungo questa strada il paesaggio è affascinante: alte montagne “violente”, aspre, secche e valli, canyon rocciosi con sparse, qua e la, sui pendii, piccole capanne di fango e paglia, di forma circolare, in numero ridotto (villaggi di 10, 15 capanne, ogni volta)…in the middle of nowhere!
Difficile pensare, immaginare, la vita di queste persone in questa realtà, in queste condizioni. Pastori, agricoltori, si muovono a piedi o a bordo di asini e conducono il loro bestiame al pascolo con il loro tipico cappottone (una specie di tappetone, pesante e colorato, che indossano sempre, estate e inverno. Nel primo caso senza nulla sotto, nel secondo con calze coloratissime e ogni possibile indumento posseduto), il cappello tradizionale (una mini piramide di paglia intrecciata finemente, che non fa passare il vento, gelido e pungente in questo periodo…le mie labbra ne sanno qualcosa) e l’immancabile bastone, simbolo della loro mascolinità (le donne non possono usarlo). That’s it. Le loro giornate trascorrono così. Lente, quasi ferme, governate dal sorgere e calare del sole, scandite dal lento movimento dei loro animali sulle colline, sulle montagne…in un momento come questo in cui penso sempre più spesso a come il tempo ci sia sottratto ogni giorno da quel lager chiamato lavoro cui siamo tutti costretti, vedere questo “vivere completamente il tempo” (seppur in un modo magari un po’ noioso) ha scatenato in me mille riflessioni. Ma questa è un’altra storia.
E i bambini? Quando ci fermiamo saltano fuori dalle capanne, ci osservano di nascosto, i più coraggiosi si avvicinano, ma parlano solo sosetho, quindi non riusciamo a capirci. E i bambini, dicevamo. Loro come vivono questa realtà? Abbiamo incontrato delle scuole lungo la via (scuole…capannone rettangolari, non tonde, col tetto in lamiera, mono o al massimo con due stanze, due “classi”. Non riesco a immaginarmi le lezioni) e ne abbiamo visto qualcuno in divisa (pur essendo sabato, vestono la divisa, ci spiega l’autista, perché devono andare a qualche funzione, quindi devono indossare il loro abito migliore), quindi sicuramente le mattine le vivono a scuola e ne abbiamo visti altri giocare a calcio con palle fatte di paglia arrotolata, oppure al seguito dei fratelli più grandi col bestiame, quindi…anche per loro il mondo è questo. Con l’alternativa della scuola. Difficile da immaginare, se penso alla realtà in cui sono immerse Anna e Maggie. Ma il mondo, come mi piace dire, è più grande della mia piccola realtà e anche oggi ne ho avuto una dimostrazione.
Montagne, villaggi, bambini, scorrono fuori dal finestrino o sotto i nostri occhi grazie alle pause, fino all’arrivo alle cascate. Qui un piccolo trekking ci porta dalla parte opposta del canyon dove l’acqua del fiume “casca”. 200 metri di caduta in mezzo a questo canyon selvaggio, aspro, rocciosissimo. Che bellezza. Che esseri piccoli che siamo di fronte a tutto questo…così piccoli, eppure così arroganti da pensare di essere noi il risultato finale del percorso di evoluzione delle ultime migliaia, degli ultimi milioni di anni. Noi, i sapiens, sapiens, siamo al di sopra di tutto questo, dominiamo e governiamo tutto questo. E lo distruggiamo…
Nel viaggio di ritorno una piccola lezione di storia ci accompagna, grazie al nostro autista, che ci racconta la storia del paese da quando il primo re, sorothoshese the first ha unificato le 16 tribù in un unico popolo, i basotho,  prima di fermarci a Roma (un villaggio fondato dai missionari evangelizzatori italiani e oggi città, sede dell’unica università del paese) per mangiare in uno di quei posti ove cerco, cerchiamo, sempre di fermarci quando siamo nel continente nero. Una baracca a bordo strada che cucina sotto i tuoi occhi (a volte sarebbe meglio chiuderli gli occhi…) e che per portarti da bere va ad acquistare l’acqua alla baracca vicina. Non possiamo esimerci dal mangiare la “paya”, il piatto tipico (ciò che in angola è chiamato fu-fu, in uganda matoke…sempre la stessa cosa, ma con nome diverso) con del pollo sicuramente ruspante e aggiungere anche questa esperienza super positiva al nostro bagaglio.
Wow. Quante cose ho messo in valigia, oggi. Bellissimo assaggio del paese. Difficile tornare da queste parti, ma se dovesse accadere saprò già qualcosa in più

giovedì 29 agosto 2024

The terminal

 Questa esperienza ancora mi mancava e allora perché non viverla? Il mio cuore ne ha risentito, ma comunque anche questa mi è servita e mi servirà. Andiamo per ordine:
concluse le vacanze, delle splendide vacanze, con un po' di malinconia saluto le mie donne a Velturno e rientro a casa per organizzare la mia partenza. Passaporto, visto non occorre, zaino...preparo tutto attentamente, come al solito, e per sicurezza, come faccio sempre, controllo anche il sito viaggiare sicuri per aver conferma di non aver bisogno di nulla di particolare per entrare in Lesotho prima e in Swaziland poi. Tutto sotto controllo, posso partire. Il viaggio fino a Johannseburg è lungo, ma il fatto di essere un volo notturno me lo fa percepire meno noioso e infinito (alla fine sono 14 ore...). Dormo infatti per gran parte del viaggio e mi sveglio giusto per atterrare in sud africa, dove mi incontro con il mio compagno di viaggio. Abbiamo poco tempo per la connessione, meno di un'ora, ma i controlli, passaporto e bagaglio, scivolano via lisci e arriviamo al gate di corsa, ma ancora in tempo. E al gate ecco la sorpresa: la hostess di terra non mi fa salire, non permette di imbarcarmi. "You don't have 2 free pages in your passport" continua a ripetermi. Ma, cazzo, nessuno mi ha detto nulla! Le mostro le mail di fifa travel, le mostro il sito dell'ambasciata italiana in Lesotho (che è quella sudafricana): nessuno cita in alcun modo queste due maledette pagine libere. Nulla, irremovibile. Off loaded. Antonio va, io rimango in aeroporto. E adesso? Che cazzo faccio? Provo a corrompere la signorina offrendole "una bibita" come si usa da queste parti, ma la ragazza non cede e l'aereo parte senza di me.
No panic: controllo le partenze. Alle 15 un' altro aereo parte da qui, direzione Maseru. Devo solo liberare due pagine da visti ormai scaduti. La fretta, però, è cattiva consigliera e inizio subito il certosino lavoro (già fatto altre volte, a causa del sovraffollamento del mio documento di viaggio e dell'impossibilità di rinnovarlo nel nostro evoluto paese) al gate, sotto gli occhi di quella tr..a della hostess di terra, la quale, non ne ho le provo, ma ho grossi sospetti in merito, chiama due poliziotti che forti della loro divisa mi requisiscono il passaporto e mi portano in una cazzo di stanza per accertamenti. Minacciano di invalidarmi il documento e chiedono spiegazioni e per fortuna dopo avermi mostrato i muscoli capiscono la mia situazione e mi lasciano andare. Ma con la promessa di seguirmi e di non permettermi di salire su di un volo per il Lesotho. Ok, adesso sono ufficialmente nella merda. Che cacchio faccio? 
Avanti e indietro per il terminal b sono mille le ipotesi che corrono nella mia testa e alla fine condivido con Antonio, lui si arrivato a Maseru, tre possibilità: la federazione mi viene a prendere in macchina (siamo a circa 5 ore di distanza); la federazione fa pressione tramite i due ministri coinvolti nel progetto che devo andare a lanciare, affinchè possa passare; alle 19 c'è un aereo che torna in europa...Sono quasi le 10 del mattino e da quel momento inizia una giornata che non avrei mai voluto vivere. 
Chiamo fifa travel, chiamo il TD della federazione del lesotho, chiamo il segretario generale. Si muovono subito, organizzano un incontro lampo (lampo...siamo pur sempre in africa) con il ministro dell'educazione per risolvere la situazione, scartiamo l'ipotesi macchina, ci diamo tempo fino alle 16:30 per sbloccare il tutto, altrimenti...back home. 16:30??? cazzo, sono le 12!!! Cosa cazzo faccio ora? Non posso uscire (anche qui due fottute pagine) dall'aeroporto, non posso fare nulla. Devo solo aspettare, affogando in mille pensieri. Vado, non vado, torno indietro, lascio solo antonio, riesco a gestire le cose come da programma, resto bloccato in sto cazzo di posto, compro un biglietto aereo, compro l'accesso in lounge per dormire un po'...alla fine...non faccio un cazzo. Cammino nervosamente, chiedo spiegazioni ai poliziotti di frontiera, chiamo la mia ambasciata, ma resto bloccato al termina b. 
Arrivano le 16:30, ma il telefono tace. Passano i minuti...nulla. Alle 17 mi chiama il TD: "chiedi a fifa di prenderti un albergo per dormire li a Johannesburg. Abbiamo il permesso sia per farti uscire dall'aeroporto, sia per venire qui domani, con l'aereo delle 6:40 del mattino. Così alle 9 sei in aula come se nulla fosse successo". Oh, wow. Bene. Ma quale è stato il problema? Balbetta, tentenna, farfuglia qualcosa circa il non aver avvertito le persone giuste. Anyway, ame. Son libero. Fuori di qui, subito. Chiamo fifa travel e in 5 minuti mi mandano la prenotazione dell'hotel e io in 20 minuti son fuori da questo posto tanto odiato nelle ultime 7 ore. 
Tutto risolto...si, tutto risolto, a parte un'altra simpatica disavventura col taxi, che mi scarica al "city lodge hotel" sbagliato, costringendomi a prendere un altro passaggio, ma tutto risolto. Ora sono a Maseru, la prima giornata di corso è andata, sto per svenire sul pc per la stanchezza, ma tutto si è risolto. 

lunedì 5 agosto 2024

Toccata e fuga

 Da -8 a + 6 in 48h: sembra una formula matematica, ma rappresenta i miei ultimi giorni. Poco, pochissimo tempo fa ero infatti a Tegucigalpa, Honduras, che si trova a - 8 ore rispetto a casa, ora sono stato catapultato in Malesia, a GeorgeTown, sull'isola di Penang, a + 6 ore rispetto a casa. Il tutto con una toccata e fuga di poco più di due giorni a Villasanta, meridiano zero per me. Ma per ora il mio corpo non sembra lamentarsi. O meglio, si è già ampiamente lamentato e ora ha poco da rompere. Al mio rientro dal centro america, infatti, visto che ero da solo a casa essendo silvia in montagna con Maggie e Anna via con gli scout, ho deciso di uscire per una corsa. Dopo la prima ora ho avuto un crollo fisico piuttosto importante, tanto che sono arrivato a casa strisciando e, dopo la doccia, sono crollato sul divano guardando le olimpiadi...guardando. Son durato forse 3 minuti, poi son svenuto e ho ripreso conoscenza alle tre del mattino, giusto per trascinarmi sul letto e proseguire il coma. Al risveglio ero uno straccio: gambe dolenti, polpacci di marmo, testa rintontita; mai sentito così. L'unico aspetto positivo è che ho dormito tutta notte, subire postumi da jet leg, ma ammetto che l'aver corso ieri per 90' sia stata una cagata pazzesca. Certo, ho dormito, ma la domenica l'ho trascorsa sul divano arrancando fino alle 17, quando mi son mosso per andare al compleanno di mio fratello, dove finalmente ho recuperato un po' sembianze umane. Ma la testa è rimasta super ovattata. Come da post sbronza. Ma sbronza serissima, come non capita da anni e anni e anni. Non ho saputo ascoltare il mio corpo, ho voluto seguire la mia sciocca scimmia e per 24 ore son stato uno straccio. Meno male che ora riparto...alla volta della malesia. Che è vicina, tra l'altro...

domenica 28 luglio 2024

Quando la passione fa la differenza

 Non so bene come, ma nonostante non sappia lo spagnolo, le quasi tre ore di lezione di oggi sono state un successo e tutti erano contenti e soddisfatti. Io per primo. Alla fine si è anche aperta tra gli allenatori una discussione interessante e anche perfettamente in tema con ciò che stavo dicendo loro (per un momento ho pensato che si fossero rotti il cazzo di non capire ciò che stavo loro dicendo e avessero deciso di aprire un dibattito alternativo; ma ciò su cui discutevano, perché non parlo, ma capisco, era parte dell'ultima cosa che avevo loro spiegato riguardo l'importanza del motivare, coinvolgere il bambino, tanto più quando è "scarso") che ha coinvolto la quasi maggioranza dei presenti, 38 allenatori che vanno dall'ultimo allenatore ad aver vinto il titolo con l'Olimpya, la squadra più importante e titolata del paese, alla prof di educazione fisica, senza alcuna conoscenza di calcio. E sul campo, nel pomeriggio, ancora meglio: quasi tutti si sono prestati a partecipare, a fare i bambini e ad essere guidati da me nel corso della sessione; tanti hanno posto domande, hanno fatto puntualizzazioni coerenti e in alcuni casi interessanti, su questo mio intervento, o su questa mia variante inserita. Insomma, ancora una volta la barriera linguistica attraverso il calcio, per mezzo o grazie a esso, è stata smantellata pezzo per pezzo. We all speak the same language, dice uno slogan di Ghetton, e oggi ne ho avuto ancora una volta la conferma. E sono ancora una volta rimasto colpito da questa cosa. Perché non mi stancherò mai, spero, di stupirmi di fronte alla grandezza dello sport più bello del mondo. Alla sua potenziale grandezza, mi correggo. Perché potrebbe essere sfruttato per un sacco di cose, ma poi è relegato a...cassano, adani, genitori che si malmenano in tribuna e allenatori tarantolati che urlano cose dai più impensabili, a bambini o bambine che di li a poco appenderanno prematuramente gli scarpini al chiodo. E la cosa peggiora di anno in anno, in una spirale negativa senza fine. Che spreco. 

Spesso mi chiedo: cosa posso fare per cambiare le cose? e spesso mi rispondo: non lo so. Non lo perché son veramente tanti, troppi, quelli che agiscono in quel modo diametralmente opposto al mio. Aspetta, non voglio dire che solo io so fare le cose come andrebbero fatte, sia chiaro. Conosco tanti mister che vivono pienamente il loro ruolo da allenatore/educatore senza trascurare, tralasciare nessun dettaglio, ma...siamo sempre pochi. E soprattutto relegati al dilettantismo. Il passaggio tra i professionisti è negato perché "se fai calcio, fai calcio. Se vuoi educare fai altro". Quante volte questa frase. In forma differente, magari, ma con la medesima accezione. E quante volte mi sono incazzato per questa stupida, limitata, superficiale, visione dell'allenamento. E quindi li, dove si diventa esempio per altri, tra i professionisti, si moltiplicano stagione, dopo stagione i Conte improvvisati, che sbraitano, guidano i bambini passo, passo nel corso della partita, e vivono il momento della gara con un solo obiettivo: vincere. Vincere e vinceremo, diceva...sappiamo tutti come è andata a finire. Forse è il caso di cambiare prospettiva. Ma come? Alla fine gli allenatori sono confermati o silurati, giudicati, sulla base dei risultati, c'è poco da favoleggiare. Che sia una under 8, o una under 16, se vinci sei bravo e confermato, altrimenti...te saludi, Ambroeus (cit). Quindi bisognerebbe partire dall'alto, da chi dirige...see, più facile farmi diventare bilanista. Insomma, non si può proprio far nulla? Forse una cosa si: continuare a spargere il seme relativo a questa idea di calcio, ad alto livello, professionale, certamente incentrato sul miglioramento tecnico del bambino, del calciatore, ma aperto anche a tutto quella che per i più è extra calcio e che se non riuscirà a fare del nostro piccolo giocatore il futuro campione, sicuramente ne farà un sicuro adulto migliore. E se diventasse calciatore? Be', un atleta con anche un buon livello di sviluppo di quelle che son chiamate life skills, certo non potrà che giovarne. Mi sembra così chiaro e semplice...

mercoledì 24 luglio 2024

Honduras...veramente in culo al mondo!

 Tralasciando il viaggio infinito per arrivar fin qui (alla fine son stato in ballo 38 ore per arrivar qui...in aereo, non in vespa, però. Davvero senza fine questa trasferta), l'atterraggio a Palmerola mi aveva aperto grandi speranze, nonostante ciò che sapessi di questo paese. Una volta uscito dall'aeroporto, infatti, seguito il consueto cartello "alberto giacomini Fifa", che mi fa sempre un certo effetto, e salito in macchina accompagnato questa volta da Jose Alberto, il viaggio verso la capitale, dove ora mi trovo e dove stiamo dando vita al corso, mi ha presentato un paesaggio che non mi aspettavo: una lunga strada di montagna, un sali-scendi costante, in mezzo a rilievi anche importanti (il mio autista dice che il monte più alto arriva fino a 2800mt!) e distese a perdita d'occhio di sempreverdi, delle foreste mi verrebbe da dire, all'apparenza quasi incontaminate. Insomma, non esattamente ciò che mi immaginavo e che ha stimolato la mia fantasia: già mi vedevo a correre sereno su e giù per questi boschi al termine delle giornate di lavoro, nel verde e nel fresco...ma la dura realtà mi si è manifestata dopo circa 90 minuti. Il tempo per arrivare a Tegucigalpa. La strada in discesa, le case che iniziavano a farsi più invadenti, alcune favelas tipo caracas sui fianchi delle montagne, le macchine che iniziavano ad aumentare...cazzo, mi sa che il fresco me lo scordo, ho pensato. Ma non solo. "jose, ma si può correre in città". La risposta è stata una grassa risata. "no, ma che correre. Non c'è spazio. Le strade sono piccole e sempre piene di macchine. E in più è pericoloso. Non rischiare. Resta in hotel e muoviti solo con me o con i ragazzi della federazione". Una coltellata al cuore. I miei programmi drammaticamente distrutti, radicalmente modificati, dalle poche parole del mio loquace accompagnatore (figa, in macchina non è stato zitto un attimo. Simpatico, per carità. Ma rimani simpatico anche se stai zitto un attimo e non mi fai mille e cinquecento domande!). 
E il breve assaggio della città che faccio di li a poco non fa che confermare il tutto. Arrivato in hotel ho giusto il tempo di una doccia e poi devo volare prima al ministero dell'educazione per incontrare il ministro e quindi in federazione per definire e controllare che tutto sia pronto per domani, giorno di inizio del corso. E le strade sono mega congestionate, ma soprattutto...piccolissime! Sono strade a due corsie, ma piccole corsie, stracolme di macchine, autobus, moto e...pedoni. Già, perché i marciapiede sono un'utopia da queste parti e quindi le persone non possono far altro che riversarsi in strada, a bordo strada, per raggiungere i propri luoghi. Sembra che la città sia esplosa in poco tempo, che il numero di abitanti sia decuplicato nel corso di pochi giorni, per cui le infrastrutture non siano state in grado di adeguarsi, di crescere di pari passo. Macchine ovunque, in questi tunnel mono corsia, o su questi viadotti altrettanto piccoli, moto che si districano tra le lamiere, ma anch'esse costrette a muoversi a rilento, taxi e autobus a passo d'uomo. Madonna, certo che non si può correre qui! Ma nemmeno vivere. Che cavolo

giovedì 27 giugno 2024

I numeri sono interpretabili...

 

“100, ne ho chiesti 100, vedrai che saranno 100 i bambini. Conosco bene i TD, mi fido di lui”, mi ripete come un mantra Anto da stamattina. Io credo che non sarà così, ma non si sa mai: FIFA è un marchio pesante, più grande di tutto nel calcio, quindi magari riesce a contenere…la fantasia ugandese. Il mio compagno di viaggio è nervoso, stressato: il festival, il torneo finale, lo vive come un momento di giudizio del suo operato (via, del nostro) da parte del super boss, la sua riuscita DEVE essere perfetta, senza inciampi da parte di nessuno e la mia calma, il mio sorriso ebete capisco che un po’ lo infastidisce. Arrivati al campo decido quindi di intervenire per provare ad aiutarlo, mi spiace vederlo così, incapace di godersi tutto questo: “Anto, tu occupati dei vari VIP che dovranno intervenire, pensa ad organizzare tutto questo al meglio, non preoccuparti del campo. Ci penso io”. Anche perché io non son propriamente un “politico” (ricordo quando ho detto alla mia famiglia che avrei iniziato a lavorare per la FIFA mio fratello Gianfranco che disse “Tu? In un ambiente così politicizzato? Duri due mesi”), uno capace di sorridere e stringere mani, e di gran lunga preferisco una palla e un campo da calcio pieno di bambini e allenatori. Lui accetta volentieri, io, sempre sorridente, mi dirigo sul rettangolo verde e in mezz’ora circa organizzo i campi e “istruisco” i coaches. Tutto perfetto. Al calcio di inizio i bambini sono…130! Confesso che un po’ rido. Il mio amico spagnolo sbarella, richiama il TD, ma nel mentre, un po’ di corsa per evitare interruzioni, io divido i gruppi. Un po’ numerosi, vero, sarebbe stato meglio averne meno per una perfetta riuscita anche “tecnica” delle cose, ma cosa fai, mandi a casa 30 bambini? Ce ne sarebbero un’altra trentina intorno, ma non oso nemmeno chiedere di includerli: va bene così, per oggi. Via, iniziamo!
Giro tra i campi, i coaches son presi, gasati, alcuni son proprio bravi, coinvolgono i bambini e correggono gli errori tecnici, altri…miglioreranno, ma il colpo d’occhio è eccezionale. Almeno, io penso sia eccezionale: un campo in erba sintetica bellissimo, nel mezzo della terra rossa e dei campi verdissimi, 130 bambini che giocano con 43 palloni adidas super professionali a disposizione (quasi un record da queste parti dove in trenta giocano con una palla fatta coi copertoni delle bici ripieni di stracci!) e tutti che sorridono. Che spettacolo! Crea dipendenza

mercoledì 26 giugno 2024

TUTTO DI CORSA

 Giusto il tempo di atterrare ed eccomi in macchina, direzione Jinja. La mi aspettano per il "kick off" previsto alle ore 14:30, ma nutro qualche dubbio circa il nostro orario di arrivo. Il mio autista, come tutti da queste parti, è super ottimista, ma pur mancando da un po', ricordo bene il traffico insostenibile di Kampala e per andare a nord dobbiamo attraversarla tutta! Infatti...dopo due ore siamo ancora a Kampala, tra camion, matatu e boda boda che compaiono improvvisamente da ogni parte. Il viaggio è lungo, a tratti pare infinito, ma Andrew, l'autista, è un simpatico chiacchierone, per cui le ore passano serenamente in compagnia. Finalmente, con un'ora di ritardo e con 4 ore di macchina sul groppone, eccomi al technical center. Entro di corsa e noto subito la presenza di Kenny, il super mega capo, forse la terza figura più importante in fifa dopo segretario generale e presidente. Fu.k, non ne sapevo nulla. Non male avere tra gli spettatori il tuo nuovo capo, con un volo notturno sulle spalle e un viaggio infinito in macchina. La tensione però svanisce rapidamente, per lasciar spazio alla contentezza quando tra il pubblico scorgo anche Michael e Ben, mie vecchie conoscenze dei tempi di inter campus, miei vecchi amici nella mia "prima vita" in giro per il mondo. Esordisco salutando i presenti in luganda, una delle più di 40 lingue del paese, la più diffusa che io sappia, conquistando così, con estrema semplicità, i favori del pubblico. Da li la strada è spianata e tutta la parte teorica vola via senza intoppi, con grande coinvolgimento dei coaches. La parte pratica, a seguire...ca va sans dire. senza pretese mourinhane, il campo è il mio terreno, li non temo nulla e le cose vanno alla grande fino alle 19:30, quando mi chiedono di fermarmi. E non appena mi fermo...crollo. Vengo assalito da una mega stanchezza, al punto da declinare l'invito a cena del mega boss, per tuffarmi nel letto alle 20:30, post doccia. Domani alle 6:30 suona la sveglia, altra mega giornata alle porte. Senza viaggi, questa volta

UGANDA DEL MIO CUORE

 Che emozione tornare in Uganda. Per me è un po' un cerchio che si chiude: qui nel 2019 tra le lacrime avevo annunciato che di li a poco avrei lasciato inter campus (anche se ancora non avevo una alternativa) per via del clima invivibile che si era ormai creato, per il rapporto ingestibile con "egli" e per tutta una serie di motivi che mi rendeva impossibile continuare a far quello che allora era per me il più bel lavoro del mondo. 

E tornare qui ora, sotto altre vesti, rivedere quelli stessi allenatori...o meglio un paio di loro che sono riuscito ad invitare al corso, e programmare con loro una visita a Nagallama domani o dopo domani, per me vale tantissimo. 

Qui dove pensavo che tutto ormai fosse concluso, che i mie campi del mondo sarebbero stati solo quelli della Lombardia, ora mi ritrovo carico di mille nuove esperienze e mille nuovi...campi alle spalle. Cercando comunque, nonostante tutto, seppur lontano, di continuare ad aiutare la stessa scuola, le stesse persone, gli stessi bambini di un tempo. Grazie a chiunque stia tirando i fili della mia vita. Grazie davvero. Perché fin dalla prima visita in Uganda (credo fosse il 2005, vero Max?) questo posto, come solo un paio d'altri, sempre in africa, mi ha regalato qualcosa di speciale, qualcosa di unico. Si parla tanto di mal d'Africa e, pur avendo sempre pensato fosse una cazzata, una invenzione di qualche fenomeno mzungo per far pesare le proprie esperienze in questo continente, anno dopo anno mi sono accorto della sua esistenza, del suo significato. Paesi come Uganda, Camerun, Angola e Congo mi hanno contagiato, mi hanno in qualche modo reso dipendente fin dal primo contatto, imprimendo nella memoria fin da subito una esperienza tanto unica e gratificante, capace di legarmi a loro a tal punto da farmene sentire la mancanza quando sono nelle mie comodità occidentali. 

Uebale, dunque, per questa nuova opportunità. Avanti tutta


sabato 25 maggio 2024

Dalian, city of sport

DALIAN


Non posso proprio dire che la Cina sia il mio paese preferito, ma come ogni altra volta che ho messo piede in questa immensa e diametralmente opposta realtà, rimango comunque incuriosito, interessato da ciò che incontro, dalle esperienze che vivo. Insomma, anche se non mi piace molto, qualcosa mi lascia sempre questo immenso paese. Certo, la gente che scaracchia per strada, uomini o donne che siano, i rutti (giuro, non esagero. Avevo parlato di queste cose su questo mio diario virtuale ai tempi dell’inter, ma ...) e l’olezzo costante di sigaretta nei luoghi chiusi, in particolare nei bagni, non rendono ai miei occhi attrattivo il tutto, però c’è sempre un'altra faccia della medaglia da osservare e la loro ospitalità, la loro efficienza, il loro ordine e la loro storia, diversa ed “enorme” da città a città, accendono sempre il mio interesse.


Questa volta sono a Dalian, sulla costa, "di fronte" a Corea e Giappone, un porto che ha rivestito un ruolo e un’importanza cruciale nel corso dei secoli e che è stato teatro di feroci battaglie per il suo controllo tra Cina e Russa e tra Cina e Giappone. Di quel passato è rimasto poco, solo qualche testimonianza del periodo russo in città e quello che prima era praticamente solo un grande porto oggi è una città di 5 milioni di abitanti che loro definiscono piccola (quando il ragazzo con cui parlavo mi ha detto che è una piccola città mi è venuto da ridere…tutto è relativo, alla fine) super tecnologica e super…sportiva. È infatti chiamata la città dello sport e quando arrivo al distretto dello sport capisco il perché: 16 campi da calcio, due campi indoor, uno stadio per il baseball, uno stadio per il tennis più sei campi di contorno, un palazzetto (palazzetto…) per il basket, una piscina olimpionica…tutto concentrato nella stessa area. Una Villasanta senza case, solo con strutture sportive e un mega albergo, dove risiedo. Risiedo io e risiedono circa 300 fra ragazzi e ragazze, dai 17 ai 15 anni, provenienti da 35 diversi paesi del mondo, invitati qui per la coppa del mondo ISF. Uno spettacolo indescrivibile. Se torno indietro al 2010 con la mente, a quando con inter campus organizzammo la coppa del mondo a Coverciano, e penso a quanto quell’esperienza possa essere stata unica per i ragazzi e per tutti noi, guardandomi ora intorno mi rendo conto che questi ragazzi stanno vivendo qualcosa di ancor più incredibile. Uganda che gioca contro Arabia Saudita, mentre sul campo vicino giocano Marocco e Chile, con terna arbitrale ufficiale, televisione nazionale cinese a riprendere la partita, giornalisti, tifosi o semplici curiosi sugli spalti. Incredibile. E poi…la vita fuori dal campo, al di la delle partite. Tutti nello stesso hotel, con attività organizzate quotidianamente per tutti per conoscersi, presentare la propria terra, le proprie tradizioni, la propria cultura. O anche solo per conoscersi, per stingere nuove, impossibili altrimenti, amicizie. Una esperienza che invidio a tutti loro, perché viverla a quell'età ti cambia la vita. O per lo meno te la arricchisce. E per questo voglio sfruttare questa occasione, essere qui, per  portare il collegio in questo network, per portare i nostri ragazzi a vivere questa esperienza unica. Troppo bello per non provarci. Ora però devo andare in aula: 72 allenatori cinesi, di Dalian, mi aspettano per la formazione. 

martedì 30 aprile 2024

Giornata infinita

 
Alle 14 siamo in aula, pronti per l’apertura ufficiale, accompagnati dal nostro direttore e dai vari presidenti e ministri, come al solito. E la percezione avuta durante la corsa se non accentuata e per lo meno confermata: anche questo posto, la sede della federazione, appare decadente, di un’altra epoca, forzatamente portato ai giorni nostri attraverso l’aggiunta di prese, deflettori per l’aria condizionata (che non funziona mai) e altre diavolerie moderne, ma poco…performante. Televisioni e giornalisti vari allungano un po’ le cose, ma fortunatamente circa un’ora dopo, siamo pronti a iniziare: i prof sono coinvolti, partecipano, condividono con noi il loro interesse, anche se qualcuno sembra un po’ tagliato fuori, lo vedo un po’ assente. Provo ad indagare e ciò che pensavo risulta essere vero: l’inglese qui è studiato da una piccola parte, per lo più dai giovani. Quelli della mia generazione fanno fatica a capirlo e a parlarlo, ma sti pirla non ci hanno detto nulla e quindi non ci siamo attrezzati con l’eventuale traduttore. Amen, proveremo a gesti e con qualche parola di italiano.
Il tempo passa velocemente, la parte teorica prevista per oggi mi sembra sia “arrivata” ai nostri amici eritrei, quindi ora possiamo passare a ciò che veramente conta: il campo. E li si che mi diverto. La passione, l’entusiasmo, ma anche l’attenzione a cogliere ogni particolare della mia spiegazione, delle mie correzioni è se non unica, per lo meno molto rara (almeno per la mia esperienza); in più di base tutti i bambini possiedono un buon bagaglio motorio, per cui risulta relativamente semplice per loro apprendere, conoscere, migliorare la gestualità tecnica nel corso delle 3 sedute che propongo. E quando trovi del “materiale umano” così, non puoi che divertirti, provando anche a spingere un po’ sull’acceleratore per lasciare qualcosa in più ai tuoi alunni, ai professori. Insomma, saranno loro a portare avanti il progetto e voglio che anche loro facciano proprie le cose in cui credo, le cose che da vent’anni (ellamadonna, vent’anni) porto in giro per il mondo. Si, perché una cosa di cui sono sicuro è che un progetto come questo, denominato “sociale” non può, non deve prescindere dall’insegnamento calcistico. I bambini e le bambine vogliono imparare a giocare a calcio, vogliono migliorarsi e crescere con quella palla tra i piedi, per cui se si vogliono passare messaggi “extra calcistici”, chiamiamoli educativi, la tua proposta calcistica deve essere di eccellenza. Non puoi pensare che con dei giochini da oratorio tu possa raggiungere lo stesso, altissimo obiettivo. Non escludo che giocando a palla battaglia, a sparviero o chissà a cos’altro possano divertirsi e anche interiorizzare, fare propri messaggi educativi, ma se rappresenti il calcio, cazzo, sei la fifa, o una qualunque altra realtà calcistica, non puoi ridurti a fare giochini del cacchio con le facce del mister per rappresentare le emozioni. I bambini vengono da te per fare calcio, per conoscere il calcio quello vero, quello che gli aiuta a conoscere meglio se stessi, le proprie emozioni, i propri stati d’animo; quello che gli aiuta a stringere amicizie solide che durano tutta la vita, che gli aiuta a conoscere e interiorizzare regole che condizioneranno, se non determineranno, il loro modo di essere adulti; quello che gli permetterà di conoscere momenti difficili, bui, in cui tutto sembra girare nel verso sbagliato, ma che grazie a quel fuoco, quella passione infinita per quella magica sfera di cuoio, passano, diventano insegnamenti, aiutano a sviluppare quella cosa che ormai non può più prescindere da un qualsiasi progetto educativo: la resilienza.
Insomma, è solo facendo calcio che si può educare, crescere, portare a “fioritura” un bimbo o una bimba. Solo che bisogna insegnarlo nel modo corretto, sfruttando tutto il suo potenziale educativo. Altrimenti si ottiene l’effetto opposto, ossia esattamente quello che la gran parte degli allenatori mondiali sta ottenendo.
Bada bene: non sto dicendo che io detengo la verità e sia l’unico a far le cose come dovrebbero essere fatte. No, no. Sto dicendo che ogni viaggio che faccio mi convinco sempre più che il calcio, ma lo sport in generale, debba essere insegnato a tutti, proposto a tutti, con gli scopi di cui sopra, e che io, nel mio piccolo, nel corso della mia carriera sto cercando con tutto me stesso di seguire questa idea e diffonderla il più possibile. Le mie esercitazioni, le mie sedute, possono sicuramente essere migliorate per raggiungere ancor meglio lo scopo, ma tutto è mosso da quell’obiettivo e oggi in campo, ancora una volta, voglio condividere quell’obiettivo con tutti e 55 gli allenatori che mi stanno ascoltando. O per lo meno fino a quando reggono perché, quando alle 19 circa il TD mi dice che è ora di chiudere e saluto i presenti, non so bene se l’applauso che nasce spontaneo sia per il lavoro svolto o per il semplice fatto che finalmente ho finito!
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giovedì 25 aprile 2024

Eritrea, un viaggio nel tempo

Al momento dell’atterraggio, scrutando fuori dal finestrino, il paesaggio mi fa subito pensare, forse capire, che questo posto debba essere speciale, quasi unico. I miei occhi, infatti, cadono su una immensa distesa arida, secca, con case basse, antiche, per non dire vecchie, sparse qua e la e…un relitto di aereo abbandonato, proprio li, a bordo pista, dove stiamo atterrando. Uno strano benvenuto, insomma, in un paese che, diversamente da altri del continente nero dove sono atterrato, non mi mostra subito baracche, capanne, oppure mega edifici che scimmiottano quelli delle nostre città. No, qui l’idea che sale subito alla mente è quella di una realtà ferma a qualche decennio fa, non decadente, fatiscente, semplicemente…vecchio. E questa idea è confermata poco dopo, quando entrando in aeroporto, tutto appare più calmo, meno frenetico, isterico, rispetto al “nostro” mondo moderno. Oserei anche dire troppo calmo per i miei gusti: per quanto non sia un isterico, sempre di corsa, sempre sotto pressione, l’attesa al controllo passaporti (per fortuna la federazione è venuta in pompa magna ad accoglierci, semplificandoci nettamente le cose, prendendo i nostri passaporti in mano e gestendo tutte le pratiche) e quindi quella alla consegna bagagli è infinita. Ma nessuno si agita, nessuno si lamenta: aspettano. E allora aspettiamo anche noi quasi un’ora, quando poi, lentamente ovviamente, i nostri bagagli appaiono sul nastro trasportatore. Via allora, verso l’hotel. Tre minuti cronometrati ed eccoci al “lussuoso”, almeno cinquant’anni fa, asmara hotel palace dove resto giusto il tempo per cambiarmi di abito e uscire a correre: il presidente, infatti, ci verrà a prendere tra due ore e siccome a me di mangiare interessa proprio poco, ne approfitto per una bella corsa rigenerante di 45 minuti, per iniziare la mia scoperta della capitale. E rimango stupito: pur nella mia ignoranza, conoscevo per lo meno a grandi linee anche prima di atterrare in Eritrea la storia della colonizzazione italiana nel paese, ma imbattermi ad ogni angolo in bar dal nome italiano (bar vittoria, bar aosta, bar della posta…), in hotel anch’essi con nomi famigliari (alla scala, bologna…) e soprattutto in edifici chiaramente, evidentemente, frutto del periodo fascista, mi colpisce positivamente. Anche se in me persiste un po’ di timore circa i sentimenti che possono accompagnare gli eritrei rispetto a noi italiani, considerando i sessant’anni in cui abbiamo occupato il loro paese. Ma giorno dopo giorno scopro che il ricordo è positivo, tutti gli anziani con cui ho parlato e che parlano italiano (chi ha studiato al collegio italiano, chi lavorava con italiani, chi semplicemente lo ha appreso in strada) hanno condiviso con me loro ricordi piacevoli di quei tempi, esperienze positive avute con gli italiani che hanno occupato queste terre. E che hanno costruito la capitale, si può dire: perché Asmara, la piccola Roma (ma molto piccola) è stata costruita quasi totalmente dagli italiani, che gli hanno dato la configurazione attuale. E correndo oggi per il viale principali la sensazione è proprio quella di essere a casa, ma…almeno cinquanta, sessanta anni fa! Tutto è piuttosto decadente, avrebbe bisogno di una sistemata, di una rinfrescata, in alcuni casi cade a pezzi. Insomma, si percepisce, si coglie la bellezza di un tempo, ma quella bellezza, ahimè, è ormai decaduta e per quanto rimanga affascinante, ti fa capire un po’ lo stato attuale delle cose.

Ma non ho più tempo: la corsa si conclude come previsto dopo 45’, ora ho giusto il tempo di una doccia e poi alle 14 si inizia il corso: 39 insegnanti di educazione fisica provenienti dalle 6 province del paese, più 16 allenatori della federazione (responsabili regionali per la federazione, o allenatori grassroots) ci stanno aspettando. E allora, via, che si cominci. 

Zimbabwe

 Finalmente mi fermo un attimo e come sempre mi succede quando riesco a staccare la spina, crollo! Tutta la stanchezza accumulata in questi dieci giorni tra zambia e zimbabwe, senza un giorno di recupero, mi presenta il conto e così, bloccato su questa seggiola in attesa del volo di ritorno, riesco a rimettere un po' insieme le esperienze di questi giorni. 

Gran bei giorni. Anche qui ad Harare ho incontrato gente splendida, sempre sorridente, pronta alla battuta, disponibile ed entusiasta, nonostante le non semplici condizioni in cui vivono. Alcuni allenatori per venire al corso hanno impiegato quasi un giorno, 18 ore di "public transportation", poiché residenti in alcuni villaggi lontanissimi dalla capitale, eppure...super motivati, sorridenti, eccoli tutti i giorni in aula e in campo con un carico di energia e di entusiasmo invidiabile. Altri, più "fortunati", han dovuto affrontare meno strada, ma si son dovuti scontrare coi prezzi assurdi della grande città. Assurdi, fuori controllo, da quando la moneta locale è stata dichiarata illegale (eppure al mercato, per strada, per copi, il taxi collettivo, si usa ancora) ed è stato imposto il dollaro americano come moneta ufficiale, al punto che a fronte di uno stipendio medio di 3oo$ al mese, un affitto costa mediamente 150$, una cena fuori (lo so che non è un metro di paragone per questo lato di mondo, il ristorante, ma per capirci meglio) va dai 30 ai 70$, un litro di benzina costà 1,5$...insomma, la situazione è fuori controllo. Non so davvero come facciano a vivere, a sopravvivere, eppure rimangono positivi, allegri, aperti e disposti a ridere, ad affrontare tutto questo con il sorriso, con la certezza (non so da dove derivi) del fatto che comunque ce la faranno. Se penso alle mie ansie da stipendio, da mutuo, spese famigliari, non posso che prender tutto ciò che un grande insegnamento.

domenica 3 marzo 2024

WHAT A DAY!!!

 Madonnina che giornata! Infinita e incredibile, ricca di incontri e esperienze uniche, che spero di portare con me per tutta la vita. E se non dovessi ricordarmi...ecco l'utilità del blog. Dovrò "solo" risalire alla data di pubblicazione della storia. 
Andiamo per ordine: classica sveglia, sempre la solita in trasferta o a casa, 6:30; circuito per il ginocchio, lavoro per i piedi, colazione e via, verso lo stadio. Oggi ci aspettano 100 bambini e i nostri 48 allenatori, formati in questi giorni, per la giornata finale, il festival, ossia 9 stazioni con 9 esercizi diversi e i bambini che ruotano tra essi divisi in gruppi da 10/12. Son contento, la gente qui è super positiva, allegra, amichevole, i coach educators si son dimostrati interessati, coinvolti, ben disposti fin da subito, e soprattutto pronti alla battuta, allo scherzo. Fortissimi. Quando hai una classe così viene naturale dare il 110% per loro, cercare di fare di tutto e di più affinché capiscano la metodologia , facciano propri consigli, idee per gestire al meglio le sedute di allenamento, interiorizzino al massimo i concetti che stiamo loro trasmettendo, perché vedi la passione, la volontà che si scontra con la scarsezza di mezzi, di opportunità. E quindi viene naturale svegliarsi carichissimo, super contento di andare al campo. E allora via, verso lo stadio. Il sole è bellissimo, il cielo di più, con le sue nuvole bianche a fare da contraltare all'azzurro acceso che lo caratterizza in questo lato di mondo. Preparo i campi, divido gli allenatori, divido i bambini, ma...cacchio, ce ne sono una decina che aspettano solo di giocare, ma che, non essendo delle scuole parte del progetto, il TD (technical director) non ha messo nel gruppo che poi ho suddiviso in squadre. Quindi? Faccio partire il festival, mi avvicino loro, ne prendo due alla volta e li butto nella mischia, senza farmi notare da Antonio, il mio collega. Un bravo ragazzo, mi trovo benissimo con lui, ma a volte un po' troppo...rigido, precisino. Per cui meglio non renderlo cosciente di questa cosa. Via così, giocate. E alla fine questi 10 bimbi, tra cui due bimbe, son quelli che si divertono di più: in ciabatte (si, davvero. In ciabatte. Con le crocs ai piedi!!!) alcuni, a piedi nudi gli altri, tutti sono strapresi dagli esercizi e tutti si impegnano alla morte per domare quell'attrezzo sferico che tanto ammalia, ma che anche tanto difficilmente si riesce a gestire. Una energia indescrivibile fuoriesce da questo campo per 90 minuti, al termine dei quali inizia la parte che sempre odio: GS (segretario generale), Presidente, ministro dell'educazione e dello sport lanciano ufficialmente il progetto nel paese e, come tanto piace in Africa, non si risparmiano con  discorsi e ringraziamenti! Madonnina che sonno. Per fortuna mi sono defilato per tempo e ho lasciato vuota la mia sedia sul palchetto per sedermi in mezzo a bambini e allenatori, per cui le mille ore di discorsi vari passano relativamente veloci ridendo e scherzando con le persone. 
Concluso il tutto, salutati tutti, bambini e allenatori, ci muoviamo con Laizon, il TD: gli abbiamo chiesto di portarci in giro per Lusaka per assaggiare un po' dell'autenticità di questo posto e lui, ben contento, nato e cresciuto in un compound della città, ci porta subito al suo quartiere. Casette di mattoni, altre di lamiera, strade polverose e...gente ovunque. Ma tantissima gente! Incredibile! Camminiamo un po' fermati da bimbi incuriositi (uno mi chiede: are you african? No, I'm from italy. Ohh, i see. I'm from zambia!) per poi fermarci in un "ristorante" dove mangiamo in puro stile locale con le mani pesce, carne e anatra, con verdure varie di contorno; il tutto accompagnato da mshish (chissà se si scrive così), una cosa bianca un po' appiccicosa, poco saporita,  fatta col mais, che si usa al posto delle forchette. Ne fai una pallina, la rendi una specie di cucchiaio e prendi con questa cosa tutto ciò che hai nel piatto. Piatto condiviso, ca va san dire, coi commensali. Insomma, se non mi cago addosso questa notte, posso star tranquillo per il resto della vita. 
Finito il pranzo riprendiamo l'esplorazione del quartiere e ad un certo punto una palla rimbalzante arriva a me: un gruppo di bambini sta giocando in uno spazio di terra e sassi e io son capitato li vicino. Palleggio un po', mi avvicino al gruppo, quindi lancio loro il pallone. Immediato il pensiero mio e di Antonio: abbiamo una decina di palloni in macchina! Prendiamone uno e diamolo loro (anche due), così mandano in pensione questo vecchio attrezzo ormai poco rimbalzante. E due minuti dopo siamo in campo anche noi...col pallone vecchio. Quello nuovo è troppo bello per essere usato qui! Stupendo. Che magia unica, che emozioni è in grado di regalarci questa palla. Mentre gioco torno con la mente a Tabiago, alle partite infinite in strada, con le linee del fuori invisibili agli esterni, ma ben chiare a tutti noi, con il muretto che fungeva da sponda nelle situazioni di 1<1 e con le regole nostre, solo nostre e che nessun esterno poteva capire. Madonnina che bello giocare a calcio. Alla fine io e i miei 4 compagni vinciamo, ma poco importa: grazie bimbi, era da novembre che non giocavo, da quando son stato operato, e grazie a voi son tornato a godere della bellezza di quella palla!
Ripartiamo, sudati e contenti: alle 17:30 c'è il derby di manchester e vogliamo godercelo in un posto "autentico", ma dobbiamo sbrigarci, se no non troviamo posto. Qui son tutti matti per il calcio inglese, in giro tutti indossano maglie della premier (ne ho viste anche del Brighton di de zerbi!) e il posto dove ci vuol portare è piccolo...ma stupendo! Siamo gli unici due mzungo nel raggio di un paio di km, ma la cosa non mi disturba per nulla e non disturba loro. L'atmosfera è bellissima e la partita lo è altrettanto. Me la godo fino in fondo, con un paio di birre di contorno, sul nostro tavolino di plastica, con la nostra televisione che gracchia e con i tifosi intorno che ridono e incitano i red devils...peccato che il man city domini e alla fine vinca 3-1. Ma a loro sembra importare poco. E a me anche meno. 
Mi godo tutta questa giornata ora, mentre scrivo, e ancora una volta mi domando se merito davvero tutta questa fortuna. Ma mentre cerco la risposta, mi godo ogni secondo.  

giovedì 29 febbraio 2024

Tempus fugit

 A volte, anzi molto spesso, mi ritrovo a guardare il calendario, ad osservare la data del giorno, e a pensare: "wtf! come cacchio è possibile? Siamo a marzo???". E una sensazione terribile mi assale. Un misto tra paura e sgomento, tra ansia e preoccupazione: cazzo, siamo già a marzo, son successe mille cose in questi tre mesi, tutte bellissime come spero sarà per tutta la vita, inshallah, e io...le ho vissute tutte? ho goduto ogni attimo, ogni secondo di queste esperienze? O l'incessante succedersi degli eventi mi ha impedito (che sia una scusa dar la colpa al tempo, per non cercare una soluzione vera?) di capire veramente quanto di bello mi stava accadendo e quindi di respirare ogni attimo di queste esperienze? Lo penso e lo scrivo spesso: siamo tutti nella stessa barca, non sono io speciale e siamo tutti in un maledetto frullatore che ci gira, rigira, sbatte e risbatte, travolti dagli eventi e incapaci di fermarci e vedere, sentire, vivere l'attimo. Sud Sudan, rientro in Italia, sto a casa 18 ore (atterro la mattina, riparto la sera), via verso il Congo, rientro, sto a casa non so nemmeno più quanti giorni e via, di nuovo in aereo, kuwait, bahrain, oman. Rientro, a casa un'altra manciata di ore e di nuovo in volo, direzione Zambia e Zimbabwe. E in mezzo la scuola, i laboratori del liceo da portare avanti, la giornata dello sport da definire, la società sportiva con i nuovi corsi che partono... ripeto, non sono io speciale, siamo tutti nello stesso frullatore. E ciò che ci rimette per tutti è la famiglia: Margherita non perde occasione per dirmi "basta andare in aereo", Anna non dice nulla, ma i suoi mega occhi mi fulminano ogni volta che le dico che devo andare, Silvia...Silvia è la donna migliore che potesse capitarmi e regge da sola la baracca, sopportando le mie assenze tra lavoro e bambine. Sopportando anche la mia assenza il giorno del suo compleanno. Davvero, che centrifuga. E tutto questo succedersi di eventi ti fa perdere memoria di ciò che ti è accaduto, di ciò che vorresti fissare in testa perché momento importante di crescita, di apprendimento, o anche solo perché divertente. Provo ogni tanto a "vomitare" su questo schermo queste esperienze per poi ogni tanto ritrovarmi a leggerle e ricostruirle, ma i tempi sono talmente serrati che riporto un quarto di quanto ho in testa

domenica 18 febbraio 2024

IL CANTO DEL MUEZZIN

 Il canto del muezzin

Quel canto che scandisce il tempo delle giornate nei paesi musulmani e che oggi mi accompagna su questi campi kuwaitiani, mi riporta sempre con la mente alla prima volta in cui mi ci sono imbattuto. Ero a Sarajevo, anno domini 2004, e dopo l’allenamento in quel mega campo vicino all’aeroporto con gruppi di bambini a raffica che mi tennero impegnato per circa tre ore, una volta rientrato in hotel, decisi di uscire per un allenamento. Ai tempi (madonnina che frase da vecchio) giocavo ancora, ero a caravaggio e il preparatore mi aveva dato un programma da seguire, per cui armato di foglietto con i tempi e il lavoro da svolgere, uscii un po’ intimorito, ma curioso, per esplorare la città. E dopo pochi passi, senza nemmeno aver concluso il riscaldamento, il timore si trasformò in estasi, al punto che promisi a me stesso che avrei visitato ogni paese, ogni città, ogni villaggio del mondo di corsa, attraverso quella modalità: correndo, esplorandone le strade in piacevole affanno aerobico. E proprio durante quel’ allenamento che ancora oggi ho bene in testa, partì questo canto: era il tramonto e il muezzin chiamava i fedeli alla preghiera, ma io ero assolutamente all’oscuro di tutto ciò e rimasi affascinato da quelle melodie che all’unisono, più o meno, alcune gracchiando per via degli altoparlanti difettosi, altre pulite, riempivano il cielo scuro della città.

E oggi, a distanza di vent’anni, lo stupore rimane il medesimo.

Questa volta sono in campo, al centro olimpico del kuwait, con 36 allenatori e circa 40 bambini, per dimostrare ai primi come proporre un allenamento “educativo” ai secondi, e quando il canto inizia non è sera, ma è il canto per la preghiera del pomeriggio (salat al sar credo si chiami, o qualcosa di simile), ma poco cambia. Mi distraggo un attimo, mi allontano con la testa da questo paese ricchissimo, in enorme crescita dopo la guerra di inizio anni 90 che ha segnato per decenni la popolazione e le città, ambizioso e in grande competizione con gli altri stati del golfo, per rivedermi sulle colline bosniache a correre e a godermi quella scoperta. E un sorriso di soddisfazione e il bisogno di ringraziare Dio per la fortuna che ho, accompagnano il mio “volo pindarico”. A vent'anni di distanza sono ancora qua, altri campi, altra maglia, ma stesso spirito. Se non è fortuna questa, non so cosa possa essere considerata tale

venerdì 16 febbraio 2024

Kuwait: a spasso per la città

 Questa volta è il riff poderoso di dimebag darrell a dare il via al mio "giro turistico" per la città: quando "cowboys from hell" sfonda le mie orecchie, sono già fuori dall'hotel, direzione...vediamo dove mi porta il vento. La giornata è stata lunga e stancante e ho bisogno di staccare per un attimo. Ho, abbiamo, profuso tutto il nostro impegno per coinvolgere, motivare, cambiare l'approccio all'allenamento degli allenatori locali e sebbene possiamo dire che dal punto di vista teorico siano tutti molto preparati, sul campo, in campo, con i bambini di fronte e l'attrezzo da gestire, per molti le cose non sono andate tanto bene. E la spiegazione che mi do è la stessa che mi son dato in altri paesi così stramaledettamene ricchi: hanno tutto, anche di più, troppo, ma mancano di una cosa essenziale, allenatori e ai bambini, una cosa che non posso in nessun modo insegnare, trasmettere: la passione. Manca quel fuoco dentro che rende un allenamento normale, un'occasione unica di apprendimento e crescita; non vedo quella voglia di stare in campo che trasforma una seduta di 90 minuti, in un soffio di vento; non vivono questo mestiere come una benedizione, una grande fortuna, una insostituibile gioia, trasformando il tutto in semplice e banale "lavoro". Che peccato. Certo, non voglio fare di tutta un'erba un fascio, mentirei se dicessi che son tutti così, ma sui 36 che hanno fin qui partecipato al corso, ne riesco a salvare al massimo 12...Si, si, ho bisogno di staccare. E allora fuori di qui, Pantera nelle orecchie, per il mio allenamento quotidiano. Allenamento...purtroppo da novembre questa parola è diventata un po' esagerata accostata a ciò che realmente posso fare: da dopo l'operazione al ginocchio le mie attività si sono dovute drasticamente ridurre e alle sfiancanti e tanto appaganti corse pre intervento, si è ora sostituita l'alternanza tra un giorno di corsa al ritmo di un bradipo e un giorno di camminata tipo sessantenne sovrappeso. Oggi tocca alla camminata, per cui mi avvio verso il lungomare e da qui risalgo verso est la città, con un susseguirsi di immensi grattacielo sulla destra e un via vai frenetico di macchine sotto di essi. Macchine...bolidi! corvette, Porsche, rolls royce...è un susseguirsi di auto di lusso e qualcuna di super lusso, che sfrecciano sulle strade godendo del prezzo irrisorio del petrolio (ca va sans dire, visto dove siamo) e degli stipendi faraonici di chi le guida. Stipendi esentasse, perché in questo lato di mondo le tasse non esistono, alla facciaccia nostra!

Schivo macchine e mega moto da strada ad ogni incrocio per un'ora abbondante, perché qui non esistono semafori pedonali (chi cacchio va a piedi per la città, se non un pirla col ginocchio sifulo?), fin quando non arrivo alla grande moschea, un impressionante edificio che si staglia tra i mega edifici moderni in tutta la sua immensità. Davvero enorme da vedere e mi piacerebbe un sacco riuscire a visitare l'interno, ma nel momento in cui sto passando è chiusa, o per lo meno non ho saputo trovare l'ingresso, per cui desisto e decido di lasciare il lungo mare, per provare ad orientarmi e tornare indietro, visto che tra non molto dobbiamo andare in federazione dal presidente. che palle queste cose: non potrebbe fregarmene di meno, ma fa parte del mio ruolo in questa mia seconda avventura sui campi del mondo, per cui gambe in spalla, che si deve rientrare. 

Sulla strada del ritorno passo attraverso il grande suk della città, un mega mercato tipicamente arabo che ospita oltre a centinaia di negozi di ogni tipo, anche un sacco di persone a passeggio, ferme a prendere un the o un caffè, o a giocare a carte. Già, perché qui mi raccontano che ogni giorno la gente ha molto tempo libero per se stessa, a prescindere dal lavoro svolto, tempo che che viene occupato da qualcuno passeggiando per perdere peso (non lo sapevo, ma il Kuwait è il quarto paese al mondo per tassodi obesità), da altri sorseggiando the con amici e parlando (come amano parlare), da altri ancora invece...dormendo! Davvero, dormendo: qui è consuetudine il riposino pomeridiano, la siesta, dalle 13 alle 15. ciccini, un riposino di due ore...mica male. Lavorare meno, guadagnare di più e avere tempo libero per godersi la vita. Che sogno. Invece...è finita l'ora d'aria. Doccia, vestiti e preparati a stringere mani e dispensare sorrisi. Yalla.

venerdì 2 febbraio 2024

Congo Brazzaville

CONGO BRAZAVILLE

Il giro di basso di Time degli Anthrax si scatena nelle mie orecchie e da inizio a questo tour improvvisato di Brazaville che segue la lunga, lunghissima giornata di oggi e la tre giorni di corso. Improvvisato, ma assolutamente emozionante. Son rimasto solo, il mio compagno di avventure è rimasto in camera per prepararsi, avendo l’aereo già questa sera ( e da un lato lo invidio un sacco. Ho una voglia matta di tornare dalle bimbe, visto che son rientrato da Juba domenica mattina alle 7 dopo una settimana e la sera dello stesso giorno sono ripartito!), ma essendo solo le 3 e avendo tutto il pomeriggio davanti, e soprattutto non dovendo studiare visto che sono stato inesorabilmente bocciato ieri all’esame di anatomia (sostenuto in pausa pranza, nell’ufficio del direttore tecnico della nazionale, con un modem tutto per me acceso al mio fianco), decido di non imbruttirmi in palestra o in piscina, ma di uscire, allo scoperta di questa città. Tutti mi han detto che è sicura, che non ci son pericoli, le sere precedenti sono uscito a correre sulla corniche e mi son sentito sicuro, lontano da ogni pericolo, per cui musica nelle orecchie e via. Lascio il lungo fiume dopo aver attraversato il ponte e inizio ad esplorare l’interno, le strade non asfaltate, con  baracchini che cuociono polli e pesci indecifrabili; mi fermo a parlare con una signorona seduta dietro un banchetto per chiederle che razza di pesce sia quello che sta cucinando, ma purtroppo parla quasi esclusivamente lingala e non riesco a capire che bestia sia. Poco più avanti un ragazzino con la maglia dell’inter mi chiede di fermarmi al suo “negozio” (un bidone ribaltato, sopra il quale è esposta la sua mercanzia: arachidi grigliate) e vista la maglia che indossa, non posso che accontentarlo. Nel frattempo, ho spento la musica, ho deciso di lasciarmi avvolgere completamente, tutti i sensi devono aiutarmi a scoprire questo posto. Il ragazzino avrà più o meno 12 anni, lavora li quando non va a scuola e mi domando quanto mai potrà guadagnare al giorno. Chiedo un sacchettino di arachidi, pur essendo quello con lo zucchero che proprio non gradisco, ma ho in tasca solo un “grande biglietto” come dice lui (1000fca, ossia circa 1,5 eurini) e non ha il resto. Niente, non posso acquistare e non voglio lasciarli i soldi come se facessi la carità. Mi sembra di mancargli completamente di rispetto, di offenderlo. Lo saluto “forza inter”, gli dico. Sorride, ma non credo sappia cosa abbia detto. Penso che indossi quella maglia non per scelta, ma perché quella è arrivata. Chissà come, chissà perché, ma quella ha in casa e quella mette. Così come le altre maglie di club italiani che vedo indossate da chiunque qui intorno: non penso siano indossate per scelta, perché tifosi, ma solo perché quello è arrivato, quello hanno trovato. Magari dico una cazzata. Proseguo il mio tour e un po’ di fame mi assale: in fin dei conti ho fatto colazione questa mattina alle 7:30 e ora son le 16 e ho passato circa tre ore a muovermi su e giù per lo stadio nazionale a dar consigli agli allenatori per migliorare la gestione della seduta, a correggere i bambini e le bambine nell’esecuzione dei vari gesti tecnici trattati nelle diverse sessioni d’allenamento,  a incoraggiare e “gasare” i vari bimbi coinvolti nel progetto. Insomma, la fame è giustificata, per cui, seguendo l’odore di griglia che riempie le mie narici, entro in un cancello…pardon, in un ristorante. Posso dire un ristorante autentico, originale: una mega griglia con dei polli a cuocere, dei mega pentoloni con manioca, saka saka e ndole e una decina di persone seduta su seggiole di plastica che mangia qualcosa, ma soprattutto beve, e parla, ride e commenta la partita che viene trasmessa in tv (Sud africa marocco, che ho visto ieri live). Non sono una persona socievole, per nulla, non sono solito approcciarmi ad altri esseri umani e parlare, chiedere, cercare un contatto, ma qui, non so dire perché, mi viene naturale, per cui chiedo due brochette di poulet con del riso e mi siedo a un tavolo. Gli occhi di molti sono su di me: che cazzo ci fa un bianco qui? Dicono i loro occhi. Sorrido, non mi sento a disagio. Ancora una volta non so perché, ma son tranquillo. A monza, da solo, in un bar, pub o ristorante con intorno gruppi di persone che tra loro si conoscono e di cui io non conosco nemmeno il nome, sarei in estrema difficoltà. Perché qui no? Anzi, attacco anche bottone con un vicino, che mi chiede come mai sia in congo e se mi piace il suo paese. Mah…Riparto. Pago i circa 6 euro per il mio pasto e per la mia acqua, e son di nuovo per strada. Seguo una via asfaltata per un po’, passo vicino a una chiesa dove diversi gruppi di bambini stanno giocando a calcio in quello che potrebbe essere l’oratorio; quindi, mi ritrovo in un mega mercato. Poto-poto, il nome. Cammino tra merci di ogni genere (scarpe adidas con quattro strisce, maglie guci, con una c, orologi “d’oro” e mille altre repliche di quel mondo occidentale che sembra stiano inseguendo, non so poi perché), ma anche qui non avverto pericolo, non mi sento a disagio. La gente intorno mi invita nel suo “negozio”, ma al mio declino non insiste, sorride, mi segue, ma tutto in estrema semplicità. Esco dal mercato che siamo ormai vicini al calar del sole: fin qui tutto bene, ma con le tenebre, meglio non correr rischi. Mi avvicino a un poliziotti, gli chiedo come arrivare alla corniche et…voilat. In meno di un’ora sono in hotel. Direi che ho anche il tempo per andare ad allenarmi.