venerdì 25 ottobre 2024

Zurigo-PNG in sole 32 ore...

ZURIGO-PORT MORESBY
 
Dopo tre intensissimi giorni a Zurigo, in HoF (mi piace questo nickname: house of fifa), eccomi in volo da ormai quasi 20 ore! Madonnina, ho le piaghe al culo! Ma andiamo con ordine: cosa ci facevo questa volta a zurigo? Dopo due anni di insistenza, due anni in cui ai diversi manager che si sono succeduti a capo del progetto ho illustrato il mio progetto di creare un area tecnica, selezionando almeno 5 allenatori, uno per continente, così da avere un supporto operativo in loco, utile per girare tra i vari nuclei, le varie scuole del progetto, per controllare, supportare e riportare, e fondamentale per iniziare un percorso di “refresh”, finalmente grazie anche al supporto di Antonio, convinto come me della necessità di queste figure, eccoli qui, gli allenatori selezionati. Da Costa Rica, Chile, Jamaica, UK, Burundi, India e Thaiti, tutti con un corposo e interessante cv, tutti con una qualche forma di collaborazione già attiva con FIFA, eccoli con noi per questo workshop durante il quale con il sostegno di Anto ho avuto come primo obiettivo quello di illustrar loro cosa dovranno fare, come dovranno fare ciò che chiediamo e soprattutto come assumere questo nuovo ruolo, per loro, di coach educator, trattando anche una parte, per me sempre fondamentale, in campo, con bambini. Due allenamenti gestiti da me e uno da loro. E il campo, paradossalmente, da quando ho a che fare con allenatori con il cv di cui sopra, è sempre un momento “difficile”. Non che abbiano combinato casini, le sessioni sono andate bene, i bambini erano coinvolti e divertiti, ma emergono sempre gli stessi limiti, le stesse imperfezioni, che non mi aspetto da questi profili: uso della voce (figa, sussurrano), postura in campo (chi con le mani dietro la schiena, chi si rivolge al gruppo, dando le spalle ad alcuni bambini), ma soprattutto in difficoltà nel gestire “l’emergenza”, la situazione non controllata, inaspettata ( l’esercitazione non viene, non prende forma, i bambini sono in difficoltà e va “scalato” l’esercizio, lo spazio scelto è evidentemente troppo poco per permettere ai bambini di realizzare l’esercizio…). Ripeto, sono sfumature, alla fine non ci son state interruzioni, problemi evidenti, ma dovendo loro diventare degli allenatori di allenatori, credo non debbano aver bisogno di me per riconoscere, capire e intervenire. Ma forse sbaglio io, son troppo esigente. È una cosa che mi chiedo spesso, soprattutto ultimamente, guardandomi indietro, ripercorrendo alcune tappe della mia carriera. Forse ognuno ha il suo modo e deve mantenerlo inalterato, proprio, specifico, anche con questi che per me sono inciampi, ma che in realtà non hanno ripercussioni sulla seduta, sui bambini. Ripenso ai primi corsi in congo, con Alain, quando disegnavo un vero e proprio stile, modello, che tutti gli allenatori parte del progetto facevano proprio, adattandolo alle loro caratteristiche, ma forse, penso ora, cancellando alcuni loro tratti. O in Angola, i primi anni con Stefano, o in Uganda…non so. Certamente rispetto ad allora son meno “nazista”, ma certi principi dell’essere allenatore-educatore, li ritengo fondamentali, quasi imprescindibili. E parlo di allenatore-educatore, non di allenatore “normale”. Questo doppio ruolo richiede e penso debba richiedere doppie conoscenze, competenze, abilità. Non basta proporre una esercitazione, non basta migliorare il gesto tecnico. Attraverso questo miglioramento devono passare altri messaggi, devono arrivare altri apprendimenti e per forza di cose io, allenatore, devo essere qualcosa di diverso. Facile allenare bambini selezionati, ultra motivati, super appassionati di calcio; un po’ meno quando il tuo audience è composto da bambini magari alla prima esperienza con la palla, bambine che magari solo grazie al progetto per cui lavori hanno accesso allo sport, al movimento, pre adolescenti con già un grande passato di violenze e problemi di vario genere. Con loro il gesto tecnico rimane fondamentale (c’è poco da filosofeggiare: vogliono imparare a giocare. Vogliono giocare le partite e poter competere coi compagni durante l’intervallo a scuola, per strada o col fratello a casa), ma insegnando come meglio entrare in relazione con quella palla magica dobbiamo renderci conto che stiamo lavorando sulla loro autostima, sulla loro percezione del proprio corpo, sulla loro socialità…su un sacco di altre cose, altrettanto fondamentali. Per cui se lo spazio è troppo stretto e l’esercitazione non prende bene il via, il bambino non si diverte, non sperimenta, non viene “convinto”, coinvolto e magari perdiamo l’occasione di farlo nostro, di inserirlo nella nostra squadra e di accompagnarlo, attraverso la sfera di cuoio, nel suo percorso di crescita, di sviluppo. Per lo meno di ciò son convinto, oggi in fifa ancora più di prima in inter, perché l’opportunità di “catturare” bambini ora è decisamente più ampia e quindi molti più nuovi “calciatori” possono essere formati, secondo questi principi. Nessuno di loro diventerà professionista, ma tutti loro, si spera, diventeranno adulti con una migliore e più ampia base educativa.
Dopo questo pippone moralista, riprendo controllo dei miei pensieri e torno sulla terra…no, non sulla terra, ma in cielo, in questo momento quasi prossimo all’Australia. Dove un altro aereo mi aspetta, destinazione port moresby

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